Tra cielo e terra: Romanzo - 06

con quella sua figura giovanile; rosso il nastro del suo cappellino di
paglia, rosso l'ombrellino che si spandeva come il calice di un bel
rosolaccio sulla sua testa dorata; così vedeva egli Gisella, così aveva
l'illusione d'esserle ancora vicino.
Tutto ciò dava ogni giorno due ore di occupazione a Maurizio; pensare a
quelle due ore, aspettarne il ritorno, erano giocondi uffizi per lui. E
senza fallire al suo debito di onest'uomo, perchè amare è permesso,
anche quello che non ci appartiene, quando si ami da lontano, come si
ama una stella, seguendone il corso nello spazio.
Sempre alle dieci del mattino la vedeva comparire, per tre giorni alla
fila. Il quarto giorno gli prese una matta voglia di sapere che cosa
accadesse lassù al Martinetto. Andandoci di buon mattino e ritornando
prima delle dieci, non c'era pericolo che incontrasse Gisella. Così
tranquillo su quel punto capitale, uscì di casa muovendo verso l'Aiga;
di là, senza procedere più oltre verso la Balma, salì la montagna per
raggiungere la cascata superiore, quella che veramente prendeva nome dal
Martinetto.
La gran massa d'acqua scendeva giù per una piega naturale del monte, che
essa aveva aiutato a rendere più profonda, nella notte dei secoli:
veniva di molto lontano, e Maurizio, che pure da fanciullo aveva corsi e
ricorsi quei greppi, non ne conosceva la scaturigine. Questo egli
rammentava, che l'acqua attraversava un gran prato, uno di quei prati
alpini così verdi, vestiti qua e là da ciuffi di rododendri, e che
all'estremità di quel prato si rovesciava giù da una rupe. L'accoglieva
una prima conca, poi una seconda, da dove ribollendo e spumando
s'inabissava a forse quaranta metri più sotto, venendo a far girare la
ruota di un mulino poco sopra il paese di San Giorgio. Per quel mulino,
naturalmente, era troppa; ne bastava una derivazione, ottenuta
dall'arte: e il canale che serviva al mulino, e il resto della cascata,
si ricongiungevano a poca distanza dal Castèu, per venire a traversare
il paese, e far pensare di tanto in tanto ai suoi abitanti che una
simile ricchezza d'acqua si sarebbe potuta sfruttare benissimo,
impiantando a San Giorgio uno stabilimento idroterapico, che sarebbe
stato il decoro della valle e la fortuna di cinquecento famiglie, a dir
poco.
Lo stabilimento idroterapico è la solita storia con cui si va guastando,
magari in sogno, la cara poesia della montagna, tirando lassù, insieme
coi nostri acciacchi, le nostre malinconie, le nostre miserie fisiche e
le nostre miserie intellettuali. Per fortuna, non ci son sempre i
capitalisti lì pronti per tradurre i sogni in realtà.
L'Aiga, nondimeno, aveva trovato in altri tempi il suo capitalista, uomo
pratico, che era salito su quella balza a impiantarvi un martinetto. Si
chiamava, e tutt'ora si chiama con questo nome, nelle regioni montuose
dell'Italia superiore, il maglio delle ferriere; donde avevano spesso il
nome di martinetto le ferriere medesime. Mosso ordinariamente dalla
forza dell'acqua, il martinetto battendo sull'incudine la ferraccia
arroventata, la modellava via via, la spianava, la stendeva, la foggiava
in ispranghe, per uso dei fabbri. Innanzi la scoperta del vapore e il
minor costo delle sue applicazioni, erano i martinetti assai più
numerosi; e per foggiare il ferro, come per lavorare nelle cartiere e
nelle gualchiere, ne sorgevano dovunque scorresse un bel volume d'acqua
perenne. Ma generalmente oramai, e più per il ferro, i martinetti ad
acqua han persa la lite: dove la scarsezza progressiva, del combustibile
necessario all'arroventatura, dove il rinvilìo del minerale del ferro e
la concorrenza delle migliori qualità hanno dato la prevalenza alle
ferriere dell'Europa settentrionale. Per una di queste cagioni, se non
forse per parecchie, era andato in rovina il martinetto di San Giorgio.
Qualcheduno dei proprietarii che si erano succeduti lassù aveva
azzeccato il suo quarto d'ora di poesia, facendo sorgere alquanto più su
ed alle spalle dell'officina un belvedere, specie di torrione piantato
sull'orlo dell'abisso, con la sua piattaforma circondata di merli e con
un lungo sedile corrente all'ingiro. Si giungeva lassù passando
attraverso una macchia di nocciuoli, dove era stato certamente da
principio un sentiero; ma la traccia di questo era sparita oramai,
cancellata da quella gran nemica d'ogni arte che è la santa madre
natura. Noi ordiniamo, ed essa confonde; i nostri muriccioli si veston
d'edera e di lucertole; i nostri andarini sabbiosi, le nostre redole
fatte a musaico di sassolini a due tinte, si sfasciano sotto le piogge
equinoziali; i bei prati di fieno inglese son dati in governo alla
gramigna, e la sterpaglia riprende ben presto i suoi diritti dove noi
avevamo ripulito col sarchiello, raddrizzato col traguardo e livellato
con la tavoletta pretoria. Santa madre natura, che Iddio continui a
benedirvi! Perchè non si lascia intieramente a voi la cura di foggiare
i nostri parchi, di svariare i nostri giardini? Qualche volta, non c'è
che dire, voi fate meno bello dei nostri architetti; per contro, fate
sempre più grande.
Il belvedere del Martinetto si poteva scorgere dall'altra sponda della
cascata; era invisibile dalla macchia, ed anche a chi ne conosceva
l'esistenza non riusciva troppo facile di ritrovarlo. Maurizio, che si
era inerpicato in altri tempi lassù, con la matta e spesso pericolosa
curiosità dei ragazzi, stentò ad orientarsi in quel folto di rami.
L'orrida bellezza del luogo lo ricompensò largamente della fatica
durata. Trovò il belvedere, i sedili, la merlata, un po' in rovina per
verità, ma fresche e vive le sue ricordanze, all'ombra di quel fogliame
diffuso sulla piattaforma e sull'abisso rumoreggiante lì presso.
Pagato il tributo ai ricordi, Maurizio lasciò la piattaforma del
torrione, e per la macchia dei nocciuoli discese verso il Martinetto.
Una parte del fabbricato era andata in rovina; solo dall'altro lato ne
rimaneva in piedi un'ala, convertita in abitazione colonica. Laggiù
vivevano i poveri fittaiuoli del Pinaia, avendo davanti a sè quel magro
podere e quei pascoli per cui dovevano pagare cinquecento lire ogni anno
al fornaio arpagone di San Giorgio. Compiuto il giro della vasta rovina,
Maurizio riuscì sull'aia che si stendeva davanti alla casa.
Due piccole vite si agitavano, ognuna a modo suo su quell'aia. Un
ragazzetto si trastullava facendo correre l'una dietro l'altra alcune
pallottoline di porcellana e di vetro colorato, lungo certi solchi che
aveva scavati nel battuto: immagine di più faticose cure che gli
sarebbero toccate da grande. Una bella tombolina, seduta con molta
gravità su d'un gradino dell'uscio, abbracciava due bambole, niente di
meno; una fatta di cenci, affagottata, sudicia, che non aveva più figura
umana, e forse non l'aveva avuta mai; l'altra di legno, sfarzosamente
vestita, con le guance paffute e rosse, gli occhi di smalto e una bella
zazzeretta di ricciolini biondi: tutt'e due le teneva ben strette al
seno, ammirando l'una, non sapendo spiccarsi dall'altra; simbolo e
promessa di una maternità che non avrebbe fatto differenza tra le sue
creature, se anco si fossero spartite in mostri e bellezze.
Maurizio accarezzò i bimbi ed entrò nel tugurio, dove trovò seduta di
contro all'uscio, a soleggiarsi un poco, una donna ancor giovane, dal
viso pallido, ma dall'occhio vivace, in aspetto di convalescente. Ci
voleva poco a capire che quella era Biancolina, la povera donna per cui
tanta inquietudine aveva regnato alla Balma.
--Ah!--esclamò la donna, alzandosi a mezzo.--Lo avevo ben detto io, che
sareste venuto a vedermi una volta.
--Mi conoscete?
--Certamente: siete il signor Maurizio. Vi ho veduto una volta passare
di là sotto. Mio marito mi ha detto: quello è il signore del Castèu, che
s'incammina alla Balma.--
Diavoli di contadini! vedono tutto, loro; niente sfugge ai loro occhi di
ramarro. Anche in luoghi così deserti, i passi del signor Maurizio erano
dunque osservati? Ma sì: e se gli scriccioli, i merli, i passeri
solitarii avessero avuto il dono della parola, si sarebbe sentito dire
da molti cespugli: ecco il signore del Castèu, che s'incammina alla
Balma.
Il signor Maurizio lasciò cadere l'allusione, e domandò notizie della
salute. Non era quasi da domandarne; si vedeva la guarigione avviata.
Biancolina era tuttavia un po' debole; della qual cosa si tormentava,
pensando che il suo uomo era costretto a far lui tante cose che prima
erano fatte da lei, come ad esempio mungere il latte e portarlo in
paese. Quanto alle piccole faccende di casa, veniva tutti i giorni una
brava donna dal mulino di sotto; e di questo la convalescente rendeva
grazie al signor Maurizio, che le aveva procurato l'aiuto.
--Ma io non ne so nulla; io non c'entro;--rispose Maurizio,
schermendosi.
--Sì, sì, così dice la mano destra della gente di cuore, quando la
sinistra ha fatto l'elemosina;--ribattè Biancolina.--Ma io so tutto, e
della donna e del medico che siete corso a cercare per me; so tutto io;
ci ho l'angelo custode che mi avverte di tutto. Non lo credete, signor
Maurizio? Ed è un bell'angelo, sapete, con certi capelli d'oro filato,
con certi occhi che paion diamanti. Ma lasciamo star l'angelo; io non
saprò mai come ringraziar voi, che siete tanto buono coi poveri. Ma se
Dio ascolta le mie preghiere, egli vi farà contento di tutto quello che
potete desiderare. Rosina! Vittorio!--gridò la donna, interrompendo il
suo discorsetto.--Non vi spingete troppo addosso a questo bel signore
tanto buono. Non vedete che gli levate l'aria dattorno?
--Lasciateli fare, lasciateli fare, Biancolina. Io amo i bambini. A te
piccina; quale delle tue bambole mi vuoi dare in moglie?--
La bambina rise, come una mamma che avesse due figliuole da collocare.
Ma era una mamma di sei anni, e non aveva nessuna idea delle
convenienze; e ridendo offerse tutt'e due le figliuole. Maurizio baciò
quella mamma, e costituì una dote alle figliuole, in due belle monete
d'argento; poi, per non far nascer gelosie, ne diede altre due al
ragazzetto, ma senza bacio; un amichevole buffetto ne tenne le veci. E
la ragione del diverso trattamento c'era; luccicava tra il labbro
superiore ed il naso di quel piccolo sbadato.
--È ben fresca, questa bambola!--disse Maurizio, per dar sulla voce a
Biancolina, che voleva ringraziare.--Pare comperata ieri.
--Infatti, l'ha portata ieri a Rosina la buona fata della Balma,
insieme con le pallottoline per Vittorio. Voi la vedrete fra poco, la
buona fata, l'angelo di questa casa.--
Maurizio guardò l'orologio. Erano appena le otto, ed egli respirò. Tra
due ore sarebbe venuta la buona fata, ed egli non sarebbe stato più di
mezz'ora lassù.
Intanto la donna proseguiva:
--Per oggi mi ha promesso di venir prima del solito. Non istarà più
molto a comparire laggiù, tra quelle due piante di rovere.--
Maurizio fremette. Si era affrettato troppo a respirare. Stette ancora
due o tre minuti, ma proprio sulle spine. Ed era per alzarsi, col
pretesto di aver molto da fare; quando i bambini, che poc'anzi erano
tornati sull'aia a guardar la belle monete d'argento al sole, accorsero
gridando:
--La signora! la signora!--
Un ombrellino rosso apparve laggiù, fra mezzo ai due roveri. Non c'era
più tempo a pretesti; era impossibile la fuga.


CAPITOLO VII.
L'idillio del Martinetto.

Profondamente turbato, Maurizio rimase là, con gli occhi fissi in quel
punto luminoso che gli appariva nel vano dell'uscio, e con un sorriso
impresso, suggellato sulle labbra.
Un grido di gioia infantile, scoppiato a mezzo dell'aia, lo salutò.
Gisella aveva riconosciuto Maurizio. Affrettando il passo, la grande
bambina ebbe l'aria di accingersi a spiccare un volo verso di lui, come
se volesse gettarsi nelle braccia d'un fratello non più veduto da lungo
tempo.
--Ah, lo dicevo ben io, che m'aspettava una novità al Martinetto;--gridò
ella, stendendo la mano a Maurizio e fissando in lui i suoi belli occhi
incantati.--Poc'anzi, di là dal Fontan, ho incontrato un bel serpente,
che se ne stava arrotolato come un braccialetto intorno alla punta di un
masso e mi guardava coi suoi occhietti maliziosi. Non aveva paura di me;
ed io non l'ho avuta di lui.
--Signora....--mormorò Maurizio sgomentato.
--Perchè avrei dovuto averne?--ripigliò la contessa.--Vedere un serpente
è di buon augurio; significa incontro inaspettato.--
Maurizio aveva vinto quel primo sentimento di paura, e sorrideva,
tentennando la testa.
--Ecco,--diss'ella,--io so bene che cosa significhi il vostro sorriso.
Se fosse stato un boa, o un serpente a sonagli, non è vero? Ma qui non
ci sono serpenti a sonagli, nè boa; non si tratta che di povere bisce
inoffensive, e il buon augurio rimane. Del resto, non si è avverato? Ma
vediamo prima di tutto questa buona Biancolina. Come va?
--Bene, signora; di bene in meglio: ho dormito tutto d'un sonno.
--E mangiato?
--No, per aspettarvi. Non mi avete detto ieri che volevate far colazione
al Martinetto?
--Certamente ed ecco qua il mio tributo di provvigioni; il poco che ho
potuto portare nella mia bisaccia, che non è quella dei frati
cappuccini.--
Così dicendo, si toglieva d'armacollo una borsa e l'apriva sulla tavola,
cavandone dei piccoli panini dorati, un cartoccio di biscottini, e un
secchiolino di legno ermeticamente chiuso alla bocca.
I ragazzi si erano appiccicati agli orli della tavola, per essere ai
primi posti; ed anche allungavano le mani, per carezzare, se non a
dirittura per prendere.
--Vedere e non toccare, bambini; almeno per ora;--disse Gisella.--Ma che
cosa vedo, signor Vittorio? che cosa vi ho raccomandato ancora ieri
mattina?--
Il ragazzo si fece rosso in volto come una fragola, e scappò via lesto
lesto. Due minuti dopo ritornava con la faccia umida, ma, a Dio
piacendo, abbastanza pulita.
--Va bene, così; la faccia ha da esser sempre netta e tersa come uno
specchio, mi capite?--riprese la signora, mescolando gli ammonimenti
alle lodi.--Prendete esempio dalla vostra sorellina, che è sempre così
linda.
--Ah, non tanto, signora, non tanto!--esclamò Biancolina.
--Eh, dico in paragone di suo fratello;--rispose Gisella.--Del resto, a
quell'età non si può e non si deve pretender troppo. L'essenziale è di
non lasciar mancare gli avvertimenti. Che cosa avete preparato,
Biancolina?
--Le uova fresche, il latte, il burro, tutto quel poco che abbiamo.
--E il resto l'ho portato io, compreso il caffè fresco e lo zucchero.
Ora a noi; il fuoco è già acceso, come vedo. Signor Maurizio aiutatemi.
Prendete il latte; è laggiù nella madia, in quel mastello coperto; e
riempitene il bricco che è là sulla cappa del cammino. Il più grande,
intendiamoci; l'altro lo metterete al fuoco, dopo averlo riempito
d'acqua. No, no, Biancolina, state lì, voi;--soggiunse Gisella, non
permettendo che la convalescente si occupasse di nulla.--Vogliamo far
tutto noi altri.--
Maurizio era entrato con molta gravità, ed anche con bastante
intelligenza, nelle sue funzioni di sottocuoco. Gisella, frattanto, con
la diligenza e la sveltezza delle buone massaie, apparecchiava la
tavola. Sapeva, o indovinava, dove fosse ogni cosa. Presa una tovaglia,
la spiegava e la stendeva sul piano, mettendovi poi su i tovagliuoli,
rozzi come la tovaglia, ma bianchi e freschi di bucato com'essa. Poscia
accanto ai tovagliuoli dispose piatti e bicchieri, aggiungendo i panini
che aveva portati con sè.
--Ho fatto bene a largheggiare nel numero,--diss'ella, lodandosi un
poco.--Presentivo ancor io che avremmo avuto una bocca di più. Ora alle
posate; saran qui nel cassetto. Bene, è anche qui il pan bigio, che mi
piace tanto. Lo faremo a fette, per istenderci il miele. A voi,
Maurizio; un coltello, e apritemi questa secchiolina.
--Non farò schizzare il miele?--domandò Maurizio, introducendo la punta
del coltello sotto l'orlo del coperchio.
--Eh via, con un po' di grazia! Del resto, mi pare che diciate per
celia. Vedo bene che faremo di voi qualche cosa.--
Appena il bricco dell'acqua calda levò il bollore, Gisella andò a
versarci dentro il suo caffè in polvere. Un buon odore aromatico si
diffuse per la cucina, che era sala da pranzo, anticamera e salotto ad
un tempo.
--Riuscirà un caffè alla turca;--notò Gisella, ridendo.--Piace a voi,
Mau.... signor Maurizio?
--Certamente, è migliore;--rispose il signor Maurizio, dolcemente
solleticato da quel Mau.... senza signore. Gisella si era pentita, ma
tardi; già due minuti prima, senza avvedersene, lo aveva chiamato
Maurizio senz'altro.
Cinque o sei minuti dopo, era ogni cosa, all'ordine, perfino le uova,
gittate nel paiuolo dell'acqua bollente. Quelle uova a bere furono il
principio della colazione; fresche, eccellenti, sorbite con grande
facilità da Maurizio e Gisella, con un po' più di lentezza da
Biancolina, non senza guai per la tovaglia da Rosina e da Vittorio, che
riuscirono anche ad impiastricciarsi la faccia. Fu un'impresa non lieve
per Gisella il ripulirli a dovere. I due bambini tendevano per altro di
buona voglia il musino a quella graziosa mamma improvvisata, ben sapendo
che non voleva veder volti insudiciati.
--Ah, la buona _menagère_!--esclamò Biancolina.--Peccato che non ne
abbiate dei vostri.
--Che! non è forse meglio così?--rispose Gisella.--Per amare i bambini
non è necessario averne dei proprii, ed ogni opinione contraria non
muove che da un inavvertito sentimento di egoismo. Io li amo, perchè son
creature innocenti, e non perchè mi debbano appartenere. Quando vedo una
bella aurora, l'amerò forse meno, perchè non è mia? l'amerei più, se
fosse mia? Idee false, mia cara Biancolina, idee false, quando crediamo
che per amar bene i bambini dobbiamo averne dei nostri. False
almeno--soggiunse Gisella,--per una certa classe di persone; ad esempio
per me. So bene che per voi, se non ne aveste, sarebbe una pena, non
potendo amare e proteggere i miei. Ma io posso, come vedete, amare i
vostri, proteggerli anche, ed averne il diritto, solo che io sappia
metterci un pochino di buona grazia.
--Un pochino!--esclamò Biancolina, ridendo.
--Ebbene, diciamo anche molto,--replicò Gisella,--purchè mi vogliate
bene. Son felice di essere amata; solo a questo patto è buona la vita.--
Maurizio stava a sentire, attonito, sbalordito, ma non da quelle parole,
a cui del resto prestava poca attenzione, contentandosi di gustarne la
musica. Non poteva credere a sè stesso, non riusciva a capacitarsi
com'ella fosse là, davanti a lui, come egli si trovasse a tanta festa,
che non s'era aspettata, e che non intendeva per qual miracolo gli fosse
venuta: In che modo aveva potuto la contessa Gisella capitare a
quell'ora mattutina sulla montagna? e come poteva con tanta facilità
rimanere lassù, accanto a lui? Ma non era ancor tutto; e d'altro doveva
maravigliarsi tra poco.
--Signor Maurizio,--gli diss'ella ad un tratto, rivolgendosi a
lui,--sono contenta di avervi trovato, perchè facevo conto di venirvi a
cercare, questa mattina per l'appunto. Già, non mi fate quel viso....
appena bevuto il latte e sorbite le uova del Martinetto, volevo calare
al Castèu, che è così bello.... tanto bello, che me ne è rimasto un gran
desiderio negli occhi.
--Signora....--balbettò Maurizio,--ci potete venir sempre.
--E infatti così farò. Avevo bisogno di voi, per una faccenda che mi
preme moltissimo; e si tratterà d'un discorso un po' lungo. Ma non vi
spaventate, ve ne prego; altrimenti non saprò più da dove incominciare.
Sarei venuta sola, per un sentiero che non conosco. Voi siete qui, per
fortuna; verrò dunque al Castèu in vostra compagnia, e avrò il vantaggio
d'imparare la strada.
--Sono ai vostri ordini,--disse Maurizio.
La colazione era finita, e Gisella si alzò.
--Te ne vai, madama?--gridò Rosina, aggrappandosi alla gonna di Gisella.
--No, cara; cioè, sì, ma per ritornare fra poco. Infatti,--soggiunse
ella,--non voglio attraversare il paese, su quei lastroni sconnessi.
Anche quassù ci sono dei brutti passi, ma non tanti; e poi non c'è
pericolo d'ingoiar polvere, come laggiù. Ritornerò dunque per di qua, e
vedrò ancora la mia Biancolina, coi suoi cari ragazzi. Non partirò per
altro, senza aver bevuto un sorso d'acqua fresca. Animo, signor
Maurizio; prendete quella secchia; si va alla fontana: io porto il
bicchiere.--
Maurizio si armò della secchia di rame, che era stato pronto a spiccar
dall'arpione. In verità, si poteva farne qualche cosa, di quell'uomo,
sebbene in quel giorno capisse poco. Ed anche si avviò difilato alla
fontana, specie di fossatello scavato al piede d'un masso e mezzo
coperto da un arco di fabbrica, che era facile di vedere da un lato del
piazzale, dalla parte della montagna. Quell'acqua doveva essere una
derivazione della grande cascata, che rumoreggiava un cinquecento passi
più in là. Maurizio attinse l'acqua; Gisella mise il bicchiere nella
secchia, e bevve a larghe sorsate il fresco umor cristallino, mentre
egli stava immobile contemplando la candida gola tesa della sua graziosa
vicina. Gisella era un fior di bellezza, di salute, di buon umore, di
astuzia garbata. Come lo guatava, infatti, come lo guatava di sbieco,
con la coda dell'occhio malizioso, mentre teneva alto il mento e quella
bianca gola scoperta! Ma ad un certo punto le venne da ridere, e fu lì
lì per ispruzzar l'acqua in aria.
--Badate!--diss'ella.--Mi farete far la figura di un mascherone da
fontana.
--In che modo?--chiese Maurizio trasognato.
--Ma sì, con quella vostra faccia d'uomo che non capisce....
--Infatti, signora....
--Ebbene, se non capite ora, capirete poi. Perchè tanta fretta? Non sarò
mica tanto crudele da ricusarvi i miei lumi superiori.--
Maurizio intese che il meglio era di non lambiccarsi il cervello. Perchè
almanaccar tanto, e fantasticare intorno alle cose che si dovranno
conoscer poi appuntino? Prese il bicchiere che Gisella gli offriva, e
bevve a sua volta, ma senza aver l'aria di notare la cortesia grande e
di farne le meraviglie; poi riportò tranquillamente ogni cosa in cucina.
Poco stante, salutata la Biancolina e accarezzati i bambini, si avviò
con Gisella verso il balzo dell'Aiga; la stessa strada per cui era
venuto.
Andarono per un tratto in silenzio. Gisella, passava di là per la prima
volta, e guardava la rovina del lungo fabbricato con curiosa attenzione.
--Che cos'era tutto ciò?--chiese ella a Maurizio.
--Un martinetto, signora; una grande fucina per raffinare il ferro. Qui,
per l'appunto, era la ruota che metteva in movimento il maglio.
--La ruota! ma l'acqua è ancora molto lontana.
--Sì, la cascata è un trecento passi più in là. Ma l'acqua da far girare
una ruota dev'essere di un volume determinato; bisogna dunque derivarne
la quantità necessaria. Vedete infatti quel canale, mezzo coperto di
sterpi; quello portava l'acqua. Lassù, dietro quella balza, era la
presa dell'acqua. Volete che andiamo a vedere?
--Perchè no? è un luogo tanto bello!--
Risalirono la costiera, andando egli innanzi, per metterla in istrada.
Non era quello il sentiero che doveva avvicinarli al Castèu: ma il
signor Maurizio non pensava più affatto al Castèu. Così risalendo,
giunsero davanti alla macchia dei nocciuoli.
--Che bell'angolo di mondo è mai questo!--esclamò Gisella, fermandosi in
contemplazione.--Si sente anche lo strepito della cascata. Ma l'acqua
non si vede.
--Se vi fidate di entrare in questa macchia, c'è là dietro un buon posto
e molto sicuro per ammirar la cascata, forse nel suo punto più bello.
--Perchè non mi fiderei, col signor Maurizio per guida?--diss'ella,
avanzandosi risoluta.
Maurizio abbrancò i rami che gli vennero primi alle mani, e fece largo
alla signora in mezzo a quel folto, dove ambedue si ritrovarono chiusi.
Ella s'inoltrava quanto permettevano via via le bracciate del suo
compagno, e rideva.
--Siamo prigionieri nella selva incantata;--diceva.
--Un po' di pazienza, signora;--rispondeva Maurizio.--Ancora una ventina
di passi, e riusciremo alla luce.--
Egli intanto si lodava in cuor suo di aver fatta quella strada due ore
prima. Se nella mattina non avesse ceduto al primo impulso di rivedere
il torrione dei suoi ricordi infantili, certamente non avrebbe osato
allora di condurre la contessa Gisella a metter piede in quella fratta.
Ed ebbe a parerle di sicuro la più esperta delle guide di montagna,
poichè per l'appunto una ventina di passi più in là finiva la macchia
dei nocciuoli, e davanti alla contessa si schiudeva l'ingresso di una
piattaforma merlata.
--Nuovo! che cos'è?
--Un belvedere, signora. Di laggiù si presenta come un torrione, di
quassù come un terrazzo.--
Gisella seguì Maurizio sulla piattaforma, guardandosi intorno ammirata.
--Bello, bello, questo nido nel verde! Buon giorno, cardellini,
lucherini, o che altro vi siate;--gridò ella ad uno sciame di
uccelletti, che spulezzavano dalla frappa.--E questo bel sedile a
cerchio? vedete che idea meravigliosa!--
Il fragore delle acque cadenti era un po' forte, per verità; pareva che
dovesse spegnere le parole in bocca. Gisella si affacciò alla merlata
per vedere l'abisso; ma subito si trasse indietro. Lo spettacolo era
stupendo, ma dava anche il capogiro.
--Sediamo;--diss'ella;--tanto, abbiamo da discorrere.
--Sediamo;--rispose Maurizio;--sarà meglio qui che al Castèu. Ma proprio
sareste venuta questa mattina laggiù?
--Certamente. Avevo da chiedervi un favore.
--Potevate scrivermi.
--E voi rispondermi una bella lettera, compassata, cortese, ma fredda,
non è vero? Ci avrei fatto un bel guadagno! No, niente lettera, andiamo
noi. Non c'era che un pericolo: che foste partito nella mattina.
--Oh, non ho più occasione di muovermi,--disse Maurizio,--dopo il
viaggio che ho fatto.... il giorno che avevo annunziato.
--Il gran viaggio di tre giorni!--esclamò ella, sorridendo
maliziosamente.--E ne siete ritornato di nottetempo, come un malfattore,
per chiudervi in casa, per nascondervi ad ogni vivente. Ma non così
bene, che io non lo sapessi. Uscivate soltanto per prendere il sentiero
dei monti; anche questo sapevo. Che vi pare? che io non ci abbia una
buona polizia? Molte cose ho saputo, signor Maurizio; e per una tra
tante posso e voglio dirvi: siatemi amico; qua la mano, che io vi
esprima in una stretta buona e fraterna tutta la mia gratitudine.
--Gratitudine! di che?
--Di aver pagato ad un padrone esoso il semestre di quella povera gente
laggiù.
--Io?...--balbettò Maurizio, confuso.
--Sì, ditemi ancora che non è vero.
--E non lo negherò. Ma come lo sapete voi?
--Ah!--gridò ella, battendo allegramente le palme.--Non lo sapevo,
quantunque mi paresse di averlo indovinato; non lo sapevo ancora, e
adesso lo so. Già, non potevate essere che voi; ed io quasi mi vergogno
di essere stata in dubbio un momento. Figuratevi, l'altro giorno ero
andata in paese.... sperando anche un pochettino d'incontrarvi; ma siamo
giusti, non ero scesa per voi; volevo vedere il signor Pinaia,
indegnissimo proprietario del Martinetto, e probabilmente di questo bel
nido nel verde; volevo vederlo, dico, per ottener da lui che aspettasse
ancora qualche settimana a rientrare nel suo avere. Il povero Feraudi,
gli soggiungevo, avrebbe venduta la sua ultima mucca, per soddisfarlo.
Non occorre, mi rispose il Pinaia, sono stato pagato; serbi la mucca per
un altro semestre, se non riuscirà neanche allora ad avere la somma
necessaria. Ora, vedete, signor Maurizio, quella povera gente s'immagina
che sia stata io, la benefattrice, ed io non posso lasciarle credere
quel che non è; vi chiedo dunque il permesso di dire chi è stato.
--No, non ve lo posso concedere.
--E se me lo prendessi.... per caso, non mi guardereste più in viso?
--No, vi scongiuro, non dite nulla. Più tardi, se mai; ci sarà sempre
tempo. I ringraziamenti mi opprimono. Notate che quel giorno ero andato
ancor io dal Pinaia coll'idea di ottenere una proroga. Il Pinaia mi
rispose male, ed io allora, stizzito, pagai; ma invitandolo a non dire
il mio nome.