Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV - 19

l'avrebbero anche ottenuta, se non fosse venuto in soccorso delle
schiere pericolanti di Russia il generale Austriaco Dalheim con un
grosso rinforzo di genti Tedesche: efficacemente il secondava la
cavallerìa Russa, che già si era riordinata. Si rinnovava la mischia più
fiera di prima, nè questi cedevano, nè quelli; diè Dambrowski segni di
disperato valore: due volte respinto, due volte tornò più animoso al
combattere, nè si partì dalla battaglia, se non quando arrivò Rosemberg
con un forte apparecchio d'artiglierìe leggeri, che fulminando i
contrastanti, gli costrinsero, sebbene tuttavia combattenti, alla
ritirata sulla destra riva del fiume. Fu questo affronto
sanguinosissimo, e mortale per ambe le parti, la legione Polacca vi fu
conquassata, e lacerata all'estremo. Ma se i repubblicani vi perdettero
molta gente, gl'imperiali ve ne perdettero altrettanta.
Non era stata nè meno ostinata, nè meno sanguinosa la battaglia sui
campi, che avvicinano il Po. Quivi contuttochè Melas si fosse molto
affaticato con le artiglierìe per impedire ai repubblicani il passo
della Trebbia, dalle quali avevano molto patito, erano ciò non ostante
riusciti sulla sinistra del fiume, ed avevano principiato a dare
esecuzione al disegno ordinato da Macdonald. Una colonna urtava di
fronte Otto, mentre un grosso di cavallerìa difilandosi lungo il Po,
s'ingegnava di riuscire oltre l'ala estrema degl'imperiali. Le fanterìe
Tedesche già cedevano all'impeto delle Francesi, quando venne in
soccorso loro con una gagliarda squadra di cavallerìa il principe di
Lichtenstein. Diè la carica alle fanterìe Francesi, e le respinse: diè
la carica alle cavallerìe accorse in ajuto delle fanterìe, e le
respinse. Arrivava in questo dubbioso punto con la seconda squadra dei
suoi fanti Olivier, e facendo uno spaventoso trarre di artiglierìe
leggieri, disordinava i cavalli di Lichtenstein, e gli costringeva alla
fuga. Fra la furia del rinculare percossero nel reggimento dei
granatieri di Wowerman, e il disordinarono, e se le fanterìe di Francia
si fossero fatte avanti per usare la occasione aperta dalle artiglierìe
leggieri, sarebbe nato in questa parte qualche gran sinistro per
gl'imperiali; ma esse, non so perchè, si sostarono. Intanto
Lichtenstein, che era uomo prode, ed i granatieri di Wowermann, che
erano uomini forti, ed esercitati nelle battaglie, si riordinarono, e
tornarono al cimento: trassero con loro un grosso rinforzo del
reggimento di Lobkowitz. Il rincalzo fatto da tutte queste genti unite,
ed animate da Melas, da Froelich, e da Otto diventò sì forte, che
Olivier disperando la vittoria, la lasciò in mano del nemico, sulla
destra riva dell'insanguinata Trebbia ritirandosi. Salm, che co' suoi
cavalli correva lungo il Po per circuire Otto, veduto che per la
ritirata di Olivier restava solo esposto all'impeto di tutta la schiera
vincitrice, velocemente correndo, si ritirava ancor esso agli
alloggiamenti oltre il fiume.
Bene, come si è veduto dalla narrazion nostra, fu combattuta questa
battaglia dalle due ali dell'esercito Francese sul principio, male sulla
fine; il che fu cagione, che, se esse si ritirarono intiere sulla destra
della Trebbia, la mezza vi si ricoverò fuggendo disordinata e rotta.
Avevano i Francesi passato il fiume, ed essendosi ordinati sulla sponda
sinistra assaltavano con l'antiguardo loro il nemico: ma questi,
bravamente resistendo, gli rincacciava. Venuta la seconda fila
repubblicana in soccorso della prima, rinfrescava la battaglia, che fra
breve divenne orribile. Impazienti l'una parte e l'altra di combattere
di lontano, vennero tosto alle prese con le bajonette: fu quest'urto
tanto micidiale sostenuto quinci e quindi con un valore inestimabile.
Quando pei cadenti, feriti o morti qualche spazio vuoto appariva nelle
file, i viventi vi si gettavano, e facevano battaglia con le sciabole, e
quando non potevano con le sciabole, la facevano coi graffi, coi morsi,
e coi cozzi. Non fu questa battaglia generale, ma miscuglio di duelli
fatti corpo a corpo, nè si vedeva chi avesse ad essere il primo a
ritirare il passo. Ma mentre la fortuna stava per tale modo in pendente,
ecco arrivare a corsa un reggimento di Tedeschi condotto dal colonnello
Lowneher, che diede animo ai Russi, lo scemò ai Francesi; caricando, e
smagliando la cavallerìa, che fiancheggiava la schiera di Montrichard.
Un reggimento di fanti leggieri, preso spavento da questo accidente,
cesse fuggendo disordinatamente; la fuga e lo scompiglio invasero tutta
la schiera, nè Montrichard ebbe potestà di rannodarla, malgrado che se
ne desse molto pensiero, e molto vi si sforzasse. La rotta di
Montrichard fu cagione del doversi ritirare Victor; perchè Suwarow
accortosi della favorevole occasione, che la fortuna ed il valore de'
suoi gli avevano aperta, si cacciava dentro ai luoghi abbandonati col
suo corpo di riserbo, ed assaliva il generale Francese per fianco. Pensò
allora Victor al ritirarsi sulla destra riva, e il fece ordinatamente,
per quanto quell'accidente improvviso il comportava. Così tutta la mezza
dei repubblicani, parte rotta intieramente, parte poco intera, e
fieramente seguitata dalla cavallerìa nemica, si era ritirata a
salvamento oltre quel fiume, che con tanta speranza di vittoria aveva
poche ore prima passato. La Trebbia, funesto fiume per tante battaglie,
non vide mai tanto sangue, quanto a questi giorni: il suo letto orrido
pei mucchj dei cadaveri, massimamente più verso la sua foce nel Po,
perchè quivi nel passare furono i Francesi terribilmente bersagliati
dalle artiglierìe di Melas. Dei repubblicani in quelle tre giornate fu
uno scempio di circa sei mila soldati morti, o feriti; tre mila
prigionieri ornarono il trionfo dei vincitori. Non fu minore il numero
degli uccisi dalla parte degli imperiali, e quasi niuno quello dei
prigionieri. Alcune bandiere dei repubblicani furono conquistate dai
confederati; pochi cannoni vennero in poter loro, perchè Macdonald per
non essere ritardato dall'impedimento dell'artiglierìe più grosse, le
aveva lasciate nello stato Romano, solo conducendo seco le leggieri.
Sopraggiunse la notte: era estrema la stanchezza dei combattenti; fuvvi
riposo, se non d'animi, almeno di corpi. Pensava Suwarow, tosto che
aggiornasse, di perseguitar il nemico, Macdonald di ritirarsi,
quantunque a ciò di mala voglia, e costretto dal parere dei compagni, si
risolvesse, perchè avrebbe desiderato di fare una quarta volta
esperienza della fortuna; tanto si era ostinato in questa faccenda del
combattere. Per la qual cosa, lasciato sulla sponda del fiume alcune
genti delle più spedite per occultare al nemico la sua partita,
s'incamminava celeremente col restante esercito, prima che la luce
illustrasse l'Italiche contrade, alla volta di Parma. Dal canto suo
Suwarow, come prima vide sorgere l'aurora, passava il fiume per dar
l'assalto al nemico nei suoi proprj alloggiamenti. Nè avendolo trovato,
ed accortosi della sua levata, si mise tosto a perseguitarlo, egli per
la strada vicina ai monti, Melas per la prossimana al Po. Giunsero i
Russi a Zema il retroguardo Francese governato da Victor, e l'assalirono
con molto valore, e con ugual valore fu loro risposto dai Francesi, cosa
maravigliosa dopo gl'infortuni recenti. La diciasettesima, postasi in un
luogo forte, fece spalla al ritirarsi dei compagni, ma circondata
finalmente da un nemico a molti doppj più grosso, fu costretta a deporre
le armi, dandosi prigioniera in poter del vincitore. Dall'altro lato i
Tedeschi arrivarono addosso ai Francesi presso a Piacenza, e ne fecero
molti prigionieri, massime feriti, fra i quali notaronsi principalmente
Rusca, Salm, e Cambray; quest'ultimo morì fra breve per le ferite avute
nella battaglia. Rusca ebbe una gamba sconcia, Olivier una meno,
entrambi guerrieri buoni, e di forme egregie di corpo. Avrebbe voluto
Suwarow seguitare più oltre i repubblicani; ma udiva ad un tratto, che
Moreau, uscito dal suo sicuro nido di Genova, era sboccato dalla
Bocchetta, e calando dai monti minacciava di trarre a mal partito
Seckendorf, e Bellegarde, dei quali il primo stringeva Tortona, il
secondo Alessandria; che anzi il capitano di Francia avrebbe potuto fare
addosso al suo retroguardo qualche fazione di sinistro augurio.
Deliberossi pertanto a tornarsene indietro, dando carico a Otto, a
Hohenzollern, ed a Klenau, che perseguitando facessero a Macdonald tutto
quel maggior male, che potessero. Ma prima ebbe mandato una presa di
Cosacchi a disfare quella testa di Liguri, che sotto il governo di
Lapoype stanziava a Bobbio; la qual cosa venne loro agevolmente fatta.
Domandano molti, perchè Lapoype, invece di scendere ad ajutare
Macdonald, se ne sia stato inoperoso in un momento, in cui la più
efficace attività era richiesta: alcuni il tacciano di poco animo, altri
di animo rotto per non aver saputo svilupparsi a tempo dai piaceri di
Genova. Ma egli stava agli ordini di Moreau, non di Macdonald, e se il
generalissimo non gli aveva comandato di calarsi, non si vede come il
potesse fare da se. Pare poi cosa molto inverisimile, per non dir del
tutto falsa, che Moreau gli desse il comandamento di scendere, perchè ei
non poteva supporre, che Macdonald fosse, non so se mi debba dire o
tanto imprudente, o tanto temerario, che volesse mettere da se solo a
cimento sorti sì gravi quando temporeggiando solamente due giorni, le
avrebbe potute mettere coi due eserciti uniti insieme. Da tutto questo
si scorge, che se Suwarow avesse tardato ad arrivare solo due giorni, o
Macdonald solo due giorni a combattere, vinceva, per quanto delle
probabilità di guerra si può giudicare, la fortuna di Francia. Sonvi
alcuni, che accusano Macdonald di essere arrivato troppo tardi, perchè
tornando da Napoli giunse a Firenze il dì ventisei di maggio, e solo
partinne il dì otto di giugno: pare cosa strana quell'avere accennato sì
presto, e colpito sì tardi. Se avesse corso, affermano, difilato, con
dare solamente alle sue genti i riposi necessari, sarebbe certamente
giunto a Voghera, prima che Suwarow vi arrivasse, e la unione dei due
eserciti stata certa, e sicura. Di questo noi non vogliamo giudicare,
perchè non abbiamo scienza del marciare degli eserciti, nè dell'immenso
viluppo, che a' nostri tempi e' si tirano dietro. Certo, se
l'accusazione è vera, la posterità Francese avrà molto a dolersi di
Macdonald.
Restava a Macdonald un'impresa difficile a compirsi; quest'era di
ritirarsi a salvamento in Toscana, per poter quindi per la riviera di
Levante condurre le sue genti all'unione in Genova con quelle di Moreau.
Ei ne venne ciò non ostante a capo con uguale e perizia e felicità.
Ordinava a Victor, che salisse per la valle del Taro, e che, varcati i
sommi gioghi dell'Apennino, calasse per quella della Magra nel
Genovesato. Egli poi con la sinistra, ora combattendo alle terga, ora
sul fianco sinistro, ed ora di fronte, e sempre animosamente e
felicemente, più che da vinto si potesse sperare, se ne viaggiava alla
volta di Bologna per condursi di nuovo a Pistoja. Disperse le genti
leggieri di Hohenzollern e di Klenau, che gli volevano contrastare il
viaggio, passò per Reggio e per Rubiera, passò per Modena, che pose a
grossa taglia, mandò presidj a Bologna ed al forte Urbano: poscia
salendo s'internava nella valle del Panaro, ed arrivava al suo
alloggiamento di Pistoja. Poco stettero Bologna, ed il forte ad
arrendersi ai confederati. Nè il generale Francese voleva pei disegni
avvenire, e per le molte sollevazioni dei popoli fermarsi in Toscana.
Perlochè, chiamate a se le guernigioni di Livorno, e dell'isola d'Elba,
che avevano capitolato, la prima con un Inghirami, condottiere di
Toscani sollevati, la seconda con Napolitani e Toscani misti d'Inglesi,
e poste sulle navi per a Genova le artiglierìe e le bagaglie, si avviava
per la strada di Lucca alla volta dei territorj Liguri, e quivi
conduceva a salvamento i suoi stanchi soldati. Poi stanco egli stesso
dalle fatiche e dalle ferite, se n'andava a Parigi piuttosto in
sembianza di vincitore che di vinto, per lo smisurato valore dimostrato.
Del resto mostrossi Macdonald in Italia uomo di generosa natura: fu
anche umano, malgrado delle cose eccessive che pubblicò a Napoli, e che
rinfrescò in Toscana: si astenne da quel d'altrui, abborriva i rubatori.
Amava più la gloria che la repubblica e la libertà, come d'ordinario
l'amano i soldati. Gli piacevano meglio i governi temperati, che gli
sfrenati. Insomma ei fu in Italia personaggio commendevole, e sarebbe
stato anche più se un amore smisurato di fama non l'avesse fatto errare.
Ebbe i difetti degli animi generosi, e non fu poco in mezzo a tanti vizj
di animi vili. Con l'esercito di Macdonald si ritirarono ancora le genti
Francesi, che tenevano Firenze; tutta la Toscana tornava all'obbedienza
di Ferdinando.
Il giorno medesimo, in cui Macdonald combatteva sulle rive del Tidone,
Moreau scendeva con circa venticinque mila soldati dalla Bocchetta, e
passando per Gavi e Novi, fatto anche sicuro dalla fortezza di
Serravalle, che si trovava in potere de' suoi, se ne giva all'impresa di
divertire i confederati dalle offese di Tortona, che già pericolava,
essendo stata aspramente bersagliata da bombe ai giorni precedenti. Il
giorno diciotto al momento stesso, in cui Macdonald era alle mani con
gli alleati fra il Tidone e la Trebbia, Moreau assaltava gli Austriaci
nel campo loro sotto Tortona, e quantunque, condotti da Seckendorf e da
Bellegarde, si difendessero da uomini forti, tuttavia, prevalendo i
Francesi di numero, furono costretti a cedere e perdettero San Giuliano;
perseguitati acerbamente dai repubblicani nel piano di Marengo,
disordinati, e rotti si ritirarono oltre la Bormida.
Questa vittoria liberava Tortona dall'assedio, e fu fatto abilità a
Moreau di rinfrescarla di viveri e di munizioni. Da tutto questo
chiaramente si vede, che se Macdonald fosse, come pare che potesse,
arrivato più presto, o avesse combattuto più tardi, avrebbe la fortuna
inclinato di nuovo a favor dei repubblicani: per un intervallo di
ventiquattr'ore stette, che i vinti non fossero vincitori, e che
l'Italia, in vece di essere Russa e Tedesca, fosse Francese.
Scaramucciossi il giorno diecinove, ed il venti sulle rive della
Bormida. Il ventuno, messosi Bellegarde all'ordine, raccolte quante
genti potè dal campo sotto Alessandria, e da altre terre vicine, facendo
stima non piccola di questo moto, nè volendo che Moreau si alloggiasse
in quei luoghi, mandava Seckendorf con un grosso antiguardo ad assaltar
i repubblicani sulla destra del fiume. Attaccossi Seckendorf con Grouchy
a San Giuliano, e dopo una dura zuffa lo sforzava a ritirarsi.
Accorrendo con nuove genti Grenier in soccorso di Grouchy ristorava la
battaglia: il generale Tedesco, che sulle prime aveva respinto, fu
respinto. In questo mentre Bellegarde arrivava a fare spalla a
Seckendorf con una forte squadra di genti fresche, ed entrato nella
battaglia faceva piegare i Francesi: venivano in poter suo San Giuliano,
e Spinetta; continuamente i Tedeschi guadagnavano del campo. Fu forza,
che Moreau venisse in ajuto de' suoi, che si trovavano in gran pericolo.
Divenne allora molto aspro il conflitto: da ambe le parti si facevano
gli ultimi sforzi per uscirne con la vittoria. Alfine Grouchy, che in
questo fatto si portò da soldato molto valoroso, radunati e riordinati i
suoi, che erano stati disordinati e dispersi, dava dentro, serrandosi
addosso con molto impeto agli Austriaci, gli rompeva, e gli sforzava ad
andarsene frettolosamente a cercar ricovero sulla sponda sinistra della
Bormida. Un loro retroguardo lasciato al Bosco, e circondato dai
Francesi si liberò a furia di bajonette. L'estrema coda delle genti
Austriache, deposte per la forza sopravvanzante degli avversarj le armi,
si diede in poter dei vincitori. Perdettero gl'imperiali in questo fatto
molta gente, ma non tanta, quanta pubblicarono i Francesi, nè tanto poca
quanto pubblicarono i Tedeschi, certamente nel novero di due in tre mila
soldati tra morti, feriti e prigionieri; nè è dubbio, che la vittoria
non sia stata dalla parte dei repubblicani. Quivi ebbe Moreau le novelle
dei sinistri accidenti della Trebbia. Perlochè conoscendo, che per
allora non restava speranza di far risorgere la fortuna, e che la sola
strada che gli rimanesse aperta per riparo del suo esercito, era quella
di ritirarlo prestamente là, dond'era venuto, condottosi con frettolosi
passi per la strada di Novi e di Gavi a Genova, spartiva i soldati nelle
stanze di Voltri, Savona, Vado e Loano. Munì Genova con un sufficiente
presidio; la strada di sboccar di nuovo nelle pianure Tortonesi gli
rimaneva libera pei forti di Gavi e di Serravalle. Oltre a ciò aveva per
maggiore sicurezza ordinato un forte campo con trincee tra la Bocchetta
e Serravalle, che aveva raccomandato alla fede del marchese Colli,
assunto al grado di generale, ed a lui congiunto d'amicizia. Le altre
valli dei monti Apennini, per le quali si aprono le strade delle pianure
bagnate dalle acque del Po, furono anche dal generale di Francia
fortificate, e munite con buoni presidj.
In questo forte sito, ed avendo frapposto fra di lui ed il nemico, come
baluardo naturale e forte, tutto il concatenato giogo degli Apennini, se
ne stava aspettando, che cosa portassero le sorti dalla parte di
Francia, che ancora non voleva, malgrado di tante rotte, pazientemente
sopportare, che l'imperio d'Italia le uscisse dalle mani. Tornato
Suwarow dai campi tanto gloriosi per lui del Tidone e della Trebbia,
andava a porsi ad alloggiamento sulle sponde dell'Orba per impedire ogni
motivo, che i Francesi potessero fare a soccorso delle fortezze di
Tortona e di Alessandria cinte, dopo il suo arrivo, di più stretto
assedio, e che sperava avessero fra breve a cedere alle sue armi.
Tale fu la ruina ed il precipizio delle cose dei Francesi in Italia,
che, non ancora trascorsi quattro mesi da quando la guerra aveva avuto
principio in quest'anno, perdute sette battaglie campali, e le fortezze
di Peschiera, e di Pizzighettone, il castello di Milano, la cittadella
di Torino, perduta tutta l'Italia da Napoli fino al Piemonte, la cadente
loro fortuna altro sostegno più non aveva, che i gioghi dei monti
Liguri, ed alcune fortezze. Noveravansi fra queste principalmente i
castelli di Napoli, il castel Sant'Angelo, Ancona, Mantova, e le
fortezze Piemontesi di Alessandria, Tortona e Cuneo. Conoscevano gli
alleati, che l'imperio d'Italia non si renderebbe in mano loro sicuro,
se non quando tutte le anzidette fortezze conquistate avessero. Ma
principale pensier loro era quello dell'acquisto di Mantova stimata il
più forte antemurale d'Italia, se non di effetto, almeno di nome, e
delle fortezze del Piemonte; conciossiachè il presidio di Mantova
essendo grosso di circa diecimila soldati, poteva ajutare efficacemente
una nuova calata di Francesi, se la fortuna divenisse loro più
favorevole; le fortezze Piemontesi, per essere vicine a Francia,
potevano facilmente servire di appoggio e di scala a nuove imprese dei
repubblicani. Agevolavano agli alleati la conquista di tutti questi
propugnacoli le vittorie conseguite, i popoli favorevoli, le armi Russe,
Inglesi e Ottomane, che o già tenevano, o minacciavano l'inferiore
Italia. Per la qual cosa non così tosto Moreau si era riparato nel suo
sicuro seggio di Genova, che i confederati andarono col campo alla
cittadella d'Alessandria con potentissimi apparecchj, sperando per
l'efficacia del batterla, ch'ella avesse presto, quantunque molto fosse
forte per arte, ad essere sforzata alla dedizione.
Siede la cittadella d'Alessandria sulla riva sinistra del Tanaro,
separata solamente per le acque del fiume dalla città, con la quale si
congiunge per un ponte coperto a guisa di quello di Pavìa. Eravi dentro
un presidio di circa tremila soldati sottomessi al generale Gardanne,
soldato, che pel suo valore in quelle guerre Italiane, era tostamente
salito dai minori gradi della milizia ai maggiori. Sebbene non gli fosse
nascosto, che per le rotte toccate da' suoi poca speranza gli rimaneva
di essere soccorso, tuttavia da quell'uomo forte, ch'egli era, si era
risoluto a difendersi fino agli estremi, perchè dove non vi poteva più
essere utilità per la sua patria, voleva almeno, che risplendesse
incontaminato l'onor suo, e quello de' suoi soldati. Animava
continuamente il presidio con la voce e con la mano, sopravvedeva ogni
cosa, ordinava con somma diligenza quanto fosse necessario alla difesa.
Dal canto suo Bellegarde niuna diligenza o fatica risparmiava, per venir
a capo dell'espugnazione. Aveva con se ventimila soldati fra Austriaci e
Russi, più di centotrenta pezzi di artiglierìe assai grosse, parte
dell'esercito, parte condotte recentemente dalle armerìe di Torino, con
obici e mortai in giusta proporzione. Venne per sopravvedere, ed
incoraggire gli oppugnatori con la sua presenza il generalissimo dei due
imperj. Essendo la fortezza nuova, edificata secondo l'arte, ed
abbondante di caserme, e di casematte construtte a pruova di bomba, si
bramava conoscere, quanto potesse nel contrastare alla forza di chi
l'assaltava. Si convenne da ambe le parti, che gli alleati non
molesterebbero la fortezza dal lato della città, e che ella la città in
nissun modo offenderebbe. Scavata, ed alzata la prima trincea di
circonvallazione, fece Bellegarde la chiamata a Gardanne. Rispose,
essergli stato comandato, che difendesse la fortezza, e volerla
difendere. La folgoravano con tiri spessissimi centotrentanove cannoni,
quarantacinque obici, cinquantaquattro mortaj. Nè se ne stava Gardanne
ozioso, fulminando ancor esso con tutto il pondo delle sue artiglierìe.
Ma la tempesta scagliata dagli alleati fu sì grande, che in poco d'ora,
o per proprio colpo, o per riverberazione ruppe la maggior parte dei
letti delle artiglierìe, sboccò le restanti, uccise non pochi
cannonieri, arse una caserma, ed una conserva di polvere con orribile
fracasso: tacque per un tempo, o debolmente trasse la piazza. Usarono
gli assedianti l'accidente, e spintisi avanti con le zappe, e compite le
traverse, arrivarono sino al circuito dello spalto, dove incominciarono
a distendersi con il cavare, e con alzare la terra a destra ed a
sinistra coll'intento di compire la seconda circondazione. Tentava
Gardanne d'impedirgli, poco potendo con le artiglierìe, con
l'archibuserìa, traendo furiosamente contro i lavoratori dalla strada
coperta. Ciò non ostante condussero a perfezione la seconda; nè mettendo
tempo in mezzo, e dell'oscurità della notte giovandosi, vi alzarono di
molte batterìe. In questi bersagli si portarono egregiamente, e fecero
maravigliosi progressi contro la piazza i cannonieri Piemontesi tornati
ai servigi del re. Nè furono senza effetto le armi Francesi, perchè
molti buoni soldati dei confederati restarono uccisi, o feriti. Morì un
nipote del marchese di Castler, fu ferito gravissimamente il marchese
medesimo con grande rammarico di Suwarow, che conosceva, quanto quel
guerriero valesse. Era intendimento degl'imperiali, compita questa
seconda circonvallazione, di far pruova di cacciar i repubblicani dalla
strada coperta. In fatti tanto fecero coi cannoni, che spazzavano i
bastioni, e con le bombe e con le granate, che rendevano pericoloso e
mortale lo starvi, che i soldati di Francia l'abbandonarono, ritirandosi
del tutto nel corpo della piazza. Sottentrarono gl'imperiali, vi fecero
un alloggiamento stabile: poi con le zappe continuamente travagliandosi,
assieparono gli angoli sporgenti della medesima strada coperta, e si
condussero fin sotto ai bastioni. Sorgevano i segni della vicina
dedizione. Già erano alzate le batterìe per battere in breccia, già le
scale pronte, già le artiglierìe della piazza più non rispondevano. Di
tanti, quattro cannoni soli si mantenevano in grado di trarre; le armi
missili, oggimai consumate tutte, mancavano; un assalto al nascente
giorno si preparava, una presa di soldati fortissimi trascelti a questo
mortale ufficio già stavano pronti ad eseguirlo: le ruine stesse delle
mura facilitavano la salita. Il resistere più lungo tempo sarebbe stato
per Gardanne, non che temerità verso la fortuna, crudeltà verso i
soldati; però, inclinando l'animo alla concordia, chiese, ed ottenne
patti molto onorevoli il dì ventuno luglio. Uscisse il presidio con
tutti i segni d'onore, che danno i vincitori ai vinti; si conducesse
negli stati ereditarj, vi stesse fino agli scambi, avesse Gardanne
facoltà di tornarsene in Francia sotto fede di non militare contro i
confederati sino allo scambio. Fu assai bravo il contrasto fatto da
questo generale di Francia; ciò nondimeno fu accusato dell'essersi
arreso, prima che la breccia fosse aperta. Ma l'accusa non ebbe effetto,
perchè vennero poco dopo tante dedizioni, che fu manifesto, che la forza
insuperabile, non la codardia, od il tradimento avevano operato.
Restarono uccisi di Francesi seicento, di Cisalpini ducento. Fuvvi anche
molto sangue fra i confederati, perchè mancarono fra di loro in ugual
numero i soldati. Trovarono i vincitori nella fortezza conquistata
settemila fucili, più di cento cannoni, la maggior parte da risarcirsi,
dieci mortai, polvere in abbondanza, e munizioni da bocca
proporzionatamente. Fu celebrata la conquista di Alessandria con ogni
maniera di pubblica dimostrazione. Poi, per metter terrore, e per
isfogar l'odio, carcerarono i giacobini, come gli chiamavano; il che
contaminò l'allegrezza, perchè molti fra di loro appartenevano alle
famiglie principali del paese. Ma Suwarow voleva quel che voleva, ed
anche il consiglio supremo il secondava volentieri.
Non si era ancora acquetata l'allegrezza concetta per la conquista
d'Alessandria dai collegati, e dai loro partigiani in Italia, che ebbero
occasione d'un'altra maggiore prosperità per l'espugnazione di Mantova.
Aveva Buonaparte due anni innanzi conquistato questa fortezza piuttosto
col consumarla per carestìa di viveri che con lo sforzarla per
oppugnazione. La domò Kray piuttosto per forza, che per assedio:
perciocchè s'arresero i repubblicani alle armi imperiali, quando ancora
avevano nelle conserve loro di che cibarsi ancora per lungo tempo; ma le
mura sfasciate, ed il cinto della piazza rotto gli costrinsero in breve
tempo a quella risoluzione, cui il fare ed il non fare, tanto importava
a loro, ed agli alleati. Si era Kray, già fin quando Suwarow era
arrivato al supremo governo dell'esercito, messo intorno a Mantova, ma
non si era fatto molto avanti con le trincee, e perchè non aveva forze
sufficienti a circuire, ed a sforzare una piazza di tanta vastità, e
difesa da una guernigione di diecimila soldati. Per la qual cosa aveva
solamente applicato il pensiero al tenere impediti i luoghi, acciocchè
nissuno ajuto di genti, o di vettovaglia vi si potesse introdurre; aveva
anche fatto opera, posciachè Peschiera e Ferrara erano state soggiogate
dalle armi dei confederati, che le barche imperiali, che avevano
acquistato il dominio del lago di Garda, per le acque del Mincio
calandosi, e così pure un'armata di navi sottili ascendendo pel Po,
venissero fare spalla all'esercito terrestre, che stringeva la piazza.
Infatti l'essere padrone di Peschiera e di Ferrara, che sono a destra ed
a sinistra a guisa di opere esteriori di Mantova, dà maggior facilità a
chi è al tempo stesso signore della campagna, di acquistare per fame o
per forza quel baluardo principale d'Italia. Ma quando dopo le rotte di
Macdonald, Suwarow fatto più sicuro ebbe mandato novelle genti
all'assedio, per forma che l'esercito di Kray ascendeva, se non passava,
il novero di quarantamila soldati, il generale Tedesco, nel quale non si
poteva desiderare nè maggior animo, nè miglior arte, si accinse a voler
fare quello, che fino allora aveva solamente accennato. Per facilitargli
vieppiù l'impresa, gli mandava Suwarow alcuni pezzi d'artiglierìe ben
grosse, trovate nelle armerìe di Torino. Con questo accostamento si
trovò Kray in grado di fulminare la piazza con più di seicento bocche da
fuoco. Alloggiava il più grosso nervo dell'esercito assediatore, la più
parte Austriaco, per modo che incominciando sulla sinistra alla Certosa,
e girando col mezzo alla Madonna, andava con la sinistra a terminarsi a
Capilupo. Un altro corpo di genti Austriache si era posto a rincontro di
San Giorgio. Eransi i Russi accampati oltre il canale di Sant'Antonio a
destra, ed a sinistra della strada che va a Verona: carico loro era di