Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI - 10
gl'intimava per ordine di Napoleone imperatore, che gli era fatta
inibizione di comunicare con alcuna chiesa dell'impero, nè con alcun
suddito dell'imperatore sotto le pene di disubbidienza tanto per lui,
quanto per loro; che cessava di essere l'organo della Chiesa colui che
predicava la ribellione, colui che aveva l'anima tinta di fiele; che
poichè niuna cosa il poteva far savio, se gli faceva a sapere, che sua
Maestà abbastanza era forte, perchè potesse far quello che i suoi
antecessori avevano fatto, e deporre un papa.
Si credeva a Parigi che i comandamenti ripetuti avessero maggior forza.
Per la qual cosa Bigot di Préameneu novellamente inculcava, si intimasse
a Pio, che per cagion sua i cardinali, ed i vicari generali perdevano la
libertà, i canonici le prebende; che queste occulte trame erano indegne
di un papa; ch'egli sarebbe cagione delle disgrazie di tutti coloro, che
avrebbero a far con lui; che dichiarato nemico dell'imperatore doveva
quietamente starsene, e poichè da sè si chiamava carcerato, operare come
se fosse carcerato, nè avere con nissuno pratica o corrispondenza; che
gran disgrazia era per la Cristianità lo avere un papa così ignorante di
quanto è dovuto ai sovrani: che del resto, non sarebbe la pace dello
stato turbata, e che il bene si farebbe senza di lui.
Oltre i comandamenti del ministro dei culti, e del principe governatore
del Piemonte, perciocchè tutto il governo Napoleonico era mosso contro
il prete di Savona, intuonava dalle sponde dell'investigatrice e
dispotica Senna la polizia, si guardasse bene dentro e fuori della
pontificia abitazione; si stillasse tutto, si spiasse tutto; niuna cosa,
per minima che fosse, trapelare, o, per usare le parole stesse, filtrare
potesse, senza che la polizia la sapesse; si guardasse attentamente al
grande, si guardasse colla medesima gelosìa al minuto; non si prestasse
fede di tutto a tutti, ma solo ai più fidi; se alcuno mentisse, fosse
punito; se alcuno dicesse la verità, fosse ricompensato; vigilante fosse
la investigazione, e continua, ma invisibile, fosse anche proteiforme;
fossero gli agenti di tutte le lingue, di tutte le forme, di tutti i
mestieri, varj ed infiniti i pretesti, ma sempre naturali, perchè il
lambiccato svela l'arte; si usasse ogni astuzia, ogni strattagemma, ogni
scaltrimento; superassersi in astuzia, queste parole stesse portavano le
lettere, i preti, anche i più maliziosi; si avesse l'occhio massimamente
alle strade da Savona a Torino, perchè là era il marcio; si guardasse
addosso ai pedoni molto diligentemente, e per ogni parte si
ricercassero; non mancherebbero i pretesti per non dar sospetto; ora si
motivasse di un vagabondo, ora di uno scappato di galera, qui si
cercasse un soldato fuggitivo, là un truffatore condannato, poi un po'
di scusa velerebbe il segreto: le Savonesi terre desolate dalla polizia.
Voleva ancora, essa polizia, si procurasse, che pei concorsi d'uomini o
di alta o di bassa condizione, gli autorevoli e di buona favella
intendessero alle persuasioni, dicendo, che l'imperatore aveva ragione,
il papa torto; che più amava l'imperatore la religione, che il papa
l'amasse. Insinuava altresì, che le sacristìe ed i confessionali
farebbero servizj grandi, se si facesse sentire ai curati instrutti, ed
ai preti giurati, che la loro obbedienza e sommessione erano conosciute,
e che sarebbero anche premiate; se qualche canonico, o se qualche
regolare passato a vita secolare compiangesse o titubasse, se gli
facesse tosto suonare all'orecchie l'interesse personale, la perdita
delle pensioni, e che la polizia sapeva tutto; se qualcheduno
ricalcitrasse, si mettesse in luogo dove gli passerebbe voglia;
finalmente con ogni sorta di cortesi dimostrazioni, tanto in pubblico,
quanto in privato si accarezzassero, ed al ministro dei culti si
raccomandassero gli ecclesiastici che si mostrassero più fedeli, che
usassero l'autorità loro per ridurre i compagni a fedeltà, e che
predicassero che ogni potestà temporale viene da Dio, e che il Vangelo
insegna e raccomanda l'obbedienza e la sommessione verso i principi;
ponessesi mente ad operare che tutti gli spiriti s'imbevessero di
quest'opinione, che l'imperatore non tornava mai indietro, che per la
sua munificenza infinita sempre premiava chi fedelmente e devotamente il
serviva, ma che per la sua giustizia mai non perdonava a chi denigrasse,
a chi ricalcitrasse, a chi dissidj e discordie seminasse.
Queste che abbiamo raccontate, furono le cautele poste in opera dai
Napoleonici per murare il papa, e per fare, che nissuno sapesse, o
dicesse, o facesse altro che quello che piaceva a Napoleone. Arti
veramente perfette erano queste, e da servir per esemplare a chi ama il
comandare da se. L'imperatore veduto che nè le persuasioni, nè le
minacce, nè gli spaventi, nè la strettezza del carcere non avevano
potuto piegare l'animo del pontefice, e credendo, per le opinioni dei
popoli, di non potere da se, e senza che gli estremi mezzi prima si
fossero tentati, fare questa gravissima mutazione, che i vescovi di
Francia, e di tutti i paesi sudditi a lui più non ricevessero la
instituzione canonica della sede apostolica, si era risoluto ad usare
più efficacemente il sussidio del consiglio ecclesiastico adunato in
Parigi. Opinava, che il parere di ecclesiastici di grado o di dottrina,
fosse per operare fortemente in favor suo sulla mente dei popoli, caso
che per la necessità delle cose si avesse a rompere quel legame, che
congiungeva l'episcopato Francese alla Chiesa di San Pietro.
Inoltre, a ciò consigliato, e stimolato principalmente dal consiglio
ecclesiastico, si era deliberato a convocare un concilio nazionale a
Parigi; acciocchè considerasse la necessità presente, e proponesse i
mezzi di rimediarvi. Dava favore a questo suo pensiero, oltre la maggior
autorità di un concilio, la speranza che i vescovi Italiani chiamati
all'assemblea, siccome nutriti, la maggior parte, nelle dottrine che
abbracciate in Italia da molti dotti canonisti, avevano negli ultimi
tempi trovato una principal sede in Pistoia, avrebbero deliberato in
favor d'un'opinione, che, quanto alla trasmissione dell'episcopato,
pareva conforme agli usi antichi della Chiesa primitiva.
Ordinate in tal modo le cose, e sicuro di quello che dovesse avvenire,
Napoleone stimolava il consiglio ecclesiastico; acciocchè desse
principio a quanto si era ordinato. In primo luogo rispondeva il
consiglio, non senza molt'arte, a quesiti fatti con maggior arte. Quanto
all'articolo, se il governo della Chiesa fosse arbitrario, dichiarò che
non era; che quanto alla fede, la santa scrittura, la tradizione, ed i
concili servivano di regola; e quanto alla disciplina, l'universale
reggevano i decreti della Chiesa universale, la particolare quelli delle
Chiese particolari; il che il consiglio non diceva senza cagione.
Aggiunse, che la disciplina particolare era sempre stata rispettata
dalla Chiesa universale, piena di carità e di condiscendenza. Ragionò,
che Dio aveva dato a san Pietro, ed a' suoi successori il primato
d'onore e di giurisdizione; ma i consiglieri ecclesiastici, procedendo
con questa generalità, e non venendo a nissuna particolarità, non si
spiegavano, in che cosa consistesse questo primato di giurisdizione,
perchè in ciò appunto stava tutta la difficoltà della materia venuta in
controversia; che Dio diede al tempo stesso agli apostoli, continuavano
i consiglieri, la facoltà di reggere le Chiese, con subordinazione però
al capo degli apostoli: dal che ne risultava, che ove questa
subordinazione non si offendesse, avevano i successori degli apostoli
pieno mandato di governar le Chiese.
Non potere, statuirono, il papa ricusare il suo intervento negli affari
spirituali per cagione dei temporali, quando questi di tale natura non
siano, che non impediscano il pontefice di far uso della sua autorità
liberamente, e con piena independenza: convenirsi, che nel concistoro
intervengano cardinali di ogni nazione, ma dello speciale modo non
convenirsi deffinire, dovendosi lasciare qualche libertà al papa nella
elezione de' suoi consiglieri; nè in ciò potersi andar più oltre che il
concilio Basileense ebbe prescritto, cioè eleggesse il papa cardinali di
tutte le nazioni, quanto più comodamente fare si potesse, e secondochè
se ne trovassero dei degni. Ma prelati tostamente contraddissero a
questa soluzione, nè potevano fare altrimenti, dichiarando, veramente
avere l'imperatore raccolti in se stesso tutti i diritti del richieder
cardinali, che competevano ai re di Francia, ai principi del Brabante,
ai sovrani della Lombardìa, del Piemonte, e della Toscana; dal che ne
conseguitava, che, eccettuati i cardinali degli stati ereditarj
d'Austria, dovendo presto aggiungersi i diritti di Spagna, tutti i
cardinali gli avrebbe nominati egli; e che independenza di papa e di
concistoro fosse quella, ponendo eziandìo che il papa si restituisse a
Roma, ed al dominio temporale, nissuno è, che nol veda.
Il concordato, opinarono, non essere stato violato in niuna essenziale
parte dell'imperatore; qui i prelati si trovarono a un duro cimento,
perchè sapevano che il papa aveva protestato contro gli articoli
organici di Francia, e più ancora contro quei d'Italia. Trovarono per
iscampo, che parecchj articoli, di cui s'era il pontefice querelato,
erano massime ed usi della chiesa gallicana. Assai migliorata essere,
risposero, la condizione del clero in Francia dopo il concordato, ed in
questo avevano i prelati ogni ragione, nè tanto non dissero, che non
potessero dire molto più.
Per sentenziare se il papa di suo proprio arbitrio potesse rifiutare le
instituzioni, i prelati s'aggirarono per molti ragionamenti;
imperciocchè in questo giaceva tutto il nodo della difficoltà: che il
concordato, esposero, era un contratto sinallagmatico tra il capo dello
stato, e il capo della chiesa, pel quale ciascuno di loro si era
obbligato verso l'altro; che era anche un trattato politico di sommo
momento per la nazione Francese, e per la chiesa cattolica, che per lui
Sua Maestà era investita del diritto di nominare gli arcivescovi ed i
vescovi, di cui prima godevano i re di Francia pel concordato concluso
tra Leone decimo e Francesco primo, ed era riserbato al papa quello di
dare l'instituzione canonica agli arcivescovi e vescovi nominati da Sua
Maestà, secondo le forme accordate, rispetto alla Francia, prima del
cambiamento di governo, ma che il papa, non di proprio arbitrio, ma
secondo i canoni doveva dare la instituzione, che a termini del
concordato del millecinquecento quindici egli era obbligato a dar le
bolle, od allegare motivi canonici del suo rifiuto; a volere ch'egli
potesse rifiutare senza cagione, ed arbitrariamente le bolle, e
bisognerebbe supporre, che da nissun trattato fosse obbligato, neanco da
quello al quale aveva solennemente ratificato, e potesse mancar della
fede data all'imperatore, alla Francia, ed alla Chiesa tutta, alla quale
il concordato dell'ottocento uno assicurava la protezione del più
potente sovrano del mondo. Aggiungevano i prelati, sapersi il papa
queste cose, confessare la verità dei narrati principj, ma negare le
instituzioni pei motivi addotti nella sua lettera al cardinal Caprara:
insussistenti essere questi motivi, non avere l'imperatore alcuna offesa
di importanza fatta al concordato: dei motivi politici non poter loro
giudicare; diverse essere le temporali cose, diverse le spirituali; il
senatus-consulto, che unì Roma alla Francia, non avere offeso l'autorità
spirituale del papa, nè il temporale dominio essere necessario
all'esercizio della potestà pontificia; non avere la presa di Roma
violato il concordato, nè il concordato aver dato sicurtà al papa di
Roma; non come principe temporale, ma come capo della Chiesa avere quel
solenne atto stipulato; il principe non esser più, ma essere il
pontefice, e la pontificia autorità rimanersi intatta; avere potuto il
papa protestare, potuto richiamarsi della Romana possessione, ma non
potere usar mezzi per ridurre in atto le proteste ed i richiami, non
iscomunicare; dichiarare l'imperatore, che nulla voleva innovare nella
religione; protestarsi che voleva l'esecuzione dei patti convenuti; non
potere per motivi temporali tirarsi il papa indietro; nè Clemente
settimo da Carlo quinto oltraggiato essere venuto a tale estremo.
Restava che i prelati parlassero della libertà violata, della perfetta
segregazione del pontefice; posciachè il papa di tali ingiurie si era
doluto nella sua lettera al Caprara, e sopra di esse principalmente
fondava il rifiuto delle bolle. A questo passo con brevissime parole
osservarono, che facilmente l'imperatore s'accorgerebbe di tutta la
forza e giustizia delle lagnanze del papa. Con questo freddo discorso
favellarono prelati cattolici, prelati che da Pio tenevano i seggi loro,
dell'atroce caso del pontefice, nè in ciò sono a modo alcuno scusabili;
conciossiachè, posto eziandio, che circa la questione canonica
l'imperatore avesse ragione, il papa torto, il fatto solo della
carcerazione del pontefice rendeva dal canto loro ogni opinare
impossibile. Il concordato, che era un vero trattato, supponeva equalità
di condizione nelle due parti, e libertà di deliberazione sì nell'una
che nell'altra: ma quale libertà di deliberazione fosse in un papa
prigioniero, e quale equalità di condizione tra un papa carcerato ed un
imperatore carcerante, ciascuno potrà facilmente da per se stesso
giudicare. Certamente debbe stare inconcussa la libertà dei principi,
debbonsi troncar le strade agli abusi pontificj, e chi arrivasse a
stabilir bene questo punto, meriterebbe bene del mondo cattolico, anzi
di tutta l'umanità. Ma la carcerazione del pontefice turbava ogni cosa,
e prima di trattare la questione canonica, si doveva definir quella
della liberazione.
La materia, quanto più si va oltre, tanto più si stringe. Non potere,
risposero i prelati, aversi il concordato per abrogato, perchè non era
già esso una transazione meramente personale fra l'imperatore e il papa,
bensì un trattato che costituiva parte del dritto pubblico di Francia,
ed in cui si contenevano i principj fondamentali, e le regole del
governo della chiesa gallicana; importare adunque, che, quandanche il
papa perseverasse, in quanto a lui si atteneva, nel non volerlo
eseguire, la sua esecuzione continuamente si addomandasse, e della
medesima il sovrano pontefice si richiedesse: ma se il papa tuttavia
perseverasse nel ricusar le bolle, doversi protestare contro questo
rifiuto illegale, ed appellarne o al papa meglio informato, o al suo
successore. Quivi i prelati erano arrivati all'estremo passo; perchè o
che il concordato come abrogato, o solamente come sospeso si riputasse,
un rimedio diveniva necessario. Ora, stantechè la religione cattolica
non può sussistere senza l'episcopato, e l'episcopato non si può avere
senza la instituzione canonica, nè senza la giurisdizione unita
all'ordine, e stante ancora che la chiesa gallicana, parte tanto nobile
e tanto essenziale della Cristianità cattolica, venuta, non per sua
colpa, in queste fatali strette, non doveva e non poteva nè abbandonare
se stessa, nè lasciarsi perire, nè non trovar modi di conservazione, i
prelati opinarono, e così all'imperatore rappresentarono, che si
ricercasse quanto negli antichi tempi della chiesa, ed in quelli più
vicini si fosse praticato. Descrissero, nei primi secoli della Chiesa, i
vescovi essere stati nominati dai suffragi dei vescovi conprovinciali,
dal clero, e dal popolo della chiesa che del vescovo abbisognava; essere
stata la elezione confermata dal metropolitano, o se del metropolitano
si trattasse, dal concilio della provincia: nella serie dei tempi
posteriori poi, avere gl'imperatori, o gli altri principi cristiani
grandemente partecipato nelle nomine dei vescovi: di grado in grado non
essersi più chiamati alle elezioni il popolo ed il clero della campagna,
e devolute essere le elezioni al capitolo della chiesa cattedrale, ferma
sempre però stando la necessità del consenso del principe, e della
conferma del metropolitano, o del concilio provinciale: la disusanza di
queste assemblee, le contese frequenti, che nascevano dalle elezioni, la
difficoltà di terminarle sui luoghi, il vantaggio che trovavano i
principi di trattare immediatamente col papa, avere introdotto l'uso di
promuovere queste cause innanzi alla santa sede, e per tal modo essere i
sovrani pontefici appoco appoco venuti in possessione del confermare la
maggior parte dei vescovi: tale essere stata la condizione delle
cose ai tempi del concilio Basileense, di cui la Chiesa di Francia
accettò i decreti relativi alla nomina, ed alla confermazione dei
vescovi, e statuiti per la sanzione prammatica di Bourges nel
millequattrocentotrent'otto; per lei essersi mantenute le elezioni
capitolari, e la confermazione, o instituzione lasciata ai
Metropolitani: così colla prammatica di Bourges essersi rimediato alla
mancanza dell'instituzione pontificia: essere poscia circa un secolo
dopo, sorto il concordato fra Leone decimo e Francesco primo, dal quale
la nomina del re fu sostituita alla elezione capitolare, e la conferma,
od instituzione canonica riservata al papa: per tale forma essersi
trasfusa la potestà dell'instituzione dai metropolitani, e dai concilj
provinciali nel sovrano pontefice, e le elezioni capitolari nel capo
temporale dello stato. Ora adunque, ristringendo il discorso loro,
dicevano i prelati, poichè la necessità non ha legge, e la conservazione
della chiesa gallicana da ogni umana e divina legge è non solo
raccomandata, ma comandata, volersi, persistendo il papa nei rifiuti,
tornare all'antico dritto dei metropolitani, non per sempre nè
definitivamente, ma temporaneamente e transitoriamente, insino a che
piacesse a chi muove a posta sua gli umani cuori, voltar quello del
pontefice in meglio verso di quella grande, affezionata, e zelante
gallicana chiesa: la prammatica disusata di Bourges avere ad essere il
rimedio dei mali presenti. Grave ed enorme passo era questo: però
aggiunsero al parer loro i prelati, opinare, che si convocasse un
concilio nazionale: non volere i prelati giudicare anticipatamente delle
risoluzioni del concilio, ma presumere, che nel caso in cui egli
sentenziasse di risuscitare la prammatica, supplicherebbe prima il
pontefice, e scongiurerebbelo, che della gallicana chiesa gli calesse,
ed a lei la vita coi vescovi ridonasse; ma se nè le preci, nè le
supplicazioni potessero vincere l'ostinazione del pontefice,
decreterebbe il concilio, per ultima necessità, e per non perire, che la
prammatica si rinnovasse.
Intanto le dottrine dei partigiani dell'antica disciplina vieppiù si
spargevano, le Italiane contrade principalmente ne risuonavano. Coloro
che a queste opinioni erano addetti, credevano essere venuto il tempo
ch'elleno avessero a prevalere, si rallegravano della diminuzione
dell'autorità pontificia, ed affermavano ch'ella era medicina non
solamente utile, ma ancora necessaria al corpo infermissimo, come il
chiamavano, della Chiesa. La ricordanza del milleottocentuno, e ciò, che
era accaduto al concilio di Parigi in quell'anno, non gli rendevano
accorti del procedere e delle intenzioni di Napoleone: che il corpo,
spargevano, dei vescovi esercenti, rappresentasse la Chiesa, e fosse per
rappresentarla finchè ella durasse; che attentato condannabile dei papi
degli ultimi tempi fosse l'aver voluto diminuire e frenare la potestà
divina dei vescovi; che la potestà inerente al carattere dei vescovi
immediatamente, e senza che nissuna umana potestà potesse arrogarsi il
diritto di alterarla, derivasse da Gesù Cristo; che non mai potesse la
giurisdizione episcopale perire, che i concilj prima del mille non
avessero mai voluto riconoscere per veri e legittimi vescovi, se non
quelli che dai rispettivi metropolitani erano stati ordinati; che così
avevano statuito, così definito i concilj Niceni, tanto venerati in quei
primi e purissimi tempi della cristiana comunità; che le massime
contrarie solamente dai concilj Lateranensi, concilj quasi domestici dei
papi, erano state introdotte; che insomma, continuavano, i metropolitani
dovessero dare la giurisdizione ai vescovi; che l'arrogarsi i papi di
volerla dar soli, fosse usurpazione; che avesse Dio dato a Pietro il
primato d'onore, e la potestà suprema di regolare e mantener sana la
disciplina, sana la fede in tutte le chiese che la universale
compongono, ma non il privilegio di giurisdizione nel caso di cui si
tratta: che la potestà di giurisdizione, per quanto spetta alla
transmissione della potestà ecclesiastica, fosse in ciascun vescovo, per
diritto ed ordinazione divina, piena, come piena era nel supremo
pontefice; così avere ordinato Cristo Redentore nel dare ai vescovi la
facoltà di reggere le chiese, così richiedere la sicurezza degli stati,
e l'independenza della potestà temporale. È giusto forse, sclamavano, è
conveniente, è consentaneo alla divina volontà, che i papi possano, con
mettere l'interdetto, o a continuazione dell'episcopato ricusando,
turbare le coscienze dei fedeli, sconvolgere le province, e i regni? Non
è assurdo il supporre, che Dio non abbia dato a ciascuna società il
mezzo di conservarsi sana e salva da se stessa? E che sicurezza, e che
salute può esservi, se elleno da un forestiero dipendono? Varj e diversi
essere stati i modi immaginati dai principi per preservare gli stati
proprj dai pericoli, che a loro sovrastavano pei decreti della Romana
sede, ora prammatiche, ora appelli, ora concordati: ma tutti essere
stati insufficienti, perchè sempre si lasciò sussistere la radice del
male, cioè l'eccessiva ed illegittima potenza dei papi: ripullulare i
pericoli e le turbazioni ad ogni Romano capriccio, concepir timore gli
animi ad ogni elevazione di papa, un cardinale di più o di meno nel
pontificio concistoro poter mandar sossopra una provincia intiera:
essere oggimai tempo di strigarsi da questi fino allora inestricabili
lacci; la Romana tirannide doversi conculcare, ora che un principe
potentissimo il voleva; restituissesi all'episcopato tutta la sua
dignità, tutta la sua potenza; l'independenza da Roma sarebbe la libertà
universale; sarebbe altresì la purezza delle dottrine cattoliche;
perciocchè l'avere mescolato le cose temporali con le spirituali, che fu
fonte di tanti scandali, e di un deplorabile scisma, essere stato opera
di Roma; fosse la religione tutta spirituale, e non turberebbe gli
stati, nè darebbe cagione ai malevoli di denigrarla, e più imperio
avrebbe e quelli stessi che in lei non credevano, rispettata
l'avrebbero: la cristianità cattolica tuttavia piangere la perduta
Germania, la perduta Inghilterra; tale doloroso smembramento alla
prepotenza di Roma, alle usurpazioni dei papi, alle temporali cupidigie
loro doversi certamente ed unicamente scrivere: tornassesi adunque,
predicavano, a quel sistema, che stabilito da Cristo e dagli apostoli
aveva durato per tanti secoli nella primitiva Chiesa, che gli uomini più
pii, più dotti, più esemplari avevano sempre inculcato, e coi più
intensi desiderj loro chiamato: da lui solo poter derivare la purezza
della religione, e la incolumità degli stati. Vivevano ancor fresche,
massime in Italia, le onorate memorie di Leopoldo e di Ricci: non pochi
ecclesiastici, anche di prima condizione, e per dottrina e per virtù
compitissimi, vi seguitavano le medesime vestigia, e sostenevano le
medesime dottrine; non per ambizione nè per desiderio di servire a chi
allora tutti servivano, e principalmente gli avversari loro, ma per
convinzione propria, per ritirar la Chiesa, come credevano, all'antica
sua constituzione, per riformarne gli abusi, per rinstaurare e
confermare la libertà dei principi offesa dalla potenza immoderata dei
papi.
Queste sparse dottrine piacevano a Napoleone, perchè gli davano
occasione d'intimorire il papa e speranza di ridurlo a sua volontà; nè
dispiacevano agli arcivescovi ed ai vescovi amatori dell'independenza:
quel Romano giogo già pareva loro grave ed intollerabile; quel diventar
papi essi sommamente a loro arrideva. Le cose andavano a satisfazione di
Napoleone in quanto si atteneva agli ecclesiastici dei suoi stati.
Vinceva il papa non solamente per la costanza, ma ancora per la
disgrazia, sempre potente nel cuore degli uomini. Nè i suoi teologi
tacevano, benchè Napoleone si fosse sforzato di por loro un duro freno
in bocca. Difendevano la sedia apostolica e Romana, non solamente contro
le dottrine di Porto Reale e di Pistoja, ma ancora contro le allegazioni
del consiglio ecclesiastico. Avere, andavano ragionando, Cristo
fondatore sopra Pietro fondato tutto l'edifizio della religione; a lui
avere dato primato d'onore, a lui primato di giurisdizione, per lui
tutta l'autorità della Chiesa, e per lui solo potersi e doversi
tramandare, e trasfondere in altrui: avere per verità Cristo salvatore
posto i vescovi a governar la Chiesa, ma non per se medesimi, nè
independentemente da Pietro, ma per mandato suo, e sotto la sua
dipendenza: Pietro essere il fonte di tutti i rivi, lui il fonte di ogni
ecclesiastica potestà; avere per la necessità dei tempi in quei primi
secoli, fra una religione contraria, fra le persecuzioni continue, fra
un popolo padrone del mondo, che altri Dei confessava ed adorava, fra
tante nazioni diverse, e nel vasto campo d'Asia, d'Africa e d'Europa,
avere prima gli apostoli per instituzione divina, poscia i vescovi per
instituzione apostolica usato la loro autorità senza mandato espresso di
Pietro, ma però lui consenziente, imperciocchè non è da credersi, che
per condurre una così gran mole, gli apostoli ed i loro successori non
si siano accordati, acciocchè a questo ed a quello, senza confusione e
senza conflitto, questa o quella provincia fosse di consenso comune
devoluta: ciò non ostante rimanere fisso ed inconcusso questo principio,
che Pietro aveva un mandato ordinario e perpetuo, gli apostoli un
mandato straordinario e caduco da finirsi in loro, o nei successori loro
immediati; che quello aveva avuto un mandato per istabile fondamento, e
perpetuo governo della Chiesa, questi un mandato temporaneo per la
necessità dei tempi; che, cessata questa necessità, tornava il mandato
sparso negli apostoli e loro successori immediati al fonte comune, vale
a dire ai successori di Pietro; che così la Chiesa nata da un solo
tornava in un solo: mirabile, e divino artifizio. Del rimanente anche
nella più rimota antichità apparire i segni della trasfuzione del
mandato di Pietro nei rettori delle altre chiese del mondo: l'ordine
stesso dei metropolitani confermare questa verità; perchè a quei tempi
antichissimi era il mondo diviso, per rispetto alla cristianità, in
Oriente ed Occidente; due erano nel primo i metropolitani, quei di
Alessandria e di Antiochia, uno nel secondo, quel di Roma; comunicavano
il mandato ecclesiastico; cioè l'ordine e la giurisdizione, la qualità e
il luogo, i due metropolitani d'Oriente ai vescovi delle loro rispettive
province, il metropolitano d'Occidente, successore di san Pietro, a
quelli d'Occidente; ma i primi da Pietro nell'origine prima avevano
ricevuto le potestà loro: imperciocchè aveva governato egli stesso la
chiesa d'Antiochia, ed a lei dato un successore, quando venne a fondare
e governare quella di Roma: rispetto alla chiesa d'Alessandria, avere
Pietro mandato a governarla san Marco, suo discepolo, ma se la origine
scopre il mandato, gli accidenti posteriori il confermano; perchè i
Romani pontefici, successori di Pietro, ai metropolitani d'Oriente
mandavano il pallio, segno della conferita autorità; essi metropolitani
addomandavano la comunione ai pontefici di Roma, e senza la ottenuta
comunione non si credevano legittimi. Sonsi anche veduti Romani
pontefici deporre metropolitani d'Oriente, o patriarchi, perchè con
questo nome poscia si chiamarono: a tutti questi segni, affermavano i
curialisti di Roma, riconoscersi la superiorità Romana fin dai tempi
primitivi; dal che si deduce la pienezza e la perpetuità del mandato nei
papi, la dipendenza e la delegazione nei metropolitani. Ne conseguita
altresì, che poichè tutta l'autorità spirituale consiste nella facoltà
del trasmettere il mandato di Cristo, il diritto di confermare e
d'instituire tutti i vescovi della Chiesa è supremo, e divino e
conseguentemente inalienabile, imperscrittibile, non soggetto a
interruzione, ad eccezione, e cessazione alcuna, e che a lui niuna
inibizione di comunicare con alcuna chiesa dell'impero, nè con alcun
suddito dell'imperatore sotto le pene di disubbidienza tanto per lui,
quanto per loro; che cessava di essere l'organo della Chiesa colui che
predicava la ribellione, colui che aveva l'anima tinta di fiele; che
poichè niuna cosa il poteva far savio, se gli faceva a sapere, che sua
Maestà abbastanza era forte, perchè potesse far quello che i suoi
antecessori avevano fatto, e deporre un papa.
Si credeva a Parigi che i comandamenti ripetuti avessero maggior forza.
Per la qual cosa Bigot di Préameneu novellamente inculcava, si intimasse
a Pio, che per cagion sua i cardinali, ed i vicari generali perdevano la
libertà, i canonici le prebende; che queste occulte trame erano indegne
di un papa; ch'egli sarebbe cagione delle disgrazie di tutti coloro, che
avrebbero a far con lui; che dichiarato nemico dell'imperatore doveva
quietamente starsene, e poichè da sè si chiamava carcerato, operare come
se fosse carcerato, nè avere con nissuno pratica o corrispondenza; che
gran disgrazia era per la Cristianità lo avere un papa così ignorante di
quanto è dovuto ai sovrani: che del resto, non sarebbe la pace dello
stato turbata, e che il bene si farebbe senza di lui.
Oltre i comandamenti del ministro dei culti, e del principe governatore
del Piemonte, perciocchè tutto il governo Napoleonico era mosso contro
il prete di Savona, intuonava dalle sponde dell'investigatrice e
dispotica Senna la polizia, si guardasse bene dentro e fuori della
pontificia abitazione; si stillasse tutto, si spiasse tutto; niuna cosa,
per minima che fosse, trapelare, o, per usare le parole stesse, filtrare
potesse, senza che la polizia la sapesse; si guardasse attentamente al
grande, si guardasse colla medesima gelosìa al minuto; non si prestasse
fede di tutto a tutti, ma solo ai più fidi; se alcuno mentisse, fosse
punito; se alcuno dicesse la verità, fosse ricompensato; vigilante fosse
la investigazione, e continua, ma invisibile, fosse anche proteiforme;
fossero gli agenti di tutte le lingue, di tutte le forme, di tutti i
mestieri, varj ed infiniti i pretesti, ma sempre naturali, perchè il
lambiccato svela l'arte; si usasse ogni astuzia, ogni strattagemma, ogni
scaltrimento; superassersi in astuzia, queste parole stesse portavano le
lettere, i preti, anche i più maliziosi; si avesse l'occhio massimamente
alle strade da Savona a Torino, perchè là era il marcio; si guardasse
addosso ai pedoni molto diligentemente, e per ogni parte si
ricercassero; non mancherebbero i pretesti per non dar sospetto; ora si
motivasse di un vagabondo, ora di uno scappato di galera, qui si
cercasse un soldato fuggitivo, là un truffatore condannato, poi un po'
di scusa velerebbe il segreto: le Savonesi terre desolate dalla polizia.
Voleva ancora, essa polizia, si procurasse, che pei concorsi d'uomini o
di alta o di bassa condizione, gli autorevoli e di buona favella
intendessero alle persuasioni, dicendo, che l'imperatore aveva ragione,
il papa torto; che più amava l'imperatore la religione, che il papa
l'amasse. Insinuava altresì, che le sacristìe ed i confessionali
farebbero servizj grandi, se si facesse sentire ai curati instrutti, ed
ai preti giurati, che la loro obbedienza e sommessione erano conosciute,
e che sarebbero anche premiate; se qualche canonico, o se qualche
regolare passato a vita secolare compiangesse o titubasse, se gli
facesse tosto suonare all'orecchie l'interesse personale, la perdita
delle pensioni, e che la polizia sapeva tutto; se qualcheduno
ricalcitrasse, si mettesse in luogo dove gli passerebbe voglia;
finalmente con ogni sorta di cortesi dimostrazioni, tanto in pubblico,
quanto in privato si accarezzassero, ed al ministro dei culti si
raccomandassero gli ecclesiastici che si mostrassero più fedeli, che
usassero l'autorità loro per ridurre i compagni a fedeltà, e che
predicassero che ogni potestà temporale viene da Dio, e che il Vangelo
insegna e raccomanda l'obbedienza e la sommessione verso i principi;
ponessesi mente ad operare che tutti gli spiriti s'imbevessero di
quest'opinione, che l'imperatore non tornava mai indietro, che per la
sua munificenza infinita sempre premiava chi fedelmente e devotamente il
serviva, ma che per la sua giustizia mai non perdonava a chi denigrasse,
a chi ricalcitrasse, a chi dissidj e discordie seminasse.
Queste che abbiamo raccontate, furono le cautele poste in opera dai
Napoleonici per murare il papa, e per fare, che nissuno sapesse, o
dicesse, o facesse altro che quello che piaceva a Napoleone. Arti
veramente perfette erano queste, e da servir per esemplare a chi ama il
comandare da se. L'imperatore veduto che nè le persuasioni, nè le
minacce, nè gli spaventi, nè la strettezza del carcere non avevano
potuto piegare l'animo del pontefice, e credendo, per le opinioni dei
popoli, di non potere da se, e senza che gli estremi mezzi prima si
fossero tentati, fare questa gravissima mutazione, che i vescovi di
Francia, e di tutti i paesi sudditi a lui più non ricevessero la
instituzione canonica della sede apostolica, si era risoluto ad usare
più efficacemente il sussidio del consiglio ecclesiastico adunato in
Parigi. Opinava, che il parere di ecclesiastici di grado o di dottrina,
fosse per operare fortemente in favor suo sulla mente dei popoli, caso
che per la necessità delle cose si avesse a rompere quel legame, che
congiungeva l'episcopato Francese alla Chiesa di San Pietro.
Inoltre, a ciò consigliato, e stimolato principalmente dal consiglio
ecclesiastico, si era deliberato a convocare un concilio nazionale a
Parigi; acciocchè considerasse la necessità presente, e proponesse i
mezzi di rimediarvi. Dava favore a questo suo pensiero, oltre la maggior
autorità di un concilio, la speranza che i vescovi Italiani chiamati
all'assemblea, siccome nutriti, la maggior parte, nelle dottrine che
abbracciate in Italia da molti dotti canonisti, avevano negli ultimi
tempi trovato una principal sede in Pistoia, avrebbero deliberato in
favor d'un'opinione, che, quanto alla trasmissione dell'episcopato,
pareva conforme agli usi antichi della Chiesa primitiva.
Ordinate in tal modo le cose, e sicuro di quello che dovesse avvenire,
Napoleone stimolava il consiglio ecclesiastico; acciocchè desse
principio a quanto si era ordinato. In primo luogo rispondeva il
consiglio, non senza molt'arte, a quesiti fatti con maggior arte. Quanto
all'articolo, se il governo della Chiesa fosse arbitrario, dichiarò che
non era; che quanto alla fede, la santa scrittura, la tradizione, ed i
concili servivano di regola; e quanto alla disciplina, l'universale
reggevano i decreti della Chiesa universale, la particolare quelli delle
Chiese particolari; il che il consiglio non diceva senza cagione.
Aggiunse, che la disciplina particolare era sempre stata rispettata
dalla Chiesa universale, piena di carità e di condiscendenza. Ragionò,
che Dio aveva dato a san Pietro, ed a' suoi successori il primato
d'onore e di giurisdizione; ma i consiglieri ecclesiastici, procedendo
con questa generalità, e non venendo a nissuna particolarità, non si
spiegavano, in che cosa consistesse questo primato di giurisdizione,
perchè in ciò appunto stava tutta la difficoltà della materia venuta in
controversia; che Dio diede al tempo stesso agli apostoli, continuavano
i consiglieri, la facoltà di reggere le Chiese, con subordinazione però
al capo degli apostoli: dal che ne risultava, che ove questa
subordinazione non si offendesse, avevano i successori degli apostoli
pieno mandato di governar le Chiese.
Non potere, statuirono, il papa ricusare il suo intervento negli affari
spirituali per cagione dei temporali, quando questi di tale natura non
siano, che non impediscano il pontefice di far uso della sua autorità
liberamente, e con piena independenza: convenirsi, che nel concistoro
intervengano cardinali di ogni nazione, ma dello speciale modo non
convenirsi deffinire, dovendosi lasciare qualche libertà al papa nella
elezione de' suoi consiglieri; nè in ciò potersi andar più oltre che il
concilio Basileense ebbe prescritto, cioè eleggesse il papa cardinali di
tutte le nazioni, quanto più comodamente fare si potesse, e secondochè
se ne trovassero dei degni. Ma prelati tostamente contraddissero a
questa soluzione, nè potevano fare altrimenti, dichiarando, veramente
avere l'imperatore raccolti in se stesso tutti i diritti del richieder
cardinali, che competevano ai re di Francia, ai principi del Brabante,
ai sovrani della Lombardìa, del Piemonte, e della Toscana; dal che ne
conseguitava, che, eccettuati i cardinali degli stati ereditarj
d'Austria, dovendo presto aggiungersi i diritti di Spagna, tutti i
cardinali gli avrebbe nominati egli; e che independenza di papa e di
concistoro fosse quella, ponendo eziandìo che il papa si restituisse a
Roma, ed al dominio temporale, nissuno è, che nol veda.
Il concordato, opinarono, non essere stato violato in niuna essenziale
parte dell'imperatore; qui i prelati si trovarono a un duro cimento,
perchè sapevano che il papa aveva protestato contro gli articoli
organici di Francia, e più ancora contro quei d'Italia. Trovarono per
iscampo, che parecchj articoli, di cui s'era il pontefice querelato,
erano massime ed usi della chiesa gallicana. Assai migliorata essere,
risposero, la condizione del clero in Francia dopo il concordato, ed in
questo avevano i prelati ogni ragione, nè tanto non dissero, che non
potessero dire molto più.
Per sentenziare se il papa di suo proprio arbitrio potesse rifiutare le
instituzioni, i prelati s'aggirarono per molti ragionamenti;
imperciocchè in questo giaceva tutto il nodo della difficoltà: che il
concordato, esposero, era un contratto sinallagmatico tra il capo dello
stato, e il capo della chiesa, pel quale ciascuno di loro si era
obbligato verso l'altro; che era anche un trattato politico di sommo
momento per la nazione Francese, e per la chiesa cattolica, che per lui
Sua Maestà era investita del diritto di nominare gli arcivescovi ed i
vescovi, di cui prima godevano i re di Francia pel concordato concluso
tra Leone decimo e Francesco primo, ed era riserbato al papa quello di
dare l'instituzione canonica agli arcivescovi e vescovi nominati da Sua
Maestà, secondo le forme accordate, rispetto alla Francia, prima del
cambiamento di governo, ma che il papa, non di proprio arbitrio, ma
secondo i canoni doveva dare la instituzione, che a termini del
concordato del millecinquecento quindici egli era obbligato a dar le
bolle, od allegare motivi canonici del suo rifiuto; a volere ch'egli
potesse rifiutare senza cagione, ed arbitrariamente le bolle, e
bisognerebbe supporre, che da nissun trattato fosse obbligato, neanco da
quello al quale aveva solennemente ratificato, e potesse mancar della
fede data all'imperatore, alla Francia, ed alla Chiesa tutta, alla quale
il concordato dell'ottocento uno assicurava la protezione del più
potente sovrano del mondo. Aggiungevano i prelati, sapersi il papa
queste cose, confessare la verità dei narrati principj, ma negare le
instituzioni pei motivi addotti nella sua lettera al cardinal Caprara:
insussistenti essere questi motivi, non avere l'imperatore alcuna offesa
di importanza fatta al concordato: dei motivi politici non poter loro
giudicare; diverse essere le temporali cose, diverse le spirituali; il
senatus-consulto, che unì Roma alla Francia, non avere offeso l'autorità
spirituale del papa, nè il temporale dominio essere necessario
all'esercizio della potestà pontificia; non avere la presa di Roma
violato il concordato, nè il concordato aver dato sicurtà al papa di
Roma; non come principe temporale, ma come capo della Chiesa avere quel
solenne atto stipulato; il principe non esser più, ma essere il
pontefice, e la pontificia autorità rimanersi intatta; avere potuto il
papa protestare, potuto richiamarsi della Romana possessione, ma non
potere usar mezzi per ridurre in atto le proteste ed i richiami, non
iscomunicare; dichiarare l'imperatore, che nulla voleva innovare nella
religione; protestarsi che voleva l'esecuzione dei patti convenuti; non
potere per motivi temporali tirarsi il papa indietro; nè Clemente
settimo da Carlo quinto oltraggiato essere venuto a tale estremo.
Restava che i prelati parlassero della libertà violata, della perfetta
segregazione del pontefice; posciachè il papa di tali ingiurie si era
doluto nella sua lettera al Caprara, e sopra di esse principalmente
fondava il rifiuto delle bolle. A questo passo con brevissime parole
osservarono, che facilmente l'imperatore s'accorgerebbe di tutta la
forza e giustizia delle lagnanze del papa. Con questo freddo discorso
favellarono prelati cattolici, prelati che da Pio tenevano i seggi loro,
dell'atroce caso del pontefice, nè in ciò sono a modo alcuno scusabili;
conciossiachè, posto eziandio, che circa la questione canonica
l'imperatore avesse ragione, il papa torto, il fatto solo della
carcerazione del pontefice rendeva dal canto loro ogni opinare
impossibile. Il concordato, che era un vero trattato, supponeva equalità
di condizione nelle due parti, e libertà di deliberazione sì nell'una
che nell'altra: ma quale libertà di deliberazione fosse in un papa
prigioniero, e quale equalità di condizione tra un papa carcerato ed un
imperatore carcerante, ciascuno potrà facilmente da per se stesso
giudicare. Certamente debbe stare inconcussa la libertà dei principi,
debbonsi troncar le strade agli abusi pontificj, e chi arrivasse a
stabilir bene questo punto, meriterebbe bene del mondo cattolico, anzi
di tutta l'umanità. Ma la carcerazione del pontefice turbava ogni cosa,
e prima di trattare la questione canonica, si doveva definir quella
della liberazione.
La materia, quanto più si va oltre, tanto più si stringe. Non potere,
risposero i prelati, aversi il concordato per abrogato, perchè non era
già esso una transazione meramente personale fra l'imperatore e il papa,
bensì un trattato che costituiva parte del dritto pubblico di Francia,
ed in cui si contenevano i principj fondamentali, e le regole del
governo della chiesa gallicana; importare adunque, che, quandanche il
papa perseverasse, in quanto a lui si atteneva, nel non volerlo
eseguire, la sua esecuzione continuamente si addomandasse, e della
medesima il sovrano pontefice si richiedesse: ma se il papa tuttavia
perseverasse nel ricusar le bolle, doversi protestare contro questo
rifiuto illegale, ed appellarne o al papa meglio informato, o al suo
successore. Quivi i prelati erano arrivati all'estremo passo; perchè o
che il concordato come abrogato, o solamente come sospeso si riputasse,
un rimedio diveniva necessario. Ora, stantechè la religione cattolica
non può sussistere senza l'episcopato, e l'episcopato non si può avere
senza la instituzione canonica, nè senza la giurisdizione unita
all'ordine, e stante ancora che la chiesa gallicana, parte tanto nobile
e tanto essenziale della Cristianità cattolica, venuta, non per sua
colpa, in queste fatali strette, non doveva e non poteva nè abbandonare
se stessa, nè lasciarsi perire, nè non trovar modi di conservazione, i
prelati opinarono, e così all'imperatore rappresentarono, che si
ricercasse quanto negli antichi tempi della chiesa, ed in quelli più
vicini si fosse praticato. Descrissero, nei primi secoli della Chiesa, i
vescovi essere stati nominati dai suffragi dei vescovi conprovinciali,
dal clero, e dal popolo della chiesa che del vescovo abbisognava; essere
stata la elezione confermata dal metropolitano, o se del metropolitano
si trattasse, dal concilio della provincia: nella serie dei tempi
posteriori poi, avere gl'imperatori, o gli altri principi cristiani
grandemente partecipato nelle nomine dei vescovi: di grado in grado non
essersi più chiamati alle elezioni il popolo ed il clero della campagna,
e devolute essere le elezioni al capitolo della chiesa cattedrale, ferma
sempre però stando la necessità del consenso del principe, e della
conferma del metropolitano, o del concilio provinciale: la disusanza di
queste assemblee, le contese frequenti, che nascevano dalle elezioni, la
difficoltà di terminarle sui luoghi, il vantaggio che trovavano i
principi di trattare immediatamente col papa, avere introdotto l'uso di
promuovere queste cause innanzi alla santa sede, e per tal modo essere i
sovrani pontefici appoco appoco venuti in possessione del confermare la
maggior parte dei vescovi: tale essere stata la condizione delle
cose ai tempi del concilio Basileense, di cui la Chiesa di Francia
accettò i decreti relativi alla nomina, ed alla confermazione dei
vescovi, e statuiti per la sanzione prammatica di Bourges nel
millequattrocentotrent'otto; per lei essersi mantenute le elezioni
capitolari, e la confermazione, o instituzione lasciata ai
Metropolitani: così colla prammatica di Bourges essersi rimediato alla
mancanza dell'instituzione pontificia: essere poscia circa un secolo
dopo, sorto il concordato fra Leone decimo e Francesco primo, dal quale
la nomina del re fu sostituita alla elezione capitolare, e la conferma,
od instituzione canonica riservata al papa: per tale forma essersi
trasfusa la potestà dell'instituzione dai metropolitani, e dai concilj
provinciali nel sovrano pontefice, e le elezioni capitolari nel capo
temporale dello stato. Ora adunque, ristringendo il discorso loro,
dicevano i prelati, poichè la necessità non ha legge, e la conservazione
della chiesa gallicana da ogni umana e divina legge è non solo
raccomandata, ma comandata, volersi, persistendo il papa nei rifiuti,
tornare all'antico dritto dei metropolitani, non per sempre nè
definitivamente, ma temporaneamente e transitoriamente, insino a che
piacesse a chi muove a posta sua gli umani cuori, voltar quello del
pontefice in meglio verso di quella grande, affezionata, e zelante
gallicana chiesa: la prammatica disusata di Bourges avere ad essere il
rimedio dei mali presenti. Grave ed enorme passo era questo: però
aggiunsero al parer loro i prelati, opinare, che si convocasse un
concilio nazionale: non volere i prelati giudicare anticipatamente delle
risoluzioni del concilio, ma presumere, che nel caso in cui egli
sentenziasse di risuscitare la prammatica, supplicherebbe prima il
pontefice, e scongiurerebbelo, che della gallicana chiesa gli calesse,
ed a lei la vita coi vescovi ridonasse; ma se nè le preci, nè le
supplicazioni potessero vincere l'ostinazione del pontefice,
decreterebbe il concilio, per ultima necessità, e per non perire, che la
prammatica si rinnovasse.
Intanto le dottrine dei partigiani dell'antica disciplina vieppiù si
spargevano, le Italiane contrade principalmente ne risuonavano. Coloro
che a queste opinioni erano addetti, credevano essere venuto il tempo
ch'elleno avessero a prevalere, si rallegravano della diminuzione
dell'autorità pontificia, ed affermavano ch'ella era medicina non
solamente utile, ma ancora necessaria al corpo infermissimo, come il
chiamavano, della Chiesa. La ricordanza del milleottocentuno, e ciò, che
era accaduto al concilio di Parigi in quell'anno, non gli rendevano
accorti del procedere e delle intenzioni di Napoleone: che il corpo,
spargevano, dei vescovi esercenti, rappresentasse la Chiesa, e fosse per
rappresentarla finchè ella durasse; che attentato condannabile dei papi
degli ultimi tempi fosse l'aver voluto diminuire e frenare la potestà
divina dei vescovi; che la potestà inerente al carattere dei vescovi
immediatamente, e senza che nissuna umana potestà potesse arrogarsi il
diritto di alterarla, derivasse da Gesù Cristo; che non mai potesse la
giurisdizione episcopale perire, che i concilj prima del mille non
avessero mai voluto riconoscere per veri e legittimi vescovi, se non
quelli che dai rispettivi metropolitani erano stati ordinati; che così
avevano statuito, così definito i concilj Niceni, tanto venerati in quei
primi e purissimi tempi della cristiana comunità; che le massime
contrarie solamente dai concilj Lateranensi, concilj quasi domestici dei
papi, erano state introdotte; che insomma, continuavano, i metropolitani
dovessero dare la giurisdizione ai vescovi; che l'arrogarsi i papi di
volerla dar soli, fosse usurpazione; che avesse Dio dato a Pietro il
primato d'onore, e la potestà suprema di regolare e mantener sana la
disciplina, sana la fede in tutte le chiese che la universale
compongono, ma non il privilegio di giurisdizione nel caso di cui si
tratta: che la potestà di giurisdizione, per quanto spetta alla
transmissione della potestà ecclesiastica, fosse in ciascun vescovo, per
diritto ed ordinazione divina, piena, come piena era nel supremo
pontefice; così avere ordinato Cristo Redentore nel dare ai vescovi la
facoltà di reggere le chiese, così richiedere la sicurezza degli stati,
e l'independenza della potestà temporale. È giusto forse, sclamavano, è
conveniente, è consentaneo alla divina volontà, che i papi possano, con
mettere l'interdetto, o a continuazione dell'episcopato ricusando,
turbare le coscienze dei fedeli, sconvolgere le province, e i regni? Non
è assurdo il supporre, che Dio non abbia dato a ciascuna società il
mezzo di conservarsi sana e salva da se stessa? E che sicurezza, e che
salute può esservi, se elleno da un forestiero dipendono? Varj e diversi
essere stati i modi immaginati dai principi per preservare gli stati
proprj dai pericoli, che a loro sovrastavano pei decreti della Romana
sede, ora prammatiche, ora appelli, ora concordati: ma tutti essere
stati insufficienti, perchè sempre si lasciò sussistere la radice del
male, cioè l'eccessiva ed illegittima potenza dei papi: ripullulare i
pericoli e le turbazioni ad ogni Romano capriccio, concepir timore gli
animi ad ogni elevazione di papa, un cardinale di più o di meno nel
pontificio concistoro poter mandar sossopra una provincia intiera:
essere oggimai tempo di strigarsi da questi fino allora inestricabili
lacci; la Romana tirannide doversi conculcare, ora che un principe
potentissimo il voleva; restituissesi all'episcopato tutta la sua
dignità, tutta la sua potenza; l'independenza da Roma sarebbe la libertà
universale; sarebbe altresì la purezza delle dottrine cattoliche;
perciocchè l'avere mescolato le cose temporali con le spirituali, che fu
fonte di tanti scandali, e di un deplorabile scisma, essere stato opera
di Roma; fosse la religione tutta spirituale, e non turberebbe gli
stati, nè darebbe cagione ai malevoli di denigrarla, e più imperio
avrebbe e quelli stessi che in lei non credevano, rispettata
l'avrebbero: la cristianità cattolica tuttavia piangere la perduta
Germania, la perduta Inghilterra; tale doloroso smembramento alla
prepotenza di Roma, alle usurpazioni dei papi, alle temporali cupidigie
loro doversi certamente ed unicamente scrivere: tornassesi adunque,
predicavano, a quel sistema, che stabilito da Cristo e dagli apostoli
aveva durato per tanti secoli nella primitiva Chiesa, che gli uomini più
pii, più dotti, più esemplari avevano sempre inculcato, e coi più
intensi desiderj loro chiamato: da lui solo poter derivare la purezza
della religione, e la incolumità degli stati. Vivevano ancor fresche,
massime in Italia, le onorate memorie di Leopoldo e di Ricci: non pochi
ecclesiastici, anche di prima condizione, e per dottrina e per virtù
compitissimi, vi seguitavano le medesime vestigia, e sostenevano le
medesime dottrine; non per ambizione nè per desiderio di servire a chi
allora tutti servivano, e principalmente gli avversari loro, ma per
convinzione propria, per ritirar la Chiesa, come credevano, all'antica
sua constituzione, per riformarne gli abusi, per rinstaurare e
confermare la libertà dei principi offesa dalla potenza immoderata dei
papi.
Queste sparse dottrine piacevano a Napoleone, perchè gli davano
occasione d'intimorire il papa e speranza di ridurlo a sua volontà; nè
dispiacevano agli arcivescovi ed ai vescovi amatori dell'independenza:
quel Romano giogo già pareva loro grave ed intollerabile; quel diventar
papi essi sommamente a loro arrideva. Le cose andavano a satisfazione di
Napoleone in quanto si atteneva agli ecclesiastici dei suoi stati.
Vinceva il papa non solamente per la costanza, ma ancora per la
disgrazia, sempre potente nel cuore degli uomini. Nè i suoi teologi
tacevano, benchè Napoleone si fosse sforzato di por loro un duro freno
in bocca. Difendevano la sedia apostolica e Romana, non solamente contro
le dottrine di Porto Reale e di Pistoja, ma ancora contro le allegazioni
del consiglio ecclesiastico. Avere, andavano ragionando, Cristo
fondatore sopra Pietro fondato tutto l'edifizio della religione; a lui
avere dato primato d'onore, a lui primato di giurisdizione, per lui
tutta l'autorità della Chiesa, e per lui solo potersi e doversi
tramandare, e trasfondere in altrui: avere per verità Cristo salvatore
posto i vescovi a governar la Chiesa, ma non per se medesimi, nè
independentemente da Pietro, ma per mandato suo, e sotto la sua
dipendenza: Pietro essere il fonte di tutti i rivi, lui il fonte di ogni
ecclesiastica potestà; avere per la necessità dei tempi in quei primi
secoli, fra una religione contraria, fra le persecuzioni continue, fra
un popolo padrone del mondo, che altri Dei confessava ed adorava, fra
tante nazioni diverse, e nel vasto campo d'Asia, d'Africa e d'Europa,
avere prima gli apostoli per instituzione divina, poscia i vescovi per
instituzione apostolica usato la loro autorità senza mandato espresso di
Pietro, ma però lui consenziente, imperciocchè non è da credersi, che
per condurre una così gran mole, gli apostoli ed i loro successori non
si siano accordati, acciocchè a questo ed a quello, senza confusione e
senza conflitto, questa o quella provincia fosse di consenso comune
devoluta: ciò non ostante rimanere fisso ed inconcusso questo principio,
che Pietro aveva un mandato ordinario e perpetuo, gli apostoli un
mandato straordinario e caduco da finirsi in loro, o nei successori loro
immediati; che quello aveva avuto un mandato per istabile fondamento, e
perpetuo governo della Chiesa, questi un mandato temporaneo per la
necessità dei tempi; che, cessata questa necessità, tornava il mandato
sparso negli apostoli e loro successori immediati al fonte comune, vale
a dire ai successori di Pietro; che così la Chiesa nata da un solo
tornava in un solo: mirabile, e divino artifizio. Del rimanente anche
nella più rimota antichità apparire i segni della trasfuzione del
mandato di Pietro nei rettori delle altre chiese del mondo: l'ordine
stesso dei metropolitani confermare questa verità; perchè a quei tempi
antichissimi era il mondo diviso, per rispetto alla cristianità, in
Oriente ed Occidente; due erano nel primo i metropolitani, quei di
Alessandria e di Antiochia, uno nel secondo, quel di Roma; comunicavano
il mandato ecclesiastico; cioè l'ordine e la giurisdizione, la qualità e
il luogo, i due metropolitani d'Oriente ai vescovi delle loro rispettive
province, il metropolitano d'Occidente, successore di san Pietro, a
quelli d'Occidente; ma i primi da Pietro nell'origine prima avevano
ricevuto le potestà loro: imperciocchè aveva governato egli stesso la
chiesa d'Antiochia, ed a lei dato un successore, quando venne a fondare
e governare quella di Roma: rispetto alla chiesa d'Alessandria, avere
Pietro mandato a governarla san Marco, suo discepolo, ma se la origine
scopre il mandato, gli accidenti posteriori il confermano; perchè i
Romani pontefici, successori di Pietro, ai metropolitani d'Oriente
mandavano il pallio, segno della conferita autorità; essi metropolitani
addomandavano la comunione ai pontefici di Roma, e senza la ottenuta
comunione non si credevano legittimi. Sonsi anche veduti Romani
pontefici deporre metropolitani d'Oriente, o patriarchi, perchè con
questo nome poscia si chiamarono: a tutti questi segni, affermavano i
curialisti di Roma, riconoscersi la superiorità Romana fin dai tempi
primitivi; dal che si deduce la pienezza e la perpetuità del mandato nei
papi, la dipendenza e la delegazione nei metropolitani. Ne conseguita
altresì, che poichè tutta l'autorità spirituale consiste nella facoltà
del trasmettere il mandato di Cristo, il diritto di confermare e
d'instituire tutti i vescovi della Chiesa è supremo, e divino e
conseguentemente inalienabile, imperscrittibile, non soggetto a
interruzione, ad eccezione, e cessazione alcuna, e che a lui niuna
- Parts
- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI - 01
- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI - 02
- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI - 03
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- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI - 10
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- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo VI - 17