Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo V - 15
per la pietà dei cherici, o per la provvidenza del pubblico; dei quali
vantaggi debbono i Livornesi o ad una maggiore civiltà, od a più celesti
inspirazioni restare obbligati.
Adunque se oltre una naturale disposizione dei corpi, a restare
contaminato dal morbo abbisognavano o la vicinanza, o il contatto
dell'uomo ammalato, o delle robe che a suo uso avevano servito nel corso
della malattia, se l'aria stagnante e chiusa, e zeppa di animali effluvi
la dava, se l'aria aperta o sfogata o l'allontanava o l'alleggiava, se
le persone sane, benchè vissute in prossimità degl'infetti, e le merci
da loro tocche, solo che al puro e ventilato aere esposte fossero,
l'infezione fuori della città non trasportavano, e se finalmente il
medesimo aere ventilato e puro il malefico fomite presso al suo fonte
stesso, cioè all'ammalato, distruggeva ed annientava, si deduce, che, o
l'accidente mortifero di Livorno, quantunque avesse in se raccolti tutti
i segni di quel morbo, che alcuni febbre gialla, altri vomito nero
appellano, era nondimeno molto dal medesimo diverso, opinione non
verisimile, perciocchè i segni indicano identità di natura, o che il
terrore e la mossa immaginazione l'hanno in altri paesi fatto parer
diverso da quello ch'egli è veramente, tassandolo di contagio, quando
veramente contagioso non è a modo delle malattie, che i medici chiamano
specialmente con questo nome, come per cagion d'esempio la peste di
Egitto. Nè dimorerommi io a dire come in Livorno stato fosse recato;
perchè, se il vi recasse, come corse fama, un bastimento venuto da Vera
Croce, è incerto, siccome ancora è incerto, se da altro contagio
qualunque, o se da mera disposizione del cielo piovoso e caldo, come
alcuni credono, e pare più verisimile, ingenerato e sorto fosse. Certo è
bene, ch'ei fu contaminazione schifosa ed abbominevole, e che funestò
per numerose morti Livorno, spaventò le città vicine, tenne lunga pezza
dubbiosa ed atterrita l'Europa per la fama delle province devastate in
America. Queste cose ho voluto raccontare con quella maggiore semplicità
che per me si è potuto, acciocchè la nuda verità meglio servir potesse a
far conoscere per forza di comparazione, la natura ed i rimedi di un
male, che omai minaccia di voler accrescere la soma di tutti quelli che
già pur troppo affliggono la miseranda Europa.
Ordinate col consentimento del papa le faccende religiose in Francia, si
rendeva necessario che il consolo le acconciasse coll'intervento
pontificio nell'Italica; imperciocchè il pontefice non aveva tralasciato
di muovere querele intorno alle deliberazioni prese senza che la potestà
sua fosse non che consenziente, richiesta, nell'Italiana constituzione.
Il consolo per un suo gran fine voleva gratificare al papa. Per la qual
cosa, dopo alcune pratiche tenute a Parigi tra il cardinal Caprara,
legato della santa sede, e Ferdinando Marescalchi, ministro degli affari
esteri della repubblica Italiana, fu concluso il dì sedici settembre, in
nome del pontefice e del presidente un concordato, l'importar del quale
fu quasi in tutto conforme al concordato di Francia. Ma bene ne ampliò
le condizioni a favore della potestà secolare Melzi vice-presidente,
nodrito nelle dottrine leopoldiane. Decretava, che la facoltà di vestire
e di ammettere alla professione religiosa fosse ristretta agli ordini,
conventi, collegi monasteri, che per istituto fossero dediti
all'istruzione ed educazione della gioventù, alla cura degl'infermi o ad
altri simili uffizi di speciale e pubblica utilità; che per vestire, o
far professione religiosa individuale, e per la promozione agli ordini
sacri, il beneplacito del governo si richiedesse; che la libera
comunicazione dei vescovi colla santa sede non importasse nè devoluzione
di cause da trattarsi in via contenziosa avanti i tribunali, nè
dipendenza alcuna dall'autorità spirituale nelle cose di privata
competenza dell'autorità temporale; che le bolle, i brevi, ed i
rescritti della corte di Roma non si potessero recare in uso esteriore e
pubblico senza il beneplacito del governo; che solamente i sacerdoti,
gl'iniziati negli ordini sacri, i chierici ammessi nei seminari
vescovili, ed i vestiti o professi negli ordini religiosi fossero esenti
dal servizio militare; che il governo non darebbe mano forte per
l'esecuzione delle pene esterne ordinate dall'autorità ecclesiastica per
correggere gli ecclesiastici delinquenti, e gli appellanti dalle
medesime, se non se in caso di abuso manifesto, ed osservati sempre i
confini ed i modi della rispettiva competenza; finalmente, che la
vigente disciplina della chiesa nella sua attualità, salvo il diritto
della tutela e giurisdizione politica, si mantenesse. Sane e salutari e
necessarie guarentigie erano queste in pro ed a conservazione
dell'autorità secolare; imperciocchè la religione cattolica ha più che
qualunque altra, modo d'influire per mezzo de' suoi ministri, che sono
uomini, nelle deliberazioni dei reggitori dei popoli, e verso di lei
debbonsi da questi usare cautele efficaci, perchè siano salvi la libertà
ed i diritti della potestà temporale. Ma le sentì molto gravemente il
pontefice, e vivamente se ne dolse col presidente. Egli si temporeggiava
alle risposte, e nelle solite ambagi avviluppandosi, nè dava, nè
toglieva speranza di ammendazione. Intanto, quantunque il concordato
Italico, e massime il decreto del vice-presidente fossero più accetti a
chi amava le dottrine Pistojesi, e le riforme di Leopoldo, che ai
papisti, servirono ciò non ostante a tranquillare le coscienze timorate
del popolo, il quale avendo sempre perseverato nella fede, e nella
riverenza verso il papa, vedeva malvolentieri le dissensioni con Roma:
ed ora della ristorata concordia si rallegrava. I magistrati, i preti, i
filosofi, i soldati, il popolo predicavano il presidente unico: il
buonapartico nome a tutti sovrastava, ed a tutto.
Ma già le bilustri trame del consolo si avvicinavano al loro compimento.
Glorioso per guerra, glorioso per pace, nissun nome nè negli antichi, nè
nei moderni tempi alle allucinate generazioni pareva uguale al suo.
Ancora spesseggiava il suono nelle bocche degli uomini, e fresca era
negli animi la memoria delle sue maravigliose geste in Italia e prima e
dopo le Egiziache fatiche. Avere lui, si ricordavano, subitamente
l'umile fortuna della repubblica innalzato al più alto grado di gloria e
di potenza; senza di lui essere ricaduta, con lui risorta; i mostri,
così scrivevano, avere prevalso, lui lontano; essere stati vinti, quasi
da Ercole secondo, lui presente: con esso lui lontano la guerra avere
seguitato la pace, con esso lui presente la pace avere seguitato la
guerra; nè solo con l'Austria avere procurato la concordia, ma ancora
con la Russia, con l'Inghilterra, con la Turchia, col Portogallo, col
duca di Vittemberga, col principe d'Oranges: i barbari stessi avere a
beneficio di Francia pattuito con lui, Algeri e Tunisi essere tornati
all'antica amicizia di Francia; nè più spaventare i Francesi cuori
l'aspetto delle Africane crudeltà; potere le Francesi navi liberamente e
securamente attendere ai traffichi loro nel Mediterraneo, nè i Libici
ladroni più oltre insultare alle insegne della repubblica; avere lui
solo spenta la civile discordia; lui solo restituito la patria agli
esuli, lui solo restituito onore a papa Pio sesto, ed alle sue venerate
ossa dato riposo; avere a pace delle coscienze, a conservazione dei
costumi, a salute delle anime convenuto con papa Pio settimo; per lui
essere restituita a luogo suo la generosità e la fedeltà Francese verso
la sedia apostolica: lui avere stornato i Vaticani folgori dalla
religiosa Francia; lui averla riconciliata con se stessa e con la
cristianità; ciò quanto al politico ed al religioso: quanto al prospero,
a lui essere obbligate le finanze dell'abbondanza loro, a lui i
magistrati dei pagati stipendi, a lui i soldati delle diligenti paghe, a
lui i viandanti delle racconce strade, a lui i naviganti dei ristorati
canali, a lui i commercianti degli aperti mari: ogni cosa tornare
all'antico splendore; i palazzi laceri dal tempo o dalla rabbia degli
uomini, ristorarsi, nuovi edifizi innalzarsi: la Francia bella per
natura, divenir più bella per arte; dileguarsi le ruine, segni
abbominevoli delle passate discordie: sorgere moli, segni magnifici di
generoso governo: tali essere i frutti della pace, tali quei della
concordia; essere finita la rivoluzione, e con lei serrata l'officina di
tante disgrazie: rotta, esser vero, di nuovo essere dall'infedele ed
ambizioso Britanno la guerra; ma già correre sulle coste dell'Oceano le
vendicatrici schiere, già apprestarsi le conquistatrici antenne, già
Londra stessa esser mal sicuro nido ai corsari dominatori del mare;
presto aversi a vedere quanto potessero a benefizio dell'umanità contro
gli avari e superbi tiranni, che soli fra tutti restavano a domarsi, la
Francia potente, ed il fortunato consolo; minacciare, esser vero, la
Russia, essere appresso a lei efficaci le arti, e le profferte
d'Inghilterra; ma lontano essere Alessandro, nè spoglio d'umanità, nè i
dispareri poter durare tra chi a bene intende: così avere il consolo
dato a Francia pace sicura, ed occasione di vittoria. Di tanti obblighi
nissuno premio poter essere, non che maggiore, pari.
Queste cose si dicevano, ed ancor più si scrivevano. Il consolo non
abborrendo dal scelerato proposito di ridurre in servitù una nazione,
che con una piena di tanto amore si versava verso di lui, pensò essere
arrivato il tempo di dar compimento a' suoi disegni. Perciò, allettati
gli amatori del nome reale con la patria, i soldati coi donativi, i
preti col concordato, i magistrati con gli onori, il popolo coi commodi,
si accinse ad appropriarsi la parola di quello, di cui già aveva la
sostanza, accoppiando in tal modo il supremo nome alla suprema potenza.
Restava che i repubblicani assicurasse: il fece con l'uccisione del duca
d'Anghienna. Diè le prime mosse il tribunato: il senato non s'indugiò a
seguitare parte per paura, parte per ambizione: il dì diciotto maggio
chiamava Napoleone Buonaparte, imperator dei Francesi.
Questo atto, ancorchè inaspettato non fosse, empiè di maraviglia il
mondo. I pazzi reali s'accorsero, che Buonaparte non era uomo, come
aspettavano, che volesse fare il Monk: i pazzi repubblicani videro, che
non era uomo da voler fare, come si promettevano, il Cincinnato, questi
più inescusabili di quelli; perchè, tacendo anche gli altri suoi andari,
quell'aver detto al consiglio dei Giovani il dì nove novembre del
novantanove, che la realtà non poteva più vincere in Europa la
repubblica, avrebbe dovuto fargli accorti, ch'ei voleva fare che la
realtà vi vincesse la repubblica. Poi, siccome il secolo era tutto di
piacere, nulla di coscienza, come bene sel conobbe Buonaparte, i reali
dimenticarono tosto la realtà, i repubblicani la repubblica, e gli uni e
gli altri trassero cupidamente agl'imperiali allettamenti. Pochi
dall'una parte e dall'altra si ristarono; il secolo gli chiamò pazzi.
Delle potenze d'Europa l'Inghilterra, che non s'era mai ingannata sulle
qualità di Buonaparte, contrastava, ma invano; contrastava anche invano
il lontano ed ingannato Alessandro: la Turchìa, per timore della Russia,
si peritava; l'Austria doma taceva; la Prussia, che tuttavia per le sue
emolazioni verso l'Austria continuava ad ingannarsi, non solamente aveva
consentito, ma ancora esortato. Quest'era stato uno dei principali
fondamenti dell'ardimento di Napoleone. Primario confortatore a questi
consigli era il marchese Lucchesini ministro del re Federigo a Parigi.
Luigi decimottavo, re di Francia, che fino a questo tempo, forse per
qualche speranza, aveva più temperatamente che degli altri governi
Francesi, parlato e scritto di Buonaparte, a questo estremo atto di
assunzione di potenza, per cui ogni aspettazione di buon fine era tolta,
grandemente risentendosi, con gravissime parole contro l'usurpazione fin
dall'ultimo settentrione, dove esule dai suoi regni se ne stava,
protestò. Il Piemonte si confortava della perduta independenza per la
unione con chi comandava; Genova ingannata sperava almeno di conservar
l'antico nome; la repubblica Italiana, giacchè era perduta la libertà,
si prometteva almeno la potenza; la Toscana, che meglio di tutti
giudicava delle faccende presenti, non sapeva nè che sperasse, nè che
temesse; bene si doleva che i Leopoldiani tempi fossero perduti per
sempre; Napoli, già servo il regno di qua dal Faro, stava in dubbio se
almeno potesse conservar libero quello oltre il Faro. Il papa era
spaventato dalla grandezza di Napoleone; ma egli si confortava con le
promesse, con le adulazioni, ed ancor più con le richieste; imperciocchè
vedendo, che, poichè alle antiche consuetudini se ne tornava, non aveva
titolo legittimo, nè volendo ammettere la dottrina della sovranità del
popolo, perchè l'ammetterla era un confessare che chi faceva poteva
disfare, ed ei non voleva esser disfatto, il pontefice con grandissime
istanze, non purgate da qualche minaccia, richiedeva, che a Parigi se ne
venisse per consecrarlo imperatore. Parevagli che la consecrazione del
papa gli desse nell'opinione degli uomini quello, che per altre parti
gli mancava. Era certamente un gran fatto, che il capo supremo della
chiesa, in età già grave, in stagione sinistra, la lontana e straniera
terra se n'andasse per legittimare con la santità del suo ministerio
quello che tutti i principi d'Europa chiamavano o apertamente, o
occultamente una usurpazione. Per indurre il papa a questa
deliberazione, Napoleone gli prometteva, che se già molto aveva fatto a
benefizio della religione e della Santa Sede in Francia, molto più era
per fare, ove il papa consentisse alla consecrazione. Si trovava il
pontefice da queste domande molto angustiato, perchè dall'una parte
desiderava di satisfare a Napoleone, sperando di farne nascere frutti
profittevoli alla religione; dall'altra il confermare con la efficacia
del suo ufficio gli effetti della prepotenza militare, gli pareva duro e
disonorevole consiglio.
Tanto poi più se ne stava sospeso, quanto e Luigi decimottavo, e
l'imperatore di Germania, e quel di Russia, e il re medesimo
d'Inghilterra più o meno manifestamente il confortavano al non offendere
con un atto tanto strepitoso la maestà reale, ed i principj, sopra i
quali tutte le moderne sovranità si trovavano fondate. Non si
commettesse, dicevano, abbandonando gli amici antichi, alla fede di un
amico nuovo; la forza soldatesca non santificasse; la ruina d'Europa non
appruovasse; considerasse, fugaci essere le cose violente, rovinare di
per se stesse le eccessive; pensasse dopo quel nembo facilmente
dileguantesi dovere avere bisogno dei patrocinj antichi; non più
trattarsi di salvare la religione già salva, ma di salvare i seggi
antichi: o legittimità o usurpazione, o temperanza o tirannide, o leggi
o soldati, o civiltà o barbarie, di ciò trattarsi. Avvertisse finalmente
quanto enorme sarebbe, se il pontefice di Roma, se il capo della
cristianità si muovesse a santificar il sommo grado in chi usava la
religione per fraude, le promesse per inganno, le armi per
sovvertimento; vedesse la serva Italia, osservasse la tremebonda
Germania, riflettesse alla soggiogata Francia, e giudicasse se gli fosse
lecito, la dignità apostolica sua contaminando, onestare con sì solenne
dimostrazione ciò, che tutte le leggi divine ed umane condannavano.
Queste esortazioni grandemente muovevano il pontefice. Ciò non ostante
non gli sfuggiva, poichè al benefizio della religione aveva l'animo
intento, che la religione, per essere in Francia la parte avversa tanto
potente, per esservi la instaurazione tanto recente, per essere
Napoleone imperatore in tutte le cose sue tanto arbitrario e tanto
subito, maggiore pericolo vi portava, se a Napoleone non consentisse,
che in Austria e negli altri paesi cattolici della Germania, se ai
desiderj di Francesco imperatore non si uniformasse. Quanto alla Spagna,
piuttosto suddita che uguale alla Francia, per la divozione del principe
della Pace ai Buonapartidi, sapeva il pontefice, che la sua risoluzione
a favor di Napoleone vi sarebbe stata udita volentieri.
Da un altro lato il signore di Francia tanto si dimostrava amorevole e
lusinghiero verso la Santa Sede, che il papa venne in isperanza, non
solamente di tenerlo nei termini, ma ancora di volgerlo in quella parte
alla quale ei volesse. Confidava massimamente di poter conseguire
qualche utile modificazione negli articoli organici annestati da
Napoleone al concordato di Francia, e da Melzi a quello d'Italia.
Desiderava altresì, e sperava d'indurre Napoleone a dare qualche
larghezza di più al culto esteriore, al quale effetto erano corsi prima
non pochi dispareri, perchè Napoleone intendeva il culto pubblico ad un
modo, e Pio ad un altro. Nè dubitava punto che la presenza sua in
Francia efficacemente non avesse ad operare, perchè la religione meglio
si conoscesse, e meglio si amasse. Aveva anche difficoltà a persuadersi,
che una sì lunga e grave fatica, ed una tanta condiscendenza in un
affare di tanto momento per Napoleone, non fossero per ispirare al cuore
di lui, quantunque di soldato fosse, affetti più miti, e maggiore
agevolezza verso il Romano seggio.
Tutte queste cose molto bene e maturamente considerate, e co' suoi
cardinali parecchie volte ponderate, implorato anche l'ajuto divino,
siccome quegli che piamente da lui ripeteva ogni evento o prospero od
avverso, si deliberava a voler fare quello, che da tanti secoli non si
era veduto che alcuno fatto avesse. Per la qual cosa risolutosi del
tutto a voler posporre al benefizio della religione ogni altro umano
rispetto, convocati i cardinali il dì ventinove ottobre con queste gravi
ed affettuose parole loro favellava:
«Da questo medesimo seggio, venerabili fratelli, noi già vi annunziammo,
siccome il concordato con Napoleone imperatore dei Francesi, allora
primo consolo, era stato da noi concluso; da questo stesso vi
partecipammo la contentezza che aveva ripieno il nostro cuore, nel veder
volte novellamente, per opera del concordato medesimo, alla cattolica
religione quelle vaste e popolose regioni. D'allora in poi i profanati
tempj furono aperti e purificati, gli altari riedificati, la salvatrice
croce innalzata, l'adorazione del vero Dio restituita, i misteri augusti
della religione liberamente e pubblicamente celebrati, legittimi pastori
a pascere il famelico gregge conceduti, numerose anime dai sentieri
dell'errore al grembo della felice eternità richiamate, e con se stesse,
e col vero Dio riconciliate: risorse felicemente da quella oscurità in
cui era stata immersa, alla piena luce del giorno in mezzo ad una
rinomata nazione la cattolica religione.
«A tanti benefizj di gioja esultammo, e le esultazioni nostre a Dio
nostro signore dall'intimo del nostro cuore porgemmo. Questa grande e
maravigliosa opera non solamente ci riempiva di gratitudine verso quel
potente principe, che usò tutto il potere e l'autorità sua per fare il
concordato; ma ancora ci spinse, per la dolce ricordanza, ad usare ogni
occasione che si aprisse, per dimostrargli, tale essere verso di lui
l'animo nostro. Ora questo medesimo potente principe, il nostro
carissimo figliuolo in Cristo Napoleone imperatore dei Francesi, che con
le opere sue sì bene ha meritato della cattolica religione, viene a noi
significandoci, ardentemente desiderare di essere coi santi olj unto, e
dalle mani nostre l'imperiale corona ricevere, acciocchè i sacri
diritti, che sono in così alto grado per collocarlo, siano col carattere
della religione impressi, e più potentemente sopra di lui le celesti
benedizioni appellino. Richiesta di tal sorte non solo chiaramente la
religione sua, e la sua filiale riverenza verso la Santa Sede dimostra;
ma siccome quella che accompagnata da espresse dimostrazioni e promesse,
da speranza che sia la fede sacra promossa, e che siano le dolorose
ingiurie riparate; opera, che già ha egli con tanta fatica e con tanto
zelo in quelle fiorite regioni procurato.
«Voi vedete pertanto, venerabili fratelli, quanto giuste e gravi siano
le cagioni, che ad intraprendere questo viaggio c'invitano. Muovonci
gl'interessi della nostra santa religione, muoveci la gratitudine verso
il potente imperatore, muoveci l'amore verso colui che con tutta la
forza sua adoperandosi, ebbe in Francia alla cattolica religione libero
e pubblico esercizio procurato, muoveci il desiderio, che d'avanzarla
viemaggiormente in prosperità ed in dignità ci dimostra. Speriamo
altresì, che quando al cospetto suo giunti saremo, e con lui volto a
volto favelleremo, tali cose da lui a benefizio della cattolica chiesa,
sola posseditrice dell'arca di salvazione, impetreremo, che giustamente
con noi medesimi dello avere a perfezione condotto l'opera della nostra
santissima religione congratularci potremo. Non dalle nostre deboli
parole tale speranza concepiamo, ma dalla grazia di colui, di cui,
quantunque immeritamente, siamo il vicario sopra la terra, dalla grazia
di colui, che per la forza dei sacri riti invocato essendo, nei bene
disposti cuori dei principi discende, specialmente quando padri dei
popoli si mostrano, specialmente quando all'eterna salute intendono,
specialmente quando di vivere e di morire veri e buoni figliuoli della
cattolica chiesa deliberano. Per tutte queste cagioni, venerabili
fratelli, e l'esempio seguitando di alcuni nostri predecessori che la
propria sede lasciando, in estere regioni per promuovere la religione, e
per gratificare ai principi, che della chiesa bene meritato avevano,
peregrinarono, ci siamo ad intraprendere il presente viaggio deliberati,
avvengadiochè da tale risoluzione avessero dovuto allontanarci la
stagione sinistra, l'età nostra grave, la salute inferma. Ma non fia che
a tali impedimenti ci sgomentiamo, solo che voglia Iddio farci dei
nostri desiderj grazia. Nè fu il negozio, prima che ci risolvessimo, da
ogni parte ed attentamente non considerato. Stemmo dubbj, ed incerti un
tempo; ma con tali assicurazioni si fece incontro ai desiderj nostri
l'imperatore, che ci rendemmo certi, essere il nostro viaggio a pro
della religione per riuscire. Voi ciò sapete, che su di ciò a voi chiesi
consiglio: ma per non preterire quello che ogni altra cosa avanza,
sapendo benissimo, che conforme al detto della divina sapienza, le
risoluzioni dei mortali, anche di quelli che per dottrina e per pietà
più riputati sono, di quelli altresì, il cui parlare, quale incenso,
alla presenza di Dio sen sale, sono deboli e timide ed incerte, le
nostre fervorose preghiere al padre di ogni sapere indirizzammo,
instantemente richiedendolo, che ci sia fatto abilità di solo fare
quello che a lui piacer possa, solo quello che a prosperità ed
incremento della sua chiesa tornare prometta. Ecci Dio, al quale
coll'umile nostro cuore tante volte supplicammo, al quale nel suo sacro
tempio le supplici nostre mani alzammo, dal quale e benigna audienza ed
ajuto propizio in tant'uopo implorammo, testimonio, che niun'altra cosa
vogliamo, a niun'altra intendiamo, che alla gloria ed agli interessi
della cattolica religione, alla salute delle anime, all'adempimento
dell'apostolico mandato, a noi, quantunque immeritevoli, commesso. Di
questa medesima sincerità nostra voi stessi, venerabili fratelli, a cui
tutto apersi, siete testimonj. Adunque quando un negozio sì grande con
l'ajuto della divina assistenza vicino è a compirsi, qual vicario di
Dio, Salvator nostro, operando, questo viaggio, al quale tante e sì
ponderose ragioni ci confortano, imprenderemo.
«Benedirà, speriamo, il Dio d'ogni grazia i nostri passi, ed in questa
epoca nuova della religione con uno splendore di accresciuta gloria si
manifesterà. Ad esempio di Pio sesto di riverita memoria, quando a
Vienna d'Austria si condusse, abbiamo, venerabili fratelli, provveduto,
che le curie, e le audienze siano e restino secondo il solito aperte; e
siccome la necessità del morire è certa, il giorno incerto, così abbiamo
ordinato, che se durante il viaggio nostro a Dio piacesse di tirarci a
lui, si tengano i pontificj comizj. Infine da voi richiediamo, voi
instantemente preghiamo, che vi piaccia per noi sempre quell'affezione
medesima conservare, che finora ci mostraste, e che noi assenti, l'anima
nostra all'onnipotente Iddio, a Gesù Cristo nostro Signore, alla
gloriosissima sua Vergine madre, al beato apostolo Pietro, acciò questo
nostro viaggio, e felice sia nel corso, e prospero nel fine,
raccomandiate. La quale cosa, se, come speriamo, dal fonte di ogni bene
impetreremo, voi, venerandi fratelli, che di ogni consiglio nostro e di
ogni nostra cura foste sempre partecipi fatti, della comune contentezza
ancora voi parteciperete, e tutt'insieme nella mercè del Signore
esulteremo, e ci rallegreremo».
Giunto il pontefice sulle Francesi terre, fu per ordine dell'imperatore,
ed ancor più per la pietà dei fedeli in ogni luogo con riverenza veduto.
A Parigi, anche quelli che non credevano nè al papa, nè alla religione,
si precipitavano a gara, o per moda, o per vanità, o per adulazione,
alla sua presenza per esprimergli con parole sentimenti di rispetto.
Incoronava Napoleone il dì due decembre. Il fece l'imperatore aspettare
nella chiesa di Nostra Donna in Parigi un'ora prima che vi arrivasse:
vollero, quando il pontefice si mosse alla volta di lui, i pii
circostanti applaudire al venerando vecchio; furonne da Napoleone con
imperioso e forte segno impediti: partito da Nostra Donna il consecrato
ed incoronato Napoleone, fu lasciato Pio, come un uom del volgo,
avviluppato ed impedito fra l'immensa folla del popolo concorso; tristi
presagi dei casi avvenire. Napoleone consecrato diè nel campo di Marte
solennemente le imperiali aquile a' suoi soldati: le auliche insegne
della repubblica, che avevano veduto le Renane, Italiche, Egiziache
vittorie, lasciate nel fango, che era in quel giorno altissimo. Tanto i
soldati di tutti già erano divenuti soldati di un solo! Disprezzar la
gloria era segno, che non si sarebbe rispettata la libertà.
Andarono i magistrati, ed i capi dell'esercito a rendere omaggio
all'incoronato loro signore. Cervoni, antico compagno, vedendolo non più
così scarso del corpo, com'era una volta, con esso lui della prospera
salute si rallegrava. _Sì_, rispose il sire, _ora sto bene_.
LIBRO VIGESIMOSECONDO
SOMMARIO
Buonaparte creatosi imperatore di Francia, pensa a farsi
chiamare re d'Italia. Gl'Italiani gli si rappresentano a
Parigi, e il fanno pago di questo suo desiderio. Va a Milano
per incoronarsi re. Genova cambiata, ed unita a Francia. Festa
che danno i Genovesi all'imperatore e re. Dichiarazione di
Scipione de' Ricci vescovo di Pistoja, al papa, ed accoglienza
che il pontefice gli fa a Firenze. Astute insinuazioni dei
gesuiti ai principi, e loro rinstaurazione nel regno di
Napoli. Nuova guerra tra la Francia da una parte, l'Austria e
la Russia dall'altra, e sue cagioni. Massena generalissimo di
Francia, l'arciduca Carlo generalissimo d'Austria in Italia.
Battaglia di Caldiero. Strepitose vittorie di Napoleone in
Germania. L'arciduca si ritira dall'Italia: pace di Presburgo.
Napoleone toglie il regno a Ferdinando di Napoli, e per qual
cagione. Giuseppe, fratello di Napoleone, re di Napoli. Si fa
sangue nelle Calabrie. Battaglia di Maida tra Francesi ed
Inglesi. Accidenti delle bocche di Cattaro, e ferocia della
guerra Dalmatica. La Dalmazia e Ragusi riunite al regno
Italico.
La natura di Napoleone era irrequieta, disordinata, solo costante
nell'ambizione. Però lungo tempo non stava nel medesimo proposito,
sempre mutando per salire. Pareva, e fu anche solennemente, e con
magnifiche parole detto da lui e da Melzi, che gli ordini statuiti in
Lione per l'Italica fossero per essere eterni; ma non ancora erano corsi
due anni, che già manchi, insufficienti, non conducenti a cosa che buona
e durevole fosse, si qualificarono. Importava a chi s'era fatto
imperatore, che re ancora si facesse. Erano, non senza disegno, stati
invitati gl'Italici a condursi a Parigi per cagione di assistere, in
nome della repubblica, alle imperiali cerimonie ed allegrezze. Vi
andarono Melzi vice-presidente, i consultori di stato Marescalchi,
vantaggi debbono i Livornesi o ad una maggiore civiltà, od a più celesti
inspirazioni restare obbligati.
Adunque se oltre una naturale disposizione dei corpi, a restare
contaminato dal morbo abbisognavano o la vicinanza, o il contatto
dell'uomo ammalato, o delle robe che a suo uso avevano servito nel corso
della malattia, se l'aria stagnante e chiusa, e zeppa di animali effluvi
la dava, se l'aria aperta o sfogata o l'allontanava o l'alleggiava, se
le persone sane, benchè vissute in prossimità degl'infetti, e le merci
da loro tocche, solo che al puro e ventilato aere esposte fossero,
l'infezione fuori della città non trasportavano, e se finalmente il
medesimo aere ventilato e puro il malefico fomite presso al suo fonte
stesso, cioè all'ammalato, distruggeva ed annientava, si deduce, che, o
l'accidente mortifero di Livorno, quantunque avesse in se raccolti tutti
i segni di quel morbo, che alcuni febbre gialla, altri vomito nero
appellano, era nondimeno molto dal medesimo diverso, opinione non
verisimile, perciocchè i segni indicano identità di natura, o che il
terrore e la mossa immaginazione l'hanno in altri paesi fatto parer
diverso da quello ch'egli è veramente, tassandolo di contagio, quando
veramente contagioso non è a modo delle malattie, che i medici chiamano
specialmente con questo nome, come per cagion d'esempio la peste di
Egitto. Nè dimorerommi io a dire come in Livorno stato fosse recato;
perchè, se il vi recasse, come corse fama, un bastimento venuto da Vera
Croce, è incerto, siccome ancora è incerto, se da altro contagio
qualunque, o se da mera disposizione del cielo piovoso e caldo, come
alcuni credono, e pare più verisimile, ingenerato e sorto fosse. Certo è
bene, ch'ei fu contaminazione schifosa ed abbominevole, e che funestò
per numerose morti Livorno, spaventò le città vicine, tenne lunga pezza
dubbiosa ed atterrita l'Europa per la fama delle province devastate in
America. Queste cose ho voluto raccontare con quella maggiore semplicità
che per me si è potuto, acciocchè la nuda verità meglio servir potesse a
far conoscere per forza di comparazione, la natura ed i rimedi di un
male, che omai minaccia di voler accrescere la soma di tutti quelli che
già pur troppo affliggono la miseranda Europa.
Ordinate col consentimento del papa le faccende religiose in Francia, si
rendeva necessario che il consolo le acconciasse coll'intervento
pontificio nell'Italica; imperciocchè il pontefice non aveva tralasciato
di muovere querele intorno alle deliberazioni prese senza che la potestà
sua fosse non che consenziente, richiesta, nell'Italiana constituzione.
Il consolo per un suo gran fine voleva gratificare al papa. Per la qual
cosa, dopo alcune pratiche tenute a Parigi tra il cardinal Caprara,
legato della santa sede, e Ferdinando Marescalchi, ministro degli affari
esteri della repubblica Italiana, fu concluso il dì sedici settembre, in
nome del pontefice e del presidente un concordato, l'importar del quale
fu quasi in tutto conforme al concordato di Francia. Ma bene ne ampliò
le condizioni a favore della potestà secolare Melzi vice-presidente,
nodrito nelle dottrine leopoldiane. Decretava, che la facoltà di vestire
e di ammettere alla professione religiosa fosse ristretta agli ordini,
conventi, collegi monasteri, che per istituto fossero dediti
all'istruzione ed educazione della gioventù, alla cura degl'infermi o ad
altri simili uffizi di speciale e pubblica utilità; che per vestire, o
far professione religiosa individuale, e per la promozione agli ordini
sacri, il beneplacito del governo si richiedesse; che la libera
comunicazione dei vescovi colla santa sede non importasse nè devoluzione
di cause da trattarsi in via contenziosa avanti i tribunali, nè
dipendenza alcuna dall'autorità spirituale nelle cose di privata
competenza dell'autorità temporale; che le bolle, i brevi, ed i
rescritti della corte di Roma non si potessero recare in uso esteriore e
pubblico senza il beneplacito del governo; che solamente i sacerdoti,
gl'iniziati negli ordini sacri, i chierici ammessi nei seminari
vescovili, ed i vestiti o professi negli ordini religiosi fossero esenti
dal servizio militare; che il governo non darebbe mano forte per
l'esecuzione delle pene esterne ordinate dall'autorità ecclesiastica per
correggere gli ecclesiastici delinquenti, e gli appellanti dalle
medesime, se non se in caso di abuso manifesto, ed osservati sempre i
confini ed i modi della rispettiva competenza; finalmente, che la
vigente disciplina della chiesa nella sua attualità, salvo il diritto
della tutela e giurisdizione politica, si mantenesse. Sane e salutari e
necessarie guarentigie erano queste in pro ed a conservazione
dell'autorità secolare; imperciocchè la religione cattolica ha più che
qualunque altra, modo d'influire per mezzo de' suoi ministri, che sono
uomini, nelle deliberazioni dei reggitori dei popoli, e verso di lei
debbonsi da questi usare cautele efficaci, perchè siano salvi la libertà
ed i diritti della potestà temporale. Ma le sentì molto gravemente il
pontefice, e vivamente se ne dolse col presidente. Egli si temporeggiava
alle risposte, e nelle solite ambagi avviluppandosi, nè dava, nè
toglieva speranza di ammendazione. Intanto, quantunque il concordato
Italico, e massime il decreto del vice-presidente fossero più accetti a
chi amava le dottrine Pistojesi, e le riforme di Leopoldo, che ai
papisti, servirono ciò non ostante a tranquillare le coscienze timorate
del popolo, il quale avendo sempre perseverato nella fede, e nella
riverenza verso il papa, vedeva malvolentieri le dissensioni con Roma:
ed ora della ristorata concordia si rallegrava. I magistrati, i preti, i
filosofi, i soldati, il popolo predicavano il presidente unico: il
buonapartico nome a tutti sovrastava, ed a tutto.
Ma già le bilustri trame del consolo si avvicinavano al loro compimento.
Glorioso per guerra, glorioso per pace, nissun nome nè negli antichi, nè
nei moderni tempi alle allucinate generazioni pareva uguale al suo.
Ancora spesseggiava il suono nelle bocche degli uomini, e fresca era
negli animi la memoria delle sue maravigliose geste in Italia e prima e
dopo le Egiziache fatiche. Avere lui, si ricordavano, subitamente
l'umile fortuna della repubblica innalzato al più alto grado di gloria e
di potenza; senza di lui essere ricaduta, con lui risorta; i mostri,
così scrivevano, avere prevalso, lui lontano; essere stati vinti, quasi
da Ercole secondo, lui presente: con esso lui lontano la guerra avere
seguitato la pace, con esso lui presente la pace avere seguitato la
guerra; nè solo con l'Austria avere procurato la concordia, ma ancora
con la Russia, con l'Inghilterra, con la Turchia, col Portogallo, col
duca di Vittemberga, col principe d'Oranges: i barbari stessi avere a
beneficio di Francia pattuito con lui, Algeri e Tunisi essere tornati
all'antica amicizia di Francia; nè più spaventare i Francesi cuori
l'aspetto delle Africane crudeltà; potere le Francesi navi liberamente e
securamente attendere ai traffichi loro nel Mediterraneo, nè i Libici
ladroni più oltre insultare alle insegne della repubblica; avere lui
solo spenta la civile discordia; lui solo restituito la patria agli
esuli, lui solo restituito onore a papa Pio sesto, ed alle sue venerate
ossa dato riposo; avere a pace delle coscienze, a conservazione dei
costumi, a salute delle anime convenuto con papa Pio settimo; per lui
essere restituita a luogo suo la generosità e la fedeltà Francese verso
la sedia apostolica: lui avere stornato i Vaticani folgori dalla
religiosa Francia; lui averla riconciliata con se stessa e con la
cristianità; ciò quanto al politico ed al religioso: quanto al prospero,
a lui essere obbligate le finanze dell'abbondanza loro, a lui i
magistrati dei pagati stipendi, a lui i soldati delle diligenti paghe, a
lui i viandanti delle racconce strade, a lui i naviganti dei ristorati
canali, a lui i commercianti degli aperti mari: ogni cosa tornare
all'antico splendore; i palazzi laceri dal tempo o dalla rabbia degli
uomini, ristorarsi, nuovi edifizi innalzarsi: la Francia bella per
natura, divenir più bella per arte; dileguarsi le ruine, segni
abbominevoli delle passate discordie: sorgere moli, segni magnifici di
generoso governo: tali essere i frutti della pace, tali quei della
concordia; essere finita la rivoluzione, e con lei serrata l'officina di
tante disgrazie: rotta, esser vero, di nuovo essere dall'infedele ed
ambizioso Britanno la guerra; ma già correre sulle coste dell'Oceano le
vendicatrici schiere, già apprestarsi le conquistatrici antenne, già
Londra stessa esser mal sicuro nido ai corsari dominatori del mare;
presto aversi a vedere quanto potessero a benefizio dell'umanità contro
gli avari e superbi tiranni, che soli fra tutti restavano a domarsi, la
Francia potente, ed il fortunato consolo; minacciare, esser vero, la
Russia, essere appresso a lei efficaci le arti, e le profferte
d'Inghilterra; ma lontano essere Alessandro, nè spoglio d'umanità, nè i
dispareri poter durare tra chi a bene intende: così avere il consolo
dato a Francia pace sicura, ed occasione di vittoria. Di tanti obblighi
nissuno premio poter essere, non che maggiore, pari.
Queste cose si dicevano, ed ancor più si scrivevano. Il consolo non
abborrendo dal scelerato proposito di ridurre in servitù una nazione,
che con una piena di tanto amore si versava verso di lui, pensò essere
arrivato il tempo di dar compimento a' suoi disegni. Perciò, allettati
gli amatori del nome reale con la patria, i soldati coi donativi, i
preti col concordato, i magistrati con gli onori, il popolo coi commodi,
si accinse ad appropriarsi la parola di quello, di cui già aveva la
sostanza, accoppiando in tal modo il supremo nome alla suprema potenza.
Restava che i repubblicani assicurasse: il fece con l'uccisione del duca
d'Anghienna. Diè le prime mosse il tribunato: il senato non s'indugiò a
seguitare parte per paura, parte per ambizione: il dì diciotto maggio
chiamava Napoleone Buonaparte, imperator dei Francesi.
Questo atto, ancorchè inaspettato non fosse, empiè di maraviglia il
mondo. I pazzi reali s'accorsero, che Buonaparte non era uomo, come
aspettavano, che volesse fare il Monk: i pazzi repubblicani videro, che
non era uomo da voler fare, come si promettevano, il Cincinnato, questi
più inescusabili di quelli; perchè, tacendo anche gli altri suoi andari,
quell'aver detto al consiglio dei Giovani il dì nove novembre del
novantanove, che la realtà non poteva più vincere in Europa la
repubblica, avrebbe dovuto fargli accorti, ch'ei voleva fare che la
realtà vi vincesse la repubblica. Poi, siccome il secolo era tutto di
piacere, nulla di coscienza, come bene sel conobbe Buonaparte, i reali
dimenticarono tosto la realtà, i repubblicani la repubblica, e gli uni e
gli altri trassero cupidamente agl'imperiali allettamenti. Pochi
dall'una parte e dall'altra si ristarono; il secolo gli chiamò pazzi.
Delle potenze d'Europa l'Inghilterra, che non s'era mai ingannata sulle
qualità di Buonaparte, contrastava, ma invano; contrastava anche invano
il lontano ed ingannato Alessandro: la Turchìa, per timore della Russia,
si peritava; l'Austria doma taceva; la Prussia, che tuttavia per le sue
emolazioni verso l'Austria continuava ad ingannarsi, non solamente aveva
consentito, ma ancora esortato. Quest'era stato uno dei principali
fondamenti dell'ardimento di Napoleone. Primario confortatore a questi
consigli era il marchese Lucchesini ministro del re Federigo a Parigi.
Luigi decimottavo, re di Francia, che fino a questo tempo, forse per
qualche speranza, aveva più temperatamente che degli altri governi
Francesi, parlato e scritto di Buonaparte, a questo estremo atto di
assunzione di potenza, per cui ogni aspettazione di buon fine era tolta,
grandemente risentendosi, con gravissime parole contro l'usurpazione fin
dall'ultimo settentrione, dove esule dai suoi regni se ne stava,
protestò. Il Piemonte si confortava della perduta independenza per la
unione con chi comandava; Genova ingannata sperava almeno di conservar
l'antico nome; la repubblica Italiana, giacchè era perduta la libertà,
si prometteva almeno la potenza; la Toscana, che meglio di tutti
giudicava delle faccende presenti, non sapeva nè che sperasse, nè che
temesse; bene si doleva che i Leopoldiani tempi fossero perduti per
sempre; Napoli, già servo il regno di qua dal Faro, stava in dubbio se
almeno potesse conservar libero quello oltre il Faro. Il papa era
spaventato dalla grandezza di Napoleone; ma egli si confortava con le
promesse, con le adulazioni, ed ancor più con le richieste; imperciocchè
vedendo, che, poichè alle antiche consuetudini se ne tornava, non aveva
titolo legittimo, nè volendo ammettere la dottrina della sovranità del
popolo, perchè l'ammetterla era un confessare che chi faceva poteva
disfare, ed ei non voleva esser disfatto, il pontefice con grandissime
istanze, non purgate da qualche minaccia, richiedeva, che a Parigi se ne
venisse per consecrarlo imperatore. Parevagli che la consecrazione del
papa gli desse nell'opinione degli uomini quello, che per altre parti
gli mancava. Era certamente un gran fatto, che il capo supremo della
chiesa, in età già grave, in stagione sinistra, la lontana e straniera
terra se n'andasse per legittimare con la santità del suo ministerio
quello che tutti i principi d'Europa chiamavano o apertamente, o
occultamente una usurpazione. Per indurre il papa a questa
deliberazione, Napoleone gli prometteva, che se già molto aveva fatto a
benefizio della religione e della Santa Sede in Francia, molto più era
per fare, ove il papa consentisse alla consecrazione. Si trovava il
pontefice da queste domande molto angustiato, perchè dall'una parte
desiderava di satisfare a Napoleone, sperando di farne nascere frutti
profittevoli alla religione; dall'altra il confermare con la efficacia
del suo ufficio gli effetti della prepotenza militare, gli pareva duro e
disonorevole consiglio.
Tanto poi più se ne stava sospeso, quanto e Luigi decimottavo, e
l'imperatore di Germania, e quel di Russia, e il re medesimo
d'Inghilterra più o meno manifestamente il confortavano al non offendere
con un atto tanto strepitoso la maestà reale, ed i principj, sopra i
quali tutte le moderne sovranità si trovavano fondate. Non si
commettesse, dicevano, abbandonando gli amici antichi, alla fede di un
amico nuovo; la forza soldatesca non santificasse; la ruina d'Europa non
appruovasse; considerasse, fugaci essere le cose violente, rovinare di
per se stesse le eccessive; pensasse dopo quel nembo facilmente
dileguantesi dovere avere bisogno dei patrocinj antichi; non più
trattarsi di salvare la religione già salva, ma di salvare i seggi
antichi: o legittimità o usurpazione, o temperanza o tirannide, o leggi
o soldati, o civiltà o barbarie, di ciò trattarsi. Avvertisse finalmente
quanto enorme sarebbe, se il pontefice di Roma, se il capo della
cristianità si muovesse a santificar il sommo grado in chi usava la
religione per fraude, le promesse per inganno, le armi per
sovvertimento; vedesse la serva Italia, osservasse la tremebonda
Germania, riflettesse alla soggiogata Francia, e giudicasse se gli fosse
lecito, la dignità apostolica sua contaminando, onestare con sì solenne
dimostrazione ciò, che tutte le leggi divine ed umane condannavano.
Queste esortazioni grandemente muovevano il pontefice. Ciò non ostante
non gli sfuggiva, poichè al benefizio della religione aveva l'animo
intento, che la religione, per essere in Francia la parte avversa tanto
potente, per esservi la instaurazione tanto recente, per essere
Napoleone imperatore in tutte le cose sue tanto arbitrario e tanto
subito, maggiore pericolo vi portava, se a Napoleone non consentisse,
che in Austria e negli altri paesi cattolici della Germania, se ai
desiderj di Francesco imperatore non si uniformasse. Quanto alla Spagna,
piuttosto suddita che uguale alla Francia, per la divozione del principe
della Pace ai Buonapartidi, sapeva il pontefice, che la sua risoluzione
a favor di Napoleone vi sarebbe stata udita volentieri.
Da un altro lato il signore di Francia tanto si dimostrava amorevole e
lusinghiero verso la Santa Sede, che il papa venne in isperanza, non
solamente di tenerlo nei termini, ma ancora di volgerlo in quella parte
alla quale ei volesse. Confidava massimamente di poter conseguire
qualche utile modificazione negli articoli organici annestati da
Napoleone al concordato di Francia, e da Melzi a quello d'Italia.
Desiderava altresì, e sperava d'indurre Napoleone a dare qualche
larghezza di più al culto esteriore, al quale effetto erano corsi prima
non pochi dispareri, perchè Napoleone intendeva il culto pubblico ad un
modo, e Pio ad un altro. Nè dubitava punto che la presenza sua in
Francia efficacemente non avesse ad operare, perchè la religione meglio
si conoscesse, e meglio si amasse. Aveva anche difficoltà a persuadersi,
che una sì lunga e grave fatica, ed una tanta condiscendenza in un
affare di tanto momento per Napoleone, non fossero per ispirare al cuore
di lui, quantunque di soldato fosse, affetti più miti, e maggiore
agevolezza verso il Romano seggio.
Tutte queste cose molto bene e maturamente considerate, e co' suoi
cardinali parecchie volte ponderate, implorato anche l'ajuto divino,
siccome quegli che piamente da lui ripeteva ogni evento o prospero od
avverso, si deliberava a voler fare quello, che da tanti secoli non si
era veduto che alcuno fatto avesse. Per la qual cosa risolutosi del
tutto a voler posporre al benefizio della religione ogni altro umano
rispetto, convocati i cardinali il dì ventinove ottobre con queste gravi
ed affettuose parole loro favellava:
«Da questo medesimo seggio, venerabili fratelli, noi già vi annunziammo,
siccome il concordato con Napoleone imperatore dei Francesi, allora
primo consolo, era stato da noi concluso; da questo stesso vi
partecipammo la contentezza che aveva ripieno il nostro cuore, nel veder
volte novellamente, per opera del concordato medesimo, alla cattolica
religione quelle vaste e popolose regioni. D'allora in poi i profanati
tempj furono aperti e purificati, gli altari riedificati, la salvatrice
croce innalzata, l'adorazione del vero Dio restituita, i misteri augusti
della religione liberamente e pubblicamente celebrati, legittimi pastori
a pascere il famelico gregge conceduti, numerose anime dai sentieri
dell'errore al grembo della felice eternità richiamate, e con se stesse,
e col vero Dio riconciliate: risorse felicemente da quella oscurità in
cui era stata immersa, alla piena luce del giorno in mezzo ad una
rinomata nazione la cattolica religione.
«A tanti benefizj di gioja esultammo, e le esultazioni nostre a Dio
nostro signore dall'intimo del nostro cuore porgemmo. Questa grande e
maravigliosa opera non solamente ci riempiva di gratitudine verso quel
potente principe, che usò tutto il potere e l'autorità sua per fare il
concordato; ma ancora ci spinse, per la dolce ricordanza, ad usare ogni
occasione che si aprisse, per dimostrargli, tale essere verso di lui
l'animo nostro. Ora questo medesimo potente principe, il nostro
carissimo figliuolo in Cristo Napoleone imperatore dei Francesi, che con
le opere sue sì bene ha meritato della cattolica religione, viene a noi
significandoci, ardentemente desiderare di essere coi santi olj unto, e
dalle mani nostre l'imperiale corona ricevere, acciocchè i sacri
diritti, che sono in così alto grado per collocarlo, siano col carattere
della religione impressi, e più potentemente sopra di lui le celesti
benedizioni appellino. Richiesta di tal sorte non solo chiaramente la
religione sua, e la sua filiale riverenza verso la Santa Sede dimostra;
ma siccome quella che accompagnata da espresse dimostrazioni e promesse,
da speranza che sia la fede sacra promossa, e che siano le dolorose
ingiurie riparate; opera, che già ha egli con tanta fatica e con tanto
zelo in quelle fiorite regioni procurato.
«Voi vedete pertanto, venerabili fratelli, quanto giuste e gravi siano
le cagioni, che ad intraprendere questo viaggio c'invitano. Muovonci
gl'interessi della nostra santa religione, muoveci la gratitudine verso
il potente imperatore, muoveci l'amore verso colui che con tutta la
forza sua adoperandosi, ebbe in Francia alla cattolica religione libero
e pubblico esercizio procurato, muoveci il desiderio, che d'avanzarla
viemaggiormente in prosperità ed in dignità ci dimostra. Speriamo
altresì, che quando al cospetto suo giunti saremo, e con lui volto a
volto favelleremo, tali cose da lui a benefizio della cattolica chiesa,
sola posseditrice dell'arca di salvazione, impetreremo, che giustamente
con noi medesimi dello avere a perfezione condotto l'opera della nostra
santissima religione congratularci potremo. Non dalle nostre deboli
parole tale speranza concepiamo, ma dalla grazia di colui, di cui,
quantunque immeritamente, siamo il vicario sopra la terra, dalla grazia
di colui, che per la forza dei sacri riti invocato essendo, nei bene
disposti cuori dei principi discende, specialmente quando padri dei
popoli si mostrano, specialmente quando all'eterna salute intendono,
specialmente quando di vivere e di morire veri e buoni figliuoli della
cattolica chiesa deliberano. Per tutte queste cagioni, venerabili
fratelli, e l'esempio seguitando di alcuni nostri predecessori che la
propria sede lasciando, in estere regioni per promuovere la religione, e
per gratificare ai principi, che della chiesa bene meritato avevano,
peregrinarono, ci siamo ad intraprendere il presente viaggio deliberati,
avvengadiochè da tale risoluzione avessero dovuto allontanarci la
stagione sinistra, l'età nostra grave, la salute inferma. Ma non fia che
a tali impedimenti ci sgomentiamo, solo che voglia Iddio farci dei
nostri desiderj grazia. Nè fu il negozio, prima che ci risolvessimo, da
ogni parte ed attentamente non considerato. Stemmo dubbj, ed incerti un
tempo; ma con tali assicurazioni si fece incontro ai desiderj nostri
l'imperatore, che ci rendemmo certi, essere il nostro viaggio a pro
della religione per riuscire. Voi ciò sapete, che su di ciò a voi chiesi
consiglio: ma per non preterire quello che ogni altra cosa avanza,
sapendo benissimo, che conforme al detto della divina sapienza, le
risoluzioni dei mortali, anche di quelli che per dottrina e per pietà
più riputati sono, di quelli altresì, il cui parlare, quale incenso,
alla presenza di Dio sen sale, sono deboli e timide ed incerte, le
nostre fervorose preghiere al padre di ogni sapere indirizzammo,
instantemente richiedendolo, che ci sia fatto abilità di solo fare
quello che a lui piacer possa, solo quello che a prosperità ed
incremento della sua chiesa tornare prometta. Ecci Dio, al quale
coll'umile nostro cuore tante volte supplicammo, al quale nel suo sacro
tempio le supplici nostre mani alzammo, dal quale e benigna audienza ed
ajuto propizio in tant'uopo implorammo, testimonio, che niun'altra cosa
vogliamo, a niun'altra intendiamo, che alla gloria ed agli interessi
della cattolica religione, alla salute delle anime, all'adempimento
dell'apostolico mandato, a noi, quantunque immeritevoli, commesso. Di
questa medesima sincerità nostra voi stessi, venerabili fratelli, a cui
tutto apersi, siete testimonj. Adunque quando un negozio sì grande con
l'ajuto della divina assistenza vicino è a compirsi, qual vicario di
Dio, Salvator nostro, operando, questo viaggio, al quale tante e sì
ponderose ragioni ci confortano, imprenderemo.
«Benedirà, speriamo, il Dio d'ogni grazia i nostri passi, ed in questa
epoca nuova della religione con uno splendore di accresciuta gloria si
manifesterà. Ad esempio di Pio sesto di riverita memoria, quando a
Vienna d'Austria si condusse, abbiamo, venerabili fratelli, provveduto,
che le curie, e le audienze siano e restino secondo il solito aperte; e
siccome la necessità del morire è certa, il giorno incerto, così abbiamo
ordinato, che se durante il viaggio nostro a Dio piacesse di tirarci a
lui, si tengano i pontificj comizj. Infine da voi richiediamo, voi
instantemente preghiamo, che vi piaccia per noi sempre quell'affezione
medesima conservare, che finora ci mostraste, e che noi assenti, l'anima
nostra all'onnipotente Iddio, a Gesù Cristo nostro Signore, alla
gloriosissima sua Vergine madre, al beato apostolo Pietro, acciò questo
nostro viaggio, e felice sia nel corso, e prospero nel fine,
raccomandiate. La quale cosa, se, come speriamo, dal fonte di ogni bene
impetreremo, voi, venerandi fratelli, che di ogni consiglio nostro e di
ogni nostra cura foste sempre partecipi fatti, della comune contentezza
ancora voi parteciperete, e tutt'insieme nella mercè del Signore
esulteremo, e ci rallegreremo».
Giunto il pontefice sulle Francesi terre, fu per ordine dell'imperatore,
ed ancor più per la pietà dei fedeli in ogni luogo con riverenza veduto.
A Parigi, anche quelli che non credevano nè al papa, nè alla religione,
si precipitavano a gara, o per moda, o per vanità, o per adulazione,
alla sua presenza per esprimergli con parole sentimenti di rispetto.
Incoronava Napoleone il dì due decembre. Il fece l'imperatore aspettare
nella chiesa di Nostra Donna in Parigi un'ora prima che vi arrivasse:
vollero, quando il pontefice si mosse alla volta di lui, i pii
circostanti applaudire al venerando vecchio; furonne da Napoleone con
imperioso e forte segno impediti: partito da Nostra Donna il consecrato
ed incoronato Napoleone, fu lasciato Pio, come un uom del volgo,
avviluppato ed impedito fra l'immensa folla del popolo concorso; tristi
presagi dei casi avvenire. Napoleone consecrato diè nel campo di Marte
solennemente le imperiali aquile a' suoi soldati: le auliche insegne
della repubblica, che avevano veduto le Renane, Italiche, Egiziache
vittorie, lasciate nel fango, che era in quel giorno altissimo. Tanto i
soldati di tutti già erano divenuti soldati di un solo! Disprezzar la
gloria era segno, che non si sarebbe rispettata la libertà.
Andarono i magistrati, ed i capi dell'esercito a rendere omaggio
all'incoronato loro signore. Cervoni, antico compagno, vedendolo non più
così scarso del corpo, com'era una volta, con esso lui della prospera
salute si rallegrava. _Sì_, rispose il sire, _ora sto bene_.
LIBRO VIGESIMOSECONDO
SOMMARIO
Buonaparte creatosi imperatore di Francia, pensa a farsi
chiamare re d'Italia. Gl'Italiani gli si rappresentano a
Parigi, e il fanno pago di questo suo desiderio. Va a Milano
per incoronarsi re. Genova cambiata, ed unita a Francia. Festa
che danno i Genovesi all'imperatore e re. Dichiarazione di
Scipione de' Ricci vescovo di Pistoja, al papa, ed accoglienza
che il pontefice gli fa a Firenze. Astute insinuazioni dei
gesuiti ai principi, e loro rinstaurazione nel regno di
Napoli. Nuova guerra tra la Francia da una parte, l'Austria e
la Russia dall'altra, e sue cagioni. Massena generalissimo di
Francia, l'arciduca Carlo generalissimo d'Austria in Italia.
Battaglia di Caldiero. Strepitose vittorie di Napoleone in
Germania. L'arciduca si ritira dall'Italia: pace di Presburgo.
Napoleone toglie il regno a Ferdinando di Napoli, e per qual
cagione. Giuseppe, fratello di Napoleone, re di Napoli. Si fa
sangue nelle Calabrie. Battaglia di Maida tra Francesi ed
Inglesi. Accidenti delle bocche di Cattaro, e ferocia della
guerra Dalmatica. La Dalmazia e Ragusi riunite al regno
Italico.
La natura di Napoleone era irrequieta, disordinata, solo costante
nell'ambizione. Però lungo tempo non stava nel medesimo proposito,
sempre mutando per salire. Pareva, e fu anche solennemente, e con
magnifiche parole detto da lui e da Melzi, che gli ordini statuiti in
Lione per l'Italica fossero per essere eterni; ma non ancora erano corsi
due anni, che già manchi, insufficienti, non conducenti a cosa che buona
e durevole fosse, si qualificarono. Importava a chi s'era fatto
imperatore, che re ancora si facesse. Erano, non senza disegno, stati
invitati gl'Italici a condursi a Parigi per cagione di assistere, in
nome della repubblica, alle imperiali cerimonie ed allegrezze. Vi
andarono Melzi vice-presidente, i consultori di stato Marescalchi,
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