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buon senso della filosofia.
Quand’ecco, alle prime case di Bazzano, sbucare l’amico Mascarella,
sensale anche lui, ma di bestie bovine.
— Oh! quel Petronio!
— Oh Mascarella!, amato mio bene!
— Venite a Bologna?
— Pronti!
E s’accompagnarono.
— Come van gli affari? — domandò il signor Petronio, giocondo e rosso
più del solito.
— Male! siam giù!
— E la guerra?
— Che guerra?
— Là, in China! Non sapete?
Mascarella, infatti, sapeva leggere.
— A me — rispose — a me la guerra in quel paese non mi fa nè caldo nè
freddo. In America la vorrei...
— Non vi fa concorrenza, a voialtri, la China?
In quel punto un paesano chiamò, per due parole, Mascarella. Quando
venne, rispose:
— Che concorrenza volete ci facciano i Chinesi? A quel che si legge,
mangiano i cani, e gli uomini, da loro, servon da tiro. Vi mettereste a
sensale, voi, da cani e da cristiani?
— Maomettani, direte: son d’un’altra fede.
— Sian di Maometto o sian del diavolo, son razza di cani. Dunque..., che
gusto matto grapparli per il codino e dondolarli come zucche!
Il signor Petronio disapprovava, evidentemente. Ma in quel punto l’amico
entrò dal tabaccaio e vi si trattenne un po’ a discorrere. Riprendendo
il cammino, riprese il signor Petronio:
— Vorreste ammazzarli tutti quanti?
— Chi?
— I Chinesi.
— Tutti! Far del largo, anche per voi! Se laggiù non ci nascesse più
frumento, riso o fagioli, voi diventereste milionario!
— E qui, dopo? A mandar la roba là, ci mancherebbe a noi.
Bell’interesse! Non capite che è una ruota? Abbondanza là, carestia qui:
abbondanza qui, carestia là. Invece di far la guerra, per questo,
sarebbe meglio venir a patti; contrattare. — Quanto domandate, voi
Chinesi, per lasciarci coltivare il riso anche a noi, Italiani, Inglesi
o Russi? — Tanto! — Vi diam tanto; e parola da galantuomini. Una stretta
di mano, senza protocolli; e _amen_!
— Ma la guerra non si fa per questo, per guadagnare.
— Perchè allora?
— Per la civiltà.
Il signor Petronio non attendeva altra risposta. Cominciò
tranquillamente l’esposizione del suo sistema, la spiegazione della
legge civile, umana, mondiale, divina. Ad ascoltarlo, strada facendo, si
aggiunse un bazzanese, che andava egli pure alla stazione, per venire a
Bologna, e poichè il filosofo s’arrestava di frequente chiedendo: — È
chiaro? — Capite? — La vedete come me, voi due? —, fu necessario, a non
perdere il treno, prendere una scorciatoia.
Arrivarono in tempo alla stazione. Ma dove intendeva giungere il signor
Petronio con la sua ruota che gira? Nient’altro che alla pace
universale! Il sensale Mascarella e il Bazzanese, che sapevan leggere,
interrompevano, però; interloquivano a lungo, con le loro ragioni e
bestialità. Sicchè dopo un’ora e mezza di viaggio, arrivando a Bologna,
il filosofo non era riuscito a persuaderli di altro che della pace in
China e solo per evitare, nell’avvenire, un’invasione di Chinesi in
Europa, in Italia, a Bologna, a Bazzano, in mercato, forse, a rubar
bovini maschi e femmine.
Ed ecco che, appena fermo il treno, si ode gridare da ogni parte:
— La pace! la pace! Ultimi telegrammi! Notizie della pace! Telegrammi
dalla China!
Subito il signor Petronio comperò due o tre giornali; felice come se
avesse imparato a leggere in quel punto. Poi discese, e disceso che fu,
si volse a guardar nel sedile del vagone e su, alla reticella.
Nonostante il gaudio, gli pareva d’essersi dimenticato qualche cosa. Ma
l’ombrellino l’aveva: sotto il braccio. E la pace era fatta! Fuori della
tettoia, Mascarella, che era già convinto nella chiaroveggenza del
filosofo, domandò:
— Venite a desinar con me, Petronio? Leggeremo i fogli.
Allora il filosofo ebbe una luce attraverso il cervello.
— E la mia donna? — esclamò.
... Povera Càrola, che l’aspettava ancora nel caffè a Bazzano, con tutti
i mali addosso e senza morfina in tasca!
***
Eppure questo buon Petronio, forse per il naso più che per il resto,
dispiacque un giorno a uno sconosciuto che capitò al caffè e che
l’ascoltò un pezzo in silenzio, eppoi l’investì arrabbiato come una
bestia. Inutile dire che era un altro filosofo. Disse, gridò:
— Ah lei vede tutto chiaro, tutto semplice, tutto spiccio? E lei mi
risponda, con la sua ruota: perchè si nasce, perchè si muore? Mistero!
Di dove veniamo, dove andiamo? Mistero! Perchè non c’è male senza bene e
bene senza male? Mistero! Perchè la coscienza ci dirige e dove ci
dirige? Mistero! Se la morte è un male perchè ci è data e se la vita è
un bene perchè ci è tolta? Mistero! Perchè l’uomo fu sempre infelice,
insaziabile del vero, instancabile a progredire e a che fine? Mistero!
Il signor Petronio sorrideva zitto e quieto quasi pensasse: Qual’è il
sistema filosofico che non incontra e trascura le piccole difficoltà?
Ma l’altro filosofo proseguì sempre più torvo e più violento:
— Bando alla sua ruota! e risponda! Perchè tutta la materia è in moto?
Mistero! Perchè il feto sviluppandosi nell’alvo passa per tutti i gradi
e tutte le forme dell’evoluzione animale? Mistero! Che cosa è l’etere?
la luce? Perchè la telepatia? Quale l’essenza della vita? Che cosa è il
sonno? la morte? l’enorme mister dell’infinito? In una parola, che cosa
è il mondo?
Il signor Petronio aveva ascoltato tutt’orecchi (che orecchie!) e
sorridendo; e alla fine della sparata non si scompose. Si grattò a pena
a pena il naso, s’alzò pacifico più che mai e con la gran semplicità del
suo buon senso, del suo cuore e della sua eloquenza, rinunziando una
volta tanto alla sua ruota, rispose:
— Ce la spiego io, in due parole, la questione. Dalla vita alla morte, e
anche dopo la morte, il mondo è tutto un imbroglio!


NELL’ANNO XX DELLA RE-SO-EU

Quando, nel quattordicesimo anno della Re-So-Eu (Repubblica Sociale
Europea; 2010 d. C.) i radiotelegrammi, gli eliogrammi e ogni sorta di
elettrogrammi annunciarono l’invenzione del dottor Pantìfilo, la
meraviglia non fu quale si crederebbe. Da un pezzo si conosceva la
«emostatina», con cui quasi istantaneamente si arrestava ogni più
violenta e copiosa emorragia; da forse un decennio era in uso la «sutura
spontanea», per cui in breve si cicatrizzavano le più profonde ferite,
si riconnettevano i nervi, le vene, le arterie, i tessuti; e fin dal
secolo ventesimo era stata intravveduta l’efficacia dei raggi
«ultra-rossi» a mantenere la vitalità nervea. E che faceva il dottor
Pantìfilo?
Mozzava la testa ai conigli o alle cavie; ne impediva con l’«emostatina»
l’effusione e la dispersione del sangue; salava di radio, per così dire,
le parti recise; operando sempre alla luce ultra-rossa riattacava le
teste mercè la «sutura spontanea»; e dopo poche ore le cavie e i conigli
decapitati e rincapitati sgambettavano allegri al pari di prima. Il
merito della risurrezione era dunque particolarmente dei sali di radio,
e, tutt’al più, del modo con il quale il dottor Pantìfilo se ne valeva.
Nè la nuova invenzione poteva ritenersi di qualche utilità pratica. Dopo
le stragi che avevano condotta l’Europa evoluta alla fratellanza
universale, le ghigliottine «perfezionate e multiple» erano state
rinchiuse nei magazzini della gran Repubblica, a Lublino. Non poteva più
accadere che teste di innocenti di dentro ai panieri sembrassero accusar
d’ingiustizia il fratello boia; e non c’era da sperare che in via
privata qualche capo di uomo o di donna fosse tolto dal busto con la
precisione netta e meccanica che si richiedeva alle esperienze del
dottor Pantìfilo.
Ma ecco che nell’anno XX della Re-So-Eu (Repubblica Sociale Europea) i
radiotelegrammi, gli eliogrammi e ogni sorta di elettrogrammi da Lublino
(nel centro, o quasi dell’Europa) trasmisero al mondo intero una ben più
strepitosa notizia; annunciarono il fatto orrendo per il quale il dottor
Pantìfilo doveva esser presto consolato oltre le sue speranze.
Là, a Lublino, capitale della Gran Repubblica, si era scoperta una
cospirazione contro il Fraternale Governo; il direttorio, cioè che
gl’innumerevoli soviety europei, mediante le dodici confederazioni
elettríci, ogni anno componevano coi più insigni rappresentanti del
socialismo internazionale.
Sì, da appena vent’anni la Gran Repubblica era stata costituita su
l’eguaglianza economica, che da secoli si credeva la base più salda alla
umana e civile beatitudine, e già l’ancor recente costituzione pareva
difettosa, vessatoria, tirannica, iniqua. A quanti? Eh! se molti erano
gli uomini malcontenti, dagli Urali al Tago, dal Capo Nord a Candia, le
donne malcontente erano moltissime. Chi l’avrebbe mai detto? Ottenuta la
parità agli uomini in ogni esercizio manuale e intellettuale, in ogni
materiale e moral benefizio, le donne per ogni dove eran state prese
dalla smania di superare gli uomini in tutto; da ogni parte e da un
pezzo tendevano a sovvertire l’ordine della società distendendo e
annodando le fila di una trama manifesta, e adescavano i maschi in
qualunque modo potessero a renderseli partigiani e seguaci.
Il Fraternale Governo, di sua natura fiducioso, benigno, quasi ingenuo,
aveva lasciato correre — come al principio del secolo ventesimo, là
verso il 1921, i governi della borghesia lasciavan correre il femminismo
rivoluzionario —. C’era ben altro da pensare! Ma la trama ebbe termine e
potere esecutivo proprio in Lublino; si scoperse, a Lublino, ch’era
affidata... — incredibile! orribile! — ai cinque personaggi forse più
famosi nella Gran Repubblica: cinque glorie del pensiero e dell’opera,
emergenti dalla universale società in modo che il solo soprannome
scientifico bastava a distinguerle e celebrarle nel mondo intero:
Serenidad, Marjana, Rankness, Uebersinnlich, Prôneur.
Queste e questi erano i congiurati a far saltare in aria il palazzo del
Direttorio e il Direttorio che v’abitava, come nell’età delle bombe
anarchiche: Serenidad, l’astronoma nata in Ispagna: l’austera, severa,
intemerata donna che quantunque fosse già vecchia proseguiva i suoi
portentosi studi su la geografia e l’etnografia planetarie; Marjana, la
scienziata fisico-chimica nata in Russia: la forte, giovine viragine che
quantunque fosse di tendenze un po’ mistiche compieva stupefacenti e
positive esperienze su le monadi e gli elettroni; Uebersinnlich, il
filosofo nato in Germania, il quale sebbene fosse un po’ troppo grasso
era forse il pensatore che più aveva avvicinato l’Assoluto; Rankness, lo
sportsman inglese, il restauratore della bellezza corporea dopo che gli
sport pazzeschi dei secoli decimonono e ventesimo avevano deformato il
tipo umano; e Prôneur, il francese poeta, per il quale tutto era detto
quando si diceva che era Prôneur il poeta.
Ebbene, costoro si eran messo in mente che un ritorno alla monarchia
feliciterebbe l’Europa; una monarchia, però, di genere femminile e
femminista. E da quei pensatori che erano ragionavano così:
Diceva Serenidad, l’astronoma: — Le colossali, singolari, uniche opere
che si osservano in Marte non possono essere effetto che di una volontà,
di una sovranità individuale, non collettiva. Un governo di molti non
avrebbe avuta la concordia necessaria a ordinarle e a compierle. Ma se
l’individuo che in Marte comanda a moltitudini di uomini, fosse un uomo,
la civiltà di Marte sarebbe press’a poco quella di su la terra al tempo
dei Faraoni. Invece la civiltà in Marte, per consenso di tutti gli
astronomi, è più progredita che su la terra; dunque in Marte domina la
donna. Facciamo su la terra come in Marte!».
Alla conclusione stessa arrivava per la sua via Marjana, la
fisico-chimica, sostenendo che a viver bene l’uomo deve seguire le
predisposizioni della Natura o, meglio, dell’Ente soprannaturale alla
cui legge la Natura ubbidisce: in natura (è fenomeno accertato da
secoli) le monadi prevalgono agli elettroni.
Da che non differiva molto il ragionamento dello sportsman Rankness.
Gridava: — L’agilità delle membra, la robustezza dei muscoli, la
consistenza della fibra hanno il fine di migliorare l’umana razza; mezzo
necessario a tal fine è piacere alle donne. Ma non si fa piacere o
servigio ad alcuno senza riconoscerne la superiorità.
E Uebersinnlich, il filosofo: «Da secoli è accertato che la donna nella
somma delle energie psichiche supera l’uomo. Finchè la donna rimase
inferiore all’uomo nelle energie fisiche e intellettuali, un equilibrio
tra i sessi fu possibile; pareggiata la donna all’uomo nella forza e
nella cultura della mente, essa è diventata superiore all’uomo nel resto
e, per legge di evoluzione e di perfettibilità, la donna ha dunque da
predominare.
Quanto al poeta Prôneur, egli cantava la perfezione sociale
dell’alveare: una regina; le api operaie; i fuchi riproduttori. Da
milioni d’anni — diceva — i fuchi son paghi d’esser fuchi. Oh che virile
gioia sarebbe per gli uomini non essere altro che fuchi! Lode ai fuchi!
Gloria alle operaie! E viva la regina!
Or il Fraternale Governo non si era perduto a confutar cotesti
ragionamenti: ma quando ebbe in mano il tubetto che una donna operaia
deponeva nella sala del consiglio e che acceso sarebbe bastato a
sconquassar tutta Lublino, quando la donna interrogata rivelò
sorridendo, con incoscienza che un tempo sarebbe parsa eroismo, chi le
aveva dato il micidiale incarico, esso — il Direttorio — non indugiò a
prendere una severa deliberazione, per amore, s’intende, della Gran
Repubblica.
La proposta di rinchiudere i rei nella casa di salute psichica, quali
delinquenti soliti, non passò; l’attentato alla salute della Gran
Repubblica non era da compatire o da compiangere come un qualsiasi
assassinio commesso per forza morbosa. Ci voleva un esempio di castigo
spaventevole.
E con undici voti su dodici i congiurati furono condannati a morte.
A morte?
Ma la pena di morte non era stata abolita dalla Costituzione sociale?
Maledetta la logica!; non si poteva violare la Costituzione per punire
chi violava la Costituzione!
Fu allora che uno dei membri governativi pensò al trovato più
paradossale che mai fosse stato fatto: al trovato del dottor Pantìfilo.
— Bella idea mi viene! — esclamò quel tal membro. — Condanniamo a morte
i rei per convincere che la Gran Repubblica non scherza, e zitti e queti
facciamoli risorgere per dimostrare, dopo, che nessun governo sarà mai
più generoso della Re-So-Eu.
E fu così che il dottor Pantìfilo ebbe finalmente cinque teste umane a
sua disposizione. Egli — chiamato d’urgenza — garantì che l’operazione
riuscirebbe senza fallo purchè la ghigliottina «perfezionata e multipla»
fosse eretta nella piazza della sua clinica, vicino vicino ai
laboratori: quivi si appronterebbero cinque gabinetti illuminati a luce
ultra-rossa; quivi si trasporterebbero subito subito i cinque corpi
decapitati e rinchiusi al momento dell’esecuzione in casse radioattive,
e le cinque teste mozzate e rinchiuse al momento dell’esecuzione in
altre cinque casse radioattive: poi, presto, si procederebbe agli
adattamenti capitali e alla rivivificazione dei corpi.
Benissimo! Tutti frattanto giurarono di mantener il segreto intorno ai
propositi governativi; e i radiotelegrammi, gli eliogrammi e ogni sorta
di elettrogrammi annunziarono soltanto che i cinque rei riconosciuti
ordinatori della cospirazione rivoluzionaria erano da considerarsi come
messi fuori della Costituzione.
***
Ma la notizia data in tal forma dispiacque, dagli Urali al Tago, dal
Capo Nord a Candia. Che intendeva significare il Direttorio con la frase
che «i rei eran da considerarsi come messi fuori della Costituzione»?
Fuori a parole o di fatto? Privati dei diritti civili e repubblicani,
soltanto? O mandati in case di salute? o piuttosto e meglio in una
vecchia carcere, in un antico ergastolo?
Guai ai governi i quali non hanno idee chiare e edificanti!
Se non che i cittadini di Lublino a vedere il giorno dopo, nella piazza
della Clinica, la ghigliottina «perfezionata e multipla», compresero
come il Fraternale Governo aveva, al contrario, idee molto chiare e
molto edificanti, e non dubitarono più per la sorte della Re-So-Eu.
Pochi protestarono che con la pena di morte si violava la costituzione
sociale; pochi mormoravano: infamia! I più avevan voglia di veder in
azione la ghigliottina «perfezionata e multipla».
E una gran folla si accalcò intorno al patibolo. Nel cielo, sopra, i
velivoli volteggiavano adagio adagio per goder con libero respiro lo
spettacolo da troppo tempo non dato.
La funzione, del resto, non durò che pochi minuti.
Così: i rei, in fila, ascesero il palco infame e con a lato i cinque
incaricati di deporne i corpi tronchi nelle casse radioattive, si
disposero ciascuno alla sua lunetta: dinanzi a loro, altri cinque
assistenti aspettavano l’attimo per mostrare le teste al popolo, deporle
subito nelle altre singole casse e distribuirle nei gabinetti del
laboratorio.
Al segno del fratello boia i giustiziandi s’inginocchiarono. Essi
gridarono: «Viva la monarchia fem...!».
E, rotta a mezzo nelle cinque bocche l’ultima parola, le esecuzioni
furono fatte, cinque in una volta, senza scuotere l’animato, alto
silenzio dell’attesa. Impossibile far meglio e più presto! Quel che
segui, s’immagina, poichè tutto procedette secondo le prescrizioni del
dottor Pantìfilo.
Tutto?
Quasi tutto.
I rei erano stati disposti sul palco in questo ordine, e in questo
ordine prendendoli — da sinistra a destra — i loro corpi tronchi furono
distribuiti nei gabinetti della Clinica: l’astronoma, lo sportsman, il
poeta, il filosofo, la fisico-chimica.
Invece, per una lieve svista, le teste furono portate ai gabinetti nello
stesso identico ordine, ma prendendole da destra a sinistra: la
fisico-chimica; il filosofo; il poeta; lo sportsman; l’astronoma.
Che accadde? Pur questo è facile immaginare. E per l’ansietà della
faccenda e per la densità della luce rossa, la quale confondeva aspetti
e fisionomie, gli assistenti del dottor Pantìfilo s’accorsero
dell’equivoco solo quando spensero la luce rossa e accesero le lampade
azzurre per immergere gli operati in un sonnellino ristoratore.
Spaventati, allora corsero dal maestro, con le mani nei capelli,
esclamando:
— Abbiamo scambiate le teste!
Il maestro palpitò, tremò, guardò il corpo che aveva reintegrato lui
stesso e sorrise. Si era riserbata per sè la testa più difficile da
mettere a posto: quella del poeta, e vide che errore non c’era. Lì per
lì non ebbe agio a riflettere che nell’ordine dell’esecuzione il poeta,
sia contando da destra sia contando da sinistra, aveva occupato sempre
il terzo luogo; per il poeta pareva non essere avvenuto scambio.
Ma il dottor Pantìfilo non sorrise dopo, nello scorgere che davvero al
vecchio corpo dell’astronoma Serenidad era toccato la bella testa di
Marjana, la fisico-chimica, e che il giovane corpo di Marjana ora aveva
in cima la vecchia testa di Serenidad; si mise anche lui le mani nei
capelli a riscontrar nella persona dello sportsman Rankness, l’inglese,
la testa del tedesco filosofo Uebersinnlich, e viceversa.
***
Eppure i cinque corpi reintegrati in tal modo riposavano così
dolcemente! Forse sognavano d’essere a riposar in paradiso, premiati per
il loro ideale di monarchia femminile e femminista.
Possibile che la meravigliosa scoperta del dottor Pantìfilo, in
conseguenza di una semplice svista degli assistenti, dovesse finire in
tal modo, suscitando uno scandalo enorme dagli Urali al Tago, dal Capo
Nord a Candia, disonorando l’Europa in America, in Africa, etc.?
No! Bisognava riparare!
E il dottor Pantìfilo (che ingegno!) si mise a sedere, riflettè, si
alzò; poi sorrise e disse ai suoi assistenti:
— Io dimostrerò che costoro d’ora innanzi vivranno più contenti di
prima!
Infatti egli si era già persuaso che con l’aiuto del caso aveva fatta
un’altra, maggiore scoperta; e deliberò di escludere il merito del caso.
Come il Fraternale Governo lo chiamò a render conto dell’errore
commesso, egli parlò francamente:
— Fratelli! Ho trovato il mezzo di render davvero felice l’umanità.
Avanti la grande rivoluzione, che diede alla società europea l’assetto
di cui tutti dovremmo esser lieti, gli uomini parevano soffrire per
cause meramente esteriori; stato economico, differenze di classi,
ambiente sociale. Tutto ciò fu mutato. Ebbene, voi avete visto, di
questi giorni, se la generosa magnanima Re-So-Eu bastò a render pago il
genere umano! No. E perchè no? Perchè gli uomini hanno il male, il
nemico, non fuori di sè ma in sè stessi. Le espressioni che corrono su
la bocca di tutti: «bisognerebbe mutar la testa alla gente», «colui,
colei non ha la testa a posto», non dimostran forse l’intuizione volgare
e secolare di fenomeni morbosi dei quali sino ad ora la psicologia e la
patologia non han conosciute le cause?: non accertano che spesso nel
corpo umano c’è un disquilibrio organico, una discordia funzionale tra
le membra o le viscere e il cervello; un contrasto fra le attività
pazienti e riflesse e la facoltà acuente e promovente, che è anche
l’attività pensante? Sì, fratelli miei! Per ridar il benessere fisico e
psichico a chi l’ha perduto, e quindi per ridar la quiete alla società,
è proprio necessario sostituir le teste a corpi cui meglio convengano;
mettere, cioè, davvero le teste a posto!
L’assemblea governativa approvava. Ciascuno del Direttorio pensava non
ai mali della società fraterna ma ai malanni del suo proprio corpo e
alla possibilità di rimediarvi così radicalmente.
— Con fortunato tentativo — seguitò il dottore — e con coscienza
tranquilla ho colto l’occasione per un nuovo esperimento. L’operazione è
riuscita a meraviglia. E considerate che io avevo solo quattro persone
da avvicendare! Il poeta ho dovuto lasciarlo tal quale, perchè le storie
letterarie attestano che quando la critica vuol correggere i poeti, i
poeti fan peggio di prima. Ma io ho resa felice Serenidad, l’astronoma.
L’illustre donna, carica di gloria per le sue scoperte, già risentiva i
malanni dell’età e perciò, senza aver coscienza di ciò, cospirava. Ora,
nel corpo di Marjana, essa raccoglie l’umana perfezione: il senno
dell’età matura e l’energia della giovinezza.
E Marjana è pur essa felice. Quante volte i giovanili femminili disturbi
la distrassero da’ suoi studi profondi e dalle scoperte intravvedute!
Quante volte ella maledisse le basse tentazioni che le scemavano la
gloria! Ora non più: ora essa, in una gioia di liberazione, affretterà
le prove del suo sublime ingegno, contenta di compensare con la fama
immortale gli anni di meno che nel corpo senile dell’amica avrà da
vivere.
Anche Marjana non cospirerà mai più!: statene certi!
E a Rankness, lo sportsman irrequieto, esuberante di forze, malcontento
perchè gli pareva di non trovar idoneo sfogo alle energie nervose e
muscolari, ho dato la moderazione d’un corpo ligio a una mente ordinata,
pacata e lucida; ho data la quiete individuale, famigliare e sociale
nella persona del filosofo.
E Uebersinnlich, il filosofo? Oh dite dite!: chi meglio di lui,
irrobustito nelle membra dello sportsman, potrà vantare le delizie della
_mens sana in corpore sano_?
A questo punto l’assemblea del Fraternale Governo scattò: applausi,
abbracci, baci. Il dottor Pantìfilo fu proclamato lo scienziato più
grande della Re-So-Eu.
***
Ah povero dottor Pantìfilo! Che errore! che disastro!
Appena usciti, perfettamente in gambe, dalla clinica, coloro che
avrebbero dovuto ringraziarlo tanto, imprecarono contro di lui.
Primo e più forte protestava il poeta Prôneur. Il quale diceva che s’era
visto aprir dinanzi agli occhi le porte del Paradiso ma che gliele
avevano subito rinchiuse in faccia. «Appena vidi il sol che ne fui
privo!». Diceva che la gioia di sentirsi dividere con un colpo netto —
tàffete! — e con un fulgore di luce divina la sede della poesia dal
corpo bruto e vile è tal gioia che nessuna altra morte può darla uguale,
e andava attorno agitando una scure e pregando gli amici di rinnovargli
quel servizio. Fu necessario rinchiuderlo in una «casa di malati
psichici», cioè in un manicomio. Ma trattandosi d’un poeta geniale, non
c’era da farsene caso. Il guaio fu che lo sportsman, l’inglese, con
folli tentativi di suicidio revolverava i passanti perchè il braccio
armato sbagliava il bersaglio. Il disgraziato, capeggiando le membra del
filosofo, a ogni momento stupiva d’essere così pigro e lasso. — What is
that?, «Che cosa è questa?» —, gridava fuori di sè. Sopratutto
l’eccitava la idrofobia delle membra disubbidienti ogni volta che gli
veniva il pensiero di far un bagno. E peggio, se possibile, si sentiva
il filosofo tedesco. Egli — e a lui pareva cosa nuova in lui — asseriva
che adesso ragionava coi piedi, con le gambe, con le braccia, con tutto,
fuor che con la testa, e correva e saltava di qua e di là senza riposo.
— Was ist das? — Sfido! Aveva le gambe, le braccia e il resto del più
famoso sportsman della Re-So-Eu! Bisognò mandarli tutti e due a tener
compagnia al poeta.
Quanto alle due donne, oh che miseria! oh che umiliazione, che abiezione
del femminismo!
A considerarsi sotto al capo, così diverse da quel che erano una volta,
le infelici s’abbandonarono, loro così celebri pensatrici, all’atavica
vanità del sesso, della fragilità di Eva.
Imbellettata e ritinta l’astronoma Serenidad andava in giro invocando: —
Amore! amore! volontad! —, e chiamava i passanti susurrando: — Vedeste
come sono bella! e piangeva disperata perchè a guardarla in faccia le
rispondevano: — Va via, brutta vecchia!
E tutta infronzolita e in guardinfante, per nascondere le deformità del
corpo, Marjana ora malediceva le monadi; urlava: — Abbasso gli
elettroni! —; e ammoniva alla voluttà ideale, senza combinazioni
chimiche. Ma in segreto piangeva, minacciava d’impiccarsi. Si sentiva
così vecchia; vecchia così presto! Povera donna!
Povere donne! le mandarono in manicomio anche loro.
E là imprecarono più dei maschi colleghi a quella che era stata la
generosità o la vendetta della Re-So-Eu (Repubblica Sociale Europea).

————


DELLO STESSO AUTORE
ROMANZI:
_L’Ave_ (Zanichelli); _Ora e sempre — In faccia al destino_
(Treves).
NOVELLE:
_Vecchie storie d’amore — Amore e amore_ (Zanichelli); _Novelle
umoristiche — Il zucchetto rosso e storie d’altri colori — Il
diavolo nell’ampolla — Faccie allegre_ (Treves); _A stare al
mondo..._ (Vitagliano); _Sotto il sole_ (Urbis).
PER RAGAZZI:
_Asini e compagnia_ (Bemporad); _Cammina, cammina, cammina..._
(Treves).


Nota del Trascrittore

Ortografia e punteggiatura originali sono state mantenute, così come le
grafie alternative (sodisfatto/soddisfatto, Ceredoli/Cerédoli, die’/diè
e simili), correggendo senza annotazione minimi errori tipografici. Sono
stati corretti i seguenti refusi (tra parentesi il testo originale):
85 — e saran sempre buoni amici [animici]
89 — Monterúmici, piaceva ed esilarava [esilerava]
110 — s’era sbagliato ad affezionarglisi [effezionarglisi]
136 — Tutti [Tutte] e due, no!
178 — pochi giorni dopo che Grappanera [Grappaneva]
202 — Mi era ben manifesto [menifesto] ora
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