Studi intorno alla storia della Lombardia - 02

Total number of words is 4337
Total number of unique words is 1687
37.8 of words are in the 2000 most common words
53.6 of words are in the 5000 most common words
60.8 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
possa preservarsi. In Francia, ai tempi della Rivoluzione, al boia
davasi il carico di disciogliere siffatte brigate. Nell'anno 1814, in
Milano, quantunque le cose non paressero disposte per nulla onde dar
luogo ad un sì tragico scioglimento, poco mancò tutta via che il conte
Paradisi e i suoi amici non iscontassero con la vita il fio di aver
voluto godere il poco grave diletto di mostrarsi da più di quei che li
circondavano.
Il segretario degli ordini del principe Eugenio, per nome conte
Méjean, erasi tirato addosso, più ancora che non avessero fatto i
conti Paradisi e Vaccari, lo sprezzo e l'odio de' Milanesi. Era il
Méjean francese, e godea dell'assoluta fiducia del vicerè; talmente
che se non vi si fosse attraversato l'espresso e formale divieto
dell'imperatore, sarebbe salito in pochi anni alle più eccelse dignità
dello Stato. Coloro che hanno praticato costui quand'era in auge,
accertano ch'ei non difettava di abilità; ma quanto alle doti del
cuore, egli non gode di fama sì buona. Questo difetto era in lui
ricompensato da un'ammirazione cieca per l'imperatore e pel vicerè;
ammirazione di cui esagerava talmente l'impressione, che non potea non
irritare così lo spirito un po' beffardo de' Lombardi. Io ho in questo
momento sott'occhio una lettera del Méjean al Villa, prefetto di
polizia in Milano, data da Mantova il dì 30 marzo 1814, nella quale
egli sclama contro la voce che correa d'un armistizio pattuito fra il
principe Eugenio, e i duci delle truppe nemiche, asserendo esser
quella voce non solo falsa, ma destituita d'ogni verosimiglianza; chè
niuno era, a sua detta, in grado di dover pattuire alcunchè di simile,
e non avea nemmeno le facoltà necessarie a tal uopo. L'armistizio, che
fu sottoscritto di fatti il 16 aprile susseguente, diè poi una formale
smentita alle previsioni del conte Méjean; ma il poco intendimento
ch'egli in quell'occasione appalesava è ancora scusabile a paragone di
quello ch'ei mostra nell'istessa lettera quando si prova a far
giudizio della difficile condizione in cui si trovavano posti i suoi
signori. Dopo di essersi lagnato che le mosse delle truppe nemiche
attorno a Lione intercettavano le comunicazioni, per modo ch'egli era
ignaro della marcia dell'esercito imperiale, aggiunge le seguenti
parole: «Ma esse non possono ritardarle più a lungo (le notizie di
Parigi). E poi, chi sa se le mosse del nemico attorno a Lione non
sieno volute dall'imperatore? Per quanto a me, non ne stupirei».
Nel conte Méjean poneva il principe Eugenio, siccome ho detto, la
massima fiducia. Questo prototipo dei cortigiani, degli uomini saliti
in alto da abbietta fortuna, che si ostinava a non tenere i successivi
e prolungati rovesci degli anni 1813 e 1814, che per effetti dei
sublimi, comunque incomprensibili, segreti concepimenti
dell'imperatore; e che degli sgraziati eventi d'allora non trovava
possibili che questi due scioglimenti: o una splendida e decisiva
vittoria riportata dall'imperatore, o un accordo onorato di pace tra
l'imperatore stesso e gli altri potentati; con istentato disdegno
parlava dei timori di quelli fra' Lombardi ch'erano amici dei
Francesi, e delle speranze di quegli altri ch'erano o partigiani
dell'Austria o fautori dell'independenza italica; e faceasi dagli uni
e dagli altri odiare, perchè si mostrava non mai dimentico di
appartenere alla nazione conquistatrice e di trovarsi accasato presso
la vinta.
Giova qui riferire un fatto il quale, benchè accaduto dopo i tempi di
cui parlo, può tuttavia essere contemplato nell'enumerazione delle
accuse fatte al vicerè. Offese questi sconsigliatamente il generale
Pino, affidandogli un poco rilevante comando in una delle città della
Romagna; e questa mortificazione del Pino fu, se non una delle cause,
uno almeno dei pretesti della defezione di lui, della quale mi
toccherà parlare in appresso. Basti qui avvertire che l'accordo fatto
tra Murat e Pino non rimase a lungo occulto al generale Zucchi, che ne
venne in cognizione per una lettera del re di Napoli al Pino,
cadutagli nelle mani, dalla quale evidentemente appariva il tradimento
di quest'ultimo.
L'involontario ribrezzo che ogni uomo onorato prova a bella prima
contro una delazione qualsiasi, un sentimento forse di amicizia per un
antico commilitone, la vergogna fors'anche di svelare il tradimento di
un concittadino, congiunti probabilmente ad altri motivi ch'io ignoro,
trattennero il generale Zucchi dal recare al vicerè la lettera
venutagli in mano. Correva allora la metà di febbraio, e il principe
Eugenio, aggiugnendo alla passata una nuova imprudenza, lasciava
intanto il generale Pino senza ufficio e bisogna in Milano, dicendo
aspettare buona occasione per valersi del senno di quel generale. Il
carteggio di quell'anno tra il vicerè e il Pino, ben mostra da quale
insaziabile cupidigia fosse roso quest'ultimo; perocchè, sebbene
avesse un salario di 145,000 franchi all'anno, non cessava perciò dal
chiedere continuamente danaro, e dal lagnarsi della misera condizione
in cui diceva essere. Nel vicerè poi si scorge da quel carteggio una
dispettosa impazienza delle importunità di quel soldato in alto
salito, il quale con un'entrata di 145,000 diceasi povero e tacciava
d'ingratitudine altrui. Prudentemente avrebbe allora adoperato il
vicerè, se avesse dissimulato il disprezzo che in lui eccitavano le
instanze del generale; ma conviene tuttavia confessare non esservi
cosa più atta a stomacare un cuore retto ed onesto, che il vedere un
uomo fortunato il quale si lagna del suo destino, frammezzo alle
pubbliche calamità. Conturbato dalle dolenti parole che gli volgevano
da ogni parte i parenti dei giovani soldati morti in Russia, non che
quelli dei soldati più giovani ancora, ch'erano chiamati allora
all'armi ed alla difesa della patria; testimonio degl'immensi
sacrifici di sangue e di sostanze che l'Italia continuava a fare a pro
dell'imperatore; consapevole della gravità delle circostanze e della
condizione quasi disperata delle cose; temendo per la propria
consorte, pei propri figli, per sè medesimo; con quale occhio poteva
egli il vicerè leggere queste lettere in cui il Pino faceva continue
istanze per nuove elargizioni a suo favore? Non è però dubbio che il
tuono asciutto e alcun po' beffardo con cui il principe Eugenio
raccomandava al ministro della guerra le domande del generale, non
abbia conferito ad accrescere la stizza e il malumore di questi.
Mi fo ora a parlare di quei giorni che tennero dietro immantinenti
alla ritratta dalla Russia. Già prima di quegli sciaurati eventi il
conte Fontanelli, ministro della guerra, aveva avviato verso il Nord
la brigata Zucchi. La divisione Palombini fu in appresso richiamata di
Spagna, e contemporaneamente con le novelle leve s'incamminò per alla
Russia. Ventottomila Italiani raggiunsero il vicerè in Alemagna, e
formarono sotto gli ordini suoi una parte di quell'immensa linea
militare che distendevasi dal Baltico all'Adriatico. L'esercito degli
alleati, più numeroso dell'esercito imperiale, e schieratogli dinanzi,
procedeva mentre l'altro indietreggiava. Entrambi giunsero a tal modo,
da un canto, fino al Reno, e dall'altro, per a traverso le Alpi, fino
all'Adige.
Ond'ecco il vicerè risospinto di posto in posto, di piazza in piazza,
da Mosca a Verona. Le province venete erano invase dalle truppe
austriache, quantunque Venezia reggessesi tuttora contro il blocco. La
neutralità svizzera poco stette ad essere violata, per lo che i
Francesi poterono giustamente temere d'essere assaliti a' fianchi come
pure quasi alle spalle; il re di Napoli parea vacillante nella fede
dell'alleanza, e il grido che corse bentosto della sua defezione non
permetteva al vicerè di volgersi confidentemente a lui. Nè deesi poi
sdimenticare che grande era la defezione nell'esercito italiano fra'
soldati che appartenevano alle province occupate dall'Austria. Il
desiderio di difendere o almeno di proteggere le proprie case, il
timore di tirar rappresaglie addosso alle proprie famiglie col rimaner
nelle file de' Francesi, si affacciavano allo spirito dei Veneti come
tanti motivi più gravi e più sacri, che non fosse il debito di fedeltà
ad una causa straniera e ad un padrone parimenti straniero.
Le avversità che parevano piovere sopra l'imperatore e i suoi,
ridestarono nei cuori degl'Italiani certi pensieri che la sola
necessità avea fino allora attutati. Non era dunque più invincibile
l'imperatore; l'arte di far chinare dinanzi a sè ogni cosa era da lui
perduta; non era più altro che un uomo col quale si potea trattare, e
cozzare altresì con successo. Non appena entrò questa convinzione
negli animi degl'Italiani, che parve infranto subitamente il giogo e
con esso il vincolo che univa a forza tutte le volontà italiane; di
modo che sursero, quasi per incanto, un gran numero di partiti. Dei
quali sarammi concesso menzionar qui i principali.
Gli antichi partigiani di Casa d'Austria vedeano le truppe del
discendente di Maria Teresa e di Giuseppe II giunte in distanza di due
giornate di cammino dalla capitale, e andare intanto ritraendosi su
tutta quanta la linea quelle dell'usurpatore. Sentivano spirare dal
canto loro quel soffio misterioso della vittoria che dà animo anche ai
meno intrepidi, e che, volgendosi all'uno o all'altro dei campi nemici,
sembra, per così dire, diffondere anticipatamente lo sgomento in quello
degli eserciti che dee andare in rotta, e la letizia del trionfo in
quello che è destinato a riportarlo di fatto. Pei veri e fidi
partigiani di Casa d'Austria, com'erano i conti Giuseppe Gambarana,
Alfonso Castiglioni, Ghislieri, Giulio Ottolini, il marchese Maruzzi di
Venezia e parecchi altri, la rivoluzione e la dominazione francese nel
reame d'Italia non erano altro che accidenti, passeggera tempesta che
il sole del governo austriaco dovea dissipare ben presto. Non toccava
loro far altro che affrettare quell'avventurato ritorno, e perciò potea
giovare l'addormentare quegl'indisciplinati ragazzi ch'eransi
infiammati all'udire le voci di progresso, di libertà, d'independenza,
di gloria, e che non ancora sapevano pregiare al giusto suo valore
l'amministrazione quieta, regolare e inalterabile di Casa d'Austria.
Scaltri erano questi Austriaci puri, nè la dissimulazione in politica
era loro punto ripugnante. Perciò la vinsero.
Dopo il partito austriaco rimaso vincitore, io pongo il partito
italico che avrebbe dovuto vincere, riserbandomi d'accennare in
seguito i partiti di mezzo, talmente vicini fra loro da confondersi
insieme. Il partito italico, denominato anche _muratista_, proponevasi
di separar l'Italia dalla Francia, non meno che dalle potenze
collegate, e farla stare e camminare da sè, col mezzo delle forze che
già in essa esistevano e delle quali potea valersi in sull'atto.
Queste forze ad ostro erano comandate da Murat, a borea dal principe
Eugenio. Opportuna cosa è qui pertanto l'investigare sino a qual punto
il re di Napoli e il vicerè d'Italia fossero meritevoli dell'assoluta
fiducia degl'Italiani.
Per corto che fosse il senno del re di Napoli, i fatti avevano parlato
a sì alta voce, ch'egli pure doveva averne inteso il linguaggio.
L'imperatore stava per cadere; suoi vicari dovevano essi cader
secolui, oppure tentare di reggersi da sè? Non era difficile cosa il
dar risposta ad una tale domanda; e certo coloro che hanno
rimproverato Murat di tradimento, si son mostrati a trafatto esigenti
in fatto di fedeltà. L'imperatore, per vero, era il benefattore del re
di Napoli; ma la caduta di questo re non poteva fare aiuto alcuno
all'imperatore; che anzi solo col serbare la sua corona avrebbe potuto
Murat in alcun tempo render servigi all'imperatore o ai membri della
famiglia di lui. Nè già dovea Murat volgere l'armi sue contro il
cognato, ma dichiarare soltanto, che col salire il trono di Napoli
egli avea cessato di tenersi per un luogotenente dell'imperatore dei
Francesi, ed erasi fatto italiano, e come principe italico voleva
difendere la propria patria contro una novella invasione. Un suo
accordo a tal uopo col principe Eugenio; l'uso fatto dall'uno e
dall'altro delle loro forze congiunte per custodire i passi dell'Alpi;
l'aperta chiamata fatta da loro pel concorso dell'Italia intiera alla
difesa della causa italiana, ecco quel tanto che doveasi fare, e che
ai due membri della famiglia imperiale, fra' quali era allora diviso
l'imperio della Penisola, avrebbe fruttato la gratitudine e la
devozione della massima parte degl'Italiani, ed una splendida
condizione, e la reverenza di tutta quanta l'Europa. Ho detto già che
Murat aveva inteso i dettami dei fatti accaduti, ma debbo aggiugnere
che inteseli solo imperfettamente. Imperciocchè, se avvidesi esservi
per lui in Italia un cómpito da eseguire, se addiedesi che l'ostinarsi
a cadere con l'imperatore, per ciò solo che l'imperatore cadeva, era
sciocchezza, anzi che fedeltà, andò poi errato grandemente nella
scelta di un appoggio. Da vero soldato qual era, Murat non vedeva
altro che l'esercito, cioè le truppe imperiali dall'un canto, e quelle
delle potenze alleate dall'altro; e perchè le prime cancellavano, ne
trasse ch'era forza volgersi alle seconde e riunirsi con esse. Quant'è
alla Italia, non pareva essa altro a Murat che una sedia sulla quale
desiderava sedersi egli stesso, e non già un corpo animato, una
nazione investita del dritto e della facoltà di determinare il proprio
destino. Tenendo ad accordi colle potenze alleate, Murat incorse la
taccia d'essersi collegato coi nemici del suo cognato e del suo
signore, e in vece di farsi il capo d'un partito ragguardevolissimo,
che solo sarebbe stato degno del nome di partito italico, videsi fatto
seguace di quella cieca fazione che si aspettava dalla grandezza di
una delle potenze confederate il ritorno dell'età dell'oro.
Il principe Eugenio poi non dava rêtta ad altro che a' consigli d'una
fedeltà affatto cavalleresca. Egli non si era mai anzi tenuto per
altro che per un luogotenente dell'imperatore, e non aveva governata
altrimenti l'Italia, che come una provincia dell'ampio impero
francese. Ciò appunto aveagli alienato gli animi della massima parte
degl'Italiani; ma per altra parte è debito di giustizia il dire che
quel suo affetto alla Francia ed all'imperatore non si dileguò nemmeno
di poi che la Francia fu invasa e l'imperatore balzato dal trono.
Fintanto che la proposta di separarsi dall'imperatore e di stabilirsi
in Italia, a lui giunse dal canto delle potenze alleate per mezzo del
re di Baviera, suo suocero, il principe Eugenio sempre la ributtò.
L'esempio di Murat preoccupavagli e angosciavagli l'animo. Ma non lo
vinse. Però egli pure tenea per nulla l'Italia, e quando venne il
giorno in cui diliberossi di farla sostegno a sè medesimo, era già
troppo tardi e l'Italia aveala rotta affatto con lui. Avrò più sotto
occasione di parlare delle disposizioni personali del principe
Eugenio; e qui mi basta indicare i motivi che indussero i partigiani
dell'independenza assoluta dell'Italia a volgersi verso Murat, e
contro Eugenio. Il generale di divisione Pino e il crocchio militare
che gli si stringeva attorno, dandosi l'aria d'un partito, e ch'era
composto degli amici, dei congiunti e degli aiutanti di campo del
generale stesso, non che il conte Luino, capo della direzione generale
di polizia, e il generale Giuseppe Lecchi, si erano indettati col re
di Napoli. Vedesi dalla prima qual potente alleato fossesi procurato
il partito muratiano, tirando dalla sua il direttore della polizia.
Imperocchè la polizia imperiale aveva gran parte nella condotta della
cosa pubblica; lo spionaggio largamente spaziava; il segreto delle
private corrispondenze era violato senza scrupolo; e le precauzioni
ingiunte alla polizia e i mezzi ond'essa disponeva doveano indurre in
timore che nulla di quanto riguardava lo Stato potesse ad essa
rimanere lungo tempo celato. Ora che cosa doveva accadere quando il
capo stesso della polizia era egli pure complice di una cospirazione?
Doveva, giusta ogni probabilità, avvenire che la cospirazione
ottenesse il suo intento; perciocchè l'indole stessa degli uffici
affidati al capo della polizia richiedeva che la potestà di questo
ufficiale fosse assoluta e disciolta da ogni sopravegghianza, o, per
dirla in più precisi termini, che i suoi andamenti e la sua condotta
rimanessero celati alla vista di tutti. Mi si risponderà per
avventura, che il partito muratiano non potè conseguire l'intento suo,
ad onta della cooperazione del capo della polizia; ma io farommi ad
esporre più sotto le cagioni che vi si opposero, e dirò intanto, che
questo partito dovea, per seguire l'intendimento degli stessi suoi
capi, nulla tentare a Milano se non contro il governo del vicerè.
Questo partito, simile in ciò a tutti gli altri che ferveano allora in
Italia (tranne, ben inteso, il partito francese), indirizzava i suoi
sforzi contro la potenza di già vacillante dell'imperatore e dei suoi
luogotenenti. Tutti volevano aspettare il giorno dopo la vittoria per
ravvisarsi, numerarsi, dividersi, combattersi, perseguitarsi e
spegnersi vicendevolmente. Ben sapevano i partigiani dell'Austria che,
atterrato il governo esistente, non si frammetterebbe più ostacolo tra
l'esercito austriaco e Milano; e i partigiani di Murat si teneano
certi dal canto loro, che, non appena fossesi avverata la rimozione e
la ritirata del vicerè, il re di Napoli, accorrendo a marcia sforzata,
avrebbe occupata la Lombardia, prima che gli eserciti delle potenze
alleate avessero fatto alcun passo. Un terzo partito, di cui entrerò
fra poco a parlare, voleva esso pure, ed anzi tutto, la caduta
dell'ordine stabilito.
La Francia, o, per meglio dire, l'imperatore, e più ancora il vicerè
avevano essi pure i loro partigiani, i quali, benchè uniti per la
difesa d'una stessa causa, erano però mossi da diversi motivi. La
massima parte dell'esercito aderiva pur sempre al suo capo, perchè
questo capo avealo spesso condotto alla vittoria, perchè il reggimento
imperiale era un reggimento militare, perchè i prìncipi locati
dall'imperatore sui varii troni dell'Europa, ed anzi l'imperatore
stesso, non eran altro che soldati saliti da basso in alto grado; il
che dava ad ogni soldato una segreta speranza di grande avanzamento.
L'esercito e il principe Eugenio erano stretti fra loro da
quell'invisibile vincolo onde sono stretti gli uomini che hanno
insieme tentato grandi fatti, e durato stenti, fatiche e pericoli.
Camerati ei sono, e questo titolo è più sacro talvolta, che non sia
quello di amico. Avea pure il vicerè alcuni partigiani fra i membri
dell'amministrazione, e quelli in ispezieltà che appartenevano
all'antico ducato di Modena e Reggio. Gli abitatori di quella
provincia d'Italia, gente svegliata ed operosa, perspicace e risoluta,
eransi mostrati, fin dai princìpi della potenza napoleonica, caldi
fautori delle novelle idee che la rivoluzione francese portava
inscritte nei suoi vessilli. Giustamente pregiati dall'imperatore, che
travedere seppe, frammezzo alla effervescenza delle passioni liberali,
il pratico senno ond'essi erano copiosamente forniti, e chiamati nei
consigli imperiali, concorsero efficacemente i Modenesi alla creazione
di quel codice che forma per avventura oggidì il più bel titolo per
cui l'imperatore debba essere con grata ricordanza onorato dalla
posterità. Lo scambievole affetto dei Modenesi e del governo
franco-italico fu poi in seguito sempre fomentato da meriti e
rimeriti; talmente che, in occasione delle turbolenze insorte nella
seconda metà dell'aprile del 1814, i membri della così detta _fazione
estense_ furono quelli che con maggior calore sostennero fino agli
ultimi istanti il principe di già vinto.
Meriterei la taccia d'ingiusto inverso alla mia patria se non
confessassi che il partito eugeniano non constava già solo di militari
devoti per istinto ai loro capi, a quella guisa che il cane al padrone,
di ufficiali del governo, ed in ispezieltà di ufficiali modenesi.
Eranvi, eranvi certamente uomini prescienti del prossimo avvenire, i
quali, veggendosi presi di mezzo tra la potenza imperiale tentennante,
e quella floridissima degli alleati, e volendo sfuggire alle strette
della prima, del pari che a quelle della seconda, e perciò conoscendo
il bisogno imperioso di reggersi da sè medesimi, temevano sopra ogni
cosa quella diminuzione delle forze italiane che potea provenire dal
porle in opera intestinamente, e quell'indebolimento dei vincoli che
stringevano ancora la nazione italiana, il quale dovea derivare dalla
introduzione di mutamenti nella costituzione dello Stato. Eranvi,
certo, uomini di tal fatta, ed io ne conobbi parecchi, i quali
dicevano: «La nostra presente condizione non è beata, e siamo vogliosi
di migliorarla; ma per ottenere l'intento è forza accordarci con
potentati che non potrebber vedere di buon occhio le nostre riforme. Ci
troviamo perciò in grado di dover esigere date condizioni in ricompenso
dell'appoggio che daremo a questo, anzichè a quell'altro sovrano. Ma
qual è di loro cui sia più necessario il nostro appoggio, e che perciò
più volonterosamente si adatterà alle riforme chiestegli da noi in
iscambio? Non è egli il più debole? Ecchè? Dobbiamo ottener grandi
concessioni, e ci faremo a chiederle al più forte, a quello che può
agevolmente far senza di noi? Sarebbe questa una vera mattía,
perciocchè, se imponesi la legge al debole, il forte l'impone egli
stesso».
Questi erano sensi veramente assennatissimi; ma non il senno, bensì la
passione, la sconsigliatezza informa i partiti. Mentrechè i varii
partiti surti contro il governo viceregale, affaccendavansi,
cospiravano e trascorrevano a maneggi che difficile si è il
qualificare, gli assennati, di cui ho testè fatto menzione, non avean
nemmeno pensato a numerarsi, a conoscersi, e tampoco a pigliare alcun
provvedimento per far prevalere la loro opinione. Deploravano essi
l'acciecamento dei loro avversari; sforzavansi di aprir loro gli occhi
coi ragionamenti; erano ascoltati con deferenza, ed anche con
reverenza, ma appena erasi dileguato nello spazio il suono della loro
voce, le ree passioni, l'invidia, l'ambizione forsennata, i privati
rancori, gli stolti e ridicoli divisi superavano agevolmente la sana e
incontrovertibile argomentazione di quei veri politici.
Ho sin qui parlato di tre partiti, l'austriaco, l'italico, il
francese, promettendo di far poscia cenno degli altri partiti di
mezzo, che s'incrocicchiavano fra loro e per certi versi si
confondevano. Cionnonpertanto, ho di già accennato, relativamente al
partito francese, che questo pârtivasi in due categorie, l'una dei
fidiservitori dell'imperatore o del vicerè, ufficiali di milizia o
civili; l'altra degli uomini saputi ed illuminati, che comprendevano
il gran pericolo che traevasi dietro il tentare un interno
ravvolgimento mentre il nemico affacciavasi alle porte, risoluto
d'aprirvisi il passo a forza. Gli altri due partiti suddividevansi
anch'essi, come il francese, in due categorie. Ed anzi la seconda
categoria del partito austriaco e quella del partito italico
rassomigliavansi talmente, che facile era lo scambiarle l'una per
l'altra. Ed ecco il come.
Il partito austriaco puro volea, per così dir, cancellare con un
tratto di penna i quindici anni della dominazione francese; unire di
nuovo la contrada all'impero austriaco; riporla in quelle medesime
condizioni da cui tratta aveanla gli eserciti francesi; far giuramento
di fedeltà al discendente di Maria Teresa e di Giuseppe II. L'esercito
austriaco era accampato sulla riva manca dell'Adige; l'esercito
italiano si rannicchiava, ned era fuor di ragione l'immaginarsi
prossimo il dì felice in cui quest'ultimo avrebbe cessato di far
contrasto ai progressi dell'esercito nemico. In espettazione di questo
giorno bramato non v'era da far altro che rimanersi tranquilli, scavar
sordamente le fondamenta del governo viceregale, e dargli poi l'ultimo
crollo quando fosse prossimo alla caduta, e infine aprir le porte
all'esercito austriaco allorchè non vi fosse più per custodirle
l'esercito italiano. Ben sapeva questo partito quel ch'ei si voleva; e
se procedeva a rilento, la via battuta da lui guidavalo però
dirittamente alla meta.
Allato a questi amici sviscerati di Casa d'Austria eranvene altri più
timidi, od alquanto imbevuti delle idee moderne, i quali professavano
di non riguardare l'Austria altrimenti che come una delle nazioni
collegatesi per restituire all'oppressa Europa la pace, concedendo ad
ognuno degli Stati europei buone leggi, independenza e libertà. Era
l'Austria, a detta loro, la naturale protettrice dell'Italia; e ad
essa aspettavasi più specialmente il brigarsi delle cose italiane.
Solo una strettissima lega con l'Austria potea dare all'Italia le
forze necessarie per costituirsi e reggersi, e all'Italia giovava per
avventura una certa quale lieve dependenza dall'Austria a fine di
risarcirla dei danni cui soffriva cotidianamente pel pro dell'Italia.
Non era infatti giustissima cosa il pagare, almeno in parte, le spese
d'una guerra sostenuta dall'Austria coll'unico intento di liberare
l'Italia? Non si doveva egli desiderare di essere sempre custoditi da
quei soldati austriaci che erano gli autori della nostra liberazione,
contro le nuove irruzioni che i Francesi potessero tentare?
L'imperatore Napoleone stava per cadere dal trono, e dovendo il
principe Eugenio essergli compagno nella caduta, era forza offerire a
un altro principe la corona italica. Ora a chi mai poteva essere più
degnamente offerta questa corona, che ad un principe di quella
medesima stirpe che sì nobilmente portavala prima della conquista
francese, a un consanguineo di quel generoso e clemente sire che mai
non avea cessato dal riguardare l'Italia con paterna benivoglienza?
Per tutte queste considerazioni, l'Italia potea sperare di dipendere
in certo qual modo e in forza d'una maniera d'accordo, per così dire
misto, dall'imperatore d'Austria; porre le sue piazze forti nelle mani
di presìdi austriaci, pagare all'Austria un tributo stanziato dalla
gratitudine, ed ubbidire a un principe della schiatta austriaca. A
siffatte condizioni, accettevoli certamente dopo la sconfitta, ma non
mai pría della pugna, i partigiani mitigati dell'Austria ristrignevano
i loro desidèri. E se può allegarsi una qualche ragione in favor loro,
questa si è che l'Italia, in fatto d'independenza e di libertà, era
ancora a peggior partito condotta sotto il regno dell'imperatore
Napoleone, che non sarebbe stata sotto l'imperatore d'Austria ove i
loro disegni si fossero incarnati.
Eccomi ora a parlare del partito che cagionò realmente la perdita
dell'Italia e che mirabilmente servì ai disegni dell'Austria. Fu esso
il partito dei liberali italiani, partito che pretendeva l'onorato
titolo di italico puro, e che assai poco differiva da quello degli
Austriaci mitigati. Gli ambiziosi mal soddisfatti dell'esercito, i
membri non meno ambiziosi dell'aristocrazia milanese, i quali, avendo
eletto l'aringo delle cariche di corte, anzichè di quelle della
milizia e del governo, vedeano indispettiti fioccar gli onori, il
credito e le ricchezze sopra i guerrieri e sopra i primari ufficiali
dello Stato, e rimanerne privi i cortigiani; parecchi giovani
doviziosi, rosi da gelosia del favore che il vicerè ed altri ufficiali
francesi godeano presso alcune dame; un numero assai ragguardevole di
teste matte o poco sode, che si studiavano di parlare il linguaggio
degli eroi d'Alfieri; e certe altre di quelle teste irrequiete e
agitate cui pare sempre bello ciò che non è, e sfornito di ogni pregio
ciò che è; tali erano gli uomini che componevano il partito italico
sedicente puro, ma che meglio sarebbe stato chiamato il partito
italo-austriaco. Eravi allora in Italia una potenza dileguantesi;
eravi un'altra potenza che faceasi innanzi covidosa per coglierne il
retaggio; e, infine, eravi un'altra potenza ancora, la quale,
spiccatasi dalla prima per non lasciarsi trarre con essa nell'abisso,
sforzavasi di resistere alla seconda, procurando di tirar dalla sua
tutti gli avanzi dell'una che poteano scampar dalle mani dell'altra. A
quale di queste tre potenze vorrassi credere che il partito di cui
parlo abbia voluto attaccarsi? A nessuna. Acciecato da un ineffabile
soverchio di superbia, entrò in isperanza di poter dare l'ultimo
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Studi intorno alla storia della Lombardia - 03
  • Parts
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 01
    Total number of words is 4368
    Total number of unique words is 1805
    35.1 of words are in the 2000 most common words
    50.8 of words are in the 5000 most common words
    59.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 02
    Total number of words is 4337
    Total number of unique words is 1687
    37.8 of words are in the 2000 most common words
    53.6 of words are in the 5000 most common words
    60.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 03
    Total number of words is 4404
    Total number of unique words is 1638
    36.9 of words are in the 2000 most common words
    51.4 of words are in the 5000 most common words
    59.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 04
    Total number of words is 4343
    Total number of unique words is 1703
    36.8 of words are in the 2000 most common words
    51.7 of words are in the 5000 most common words
    59.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 05
    Total number of words is 4391
    Total number of unique words is 1710
    33.9 of words are in the 2000 most common words
    48.7 of words are in the 5000 most common words
    56.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 06
    Total number of words is 4261
    Total number of unique words is 1624
    37.4 of words are in the 2000 most common words
    54.0 of words are in the 5000 most common words
    61.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 07
    Total number of words is 4354
    Total number of unique words is 1696
    36.1 of words are in the 2000 most common words
    52.4 of words are in the 5000 most common words
    62.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 08
    Total number of words is 4350
    Total number of unique words is 1701
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    53.6 of words are in the 5000 most common words
    61.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 09
    Total number of words is 4345
    Total number of unique words is 1681
    37.0 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    60.7 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 10
    Total number of words is 4453
    Total number of unique words is 1704
    38.0 of words are in the 2000 most common words
    52.9 of words are in the 5000 most common words
    59.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 11
    Total number of words is 4454
    Total number of unique words is 1779
    36.8 of words are in the 2000 most common words
    52.7 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 12
    Total number of words is 4448
    Total number of unique words is 1813
    35.7 of words are in the 2000 most common words
    51.1 of words are in the 5000 most common words
    59.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Studi intorno alla storia della Lombardia - 13
    Total number of words is 3626
    Total number of unique words is 1520
    35.7 of words are in the 2000 most common words
    51.5 of words are in the 5000 most common words
    58.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.