Tra cielo e terra: Romanzo - 12

combattendo il Lamarck. Ben altri sono oggi gli atleti con cui dovrebbe
provarsi. Vincere il Lamarck, bella forza! E poi, che vittoria è la
sua? Nessuno gli risponde, ed egli resta padrone del campo. Sapete che
cosa mi fa ricordare? Quel predicatore che argomentava contro il
protestantesimo.--
Qui il signor generale ingrossava la voce, per rifare il discorso del
personaggio aneddotico allora allora evocato:
--«Venite voi Lutero, voi Calvino e voi Melantone; venite davanti al mio
tribunale di giustizia ad esporre le vostre perverse dottrine. E che?...
non venite?... Dunque avete torto. Ed ecco o signori, vittoriosamente
combattute le dottrine degli empi. Non osano presentarsi, arrossiscono,
tremano, si nascondono. Ma contro il sole della verità non valgono
ripari; quel sole li cerca, li scova, dovunque si nascondano, li
abbaglia, li accieca».--
E rideva, il signor generale, rideva comodamente per tre. Gisella
taceva; Maurizio si provò a dire qualche cosa.
--Certo, questa maniera di combattere la scienza moderna pare
insufficiente anche a me. Ma il nostro cappuccino, ne converrete, è più
forte di così. Infine, gli evoluzionisti moderni non hanno fatto che
ripigliare l'ipotesi del Lamarck: combattendo lui, si combattono gli
altri. E poi, lasciamo stare la tesi scientifica: bisogna sentire il
quaresimalista ogni giorno. È spesso elevatissimo. Qualche volta mi pare
che pigli ad imprestito dai grandi maestri: dal Bossuet, per esempio, e
dal Massillon; ma bisogna riconoscere che ci mette anche del suo.
--Sarà il brutto, allora.
--Non sempre, generale, non sempre. Ci ha il tenero, di suo, ci ha il
semplice, che va all'anima. Vi confesserò che non è un'aquila; l'aspetto
sarebbe piuttosto d'un barbagianni;--soggiunse Maurizio, temperando la
sua lode con una celia, che doveva rabbonirgli il suo interlocutore;--ma
gli possiamo render giustizia dicendo che è un predicatore dei buoni; e
se non giustifica l'entusiasmo dei miei concittadini, certamente lo
spiega.
Questo giudizio mezzo e mezzo poteva contentare il generale; ma non era
fatto per piacere a Gisella.
--Perchè lo trovi brutto? come fai a trovarlo brutto?--diss'ella a
Maurizio, appena ebbe modo di restar sola un istante con lui.--Sai che
in certi momenti è bello, anzi bellissimo? Sicuro, di una bellezza
morale che gli si diffonde dall'anima;--soggiunse la cara donna, notando
un senso di pena che contraeva in quel punto le labbra di Rizio.--Quando
egli si scalda nel suo ragionamento, non hai osservato come gli
scintillano gli occhi? come una vampata di sangue gli corre per le
guance scarne, facendole parere di rosa? Si direbbe che in quel momento
Dio scende in lui e lo trasfigura. E vuoi credere? Quando egli si
commuove più fortemente, e la voce gli trema, e le lagrime gli brillano
sulle palpebre, io mi volto verso l'altar maggiore e guardo il
crocifisso, aspettandomi sempre di vedergli schiodare una mano e
stendere il braccio per benedire quell'uomo, che lo esalta con tanto
fervore, facendolo intender così bene alle turbe.
--Via! via!--disse Maurizio.
--E così, proprio così;--riprese Gisella.--E non mi hai detto tu un
giorno che un brutto professore, quando parla bene, animandosi un poco,
diventa bello per il suo uditorio?--
Maurizio incominciava a pensare di aver detto troppe cose. E scritte,
poi! sopra tutto le scritte gli pesavano sull'anima.
--Un po' di misura, bella mia, un po' di misura!--le bisbigliò con
accento di esortazione paterna, vedendola più che mai infervorata nella
sua passione religiosa.
--Misura! misura!--replicava Gisella.--Si è tanto felici di credere! E
si avrà dunque da credere per metà? Come potete voi raccomandare una
cosa simile?--
Cinque o sei giorni dopo, il quaresimalista aveva fatto una predica
sulle mogli; con una grazia, povero frate, con una delicatezza, che non
si sarebbe potuta aspettare da lui. L'abito suo, veramente, lo doveva
far credere più pratico d'altro santuario che non fosse quello,
abbastanza turbato, della famiglia moderna. Enunciato il suo tema, aveva
fatto un'esposizione sommaria del dovere, secondo la condizione
sociale. Il dovere, questa obbedienza alla legge, si mostrava, così
agevole nella semplicità della sua dipintura, che non s'intendeva più
come mai si potesse venirci meno. Di quella obbligazione morale il
predicatore aveva indicato l'adempimento nell'esercizio di tutte le
virtù: e le virtù, così dure a praticarsi, apparivano belle e facili,
perchè governate e promosse da un senso di rispetto a noi medesimi, che
è rispetto alla creatura di Dio, a questo _vas electionis_ della sua
grazia. Vaso d'elezione non era stato solamente l'Apostolo. Quello era
l'esempio, nella famiglia cristiana; ognuno poteva seguirlo, ognuno
accostarvisi. Bella cosa esser puri davanti alla legge umana, non
sospettabili nella presenza del mondo; bellissima esser puri davanti a
noi medesimi, essendo la coscienza il buon giudice umano che precorre ed
annunzia il gran giudice eterno. In quella guisa che al finire del
giorno l'uomo è tanto più contento di sè quanto più sente di aver
lavorato, così nella grande giornata dell'esistenza niente vale la
contentezza interiore dell'avere operato il bene; e niente, dov'essa
manchi, può tenerne le veci. Rispettarsi, sentirsi degno di questo
rispetto, è benefizio singolare per tutti, singolarissimo per la donna,
a cui spesso non basta il pentirsi, quando abbia fallito, perchè essa
nella pubblica estimazione cade sempre più in basso dell'uomo. Triste
cosa è questa, che i nostri costumi hanno portata, di non poter
riacquistare la grazia degli uomini, avendo pur riacquistata la grazia
di Dio; ma c'è compenso ancora, nella iniquità del giudizio, e un
privilegio maraviglioso corrisponde al danno. L'uomo virtuoso, l'uomo
che osserva la legge, si riconosce onesto; della donna virtuosa,
insospettata e insospettabile, si dice comunemente: è una santa.
Qui con ardito trapasso veniva a dipingere le ansietà, i terrori, i
rimorsi che accompagnano la colpa. Quante corde vibravano a quelli
strappi di una mano maestra! No, la colpa, no, mai; è brutta, la colpa,
è malsana; porta con sè, per primo guaio, il dover arrossire davanti al
mondo, e peggio, davanti a sè medesimi. Per la donna colpevole,
prostrata nella polvere di contro ai suoi lapidatori, Iddio ha detto:
«chiunque di voi è senza peccato scagli la prima pietra». Quella pietra,
gli uomini non possono scagliarla più; gli uomini non debbono punir
quella donna, degni di punizione essi medesimi; gli uomini non debbono
disprezzarla, di tante colpe macchiati, mentre uno spirito puro la
compiange. Ma ella è pur sempre a terra, ed egli solo può rialzarla.
Finchè egli non abbia detto: «va, non peccar più», non isperi di
sollevare la fronte. Da lui rialzata, redenta da lui, si consoli: ma
pensi che la turba, se non lapida più, giudica ancora; la turba è sempre
là, astiosa ed arcigna, nel fondo della scena, e i farisei ne governano
l'animo, i farisei, stirpe non morta ancora, che solo ha mutato di nome.
E chieda a Dio di soffrire, di soffrir sempre, per espiare il suo
fallo; ringrazî il cielo di una sofferenza, che quanto è più grande e
più lunga, tanto più vale a deterger le colpe. Nè chieda di soffrir meno
la donna che visse casta e virtuosa; pensi che la coscienza della
propria impeccabilità può facilmente tramutarsi in orgoglio. Noi spesso
non cerchiamo di vedere; ma Dio vede e sa quanto sia di peccato in noi,
che per soverchio di sicurezza non facciamo buona guardia alle anime
nostre. Certo, è soffrire orrendo, per una donna, e può parerle
intollerabile, l'obbedienza di tutti i giorni, di tutte le ore; ma è
prova solenne, argomento di purificazione continua, quel suo viver
legata ad un uomo il più delle volte ruvido, vano, capriccioso, volgare,
che non intende e non sa quanto ella valga, ma che qualche volta può
essere mutato, migliorato, trasformato da lei. Che vittoria, allora, e
come fa lieto il sofferto martirio! E poi, che è ciò che aspettiamo noi
dal dovere compiuto? Se la vita è battaglia, sian terse le spade; nè vi
paia fatica di farle brillare. Più splende quella che è più fine di
tempra, e della fatica durata è gran conforto la gloria. Esser pure è
già un premio; farvi belle dell'anima a Dio, è conveniente lusinga.
Anche un poeta pagano lo ha detto: «piacciono i casti pensieri lassù;
con casto animo vieni, con pure mani attingi alla fonte». Sentite la
bellezza della virtù, che consola; e non orgoglio vi dia, ma nobile
alterezza; e vi veneri il mondo, non potendovi mordere; e l'ossequio
suo non sia minore di quello dei vostri figliuoli, a cui giovano le
esortazioni, ma più ancora gli esempi.
Come aveva sofferto Maurizio, quel giorno! Gli pareva che ad ogni
istante il frate dovesse uscire dalla tesi generale, figurare dei casi,
proferire dei nomi; che ad ogni istante dovesse dare in qualche
sfuriata, da offendere, da turbare, da commuovere troppo visibilmente
qualche povera ascoltatrice. Ma no, niente; quel diavolo d'un sant'uomo
non era mai stato tanto riguardoso come allora; non aveva neanche usata
la volgarità di chiamar le cose coi loro brutti nomi, che è vizio dei
quaresimalisti, anche valenti. La sua orazione era tutta misura e
grazia, grazia e misura, e senza aver fatta la menoma concessione al
gusto mondano. Anche l'argomento del rispetto di sè, che poteva essere
derivato da un concetto pagano della virtù, come diventava cristiano
nella necessità di fare della creatura un tempio, un altare, un vaso
degno di Dio, e di educare non pure onestamente ma ancora candidamente
la prole! «Non offendete colla impurità della lingua l'orecchio
innocente del bambino; bella massima;--diceva il frate,--ma quasi
inutile esortazione in una famiglia civile. Qual è infatti quella madre
così sciocca o malvagia, che non abbia in mente e non osservi il
precetto? Ma è necessario altresì che del fanciullo non si offenda la
vista con la scena di un viver domestico poco lodevole, brutta scena che
spesso è commedia corruttrice, e qualche volta si muta in orribil
tragedia. E poi, che giova nascondere molto e con ogni cura al
fanciullo, se egli, passando sua madre per via, vede a lei rivolto
insieme col saluto il sogghigno, e dietro a lei ode gittata la parola di
spregio? Ah, meglio allora, mille volte meglio non aver bambini! Ma
pensate allora, pensate essere ancora una grazia la sterilità, per la
misera donna che ha dimenticata la legge divina, la legge umana e sè
stessa».
Neanche qui il frate foggiava casi particolari; non usciva neppur qui
dalla tesi generale. Ma era pericolosa, la tesi; e Maurizio fremeva,
pensando esser là tra gli ascoltanti qualche misera donna, la quale,
ritornando a casa, non avrebbe trovato bambini ad attendere la sua
carezza materna. Fremeva, mentre tutti gli ascoltanti pendevano dalle
labbra del monaco, e gli pareva che ogni sguardo momentaneamente sviato
di quella moltitudine attenta, girando per caso dalla parte sua, fosse
diretto a lui, proprio a lui, come una interrogazione, come un
rimprovero. Intollerabile supplizio! E non osò, per tutto il tempo che
durò quella predica, volger neanche la faccia da un certo lato della
chiesa. Poi, a mala pena ebbe fine il supplizio, scappò fuori senza
guardarsi dattorno, tagliò la piazza per la linea più breve, andando
verso il Castèu, senza aspettare la solita occasione di salutare
Gisella, che usciva sempre in compagnia di Albertina.
Quella sera, non bene rinfrancato, ma desideroso di non far novità, si
avviò alla Balma. Trovò il generale solo nel vestibolo, occupato a dare
una scorsa ai giornali.
--Ma sapete,--gli gridò questi _ex abrupto_, levandosi gli occhiali e
deponendo sulla tavola il foglio che aveva tra mani,--ma sapete che il
vostro predicatore è un fiero campione!
--C'eravate?--disse Maurizio, rabbrividendo.
--No; per sentirlo m'è bastata una volta. Ma quasi quasi mi riconcilio
con lui. Ha parlato del dovere in un modo che mi va. Queste vi parranno
contradizioni;--soggiunse il generale, ridendo.--Ma anche senza andarsi
ad affumicare là dentro, si può sapere che cosa c'è stato detto. Gisella
mi ha recitata tutta la predica. A sentirla, si sarebbe creduto che la
sapesse a memoria.--
Com'era andata? Al signor di Vaussana parve quella una follìa, una
grande follìa. Ed era certamente tale, e la contessa, commettendola,
aveva obbedito ad uno di quegli impulsi ciechi, contro i quali non è
forza di volontà, nè lume di ragione che tenga. Scossa, turbata al pari
di lui, se non forse di più, Gisella aveva ritrovato a mala pena quel
tanto di forza che l'aiutasse a ritornare a casa, con aspetto di persona
tranquilla. Per altro, a mezzo il viale dei tigli, aveva dovuto sedersi,
non potendone più. Come le era venuto fatto di trascinarsi fin là? Il
suo cuore batteva, batteva con una violenza da far temere che volesse
ad ogni tratto spezzarsi; tanto che gliene veniva un senso di dolciume
smaccato e nauseabondo alla gola. In uno sforzo supremo era riuscita a
padroneggiarsi. Aveva pensato che fosse quella una crisi per l'anima
sua; se felice poi o disgraziata, non voleva cercare. Dio lo vuole,
aveva gridato a sè stessa, come i primi crociati di Cristo; e una gran
forza era succeduta a quel momento d'angoscia indicibile. Alzatasi di
scatto dal sedile di pietra, aveva fatto in pochi minuti il restante
della salita, trovando sulla spianata del cancello il marito che
passeggiava aspettandola; e davanti a lui aveva voluto fare la brava.
Egli stesso la metteva al punto, chiedendogli col suo piglio beffardo
quali altre scioccherie avesse spacciate quel giorno il grand'uomo.
Scioccherie? C'era ben altro; un trattato di alta morale; ne giudicasse
lui, che rideva. E lì, l'uno dopo l'altro, aveva snocciolati tutti gli
argomenti, provando un gusto aspro, mettendo una cura ostinata, feroce,
un vero accanimento, a tormentarsi l'anima riferendo tutto il discorso,
perfino con le stesse parole del frate. Il generale aveva continuato a
ridere per due o tre minuti; effetto di mare lungo, che non ha avuto
ancor tempo di quetarsi; poi si era fatto serio, a grado a grado
prestando maggiore attenzione; e si vedeva che gli argomenti gli
andavano, e non meno le frasi ond'erano rivestiti, perchè li
accompagnava con cenni del capo e con ringhî in cadenza. Egli doveva
egualmente ammirare la relatrice, trovando ch'ella possedeva un bel
tesoro di memoria, un tesoro del quale egli non si era mai avveduto. E
neppure lei sapeva come ciò le accadesse. Le parole del frate le erano
certamente caduta sul cervello, come gocce di piombo liquefatto,
facendovi impronta e presa ad un tempo.
Ma quello sforzo l'aveva anche esaurita. A pranzo niente le andava; si
era contentata di assaggiare; e finito il pranzo aveva trovato un
pretesto per ritirarsi nelle sue camere, non aspettando Maurizio alla
solita ora delle visite serali. Cosa da nulla, diceva il generale al
signor di Vaussana, poi che questi ebbe domandato della contessa, e
manifestato il suo vivo rammarico di saperla indisposta.
--I soliti incomoducci, che fanno comodo così grande alle signore
donne;--soggiungeva il generale;--nervi, fumi, vapori, isterismi ed
altri cataclismi da ridere. Del resto, un po' di riposo le farà bene.
Quel prodigio di mnemonica, a buon conto, non sarà mica stato senza
consumo di materia cerebrale. Siamo macchine, mio caro.--
Così ragionava; ed era contento di sè, il castellano della Balma. In fin
de' conti, quella poteva contarsi come una buona giornata per l'autorità
del marito, se anche gli era stata procacciata da una sequela di
ribellioni all'autorità del filosofo. Buona giornata, davvero, e ne
prometteva delle altre. Lo sentiva egli, questo? si dava ragione della
sua contentezza? Forse no, anzi, diciamo pure senza il forse, ed
ammettiamo che in lui operasse una specie d'istinto. Del resto, egli
poteva esser contento di aver sentito parlare come piaceva a lui. Per
una volta tanto quei _blagueurs_ di preti erano buoni a qualche cosa.
Quella sera Maurizio fece una mezza dozzina di partite a carambolo,
perdendole tutte, e la testa per giunta. Ma un vincitore a carambolo,
facendo le sue lunghe serie di colpi, non ha tempo nè modo di guardare
dove il suo avversario abbia la testa. Così la sera passò, triste
conclusione di una triste giornata. Le giornate, poi, si seguono e non
si rassomigliano. La mattina seguente capitò Gisella al Castèu. Veniva
in apparenza a prender l'amica, per andare con lei alla predica. Nel
fatto, voleva combinare in casa il signor di Vaussana, per domandargli
un libro in imprestito; un esemplare del nuovo Testamento, niente di
meno. Desiderava di leggere l'evangelio di san Giovanni e le epistole di
san Paolo; due autori che il quaresimalista citava spesso e volentieri.
Nella libreria della Balma il nuovo Testamento non c'era, e per una
buona ragione: per la stessa ragione non c'era neanche il vecchio. Ma
oramai non sarebbe più stato così: Maurizio offriva l'uno e l'altro, non
già come imprestito, ma come presente, come omaggio alla contessa
Gisella. Regalava la traduzione del Martini, approvata da Roma: quanto
a lui, possedeva la versione latina di san Geronimo, ed anche in un
altro esemplare la versione italiana del Diodati, non approvata, ma ad
ogni incontro, ad ogni bisogno, egualmente opportuna. L'ortodossìa di
Maurizio non badava a certe piccolezze.
Gisella tremò, vedendolo comparire in salotto, e una fiamma le corse
alle guance. Ma subito si ricompose, e gli espresse il suo desiderio,
avendone quell'esito che fu dianzi accennato. D'altro non fu possibile
parlare, essendo presente Albertina.
--Ed ora vi sentite meglio, non è vero?--si restrinse a domandarle
Maurizio.
--Sì, molto meglio,--rispose Gisella.--Non è stato che un male
passeggero.... qui;--soggiunse ella, indicando il cuore.
--Con quei colori?--gridò egli, inarcando le ciglia, e dissimulando
nell'atto di maraviglia un vivo senso di pena.
--Con questi colori, pur troppo;--replicò sorridendo Gisella.--È stata
anche la malattia di mia madre. Ma non esageriamo la cosa;--riprese
tosto la bella signora;--altrimenti meriterò i rimproveri del generale,
a cui queste bambinerie non piacciono. Affrettiamoci piuttosto ad andare
in chiesa; dovrebbe esser quasi l'ora. Di che parlerà oggi il padre
Anselmo?
--Dell'amor divino;--rispose Albertina, a cui la domanda era
rivolta.--Non hai sentito, quando l'annunziava?
--No, mi ero forse distratta.... pensando a tutte l'altre belle cose che
aveva finito di dire.--
La predica dell'amor divino fu un inno in prosa, e frammezzato di versi.
Quel diavolo d'un frate ci aveva quel giorno tutti testi profani. Citava
Girolamo Benivieni, che sull'amor divino aveva dettato armoniose e calde
terzine; citava Lucrezia Tornabuoni, e le sue affettuose laude
spirituali; citava messer Agnolo Poliziano, autore anch'egli (pare
impossibile) di poesie religiose; citava perfino Lorenzo de' Medici, e
le sue amorose rime sulla ricerca di Dio.
Allor vedrò, o Signor dolce e bello,
Che questo bene e quel non mi contenta:
Ma levando dal bene e questo e quello,
Quel ben che resta il dolce Dio diventa:
Questa vera dolcezza e sola senta
Chi cerca il ben: questo non manca mai.
Quella mattina, sulla piazza della chiesa, non mancò più Maurizio, ad
aspettar le signore.
--Non è vero che è stato bello?--gli chiese Gisella, nella breve
conversazione di commiato.
--Sì, bello;--rispose Maurizio.
E non potè dirle altro, tanto soffriva. Ah, quel bene terreno che non
contenta più l'anima! quel bene terreno da cui si può levar tante parti,
e il resto si trasforma in amore di Dio!
Quella sera, andò ancora alla Balma, sapendo già di non averne alcun
bene. Pure, il caso gli fu più umano del solito, facendolo restare
abbastanza lungamente solo con lei.
--Non andrete più al Martinetto?--le disse, dopo alcuni istanti di
silenzio, che gli erano parsi secoli.--C'è il piccolo Vittorio ammalato.
--Oh, poverino! Sicuramente ci andrò;--rispose Gisella, che a tutta
prima era rimasta confusa.
Ed egli la precedette il mattino seguente lassù; o credette di
precederla. Ma la contessa non si lasciò vedere al Martinetto, nè prima
nè dopo la predica. Triste cosa, su cui egli non osò farle la più
piccola osservazione. Pure, le giornate erano belle, ancora un po'
fresche, ma serene e luminose; e i cardellini dell'Aiga, salutando
Maurizio, avevano l'aria di dirgli: i vostri nocciuoli sono stati i
primi tra tutti gli alberi della montagna a riprender le foglie; come va
che non ci si rivede ancora? sareste mutati voi, da quelli di prima?--
Gisella andò a vedere il figliuoletto di Biancolina, ma dopo aver
pranzato, senza pericolo d'imbattersi nel signor di Vaussana. Maurizio
la vide ritornare alla Balma, mezz'ora dopo ch'egli era giunto lassù.
Rimase male, vedendo che Gisella aveva cercato di evitare la sua
compagnia. Ma la signora non potè egualmente evitare l'occasione di un
breve colloquio con lui, mentre il generale era andato più oltre lungo
il viale a ragionar col fattore.
--Perchè?...--le disse.--Perchè mi sfuggite?--
Maurizio aveva l'aria d'un moribondo, parlando in quel modo.
--Perchè....--mormorò ella, non resistendo a quell'accento di angoscia
suprema.--Amico mio, non mi parlate così! Se sapeste come mi levate il
coraggio!... Siamo nell'errore, Maurizio; ho paura.
--Paura!--esclamò egli.--Di che?
--Siamo colpevoli.
--Colpa.... d'amore....
--È colpa, e basta. Io mi faccio orrore, e qui dentro mi domando spesso:
che cosa penserà Maurizio di me, se anch'egli usa scendere nel segreto
dell'anima sua, e vede l'abisso in cui siamo caduti? Ah, meglio
laggiù,--gridò ella rabbrividendo--meglio laggiù in quell'altro abisso,
nel vortice dell'acque, quando io non credevo di far tanto male; e tu
già lo sapevi, già n'eri persuaso, perchè hai tardato un istante a
rispondermi!--


CAPITOLO XVI.
Cuori infermi.

Così finiva la quaresima, vedendo Maurizio la contessa Gisella ogni
mattina alla sfuggita quando si usciva di chiesa, ogni sera più
lungamente quando egli andava alla Balma; non più altrimenti, come
avrebbe potuto sperare dal ritorno alla buona stagione, da lui con tanto
ardore invocata. E parlava di cose vane con lei, quando c'erano altri in
conversazione; e non parlava più affatto quando restavano soli. Quei due
poveri cuori sembravano divenuti l'uno all'altro stranieri; tra quelle
due coscienze, già così intimamente unite, si era fatto un gran vuoto.
Egli oramai era in uno stato da far compassione; reggeva l'anima co'
denti; avrebbe voluto non essere: intanto, per capriccio di sorte o
crudeltà di destino, doveva sorridere, sorrider sempre, piegandosi a
tutte le fantasie d'un vecchio fanciullo, che mostrava di non saper
stare un minuto senza la compagnia del suo migliore amico. Sospello di
qua, Vaussana di là, e Maurizio da pertutto; non c'era che lui.
L'avvicinarsi della pasqua avrebbe dovuto portare qualche obbligo
particolare per quel saldo credente. Ma quel saldo credente non era uno
stretto osservante: andava in chiesa; e levato di lì, praticava poco,
sicuramente credendo che il credere bastasse. Del resto, c'era la
politica di mezzo; ed egli, non volendo inchinarsi a certe pretensioni
_de hoc mundo_, non aveva neanche scrupoli di coscienza. «Quando avranno
disarmato verso l'Italia una, mi accosterò anch'io un po' meglio»,
diceva egli qualche volta a sua sorella Albertina.
Uno di quei giorni, veduto che sua sorella usciva prima dell'ora, tutta
vestita di nero e col velo di pizzo ugualmente nero in testa, scambio
del solito cappellino, le domandò brevemente:
--Precetto pasquale?
--Sì,--rispose Albertina,--da una settimana è incominciato il tempo
utile.--
Un'idea passò per la mente di Maurizio; e per averne l'intero, mezz'ora
dopo che sua sorella era uscita, andò in chiesa anche lui. Giunse a
tempo per vedere il cappuccino uscire dal confessionario, donde aveva
ascoltate ed assolte parecchie penitenti. Rivolti gli occhi all'altar
maggiore, riconobbe sua sorella inginocchiata alla balaustrata di marmo,
e accanto a lei la contessa Gisella, anch'essa tutta vestita di nero.
Ah, dunque ella pure si era confessata dal frate; ella pure si accostava
alla mensa eucaristica; ella pure, perdonata, monda di colpe, contenta?
E fu triste senza fine; per quel giorno mutò perfino il posto alla
predica; finita questa, se ne andò verso casa, senza aspettare le
signore al varco del piazzale. Di questo, poi, non erano neanche da
farsi le maraviglie: oramai erano più le volte che il signor Maurizio
faceva così, che non quelle in cui si tratteneva a riverire Gisella, a
barattare con lei le poche frasi di commiato.
--Confessa bene?--domandò egli di punto in bianco a sua sorella, quando
furono a tavola.
--Come predica;--rispose Albertina.--È un dotto, ed è un santo,--
Maurizio non disse più altro. Quella sera gli mancò il coraggio di
salire alla Balma. Sentiva bene che un gran rivale gli era stato
suscitato; ma da chi? non forse da lui? e perchè darne colpa o merito ad
altri? Egli, egli solo, aveva introdotto il gran nemico in casa. Che
dolore, e che orrore! Egli amava più che mai quella donna; e quella
donna era di Dio.
Andò alla Balma il giorno dopo, di mala voglia, soffrendo in ogni parte
dell'esser suo, nè ben sapendo di che. Trovò la contessa al suo telaio
di ricamo, pallida, cerea nel volto, ma calma. Il generale era di
cattivo umore, e misurava a gran passi, in diagonale, gli ottanta e
cento metri quadrati del vestibolo. Incominciava a temere gli effetti
della vita sedentaria; voleva fare del moto: e per farlo, e per
istizzirsi di non poterne fare abbastanza, sceglieva le ore che Gisella
dedicava al riposo. A mala pena ebbe veduto comparire Maurizio, il
passeggiatore si fermò, prendendo un'aria severa.
--Non vi abbiamo veduto, iersera; diss'egli, con accento di
rimprovero.--E sareste stato così utile, per darci una mano! Si è dovuto
mandare pel medico, capite? pel medico; e l'abbiamo avuto qui tutta la
sera.--
Maurizio non ci vedeva già più.
--Ah!--gridò egli, prima che quell'altro finisse la sua invettiva.--Che
è stato? Io non sapevo.... Se avessi immaginato....--
E si volgeva così dicendo a Gisella, di cui poc'anzi aveva notato il
pallore. Ma per allora non discerneva più nulla, tanto era turbato;
l'immagine della donna adorata gli veniva agli occhi confusa, come i
pensieri alla mente, come le parole alle labbra.
--Cose di poco, signor Maurizio;--rispose ella placidamente.--Mal di
stagione, e non valeva neanche la pena di parlarne. Non istò forse bene,
ora?--soggiunse, volgendosi a suo marito, che aveva fatto un gesto di
stizza.
--Che stagione mi andate voi stagionando?--gridò il generale.--Ma sì,
dite bene,--ripigliò, mutando proposito,--è la stagione....
ecclesiastica; è la vostra quaresima, che il diavolo se la porti.
Capirete, Maurizio; tutti i giorni in chiesa! Il fumo delle candele
doveva bene un giorno o l'altro portare i suoi effetti deleterii. Ieri,
poi, per compir l'opera, la nostra signora è stata fino al tocco senza
prender niente; nè bevanda nè cibo.
--Quante volte non sono stata così!--rispose Gisella, sorridendo.
--Ma ieri non potevate. E non va bene restar tanto a stomaco digiuno;
segnatamente voi altre donne, che mangiate come gli uccellini, e avete
bisogno di nutrirvi più spesso. Questo ve lo ha detto anche il medico.
Ma ieri, Dio ci abbia in grazia, bisognava far la pasqua, bisognava
prendere la comunione.... Credo che sia la prima, dopo quindici
anni;--osservò il generale, ghignando.
--Ettore! Voi dite i miei peccati.
--Ed anche quella era stata di troppo;--continuò il generale, senza
badare alla interruzione.--Venite, Maurizio, facciamo due passi
all'aperto. Il medico ha dato un buon consiglio anche a me. Non faccio
moto abbastanza, e ci buscherò una congestione di sangue. Sarà
necessario che io ripigli l'uso di montare a cavallo. Le strade qui non
sono molto adatte; ma bisognerà contentarsi. Cavalcate, voi?
--Male;--rispose Maurizio.