Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV - 09

il procedere dei Napolitani era atto a rattemperare gli odj; perchè
oltre le parole al solito gonfiamente lanciate, il che irritava la
Romana natura assuefatta a mirar al reale, non al vano, i fatti erano
piuttosto da conquistatori provocati, che da amici chiamati, e l'Italia
andava a sacco e da chi pretendeva liberarla con parole di libertà, e da
chi pretendeva liberarla con parole di conservazione. Tutte queste cose
non erano nascoste a Mack, e però argomentando, che la guerra era
piuttosto incominciata di nome che di fatto, e che se con qualche
fazione importante, in cui si venisse al sangue, non dimostrava che le
mani fossero tanto forti, quanto le lingue pronte, il tempo avrebbe
presto condotto una mutazione di fortuna, si deliberava ad andar
all'incontro delle armi repubblicane. Del che tanto maggiore necessità
gli sovrastava, quanto Championnet raccoglieva genti in fretta, e
continuamente s'ingrossava.
Avendo adunque avuto avviso, che con felice navigazione era Naselli
sbarcato a Livorno, e Ruggiero di Damas ad Orbitello, si muoveva a
tentare la fortuna delle battaglie. Siccome poi credeva, se
prosperamente nei primi incontri combattesse, di trovare, se non
maggiore inclinazione di popoli, almeno maggiore sicurtà di governo
nella Toscana, provincia suddita a principe Austriaco, elesse di far
impeto contro l'ala destra dell'esercito Francese, che governata dal
generale Macdonald, da Terni si distendeva fin verso Nepi,
Civitacastellana, e Monterosi. A questo partito dava anche favore il
pensare, che Naselli, e massimamente il conte Ruggiero venivano alla
volta sua per la strada del littorale, coi quali desiderava, ed era
punto principale della sua impresa, il congiungersi. Nè era di poca
importanza il moto della città di Viterbo, che a furor di popolo si era
scoperta contro i Francesi. Marciava Mack, divisi i suoi in cinque
schiere, il dì cinque decembre, da Baccano contro i repubblicani, mentre
al tempo stesso ordinava un moto verso Civitaducale, per tener in
rispetto i Francesi da quella banda. Prevaleva di gran lunga di numero,
conducendo quarantamila soldati contro un nemico, che se arrivava agli
ottomila, non gli passava, poichè in questo numero consisteva l'ala
destra dei repubblicani. Sboccava la prima schiera Napolitana verso
Nepi, la seconda, insistendo sull'antica via Romana, verso Rignano, la
terza verso Santa Maria di Falori, schiere tutte destinate a combattere
sulla destra sponda del Tevere. La quarta aveva il carico d'impadronirsi
di Vignanello per guadagnare la terra d'Orta, e quivi varcare il fiume.
Finalmente per fare un po' di spalla a destra a tutte queste genti, la
quinta schiera dei regj marciava contro a Magliano, e già aveva
traversato il Tevere al passo di Ponzano. I Francesi, sentita
prestamente la venuta del nemico, non si fermarono ad aspettarlo, ma
siccome quelli, che stimavano se stessi da quegli uomini valorosi che
erano, e tenendo in poco conto le genti Napolitane, uscirono
incontanente ad incontrarle. I capi poco dubitavano della vittoria,
perchè oltre il provato valore dei soldati, sapevano, che gli assalti
dei Francesi, per la natura pronta della nazione, sono sempre più
fortunati che le difese. Non fu l'esito diverso dalle speranze.
Kellerman, figliuolo del vecchio generale di questo nome, e giovane
commendabile per valore e per bontà, contuttochè sulle prime trovasse un
duro incontro, ruppe la prima Napolitana schiera, cacciolla insino a
Monterosi, e quivi rompendola di nuovo tagliava a pezzi i valorosi,
disperdeva i codardi. Non procedettero con maggior riputazione le cose
dei Napolitani dall'altre parti: il colonnello Lahure ruppe la schiera
di Rignano, sebbene sulle prime avesse perduto del campo; perchè
Macdonald con pronti ajuti soccorrendolo, lo ebbe tostamente abilitato
alla vittoria. S'incontrava la schiera che giva all'assalto di Santa
Maria di Falori in una squadra Polacca capitanata dal generale
Kniazewitz, e che aveva con se una legione Romana, che aveva alzate le
bandiere della repubblica. Polacchi e Romani valorosissimamente
combatterono: i Napolitani andarono in volta, non senza grave perdita
d'uomini, d'armi, e di bagaglie. Il generale Maurizio Mathieu
affrontava, così avendo ordinato Macdonald, la quarta schiera, la quale
cedendo si ricoverava nella terra di Vignanello forte per sito, e cinta
di buone mura. Si difendevano i Napolitani virilmente, sapendo, che
questa fazione era di grandissima importanza; erano anche ajutati dai
terrazzani, nemicissimi del nome Francese. Ma Mathieu tanto fece con le
armi e con le minacce, che sforzava i Napolitani a lasciar la terra
libera al vincitore. Entraronvi i Francesi trionfando, non senza qualche
licenza, come di gente vincitrice, ed irritata. Acquistato Vignanello,
correva Mathieu ad assicurare il ponte di Borghetto.
Restava la quinta schiera, che camminava verso Magliano, ma udite le
infelici novelle delle compagne, se ne tornava, senza aver combattuto,
per Ponzano, al principale alloggiamento dell'esercito regio. Così pel
valore delle sue genti, e per l'arte egregia, con la quale le mosse,
venne fatto a Macdonald di variare lo stato della guerra, e di riuscir
vincitore da un assalto molto pericoloso. Bene si può biasimare Mack
dello aver diviso i suoi in tante parti, convenendogli piuttosto,
siccome a quello che aveva l'esercito molto più grosso, il marciare
unito; perciocchè con un solo sforzo avrebbe vinto, mentre con molti
perdè. Ma voleva Mack mostrar sempre in tutte le sue cose un'arte molto
squisita e non gli andavano a grado le mosse semplici. Così nella
propria perizia ravviluppandosi, ed impacciandosi, si esponeva ad un più
gran numero di casi fortuiti, ed apriva un maggior adito alla fortuna.
Ma, non ostante le battaglie combattute infelicemente dal generale
Napolitano sulla destra riva del Tevere, la guerra non era ancora vinta;
perchè da una parte il conte Ruggiero di Damas venendo da Orbitello si
avvicinava, dall'altro rimanevano ancora sulla sponda sinistra del fiume
ai Napolitani genti superiori per numero ai loro nemici. Per la qual
cosa Mack, non disperando ancora delle sorti, si accingeva a fare un
nuovo sforzo sulla sponda medesima, il cui fine era di rompere la
schiera di mezzo di Championnet: il che avrebbe disgiunto le due ali
Francesi, di cui la destra guidata da Macdonald insisteva tra il mare ed
il Tevere, e la sinistra militava sotto la condotta di Duhesme oltre
l'Apennino, tra questo monte e le spiagge dell'Adriatico. Ebbe il
generale Francese sicuro e pronto avviso dell'intento del suo
avversario. Laonde per resistere a quel nuovo impeto, e non si
commettere se non con vantaggio alla fortuna, ristringeva i suoi ed
affortificava con nuove genti i luoghi di Contigliano e di Magliano. Poi
fe' ritirare Macdonald da Civitacastellana, solo lasciato un presidio
nel forte a Borghetto, affinchè quivi validamente difendesse il passo
del fiume. Finalmente chiamava il generale Lemoine, che oltre l'Apennino
sotto il freno di Duhesme combatteva contro il cavaliere Micheroux,
generale del re, ad occupare Civitaducale, e Rieti, la prima, città del
regno, la seconda, dello stato Romano. Pensier suo era in questo, che
Lemoine tempestando sulla destra di Mack, gli troncasse il suo
pericoloso pensiero di spartire in due l'esercito repubblicano. Dal
canto suo Mack aveva per primo fine, spingendosi avanti, di acquistare
Terni, il che sarebbe stato il compimento del suo disegno. Con questo
intento, mandata una colonna ad occupare Civitacastellana, avviava
grosse squadre ai monti di Buono, a Cantalupo, ad Aspra, e già faceva le
viste di assaltare Otricoli, fazione, per la posizione dei luoghi, di
grandissima importanza. Aveva poi il suo alloggiamento principale, e
come quasi primario fondamento alla vittoria, sul monte di Calvi. Le
cose succedevano a prima giunta prosperamente ai Napolitani;
conciossiachè, sebbene per opera di Mathieu fossero stati cacciati da
Magliano, che già avevano conquistato una loro schiera di gran polso,
sotto guida del generale Moesk, si era, cacciatone di forza i Francesi,
impadronita di Otricoli, e già faceva correre da suoi cavalleggieri la
strada per a Narni. La guerra diveniva pericolosa pei Francesi. Ma non
perdutisi punto d'animo, si risolvevano al combattere, e provarono
tostamente, che nelle battaglie più può l'ardire che la prudenza; poichè
Mathieu, per comandamento di Macdonald, assaltò furiosamente i
Napolitani in Otricoli, e quantunque valorosamente vi si difendessero,
gli vinse con perdita di due mila soldati, di cinquecento cavalli, di
otto cannoni, e di tre bandiere. Diedero in questo fatto pruove di
singolar valore i Polacchi, e fu ferito gravemente in una gamba un
Santacroce, principe Romano, che combatteva per la repubblica. Ritirossi
Moesk colle reliquie de' suoi a Calvi, dove per la fortezza del sito si
poteva sostenere, e fare ancor dubbia la vittoria. Ma lo stesso Mathieu,
già vincitore di tanti fatti per valore di questa Napolitana guerra,
mandato da Macdonald, vincitore ancor esso dei fatti medesimi per
perizia, occupate le eminenze, che stanno a sopracapo alla terra, e
minacciato aspramente Moesk, se non si arrendesse, il costringeva,
ajutato anche dalla presenza di Macdonald sopraggiunto in quel
frangente, alla dedizione. Questo fatto ruppe ad un punto tutte le
speranze che Mack aveva concette di poter durare nello stato Romano, e
lo fece accorgere, che niun altro scampo gli restava, che quello di
ritirarsi con presti passi nel regno. Già il re, udite le sinistre
novelle, ed abbandonata Roma, si era avviato, prima a Caserta, poscia a
Napoli: Mack, raccolti più prestamente che potè tutti i suoi, andava a
Capua, in cui sperava di difender Napoli, giacchè non aveva potuto
difender Roma nè a Calvi, nè a Cantalupo. Entrarono i Francesi
vittoriosi in Roma, donde diciassette giorni prima erano partiti non
vinti. Tornaronvi i consoli ad occupare le perdute sedi.
Le cose dei Napolitani non avendo fatto sulla destra del Tevere quella
resistenza, che il conte Ruggiero aveva sperato, gli era divenuto
impossibile di congiungersi con la sua schiera sinistra: le rotte sulla
sinistra gli tagliavano ogni strada a potersi congiungere col grosso
dell'esercito, e niun altro scampo gli lasciavano, che quello di aprirsi
il passo per forza, o di conseguirlo di queto dal vincitore, o di
retrocedere per andarsi a rimbarcare in Orbitello. Rifulse in sì estremo
accidente la virtù del conte; poichè non isgomentatosi punto, se ne
continuava a marciare con settemila soldati da Baccano verso Roma.
Championnet attonito a caso tanto improvviso, mandava il suo ajutante
Bonami a sapere, che cosa volesse dir questo. Gli fu risposto dal conte,
che voleva passare o per amore, o per forza per ritornare nel regno; ed
ottenuto un indugio dal nemico per trattare un accordo, avvisando che
Bonami non aveva dato tempo per altro motivo, che per far accorrere
nuove genti, levava, più tacitamente che poteva, il campo,
incamminandosi più che di passo alla volta di Orbitello. Giunto alla
Storta, vi fu il suo retroguardo combattuto dai repubblicani: ma
difesosi virilmente, acquistava facoltà del continuare a ritirarsi.
Calava intanto a far le sue condizioni più pericolose Kellerman da
Borghetto. Incontratisi repubblicani e regj a Toscanella, si
travagliavano con un conflitto molto aspro. Il conte, contuttochè fosse
ferito gravemente da una scheggia in una gamba, continuava a combattere
valorosamente; i Napolitani incoraggiti dall'esempio del loro capo, si
difendevano anch'essi con molta costanza: nè si spiccarono dalla
battaglia, se non quando per l'arrivo delle cavallerìe di Kellerman, era
diventata troppo disuguale. Intanto non aveva omesso il conte, mentre
col retroguardo arrestava l'impeto dei repubblicani, di accostarsi
vieppiù coll'antiguardo, e col grosso della schiera, ad Orbitello.
Queste due squadre nella cercata terra essendo giunte, tostamente vi
s'imbarcarono sulle navi Napolitane, che quivi le attendevano. Restava,
che si conducesse a salvamento il retroguardo, che era furiosamente
seguitato dai Francesi; ma non così tosto il conte col retroguardo
medesimo (imperciocchè sebbene molto patisse della sua ferita, aveva
sempre in mezzo a quest'ultima parte del suo esercito combattuto) vi
entrava, che chiuse le porte sul viso al nemico, faceva le viste di
volersi difendere. Si appiccava intanto una pratica tra di lui e
Kellerman, per la conclusione della quale fu fatto abilità al conte
d'imbarcarsi con tutte le sue genti, solo lasciando in mano dei Francesi
le artiglierìe. Bello e lodevole fatto del conte Ruggiero fu questo, e
che dimostrò, che se i buoni soldati fanno i buoni generali, ancora e
molto più i buoni generali fanno i buoni soldati. Viterbo vinta ed
occupata dal vincitore, pagò le pene dello aver anteposto lo stato
antico e dispotico, allo stato nuovo e tirannico. Ciò non ostante non vi
furono vendette esorbitanti, ed il giovine Kellerman vi si portò più
moderatamente che i tempi non comportavano.
Riconquistata Roma, ed atterriti i Napolitani, pensava Championnet ad
assicurarsi, e ad ampliare la vittoria; ed ancorchè non avesse un
esercito bastante pel numero dei soldati a conquistare il regno,
tuttavia, considerato il loro valore, l'efficacia della fresca vittoria,
il terrore dei nemici, e la forza delle opinioni favorevoli, che da
lungo tempo e largamente vi si erano sparse, e che ora più potentemente
operavano per la vicinanza dei Francesi, e per la sconfitta
dell'esercito regio, si risolveva a tentar l'impresa. A questo fine era
necessario il debellare Capua, ultimo propugnacolo di Napoli per la
fortezza della città, per la profondità delle acque del Volturno, e per
avervi Mack adunato tutte le genti, ancora forti, se non per valore
almeno pel numero. Adunque il generale della repubblica spartiva i suoi
in due principali schiere, delle quali la sinistra governata da
Macdonald, correndo pei luoghi superiori e più vicini agli Apennini,
doveva, là dove è meno grosso per la prossimità de' suoi fonti, varcare
il Garigliano ai passi del Castelluccio e di Caprano, e al tempo stesso
dare facoltà alle genti di Duhesme e di Lemoine di congiungersi con lui
a sforzo comune contro Capua. La seconda schiera sotto la condotta di
Rey, radendo il lido, s'incamminava verso Terracina, con pensiero di
acquistare, strada facendo, Gaeta per una battaglia di mano, poi
comparire sotto le mura della desiderata Capua. Nè l'esito fu diverso
del disegno; perchè e Macdonald e Rey, superati tutti gli ostacoli,
arrivavano alla destinata oppugnazione sulle sponde del Volturno. Ai
passi stretti e forti di Fondi e d'Itri fecero i Napolitani debole
resistenza: a Gaeta, piazza forte per sito e per arte, e con un presidio
di più di tremila soldati, con provvisioni e munizioni abbondanti,
niuna. Vennero a Gaeta in poter dei vincitori circa cento pezzi di
cannoni, piatte per ponti, barche armate, e barche annonarie provviste,
e vettovaglie in copia. Precipitavano a gran rovina le cose del regno,
non essendosi mostrato in sua difesa valore nissuno, se si eccettua il
caso del conte Ruggiero. Duhesme e Lemoine, ai quali andava avanti, come
speculatore ed apritor di strade, quell'arrisicato condottiere Rusca,
sui sinistri gioghi dell'Apennino insistendo, travagliavano più per gli
assalti improvvisi delle popolazioni mosse a romore, ed armate di ogni
sorte d'armi, che per le battaglie delle genti regolari. Principalmente
nelle contrade del Tronto, e verso Teramo, i paesani mossi a romore, e
condotti dai preti, infestavano le strade, davano addosso agl'isolati,
ed impedivano le comunicazioni tra l'una parte e l'altra dei
repubblicani. Ciò ritardava l'impeto dei Francesi, che da questa parte
non poterono seguitare di pari passo le genti vincitrici di Championnet,
e di Macdonald. Tuttavia appoco appoco prevaleva il valore regolato.
Lemoine acquistava Aquila, dove trovava munizioni da bocca in
abbondanza. Poi si conduceva a Sulmona, dove mettono capo tutte le
strade dell'Abruzzo, con intenzione di aspettar quivi Duhesme, che più
vicino correva le sponde dell'Adriatico. Grave intoppo ai disegni di
Duhesme era Pescara, città, che con la sua fortezza situata in luogo
eminente domina tutto il pian paese all'intorno, e la sola strada a riva
il mare, per la quale possono passar le artiglierìe. Questa era la
principale piazza dei Napolitani su quei lidi, sì per l'importanza del
passo, e sì perchè difende la foce del fiume Pescara, che si distende a
guisa di porto. Due mila soldati la presidiavano; ma non fecero miglior
pruova dei difensori di Gaeta; perchè, come prima i soldati leggieri
della repubblica si mostrarono sulle alture che stanno a sopracapo al
ponte di Pescara, e le altre truppe a Pianella ed a Civita di Penna, il
comandante pensò alla dedizione, dando in mano dei Francesi quel luogo
tanto forte per arte e per natura, e tanto importante alla sicurezza del
regno. Vi trovarono i vincitori armi, e munizioni in copia. Acquistata
Pescara, procedeva Duhesme a congiungersi per la strada di Popoli con
Lemoine a Sulmona, donde varcato il sommo giogo dell'Apennino,
condussero entrambi tutta l'ala sinistra sotto le muraglie di Capua.
Così non solo erano in veemente movimento le cose di Napoli, ma ancora
cominciavano a precipitare a manifesta rovina.
Naselli, lasciato Livorno, perchè oltre le sconfitte dei regj, aveva
udito che Serrurier con una mano di soldati della repubblica già aveva
occupato Lucca, e si apparecchiava ad andarlo a combattere, imbarcate le
genti sulle navi apprestate, veleggiava alla volta del Garigliano.
Non erano senza fortezza i nuovi alloggiamenti di Mack. Posto il campo
col grosso de' suoi nella pianura di Caserta, per modo che fosse abile a
difendere il passo del Volturno, aveva fatta Capua sicura con un
presidio di diecimila soldati. Tra per questi, e le genti del campo,
aveva ancora un novero di combattenti superiore a quello dei Francesi, e
se avesse avuto o migliori soldati, o più fedeli capitani, o minore
capriccio in una certa squisitezza d'arte, che gli faceva sempre
moltiplicare i casi fortuiti con allargar troppo il campo, poteva ancor
tenere la fortuna in pendente. Bene l'evento dimostrò, che Capua si
poteva difendere, e si perdè non per forza, ma per accordo. Ma già i
casi di Napoli diventavano più forti di tutte queste condizioni unite
insieme. Il ritorno tanto subito del re, le novelle sinistre che ad ora
ad ora pervenivano, l'aver perduto in più breve tempo quello, che in
breve tempo si era acquistato, le dedizioni tanto importanti d'Aquila,
di Pescara, e di Gaeta, l'avvicinarsi continuo del nemico al cuore
stesso del regno, i soldati o dispersi, o fuggitivi, che per escusazione
propria magnificavano le cose, l'arrivo stesso di Mack in Napoli,
venutovi per consultare sulle ultime speranze, rinnovando la memoria
delle vittorie dei francesi in Italia, e il terrore delle armi loro
rinfrescando, avevano prodotto un grande abbattimento d'animo in chi
sapeva, rabbia e disperazione in chi non sapeva. Titubavano i
consiglieri di Ferdinando sul partito, che fosse a prendersi, alcuni
propendendo ad armare il popolo, altri opinando ch'egli avesse
tostamente a ritirarsi oltre il faro. Intanto il volgo, fattesi alcune
instigazioni, anche da parte del governo, si armava da se: la città fra
il terrore ed il furore aveva un aspetto molto sinistro, e, come si usa
in simili casi, le voci popolari già accusavano di tradimento i
ministri. S'incominciava a por mano nel sangue degli avversari o veri o
supposti del governo regio, poi si trascorse in quello degli amici. Un
Alessandro Ferreri, corriero per gli spacci, mandato con lettere a
Nelson, che con alcuni suoi vascelli stanziava nel porto di Napoli,
restò ucciso a furia di popolo sul molo; il suo cadavere sanguinoso
tratto a forza sotto le finestre della reggia, fu mostrato al re,
gridando orrendamente i feroci uccisori, e l'invasata moltitudine, che
gli accompagnava, _muojano i traditori, viva la santa fede, viva il re_.
Già non vi era più freno. L'orrore concetto per la fresca uccisione del
corriero aveva persuaso a Ferdinando, che, tralasciando anche la forza
Francese, che si avvicinava, non poteva più rimanersi a Napoli con
dignità, nè fors'anche con sicurezza. S'aggiunse che Mack, non
confidando di poter far guerra felice con quei soldati, che per altro
quanto potessero valere aveva dimostrato l'esempio del conte Ruggiero,
consigliava un accordo.
Tutte queste considerazioni, e forse più ancora il timore di qualche
congiura per opera dei novatori, essendo la rabbia loro grandissima pei
sofferti supplizj, fecero prevalere la sentenza di coloro, che
consigliavano, che il re si ritirasse in Sicilia. Fatta la
deliberazione, si mandò tosto ad esecuzione, non senza terrore e
confusione, come suole in simili accidenti; l'ultima notte del
novantotto, s'imbarcarono sulle navi Inglesi e Portoghesi, che erano
sorte nel porto, il mobile più prezioso dei palazzi di Caserta e di
Napoli, le gioje della corona, il tesoro di San Gennaro, in cui erano
meglio di venti milioni coniati, ed oro, ed argento vergati in quantità:
a queste ricchezze s'aggiunsero le singolarità più preziose di Ercolano.
Imbarcati i denari e le suppellettili, creava Ferdinando suo vicario il
principe Pignatelli con facoltà amplissime, anche di concludere un
accordo coi Francesi, col consentire all'occupazione di Napoli, purchè
la città salva ed incolume si conservasse. S'imbarcava Ferdinando la
notte medesima sulla nave di Nelson con Acton, Hamilton, ed i
cortigiani. Il giorno seguente, non avendo ancor salpato pei venti
contrarj, sorse uno spettacolo miserabile; poichè, fatte uscir prima le
navi Napolitane, sì grosse che sottili, che potevano mareggiare, fece
Nelson appiccare il fuoco alle altre, fra le quali campeggiava il
Guiscardo grossa nave di settantaquattro cannoni. Arsero in cospetto del
re, che di non lontano luogo rimirava il fumo ed il fuoco, che le
proprie sue forze consumava. Si abbruciarono anche con disegno espresso
le barche armate della costa di Posilippo, ed i magazzini dell'arsenale:
la rabbia civile consumava le opere egregie della pace. Fu nella città
desolata dolore e terrore per la partenza della reale famiglia. Il volgo
sollevato mandò deputati a pregar Ferdinando, affinchè restasse
proferendo le sostanze e le vite a difesa ed a conservazione sua, ma fu
negata ai deputati la presenza di lui dagl'Inglesi. Nulla più restava da
trasportare e da ardere: la dolorosa flotta salpava il dì due gennaio,
infelice pell'aspetto terribile di Napoli, che ancora agli occhi dei
naviganti appariva, più infelice pei venti avversi e le tempeste, che
poco dopo la percossero. Fu lungo e travaglioso il tragitto: accrebbe la
mestizia ed il dolore la morte del principe Alberto, figliuolo del re,
fanciullo di sette anni, che in mezzo alle furiose burrasche rendè
l'ultimo spirito nel grembo stesso della già tanto addolorata madre.
Finalmente le sbattute e travagliate navi afferravano Palermo: le
dimostrazioni amorevoli dei Siciliani, mitigarono l'amarezza concetta
per l'esiglio, e per la fresca orbezza del morto figliuolo. Accrebbe una
calunnia l'infelicità della madre, poichè trovo scritto, che la regina
avesse, partendo, comandato, che si armasse il volgo a furia, che Napoli
s'incendesse, che anima vivente, che sopra la condizione di notajo
fosse, non vi restasse. Bene mostrò soverchia asprezza Carolina ai
tempi, che seguirono, ma che abbia ordinato una immanità tanto barbara,
non è da credersi, se non da coloro che si lasciano tirare dalle
passioni estreme, e dall'amore detestabile delle parti.
La partenza del re fu in mal punto per l'infelice regno, perchè già la
fortuna si dimostrava più propizia alle sue armi. Erano, non senza gravi
difficoltà per le popolazioni armate, che loro contrastavano il passo,
Duhesme e Lemoine giunti al campo sotto le mura di Capua. Intanto le
popolazioni medesime, principalmente quelle dell'Abruzzo superiore, e
dell'antico Sannio, crescevano di numero, di forze e di furore, e già
facendo in ogni luogo suonare le armi e le grida di vendetta, niuna cosa
lasciavano sicura alle spalle dei francesi. La rabbia loro era
incredibile, e commettevano contro i repubblicani, che viaggiavano alla
spicciolata, atti di ferità più bestiale, che inumana. Dei venuti in
mano loro, alcuni furono vivi tagliati a pezzi, altri legati agli alberi
a fuoco lento arsi, altri gettati a furia a rompersi sugli scogli, altri
precipitati nelle profonde valli, altri orribilmente mutilati e lasciati
vivere di una vita peggiore che la morte. A tali atti applaudivano con
forsennate grida le turbe furibonde. Già Itri, Fondi e Sessa erano in
poter dei sollevati; già San Germano si muoveva a stormo; già Teano,
alloggiamento principale di Championnet, era stato assaltato e preso;
già Piedimonte sul sommo giogo dell'Apennino pericolava; una massa di
popoli incitatissimi s'avvicinava al Garigliano, e non lasciava alcuna
speranza ai repubblicani in picciol sito oramai ristretti. Mandava
Championnet ad incontrarla Rey, il quale avendo combattuto più
valorosamente che prosperamente, fu fatto tornare con grave perdita
frettolosamente nel campo. Il prospero evento aggiunse nuova furia a
quelle genti sdegnate e crudeli: spintesi avanti assaltarono il ponte,
che i Francesi avevano fabbricato sul fiume, sel presero, e più oltre
procedendo nel parco di riserva rapirono le artiglierìe, fracassarono i
carretti, trasportarono quante munizioni da guerra poterono. Per tale
guasto le cartucce di provvisione vennero mancando ai Francesi: già le
vettovaglie mancavano, nè v'era modo di andar alla busca per pascere
l'esercito, perchè i sollevati inondavano le campagne; il vigore delle
menti con gli stromenti di difesa mancava. Da un altro lato la
popolosissima Napoli si muoveva, apprestandosi a correre al Garigliano
in ajuto di Capua, e dell'esercito che ancora la difendeva. Nè è da
passarsi sotto silenzio, che la virtù dei Francesi, oltre il suono delle
armi dei sollevati, che romoreggiavano tutto all'intorno, incominciava a
indebolirsi per un'infelice pruova testè fatta contro Capua. Avendo dato
Macdonald un furioso assalto alla piazza, ne era stato respinto con
danno gravissimo. Fu anzi in questo abbattimento ferito Mathieu da una
palla, che gli guastò il braccio per modo che non potè più militare in
tutta questa Napolitana guerra. Ciò dava loro a temere, che i soldati
Napolitani incominciassero ad agguerrirsi. Si aspettavano d'ora in ora
alla foce del Garigliano le genti tornate da Livorno, che dando animo e
forza alle turbe stormeggianti sulla destra del fiume, avrebbero fatto
un pericoloso assalto a tergo dei Francesi, mentre sboccando Mack da
Capua, gli avrebbe assaliti in viso. Per la qual cosa con un esercito a
fronte, che si ostinava a voler difendere una città, ed un passo tanto
abili ad esser difesi, con gli Abruzzesi ed i Campani alle spalle, con
la poderosa Napoli in cospetto, rimaneva ai Francesi poca speranza di
salute; nè solo della perdita dell'impresa per loro si trattava, ma
della vita stessa fra sdegni tanto frenati.
La debolezza del vicario Pignatelli, per non usare parole più gravi,
aperse improvvisamente una via di scampo ai Francesi, che già
incominciavano a disperarsi. S'aggiunse il poco animo di Mack, il quale
dimostrò, quando la fortuna già risorgeva, abiezione uguale a
quell'eccessivo ardimento, che aveva scoperto, quando con le fresche e
fiorite schiere assaltava lo stato Romano. Perì Napoli per mano di
coloro, ai quali maggior debito pesava di difenderla. Arrivavano in
quell'ora tanto pregna di dubbio avvenire pei Francesi agli
alloggiamenti di Championnet il principe di Miliano, e il duca di Gesso,
che mandati dal vicario venivano chiedendo un accordo. Mostrò sulle
prime Championnet qualche durezza, conosciuta la timidità di chi reggeva
Napoli, e volendo mostrare abilità al combattere. Ma infine pregato da
coloro, che dovevano minacciare, venne ad un accordo con loro, del quale
le principali condizioni furono, che si sospendessero le offese sino
alla ratificazione delle due parti: se una ricusasse di ratificare,
rincominciassero le offese dopo avviso anticipato di tre giorni; Capua
si consegnasse in mano dei Francesi: l'esercito di Francia occupasse il
paese alla destra dei laghi Napolitani sino alla foce dell'Ofanto; si