Studi intorno alla storia della Lombardia - 12

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più presto ai captivi dello Spielberg, chè sollevati gli avrebbe da un
angoscioso pensiero.
Noti sono gli stenti e i patimenti che ebbero a soffrire quei
prigionieri. Nè niuno ignora ch'ei non poterono mai comunicare coi
loro congiunti, nemmeno sotto l'invigilanza dei custodi; che il
Confalonieri non ebbe contezza della morte di sua consorte se non
all'uscire dal carcere, che viene a dire più anni dopo il fatto; che
l'imperatore Francesco aveva a sè avocata la direzione della polizia
dello Spielberg, e che i suoi prigionieri erano a lui rappresentati
con cifre. Ond'è che dalla fortezza gli si scrivea, verbigrazia: «Evvi
un prigioniero di meno; porremo il N.° 12 al posto del N.° 11, il N.°
13 a quello del N.° 12, e così via via». Il che veniva a dire che il
prigioniero indicato col N.° 11 era morto. E così pure niuno ignora
l'affanno di quel carceriere che non volea lasciar mozzare al
Maroncelli la gamba cancrenata, dicendo: «Io ho ricevuto un
prigioniero con due gambe; ora che dirà mai il mio capo se glielo
rendo con una gamba di meno?»
Intanto che queste cose avvenivano nelle carceri dello Spielberg, i
congiunti dei prigionieri riceveano, due volte all'anno, un polizzino
sottoscritto dal governatore della fortezza contenente queste parole:
«Il signor (e qui il nome del prigioniero) gode buona salute»; oppure:
«è ammalato». I passi fatti da questi congiunti a pro dei prigionieri
avevano un esito diverso a seconda dei casi. Agli uni si rispondea che
S. M. non avrebbe indugiato gran fatto a perdonare ogni cosa; agli
altri, per lo contrario, che S. M. era stata pur troppo misericordiosa
per l'addietro, ed era ormai risoluta di non più usare clemenza.
L'imperatore non si tenne dal venire a Milano nel 1825, ove fu
assediato dalle suppliche delle famiglie involte nel lutto. Il padre
di Gaetano Castillia, vecchio venerabile, e pur costante nella sua
devozione inverso all'Austria, presentossi all'imperatore, il quale
dissegli con affabilità: «Tranquillatevi, mio caro Castillia; io ben
vi conosco per un servitore fedele, e ben presto farò per voi ciò che
tanto bramate». Andossene il vecchio, commosso, soddisfatto e quasi
riconoscente; ma più anni trascorsero senza che si vedesse alcun
frutto delle promesse dell'imperatore. Giunse alla fine uno dei soliti
polizzini semestrali alla casa Castillia, con triste nuove dello stato
di salute del prigioniero; e ciò bastò per far ammalare gravemente il
vecchio genitore. Quello stesso fratello il cui sigillo era stata la
causa, almeno occasionale, di tante sciagure, recossi incontanente a
Vienna per rammentare all'imperatore la promessa. Fu ammesso ad
udienza, e scongiurò l'imperatore a non permettere che un vecchio
servitore, la cui fedeltà era stata da lui medesimo riconosciuta,
chiudesse gli occhi senza poterli per l'ultima volta affisare sul caro
volto del suo figliuolo minore. «Che volete?» risposegli l'imperatore
con quel tuono di bonarietà che sempre pigliava parlando coi Viennesi,
e talvolta altresì con chiunque: «Pensate a quel che mi chiedete;
fareste voi grazia a costoro se foste in mia vece?»--«Io vengo, sire,
ad impetrare una grazia, e non ad offrirvi un consiglio», rispose
Giovanni Castillia. «Guardate un po' in qual modo cotesti liberali
sentano la riconoscenza», riprese a dire l'imperatore: «Guardate quel
Pellico! Chi non direbbe, al leggere le sue Prigioni, che tutti sono
buoni, tranne me solo, che sono un tristo? Egli si guarda però dal
dire che la sua pena era di venti anni di carcere duro, ch'io l'ho da
prima ridotta a dieci anni, e che l'ho fatto riporre in libertà al
principio del quarto anno. Egli non dice neppure che, preso da
compassione della sua distretta, io gli ho fatto rimettere,
deponendolo sul territorio piemontese, cento ducati d'oro. Andate,
andate; siffatta gente è incorreggibile, nè si guadagna nulla a
trattarli con dolcezza».
È superfluo l'aggiungere che il vecchio Castillia, essendo sceso nella
tomba alcuni mesi prima dell'imperatore Francesco, morì senz'avere
riveduto il figliuolo. Affranto dall'età e dalla malattia, accerchiato
dagli altri suoi figliuoli, ma sempre affisato col pensiero in quello
che avea perduto, ebbe gli ultimi suoi giorni pieni d'angosce e
d'affanni. Pareagli continuamente di vedere agenti di polizia
appressarsi al suo letto e porre le mani or sull'uno or sull'altro de'
suoi figliuoli. Voler parlare, diceva, al direttore generale, volere
accertarlo che niuno de' suoi congiurava, voler supplicarlo di
lasciarlo morire in pace. Nè quel tremendo delirio cessò che allo
spegnersi in lui della vita.
Null'altro mi rimane a dire intorno ai fatti dell'anno 1821, o nulla
almeno di cui io possa accertare l'esattezza e che sia ignoto tuttora
al pubblico; perocchè non la finirei più s'io volessi narrare
l'infinito numero degli aneddoti che corsero per le bocche degli
uomini intorno ai tormenti inflitti ai prigionieri, e alla fredda
crudeltà dei giudici. Avrei dovuto per avventura riferirne alcuni per
additare tutte le cause dello sgomento ormai generale in Lombardia; ma
non volli farlo, perocchè mi parve essere sofficiente, anche per
ottenere questo intento, la verità incontrastabile.
La storia delle congiure lombarde non è già chiusa con la congiura del
1821. Quando la Francia bandì nuovamente le massime che avea recate
giù dall'Alpi nell'anno 1796, l'Italia credette che un governo
democratico, fondato sopra l'osservanza dei dritti d'ogni cittadino,
dovesse sforzarsi di avere attorno altri governi fondati sopra
analoghi princìpi, e non potesse, senza nota di follía, rassegnarsi a
lasciar occupare l'Alta-Italia dall'Austria. Si parlò pertanto
assaissimo di propaganda nei primi mesi trascorsi dopo l'avvenimento
al trono della dinastia orlienese, ned eravi personaggio, per grande,
che disdegnasse di darvi mano. Ben presto però cessarono i membri del
governo di parlare di propaganda, e vi surrogarono la parola di
non-intervento. La Lombardia avea fondate le sue speranze nella
propaganda; quando le fu tolta quella speme, si ristrinse a desiderare
che non venisse così presto abbandonato il principio del
non-intervento. E invero, se questo principio non potea bastare alla
Lombardia, soggetta di presente all'Austria, potea esso tuttavia
assicurare la liberazione degli altri Stati italiani, i cui governi,
troppo deboli di per sè, non si reggono che in grazia del soccorso
dell'Austria. Società segrete avevano apparecchiata in tutta l'Italia,
tranne la Lombardia, una generale sollevazione, ed un numero assai
grande di Lombardi erano complici della congiura, sì per la loro
qualità d'Italiani, e sì per la speranza di conseguire più tardi quel
tanto che volevano cooperare ad ottenere a pro dei loro compatrioti.
Io non vo' qui ripetere ciò che è stato tante volte e da per tutto
replicato: che i liberali improntarono i moti di Bologna, di Modena,
di Parma, ecc., con un carattere affatto esclusivo, per tema di non
dare appiglio alcuno a rimproverarli d'immischiarsi nei fatti dei
vicini, e di violare con ciò il principio del non-intervento; che la
notizia dell'appressarsi delle truppe austriache non fu mai udita che
con disdegno dai cittadini degli Stati sollevati, per essere i
medesimi persuasi della inviolabilità del principio del
non-intervento; che l'ingresso definitivo di queste truppe, e
l'impossessamento per parte loro delle contrade sollevate, fu cosa al
tutto inaspettata, e vero sovvertimento del principio dietro il quale
erasi operata la rivoluzione. Notissime sono tutte queste cose, e la
sposizione degli ulteriori particolari ch'io potrei soggiugnere
intorno a quelle congiure e a que' congiurati, porrebbe in pericolo
tutti coloro che sono stati sdimenticati dai governi nelle loro
persecuzioni. Avvertirò soltanto che se la congiura del 1821 fu ordita
di conserva col principe ereditario di Piemonte, quella del 1831 fu
concertata col duca di Modena. L'ambizione di fare una bella comparsa
sedusseli entrambi; la paura di perdere uno Stato sicuro, benchè
mezzano, col volersene creare un altro glorioso, ma incerto e pieno di
pericoli, trattenneli entrambi. Le leggi della probità non furono da
veruno di essi servate; il duca di Modena si rivolse contro i
rivoluzionari ch'egli avea inanimiti, a quel modo istesso che avea
fatto dieci anni prima il principe piemontese. Ma questi, più felice
dell'altro, non ebbe a condannare di propria mano le macchinazioni che
aveva approvate, nè a sottoscrivere di proprio pugno le sentenze di
morte contro i suoi partigiani. Abbandonando i rivoluzionari, non fece
altro che denunziarne i disegni al maresciallo Bubna e al re Carlo
Felice. Il duca di Modena, all'incontro, fece mozzare egli stesso il
capo al Menotti, suo amico e suo complice.
Potrei descrivere le trame dell'altre congiure ordite dopo il 1831. Ma
le stesse ragioni che mi hanno costretto a tacere delle circostanze
tuttora ignorate che si riferiscono alle sollevazioni del 1831, mi
sforzano di tacere eziandio di queste nuove macchinazioni, che non
ebbero effetto alcuno. Io mi sono proposto di mostrare il come e per
quali mezzi sia venuto fatto all'Austria di trasformare un popolo
irrequieto, energico, operoso, ambizioso, sindacatore, impetuoso, in
quell'altro popolo freddo, inerte, indifferente, sgomentato, cupo e
disanimato che abita ora l'Alta-Italia. Se io non ho fallito lo scopo,
avrò adoperato per modo che il lettore non ne abbia smarrita la vista,
e che, tenendo dietro a' miei passi sulla via da me percorsa, egli
abbia, per così dire, sentito l'oppressiva influenza del sistema
austriaco calarsi lentamente sul popolo da me descritto, e tarpargli a
poco a poco la vita istessa. Per proseguire e condurre a termine
l'opera mia non è necessario narrare novelle congiure. Basterà ch'io
spieghi alquanto minutamente i mezzi posti in opera dall'Austria, sì
per impedire che si rinnovelli o si tenti alcun moto rivoluzionario, e
sì per conoscerne e punirne l'intenzione.
Mi sia concesso di riepilogare in poche parole quel tanto che ho già
detto a tale proposito. Ho menzionata la legge austriaca che ingiugne
ad ogni cittadino di denunziare i delitti politici o d'altra fatta,
così nel caso che siangli stati in segreto manifestati, come in quello
ch'egli medesimo abbiali scoperti. In certe date circostanze il
suddito austriaco è anche in grado di aver a fare di più che non sia
il denunziare i colpevoli; perocchè gli è ingiunto di arrestarli, e
gli è promessa una mercede per quest'opera. Dal che ne avviene che i
soli pubblici uffizi di cui il cittadino austriaco possa attribuirsi
l'esercizio senza esservi specialmente autorizzato da una nomina
imperiale, sono gli uffici del birro, ed anche del carnefice; perocchè
in siffatta congiuntura l'individuo arrestato che faccia contrasto può
essere ucciso da chi si è fatto innanzi per arrestarlo, e la colpa
dell'omicidio non è allora ad altri imputata che alla vittima. Una
popolazione onesta ed intelligente, quale si è certamente la lombarda,
si sdegna alla prima lettura di queste odiose leggi; ma non si dà
popolo, per illuminato, che valga a sottrarsi agli effetti
dell'abitudine. Chi oggi si è sdegnato furiosamente, non proverà più
altro domani, per la stessa cagione, che un certo quale dispetto; e il
nobile rubellarsi dell'animo suo andrà di giorno in giorno scemando,
insino a tanto che si riduca ad un freddo sentimento di biasimo, il
quale cederà alla sua volta il luogo al sentimento, più freddo ancora,
dell'indifferenza. Ora che avverrà ove i fatti concordino con le
leggi, ove tutti i tratti esterni, e come tutti gli accessori del
delitto, la pena e il biasimo dell'autorità pubblica, accompagnino
l'infrazione di queste inique leggi? L'onestà non è già obbietto per
la moltitudine di grandi passioni, di quell'eroico entusiasmo che fa
possibile il martirio. L'uomo di volgo non s'indurrà a perdere la
libertà, nè gli strumenti della sua arte od industria, nè si
rassegnerà a vedersi chiusa la bottega dalla gendarme, piuttostochè
appalesare parole dette in sua presenza o nominar persone che sieno
passate dinanzi alla sua porta. Io conosco in tutti gli ordini della
società degli onesti che sclamerebbero, e a santa ragione, contro
questa mia asserzione; il numero di essi sarebbe ancor maggiore in
certe congiunture, verbigrazia, negl'istanti di crisi; ma io parlo qui
dell'effetto che la pubblicazione e l'esecuzione cotidiana di siffatte
leggi dee necessariamente produrre sopra il popolo; e in questi
termini niuno potrà accusarmi d'avere infoscato di troppo i colori
della mia pittura.
Non è picciolo il numero degli uomini che anteporrebbero la sciagura
all'infamia; ma coloro che, edotti del pericolo annesso
all'adempimento di una buona azione, avrebbero il coraggio di
consigliarla ai loro figliuoli, sono pochi. Le donne sono
incomparabilmente più vili in questo particolare che gli uomini.
Dovremo pertanto meravigliare che tutti i genitori non crescano la
loro prole nella stretta osservanza delle leggi dell'onore, cotanto
fatali a coloro che le riveriscono? Io confesso che onesti genitori
non s'indurranno giammai ad educare i loro figliuoli per lo
spionaggio; ma procureranno di eludere la quistione; ed ove, passando
con essi sulla piazza del pretorio, vi veggano un infelice esposto
alla berlina per non avere appalesato un segreto ch'eragli stato
affidato, ben pochi di loro, interrogati dal fanciullo del delitto
commesso da quello sventurato, avranno il coraggio di rispondergli: il
suo preteso reato è virtù, e se tu vuoi che la nostra benedizione ti
accompagni per a traverso la vita, adopera in quel modo che ha
adoperato costui, e sappi soffrire al pari di lui.
Io non voglio, come ho detto e ridetto, esagerare cosa alcuna; ma non
è già esagerazione il dire che in una contrada retta da simili leggi,
la morale politica non tarda gran fatto ad essere rilassata di molto.
Il sentimento che viene a prevaler di gran lunga sotto l'influenza
d'una giurisprudenza di tale fatta, si è la paura, la paura di
commettere una viltà, la paura di apparire reo d'averla commessa, la
paura di esporsi ad affanni per non commetterla. La paura più forte è
poi quella che la vince; e da una tale proporzione dipende spesse
volte l'onore o l'ignominia di tutta la vita di alcuno. L'uomo
prudente non vede in tal caso altro mezzo per uscir dalle strette che
quello di cansarsi dal cadere nell'acerba postura da cui non si esce
che a prezzo dell'infamia o della condanna; ma l'ottener questo
intento è opera di tutta la vita. Chi o per istinto o di proposito si
propone un tale intento, deve invigilar di continuo sopra sè stesso.
Abbattendosi, cammin facendo, in taluno di cui non bene conosca le
opinioni politiche, dee far le viste di non ravvisarlo. Se un amico
gli si accosta dicendo volere chiedergli consiglio, l'uomo prudente
dee pregarlo di astenersene, e assicurarlo che qualunque altra persona
sarà più acconcia pel fatto suo; conciossiacchè questo amico potrebbe
volere consigliarsi con lui sulla risposta da farsi ad un emissario
dei nemici del governo. Se il proprio figliuolo si mostra mesto e
abbattuto, ei dee guardarsi bene dal chiedergliene il motivo, chè
quella mestizia potrebbe pur essere mala contentezza politica. Ogni
colloquio gli è grave, potendo il discorso repentinamente volgersi
alle cose del governo. Gli uomini di questa tempra non sono rari, e
sono essi i più onesti fra' vili; ma ove uno d'essi venisse arrestato,
oppure solamente interrogato dal direttore della polizia, ov'ei si
avvedesse che tutte le sue cautele per reggersi in quel periglioso
equilibrio non gli giovarono punto, non dovrassi temere ch'egli
rinunzierebbe all'onore, anzichè rinunziare alla propria salvezza? Se
tale si è la prudenza delle persone allevate sotto il reggime dello
spionaggio austriaco, chi potrà meravigliarsi della diffidenza sparsa
generalmente negli animi tutti? Basta che un uomo d'indole amabile e
insinuante, di genio compagnevole, frequenti parecchie diverse brigate
per essere tosto battezzato col nome infame di spia. Officiosi zelanti
corrono in tutte le case aperte dianzi all'amabile persona, e
ragguagliano ognuno delle notizie raccolte intorno ad essa. Ed è
strana cosa veramente il vedere con somma facilità creduti questi
ragguagli. «In fatti», esclama come da repentina luce illuminato il
padrone di casa, «in fatti, perchè mai viene egli costui in casa mia?
perchè mai vi si mostra egli sempre così amabile? Io non posso invero
giovargli in guisa veruna. E da ultimo, quando la sventura che è scesa
sovra di me, e le sorde persecuzioni della Polizia mi avevano
condannato alla solitudine, perchè mai non si è egli allontanato da
me? Ei nulla dunque temeva per sè medesimo? Alla larga da quest'uomo
pericoloso».--Basta parimenti che un tale altro si apparti dal mondo e
ristringasi a vivere nell'angusto ámbito della propria casa, per dire
subito ch'egli ha fatto la spia per un lungo tempo, e che essendo
stato svergognato, si è ridotto in solitudine. Chi si mostra
apertamente affezionato a Casa d'Austria è naturalmente cansato
dagl'Italiani come un nemico; e chi, all'incontro, biasima gli atti
del Governo cade in sospetto di voler adescare la confidenza altrui e
tendere insidie. Quel ricco non ha egli accresciuto l'avere col
prestare alla Polizia segreti servigi? Quel povero resisterà egli alla
tentazione d'uscire dalla miseria a patto di commettere qualche viltà?
Nissuno è in sicuro da simili sospetti, cosicchè non si dà forse
oggidì un Lombardo che possa vantarsi di non temere di nulla. Gli uni,
come ho toccato qui sopra, hanno paura di trovarsi compromessi senza
saperlo nè volerlo; gli altri paventano di non esser forti abbastanza
per non commettere turpitudini; altri ancora temono di trovarsi côlti
nel bivio della persecuzione o dell'infamia; e quelli, infine, che
sono securi di sè medesimi, nol sono a sufficienza dei loro amici o
conoscenti. Ond'io replico, non esservi forse in Lombardia un uomo la
cui fiducia nei più intrinseci suoi amici non abbia vacillato ben più
d'una volta.
La presente generazione non è già quella del 1814 o del 1821. L'ordine
naturale delle cose non porta che i figliuoli sieno formati dai
genitori in guisa da rendere nel presente e nell'avvenire intiero
omaggio al passato. Ogni generazione può essere, in fatti, risguardata
come un gradino dell'ampia scala dell'umanità. Ma in Lombardia la
generazione del 1821 non ha nemmeno adempito l'ufficio suo verso la
generazione presente che gli è sottentrata. I captivi dello Spielberg,
e la moltitudine degli spatriati ricoveratisi in Francia, in
Inghilterra, in Ispagna o in Grecia, erano giovani quando
abbandonarono la patria. Lasciarono essi per lo più una giovane
famiglia, che trovossi priva repentinamente del suo capo e che perciò
rimase derelitta. I profughi che tornarono in patria, trovaronvi i
loro figliuoli fatti adulti ed anzi fatti uomini; ma quale fu la
scorta illuminata che aiutò quei fanciulli a superare il difficile
varco dalla puerizia alla virilità? chi ha per essi adempiuto
l'importante uffizio paterno? Fu per lo più una donna timida e di
corto senno, la quale riguardava le opinioni liberali come mostri
devastatori che l'avevano dannata ad una precoce e sforzata vedovanza,
e che avrebbe tenuto sè stessa per una madre snaturata se non avesse
fatto ogni sforzo per preservare i figliuoli dal pericolo di lasciarsi
sottrarre da cotali seduzioni; furono in altri casi vecchi congiunti,
naturali e giurati avversari di ogni idea liberale, oppur frivoli
amici, scampati dal naufragio che ingoiò gli uomini generosi, solo
perchè eran troppo diversi da questi. Io conosco dei giovani, pieni
certamente di ottime intenzioni, insigniti dei più splendidi nomi, e
possessori d'immensi retaggi, che da una madre pia e divota sono stati
cresciuti nel più alto abborrimento d'ogni pensiero politico. È
veramente curioso spettacolo il vedere l'aria di candore e di
soddisfazione colla quale, alla prima parola di politica proferita da
altri in loro presenza, interrompono il discorso per dichiarare che
non si sono brigati giammai di tali cose, e che non saranno mai per
brigarsene. Chi gli ode e gli esamina attentamente, vede chiaro che la
politica è stata loro rappresentata come un vizio depravante, al par
del giuoco, della crapula, della lussuria. Confessano bensì questi
giovanetti che le materne esortazioni non sono state tutte del pari
fruttuose, che certi peccati non sono loro rimasti affatto ignoti; ma
pure non sono del tutto corrotti, no, la Dio mercè; fra questi brutti
vizi evvene uno almeno, del quale non si sono bruttati, ed è la
politica; e per quanto io avviso, questa convinzione giova a
rinfrancare la loro coscienza intorno all'altre mende da loro
contratte. Ma chi doveva aspettarsi di più da giovanetti allevati per
mano di donne e di vecchi? da giovanetti cui null'altro venne
insegnato che pregiudizi, e i quali sono stati rinchiusi in
un'atmosfera priva de' suoi più salubri elementi, della forza, vo'
dire, e della costanza, che sono il pregio dell'uomo e che l'uomo solo
può inspirare al fanciullo?
La legge dello spionaggio e la scomparsa quasi totale d'una
generazione, per cui furono tolti a tante famiglie i loro naturali
capi e custodi, non sono già le sole sorgenti attoscate onde i
Lombardi attingono la sonnolenza e la morte. Nulla trascurandosi
dall'Austria per anneghittire la contrada, io non posso esimermi dal
passare a rapida rassegna i varii rami della sua amministrazione a
fine di ragguagliar degli effetti ch'essa produce.
L'istruzione pubblica è assai bene ordinata in Lombardia, vo' dire che
il beneficio dell'istruzione vi è sparso da per tutto. Gl'infimi
Comuni hanno un maestro ed una maestra di scuola, che insegnano ai
figliuoli dei contadini il leggere, lo scrivere, il catechismo,
l'aritmetica e la storia sacra. Pochi altri paesi d'Europa sono in
questo particolare tanto avvantaggiati quanto è la monarchia
austriaca. Il suo governo poche cose spinge all'estremo, ed è anzi
propenso assai ai termini di mezzo e ai partiti moderati. Egli è
appena più entusiasta dell'ignoranza che nol sia della scienza; ma lo
scopo a cui tendono i suoi sforzi, il bene onde vorrebbe arricchire i
suoi sudditi, si è la mediocrità. Mediocrità d'ingegno e di dottrina,
non curanza di carattere, insensitività di cuore, attutamento delle
passioni, scarsità di coraggio e di volontà; ecco quel che vi vuole
per l'imperatore d'Austria. Un popolo formato giusta un tale modello
non si ribella mai; ubbidisce, paga, ammira il suo padrone, e, se
natura il concedesse, lo amerebbe.
Le scuole primarie sono pertanto protette in Austria, perocchè fanno
entrar nelle menti del popolo quel primo e fievol barlume del sapere,
che trionfa degl'istinti barbarici, e che, signoreggiando il
selvaggio, lo guida sino al primo grado della civiltà, all'obbedienza.
Benchè imperfettamente costituiti, i ginnasi e i licei potrebbero
agevolmente venire riformati. Ma sulle Università particolarmente
l'Austria appunta tutte le sue batterie, spiega intiera a tal uopo la
sua perizia e la sua tattica, e appalesa pur troppo l'ardente sua
brama di soffocare sin da' primordii ogni nobile e generosa tendenza.
Nulla dirò intorno al modo con cui sono nominati i professori, e
regolati i pubblici esperimenti dei concorrenti a quei posti; nulla
dei maestri mandati direttamente da Vienna, a dispetto dei corpi
accademici e degli scuolari; nulla dei quesiti spediti da Vienna per
temi degli esperimenti pubblici degli aspiranti alle cattedre; quesiti
i quali, stesi in italiano da un Austriaco, sono spesse volte
inintelligibili, e quasi sempre assurde. Questi inconvenienti, che
sono assai più numerosi ch'io non dica qui, e che in pari tempo sono
gravissimi, non possono però venire imputati al mal volere
dell'Austria. Le scelte sono mal fatte e i pubblici sperimenti mal
diretti, però che gli Austriaci sono di lor natura melensi; i quesiti
proposti ai candidati sembrano destinati a muovere il riso e per la
stessa cagione; e cosiffatti quesiti sono inviati da Vienna, perchè
gli Austriaci presumono assai di sè stessi; i professori viennesi
occupano molte cattedre a dispetto di tutto il corpo accademico,
perchè è più bello il tener per sè un posto lucroso, che non sia il
darlo ad un altro. Sono questi meri inevitabili effetti della
straniera signoria, nè in tali fatti, veramente incresciosi, puossi
riconoscere l'espressa intenzione di nuocere alla Lombardia. Ma quando
io poi veggo scuolari dai venti ai ventiquattro anni d'età, stivati
nelle scuole, inchiodati sui loro scanni, non poter permutare il posto
fra loro ned appressarsi gli uni agli altri senza incorrere in un
solenne e pubblico rabbuffo del professore; quando veggo i professori
interrompere la propria lezione ed intimare agli scuolari di ripetere
ad alta voce quel tanto che hanno udito; quando io so che l'infrazione
di siffatti regolamenti, o l'essere entrato nella sala col cappello in
capo, l'essersi affacciato alla porta con un cane dietro, il non avere
rasa la barba, ec., bastano per condannare uno studente a ricominciare
da capo gli studi; allora io comincio a riconoscere nella costituzione
delle Università quella istessa tendenza che già ho notata altrove, a
spogliare il Lombardo del sentimento della propria dignità, del
proprio valore, della propria forza. Il Consiglio nelle cui mani sono
posti i destini dei candidati alla laurea viene a deliberazione
intorno a questi tre punti: Il candidato è egli istrutto? È egli stato
diligente? Ha egli buoni costumi? Se lo studente ha imparato molto
senza essere stato diligentissimo, non si tien conto della sua
dottrina, e gli s'ingiunge di ricominciare gli studi dell'anno
trascorso. Che se non è stato diligente per nulla egli è scacciato
dall'Università, quand'anche egli fosse un Galileo redivivo. Evvi
altronde la diligenza così propriamente chiamata, ed evvi la reverenza
delle usanze e dei regolamenti universitarii, ch'entra a far parte
della diligenza richiesta. Basta, per così dire, che uno studente
annodi il collare altrimenti che i suoi condiscepoli, per infrangere
le usanze universitarie e tirarsi addosso lo sfratto dall'Università.
Passiamo ora a dire del giudizio sui buoni costumi. Questa materia
soggiace alla direzione speciale della polizia centrale, che è come il
riepilogo di tutte le polizie aizzate sugli studenti; perocchè essi
sono invigilati dalla polizia dell'Università stessa, da quella del
vescovado, da quella del delegato della provincia, da quella
particolare della città, da quella del corpo municipale, e da non so
quante altre polizie. Se uno studente ha omesso in un dato giorno
festivo di andare ad ascoltare la messa, se ha mangiato carni in un
giorno di magro, se ha fischiato od applaudito in teatro, se ha
altercato con qualsiasi agente del governo, se gli è uscita di bocca
una qualche parola un cotal poco leggermente detta contro i pubblici
ufficiali o i loro atti, se ha un libro condannato, se ha contratto
una qualche relazione disonesta con alcuno, ed uno di questi
mancamenti gli viene apposto da alcuna delle dette polizie, tutta la
dottrina di un Cuvier o d'un Humboldt, accoppiata con un'applicazione
da Benedittino, non varrà a preservarlo da un avvilitivo sfratto. Ora
sono queste le cose che i professori dell'Università hanno dritto di
esigere dai giovani confidati alle loro cure? L'Università è essa un
convitto di putti? I giovani in procinto di diventare uomini devono
essi venir trattati come fanciulli? Sì, certamente, in Austria, ove
l'intento così del legislatore, come dell'esecutore delle leggi, o
altrimenti l'idea sulla quale è fondato il sistema della pubblica
amministrazione, è appunto l'attutamento dell'energia umana, la
trasformazione degli uomini in ragazzi, di creature ragionevoli,
imputabili e dotate di volontà in creature passive, obbedienti
ciecamente, che non presumano di giudicare nè di volere. I fanciulli
di cui ho parlato di sopra, la cui educazione non è stata diretta
dalla mano ferma ed abile del padre, la cui puerizia non è stata
preparazione all'adolescenza, troveranno essi negl'istituti di
pubblica istruzione il mezzo di riparare il tempo perduto, potranno
essi coltivare, nell'adolescenza, i germi della virilità? Passano essi
i giorni dell'adolescenza all'Università, in quel modo che hanno
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