Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV - 01
STORIA D'ITALIA
DAL 1789 AL 1814
SCRITTA
DA CARLO BOTTA
TOMO IV
CAPOLAGO
_presso Mendrisio_
Tipografia Elvetica
MDCCCXXXIII
STORIA D'ITALIA
LIBRO DECIMOQUARTO
SOMMARIO
Nuova confederazione in Europa contro la Francia. Spedizione
d'Egitto. Presa di Malta. Buonaparte sbarca, e prende piede in
Egitto. Battaglia navale di Aboukir. Accidenti di Napoli.
Garat, ambasciadore di Francia presso al re Ferdinando. Suo
discorso al re. Effetti prodotti nel regno dalla vittoria
conseguita dagl'Inglesi ad Aboukir. Il re Ferdinando si
risolve alla guerra contro la Francia: si muove contro lo
stato Romano, e se ne rende padrone. Brutta condotta dei
Napolitani a Roma. Accidenti in Cisalpina: trattato d'alleanza
fra le due repubbliche. Trouvé, ambasciadore di Francia in
Cisalpina. Suo discorso d'ingresso al direttorio Cisalpino;
riforma violentemente la constituzione data da Buonaparte:
mali umori prodotti da quest'operazione. Scritti pubblicati
contro di Trouvé, e di Rivaud, che gli era succeduto. Sette, e
congregazioni politiche nate in Italia pei cambiamenti fatti
in Cisalpina.
Ma tempo è oramai, che ci alziamo a descrivere alcune maggiori cose, per
cui mutossi inopinatamente lo stato d'Europa, quel dell'Africa turbossi,
le Ottomane spade chiamaronsi ad insanguinar l'Italia, ed il dominio di
questa combattuta parte d'Europa passò da Francia a coloro, che di nuovo
la combatterono. Concluso il trattato di Campoformio, si riposava la
Francia in pace con tutte le potenze del continente, ed oltre a ciò
aveva per alleate la Spagna, il Piemonte, la Cisalpina e la Olanda. Le
vittorie conseguite, il nome de' suoi generali, il valore e costanza dei
suoi soldati, avevano dato timore a tutti i principi, massimamente
all'imperatore d'Alemagna, che era stato battuto da più forti percosse,
ed aveva sofferto maggiori danni. Per la qual cosa, quantunque tutti
vedessero mal volontieri confermarsi in Francia, vale a dire nel centro
dell'Europa, principj contrari alla natura dei governi loro, contenuti
dal timore, nissuno ardiva di muoversi, ed aspettavano tempi migliori.
Perciò la Francia, non avendo nissun sospetto vicino al continente,
poteva voltar tutte le sue forze contro l'Inghilterra. A ciò fare ella
si trovava molto ben provveduta. Abbondava di navi da guerra proprie, di
capitani di mare, e di marinari eccellenti, e di più poteva aggiungere
alla sua tutta la marinerìa della Spagna e dell'Olanda, sue alleate. Il
pericolo dell'Inghilterra era gravissimo tra per questo, e per le cose
tutte di Francia, d'Olanda, e di Spagna tanto vicine che si ritrovavano
in potere del suo nemico; i porti d'Italia alla medesima signorìa
obbedivano. I soldati di terra, ed i generali dell'esercito, che si
potevano imbarcare per la fazione, erano per fama, e per valore egregi.
Già si spargevano voci della spedizione contro l'Inghilterra, già si
facevano concorrere le navi, sì grosse che spedite, nei porti più
vicini, e già Pleville-Leplay, ministro di marina, e ammiraglio di
Francia, andava sopravvedendo le coste, che prospettano l'Inghilterra.
Era il governo di Francia desideroso di fare questa spedizione per
tenere sempre più gli animi sospesi, e per impiegare generali, e soldati
vittoriosi, usi alle guerre, e che non avrebbero mai quietato nella
pace, e volentieri si sarebbero messi a tentar novità con pericolo dello
stato: al che si sapeva, che fra tutti Buonaparte era inclinato; il
direttorio aveva avuto sentore dei tentativi fatti presso al vincitore
d'Italia dai confederati per rimettere i Borboni, e delle promesse, e
delle speranze da lui date su di questo disegno. Nel che si vedeva, che
o volesse attenere le promesse ai principi, o le volesse usare per se,
era ugualmente pericoloso al direttorio.
In questa condizione di tempi i ministri d'Inghilterra, Pitt
principalmente, guida allora, e indirizzatore dei consigli di quel
reame, conobbero il pericolo, in cui erano, tra per le forze del nemico,
ed ancora per esservi nell'Inghilterra medesima non pochi, che avendo
accettato i principj della rivoluzione Francese, e desiderando di porgli
in opera nella patria loro avrebbero potuto secondar i Francesi, e
cooperare alla ruina, e sovvertimento dell'antico stato. Però avendo
potentissima occasione di muoversi, si mettevano all'ordine per ovviare
a tanto precipizio, tentando con ogni sforzo di accendere un novello
incendio di guerra sul continente, con stimolar di nuovo le potenze alle
cose di Francia. Ciò amavano meglio, che le speranze incerte e lontane
di Buonaparte.
Per commovere adunque novellamente tutto il mondo, comandavano ai loro
ambasciatori e ministri presso i potentati d'Europa, e massimamente a
quello presso l'Austria, che con efficaci parole esponessero il
pericolo, che sovrastava a tutti gli antichi governi, se la repubblica
Francese mettesse ferme radici e si confermasse, se quei principj
sovvertitori di ogni buon governo prevalessero; allegassero le rovine
d'Italia e d'Olanda; rappresentassero la Svizzera recentemente contro
ogni fede assalita, con crudeltà invasa, con avarizia spogliata;
dimostrassero, già d'ogni intorno, ad onta della pace giurata,
romoreggiare all'Austria le armi tiranniche, i principj perturbatori, le
grida degli scapestrati libertini. A che dar tempo a chi previene il
tempo? questo essere il momento d'insorgere, che le cose erano tenere;
l'aspettare, essere eccidio manifesto: però rendersi necessario il fare
senz'altro indugio ogni sforzo per ispegnere quei mostri, che
minacciavano di voler tutto divorare. Quest'erano le esortazioni dei
ministri d'Inghilterra: offerivano al tempo stesso denari, ed ajuti di
genti.
A queste instigazioni rispondeva l'Austria, che troppo più che si
convenisse, erano state debilitate le sue forze nell'ultima guerra,
troppo più esauste le sue finanze, troppo più l'inimico si era fatto
grosso, massime in Italia, perchè ella potesse subito, e sola sul
continente venire ad un cimento tanto pericoloso colla Francia; che non
ostante si offeriva ad insorgere di nuovo, ed a correre all'armi, se la
Russia consentisse a voler anch'essa venire efficacemente a parte della
contesa e la spalleggiasse con pronti ajuti. Aggiungeva che nell'opera
della Russia consisteva tutta l'importanza del fatto.
La Russia tentata rispondeva, perchè ella, così come l'Austria, stimava
miglior partito il farsi strada coll'armi proprie che lo stare alle
speranze di Buonaparte, che s'accosterebbe volentieri alla lega, quando
l'Inghilterra l'assicurasse della Turchìa: temeva, che muovendo le armi
contro la Francia, la Porta Ottomana si muovesse contro di lei.
Gl'Inglesi allora, ed a questo fine tentarono il governo Ottomano.
Rispondeva il sultano, che per l'antica unione della Porta con quel
paese non voleva muovere le armi contro la Francia, nè collegarsi con
loro che le muovevano; perchè poco temevano gli Ottomani dei principj
Francesi, e che poco loro importava, che la Francia vivesse in
repubblica o monarchìa.
Non potendo adunque i ministri d'Inghilterra con questi stimoli, e
promesse venir a capo dell'intento loro di seminar nuove discordie, ed
importando alla salute dell'Inghilterra, che nascessero presto nuove
turbazioni, si voltavano ad altre arti, sperando di ottenere dalla
Francia stessa contro di se medesima quello, che non avevano potuto
conseguire da' suoi nemici. A questo fine mandavano agenti a posta a
Parigi con le mani piene d'oro, i quali dicevano al direttorio, ed a
tutti che avevano autorità nelle cose, che per verità e' bisognava
trovar nuove occupazioni ai soldati, acciocchè non se ne stessero oziosi
con pericolo di novità nello stato; che e' bisognava trovar nuovo
pascolo all'ambizione dei generali, massime di Buonaparte, che allora si
viveva in Parigi con la mente volta a cose nuove; ma che la spedizione
contro l'Inghilterra non era impresa da doversi fare, perchè un
generale, e soldati, che acquistassero vittoria di un paese così
importante, così ricco, e così vicino alla Francia, qual era
l'Inghilterra, avrebbero poscia potuto facilmente farsi padroni del
governo stesso di Francia; che perciò ponendo anche l'esito felice della
spedizione d'Inghilterra, sovrastava un gran pericolo, anzi il più
grande di tutti; che pertanto era d'uopo voltare i pensieri altrove, e
verso paesi più lontani, ma però di molta importanza, perchè in questo
caso la fama delle cose fatte sarebbe meno pregiudiziale, e ad ogni modo
avrebbe il governo tempo di assicurarsi contro i tentativi di generali e
soldati vittoriosi: pensassero bene, quanto già loro fosse molesta la
fama, e la grandezza di Buonaparte per le vittorie d'Italia, e qual
sospetto darebbe loro, se la potente Inghilterra vincesse. A queste cose
astutamente soggiungevano, che pareva, che l'Egitto fosse paese, dove
acconciamente si potesse mandare l'esercito, contrada ricca, poco
dipendente dalla Porta, a cavallo tra l'Asia e l'Europa. Quai vantaggi
pel commercio di Francia, quai progressi per la civiltà, quali speranze
per le Indie, se a Francia accadesse di farsi padrona dell'Egitto?
Speravano gli autori di queste insinuazioni, che l'assaltare la Francia
l'Egitto avesse ad essere per lei cagione di nimicizia col sultano, la
qual nimicizia era il fondamento principale di tutte queste nuove
macchinazioni.
Questi discorsi andavano molto a versi del direttorio. Ma da un'altra
parte i medesimi agenti andavano tentando l'animo di Buonaparte con
dirgli, che l'impresa d'Inghilterra non era di così facile esecuzione,
come forse si aveva concetto nell'animo, e come pareva a prima giunta,
per gli ordini antichi, e tanto radicati in quel regno, per la forza del
suo navilio, per l'altezza d'animo di tutta la nazione a non lasciarsi
così di leggieri conquistare dai Francesi, nazione sua emola; pensasse
al lagrimevole fine di Hoche; considerasse, che la conquista
dell'Inghilterra ingelosirebbe il direttorio, e lo farebbe facilmente
precipitare in partiti pericolosi, e funesti alla fama, ed all'essere
suo; che sarebbe in paese più lontano assai meglio posto in propria
balìa per operare con più libertà; che pure un tal paese s'appresentava
alle menti loro, la cui conquista ecciterebbe tanto grido in Europa, e
tanto lustro aggiungerebbe al suo nome, quanto veramente la conquista
dell'Inghilterra, e che quest'era, a parer loro, l'Egitto.
Piacque la proposta al giovane capitano, il quale, sebbene fosse giusto
e sagace estimatore degli uomini e delle cose in ogni altra faccenda,
sentiva ciò non ostante un poco del romanzesco, quando si trattava di
guerra, e di gloria militare. Aveva egli già in quel tempo voglia, e
proposito di disfar il governo del direttorio, cioè quello degli
avvocati, come diceva, e siccome impaziente e subito in tutte le sue
azioni, gli pareva ogni momento mille anni, che non venisse
all'esecuzione. Nondimeno la guerra d'Egitto gli gradiva molto a motivo
del romanzo, ed a questa accomodava finalmente l'animo dicendo, che un
governo, che pure aveva di fresco concluso una pace gloriosa, non poteva
così facilmente essere distrutto. Sperava, che mentre egli conquistasse
l'Egitto, e facesse vieppiù chiaro il suo nome per una impresa tanto
straordinaria, sarebbe nata o qualche turbazione in Francia, o qualche
guerra fuori, che avrebbe dato occasione ai popoli di desiderarlo, e che
intanto la memoria di quel beneficio della pace data così recentemente
dal direttorio si sarebbe debilitata.
Ma gli agenti d'Inghilterra, e quelli, che da loro si erano lasciati o
sedurre o ingannare, persuadevano con efficaci parole al direttorio, che
per l'occupazione dell'Egitto non si sarebbe la Porta tenuta offesa, nè
la concordia fra i due stati interrotta. Adducevano, che poca era la
dipendenza dell'Egitto dalla Porta; che i Mamalucchi, nemici
irreconciliabili del governo Ottomano, ne erano i veri e reali signori;
che contro di questi dovevano i Francesi protestare di voler voltar le
armi; che si poteva far credere alla Porta, che l'occupazione
dell'Egitto sarebbe momentanea, e necessitata solamente dalla guerra,
che la Francia aveva con l'Inghilterra; che la provincia sarebbe di
nuovo rimessa in potestà della Porta con molta maggior divozione di
prima per la distruzione dei Mamalucchi, e che finalmente si potevano
rappresentare ai ministri Ottomani molti vantaggi commerciali per la
presenza dei Francesi in Egitto.
In tale forma accordate le cose s'incominciava a disporre gli animi in
Francia ad un'impresa tanto straordinaria. Vi si parlava dell'Egitto,
come di una terra promessa, della prosperità del commercio, della
scoperta delle antichità, dei progressi della civiltà, del cacciamento
degl'Inglesi dall'Indie, della padronanza di quelle ricche sponde del
Gange. Allignavano facilmente questi pensieri in Francia: perchè la
nazione, animosa per indole propria, era a quei tempi talmente accesa,
che qualunque più alto e difficoltoso fatto le pareva di facile
esecuzione, e la difficoltà stessa le era sprone e speranza. Taleyrand
leggeva all'Instituto uno scritto composto con singolare eleganza e
maestrìa, con cui dimostrava e l'importanza dell'Egitto, e l'utilità
della sua possessione. Si dava voce, ch'egli stesso fosse per esser
mandato ambasciatore straordinario presso alla Porta Ottomana per
ispiegar bene a quel governo i pensieri della Francia rispetto alla
spedizione d'Egitto, e per mantener tuttavia salva l'antica concordia
fra i due stati. Furono anche spediti dispacci indirizzati a lui a
Costantinopoli, come se già fosse partito, ed avviato a quella volta.
Intanto con grandissimo apparato si provvedevano le cose necessarie alla
spedizione. Concorrevano sì da Francia che da Italia, uomini, navi, armi
e provvisioni di ogni sorte a Tolone, dove si era condotto Buonaparte
per soppravvedere e sollecitare. Era egli poco innanzi stato tratto
membro dell'Instituto, e con tale qualità ne' suoi dispacci
s'intitolava, volendo conciliarsi gli animi degli scienziati, e dei
letterati di Francia, che aveano grande autorità nelle faccende, e si
mostravano molto invidiosi del dominio militare. Voleva altresì, che gli
uomini si persuadessero, che quantunque soldato, ed uso alle guerre, era
non ostante protettore della civiltà, e di chi la fomenta. Ciò importava
anche alla spedizione in un paese, antico fonte del sapere. Imbarcaronsi
pel medesimo fine alla volta dell'Egitto molti scienziati di chiaro nome
in Francia. Ma l'Inghilterra dall'un de' lati favoreggiando Buonaparte,
e sollecitando le sue passioni più vive, dall'altro nutrendo gli
smisurati desiderj, ed i sospetti del direttorio, aveva riuscito ad un
fine molto utile per lei, quello di metter discordia tra Francia e
Turchìa, d'abilitar la Russia ad unirsi coll'Austria, di aprir
l'occasione all'ultima di levarsi a nuova guerra, di sviare da' proprj
lidi una gran tempesta, di privar la Francia de' suoi migliori capitani
e soldati, di avventurare in mari lontani il potente navilio Francese,
ed insomma di fare in modo che l'Europa tutta si turbasse di nuovo con
grandissimi movimenti. Questa fu una delle opere più memorabili di
Guglielmo Pitt.
Salpava l'armata Francese, che portava con se tante sorti, avviandosi
verso Levante. Pareva ai repubblicani, ed era veramente l'isola di Malta
molto opportuna al dominio d'Africa e d'Europa. Massimamente poteva la
sua possessione facilitare a chi l'avesse, la conservazione dell'Egitto,
ed i traffichi del commercio del Levante, ai quali allora mirava, come a
cosa di somma importanza, la Francia. Era oltre a ciò manifesto, che chi
fosse padrone di Malta, ed avesse forze considerabili sul mare, poteva
facilmente turbare Sicilia e Napoli. Grande fomento, e scala già davano
a questo disegno l'essersi i repubblicani fatti padroni di Roma, ed il
romoreggiare, che vi facevano con tanto strepito per mezzo di quei
principj, coi quali si sforzavano di persuadere che i re fossero
detestabili, le repubbliche desiderabili, le rivoluzioni felici.
Da Roma potevano facilmente sommovere con le parole, sovvertire con la
forza gli stati di terraferma di Napoli, da Malta la Sicilia. Già fin
dai tempi d'Italia aveva Buonaparte applicato l'animo alla conquista di
Malta. I suoi agenti, fra i quali il primo in questa macchinazione, e il
più principale fu Regnault di San Giovanni d'Angely, uomo d'ingegno
vasto, di cuore astuto, e di parlatura molto spedita, l'avevano reso
sicuro, che con seicento mila franchi si poteva aver l'isola. Nè è da
passarsi sotto silenzio, che i cavalieri di Malta, in ciò molto degeneri
dai loro antecessori, attendevano piuttosto al vivere agiatamente,
usando le ricchezze loro in mezzo ai cristiani, che al combattere
virilmente sulle navi contro i Turchi. Per la qual cosa, oltre
l'efficacia del denaro, infame per chi lo dà e per chi lo riceve, si
prevedeva, che l'isola non avrebbe fatto una forte resistenza a chi
l'assaltasse. Così Buonaparte accostandosi a Malta, tanto forte
propugnacolo, e che con tanto valore aveva retto contro tutte le forze
di Solimano imperatore dei Turchi, andava ad una impresa certa; che
senza dubbio in tanta pressa per la fazione d'Egitto, non si sarebbe,
senza una tale sicurezza arrischiato a tentare un fatto, che gli poteva
riuscire lungo e difficile.
S'appresentava sul principiar di giugno in cospetto della contaminata
Malta la repubblicana armata. Portava forti armi, e corruttele ancor più
forti. Aveva Buonaparte condotto con se alcuni antichi cavalieri, che
abbandonata l'isola, si erano poco innanzi condotti ai soldi dei
repubblicani, e loro ajutavano all'eccidio della loro antica compagnìa.
Avevano pratica col cavaliere Bosredon di Ransijat, segretario del
tesoro dell'ordine, tocco dalle nuove opinioni. Chiedeva il generale
repubblicano l'entrata sotto pretesto di far acqua: gli fu risposto,
entrasse, ma con due navi solamente. Finse di averla per male, e
sbarcato nella cala San Giorgio, servendogli di guida i fuorusciti
Maltesi, assaltava le opere esteriori delle fortificazioni. Fu
debolissima la difesa; nè i cannoni entro i luoghi loro, nè le munizioni
piene, nè i soldati confidenti; che anzi essendo stata fra di loro
seminata discordia da coloro, che s'intendevano coi Francesi,
combatterono debolmente e scompigliatamente, temendo di essere traditi.
La Valletta poteva ancor tenersi per la fortezza del luogo, ancorchè le
difese non fossero apprestate; ma da una parte le corruttele operavano,
dall'altra le femmine, i fanciulli, i fuggitivi di ogni grado e di ogni
condizione, che dalle campagne si erano ricoverati in città all'apparire
del nemico, facevano un gran terrore. Convocava Ferdinando Hompesch,
gran maestro, la dieta dei cavalieri, ma non piena, perchè nè i più
vecchi furono chiamati, senza dei quali nissuna deliberazione
d'importanza, secondo gli statuti dell'ordine, si poteva fare, nè i più
valorosi, nè i più fedeli; perchè nè il balìo di Tigny, nè Gurgeo, nè
Clugny, nè Tillet, nè Bellemont, nè Loras, nè La Torre San Quintino, nè
La Torre del Pino con altri di più chiaro nome, comparvero, non avendo
avuto invito dal gran maestro. Indotti i più, piuttosto dalle speranze
che dai timori, deliberavano di domandar tregua; poi giunto presso il
gran maestro Marmont, si risolvevano del tutto alla dedizione sotto la
mediazione di Spagna. Convennero le due parti nei seguenti capitoli; i
quali chi vorrà considerare, facilmente si persuaderà, che se fu
ignobile la resa per le sue cagioni, non fu meno brutta la capitolazione
pei premj, che vi si stipularono. Rimettessero i cavalieri dell'ordine
di San Giovanni Gerosolomitano ai Francesi la città ed i forti di Malta,
rinunziando in favore della repubblica di Francia alla proprietà, ed
alla sovranità ch'essi avevano su quell'isola, e su quelle di Gozo e di
Comino; usasse la repubblica la sua autorità presso il congresso di
Rastadt, perchè il gran maestro, sua vita durante, conseguisse un
principato almeno uguale a quello ch'ei perdeva, e di più essa
repubblica si obbligasse a dargli per sostentazione della sua vita, una
pensione di trecentomila franchi annui, e due anni anticipati della
pensione per compenso del suo mobile; avessero i cavalieri Francesi
dalla repubblica una pensione di settecento franchi, i sessagenari di
mille; facesse la repubblica ufficio presso la Ligure, la Cisalpina, la
Romana, e l'Elvetica, perchè i cavalieri Liguri, Cisalpini, Romani, e
Svizzeri ottenessero la medesima provvigione; conservassero i beni
propri in Malta; procurasse la repubblica presso tutti i potentati
d'Europa, che i beni dell'ordine fossero conservati ai cavalieri di
ciascuna lingua; la religione si serbasse salva, ed intatta.
Il dì dodici giugno furono posti in poter dei Francesi i forti Emanuele,
e Tigny, il castello Sant'Angelo, le opere della Bormola, della
Cottonara, e della città vittoriosa. Il tredici, i nuovi signori presero
possessione del forte Ricasoli, del castello Sant'Elmo, delle opere
della Valetta, e di Floriano. Trovarono due navi da guerra, quattro
galere, dodici centinaja di cannoni, munizioni in copia. Fecero il gran
priorato di Malta, ed altri cavalieri dell'ordine adunati in Pietroburgo
una solenne protesta contro la dedizione, tacciando Hompesch
d'improvvidenza, di viltà, e di perfidia, e ritirandosi dall'obbrobrio,
in cui affermavano essere meritamente incorsi Hompesch medesimo,
Ransijat, San Tropez, ed altri dei loro compagni.
Venuto Buonaparte in possessione di un'isola tanto importante, vi creava
un governo temporaneo, di cui fe' capo Bosredon di Ransijat. Poi veniva
agli esilj ed alle espilazioni. Bandiva i cavalieri dall'isola, e fra di
loro Hompesch, che se n'andò in Germania a vivere una vita ignorata,
poichè onorata non la poteva più vivere. Ordinava Buonaparte, usando in
questo l'opera del chimico Berthollet, che s'involassero gli ori, gli
argenti, e le pietre preziose, che si trovavano nella chiesa di San
Giovanni, ed in altri luoghi dipendenti dall'ordine di Malta, eccettuati
solo quelli, che fossero necessari alla celebrazione dei riti, e così le
argenterìe degli alberghi, e quella del gran maestro; gli ori, e gli
argenti si convertissero in verghe, ed ogni cosa si serbasse pei servigi
dell'esercito.
Quasi al tempo stesso l'isola di Gozo s'arrendeva al generale Reynier,
mandatovi a posta da Buonaparte. Poscia il generalissimo, partendo
dall'espilata isola con tutta l'armata, si avviava ai suoi destini
d'Egitto. Lasciava Malta al governo di Vaubois, tanto onorato uomo,
quanto valoroso soldato. Vi lasciava anche quel Regnault ambidestro,
tanto favellatore egregio, quanto amministratore superbo. La più rara
suppellettile, e fra questa la spada del gran mastro, e le bandiere
dell'ordine, poste sulla fregata la Sensibile, s'incamminavano alla
volta di Francia. Ma incontrata la nave dagl'Inglesi, fu presa, e le
preziose conquiste condotte in Inghilterra. Erano sulla fregata Baraguey
d'Hilliers, ed Arnault: accusò Arnault della perdita della nave la viltà
dei forestieri. Nel che è da sapersi, che questi forestieri altro non
erano, che galeotti napolitani liberati da Buonaparte dalle galere di
Malta, e posti da lui, non so con qual decoro, a governar la Sensibile.
La conquista di Malta, tanto conforme alle sorti fino allora continuate
della repubblica di Francia e di Buonaparte, empiè di maraviglia
l'Europa, di timore l'Austria, di spavento Napoli. Solo gl'Inglesi, che
avevano il navilio intero, e d'invitta fama, non se ne sgomentarono;
anzi dimostrando animo maggiore, quanto più grave era il pericolo, si
preparavano al gran contrasto.
Giunto Buonaparte sui lidi Egiziani, e con tutta felicità sbarcatovi,
s'impadroniva di Alessandria: poscia con pari felicità procedendo
s'insignoriva dei luoghi più importanti e più forti di quella contrada.
Non è disegno nostro il descrivere l'Egiziana guerra, siccome quella,
che troppo è lontana dalle cose d'Italia. Solo ci piace raccontare,
poichè per lei si cambiò lo stato d'Italia, e fu avvenimento tanto grave
per tutta Europa, la battaglia navale di Aboukir.
Avevano gl'Inglesi, come abbiam narrato, notizia anticipata della
spedizione d'Egitto, ed avuto anche presto avviso della partenza
dell'armata da Tolone, siccome quelli che stavano molto all'erta, con
tanta celerità la seguitarono, che arrivarono alle bocche del Nilo prima
dei Francesi; nè avendogli trovati, si erano andati aggirando pel
Mediterraneo con isperanza d'incontrargli, e di combattergli. Nè ciò
venendo loro fatto, tanto sicura notizia avevano dell'intento dei
Francesi, di nuovo voltavano le vele verso le egiziane spiaggie. Correva
il giorno primo d'agosto destinato dai cieli ad una delle più aspre, e
più terminative battaglie, che il furore degli uomini abbia mai fatto
commettere, e di cui vi sia memoria nei ricordi delle storie, pieni per
altro di tanti spaventevoli accidenti. Viaggiava con l'armata Britannica
il vice ammiraglio Nelson, al quale dall'ammiraglio San Vincenzo era
stato commesso il carico di cercare, e di combattere l'armata Francese,
ed a piene vele solcava il mare verso Alessandria d'Egitto, quando tra
le una e mezzo, e le due ore meriggiane del sopraddetto giorno scopriva
l'armata di Francia sorta in sull'ancore nella cala d'Aboukir, ed
ordinata alla battaglia. Scoversero al tempo medesimo i Francesi la
vegnente armata nemica, e questa e quella sollevando gli animi
all'importanza del fatto, che stavano per commettere a difesa e gloria
delle patrie loro, si preparavano al cimento. Noveravansi nell'armata
Inglese tredici navi, ciascuna di settantaquattro cannoni, ed erano
quest'esse: la Vanguardia, nave capitana, su cui sorgeva Nelson,
l'Orione, il Culloden, il Bellerofonte, il Golia, il Zelante, il
Minotauro, la Difesa, l'Audace, il Maestoso, il Presto, ed il Teseo. A
questi si trovavano congiunti il Leandro di cinquanta cannoni, e la
fregata la Mutina di trentasei: insomma mila e quarantotto cannoni.
Tutto questo navilio governavano meglio di ottomila eletti marinari.
Erano nell'armata di Francia una nave grossissima, stanza
dell'almirante, nominata l'Oriente, tre di ottantaquattro, il Franclino,
il Tonante, il Guglielmo Tell, nove di settantaquattro, il Guerriero, il
Conquistatore, lo Spartano, l'Aquilone, il Popolo sovrano, il Felice, il
Timoleone, il Mercurio, il Generoso, con la Diana, fregata di
quarantotto, la Giustizia, fregata di quarantaquattro, l'Artemisia, e la
Seria, ambedue di trentasei: insomma mila e novanta cannoni per armi,
circa diecimila e novecento marinari per governo; imperciocchè i
Francesi sono sempre soliti ad empiere le loro navi di maggior numero di
gente. Aveva il supremo governo di tutto questo fiorito navilio
l'ammiraglio Brueys, capitano delle faccende navali espertissimo, e
d'animo non minore della sua perizia. Si era egli, dopo di avere
svernato con parte delle suddette navi nel porto di Corfù, condotto a
Tolone per alla fazione d'Egitto, avendo Buonaparte in lui preso somma
confidenza. Ma la condizione delle due armate era l'una dall'altra molto
diversa. Veleggiava per l'alto mare la Inglese, mentre la Francese sorta
sull'ancore sprolungava il lido da maestro a scirocco. Accresceva la sua
sicurezza l'isoletta di Aboukir, ma però un po' troppo lontana, per
potere con molta efficacia difendere il passo; era posta a capo della
fila, e munita di artiglierìe. Alcune più piccole navi provvedute di
bombarde, e che fra le altre erano fatte stanziare, davano maggior nervo
all'armata. Questo modo di combattere aveva eletto l'ammiraglio della
repubblica per non privarsi del tutto degli ajuti di terra, e perchè
prevaleva per la grossezza delle navi, e pel numero dei combattenti. Le
quali condizioni essendo per lui migliori, non voleva esporsi al
pericolo, che in una battaglia a vele, ed in tutto navale, nel qual modo
di combattere tra armata ed armata sogliono gl'Inglesi, per la
precisione e prestezza delle mosse, avere il vantaggio, si
- Parts
- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV - 01
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- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV - 12
- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV - 13
- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV - 14
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- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV - 18
- Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo IV - 19
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