Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo II - 17

curassersi umanamente i malati ed i feriti; fosse data venia a ciascuno
delle cose fatte, e niun Mantovano potesse esser ricerco, nè molestato
per opinioni o per fatti a favor dell'imperatore, condizioni onorate
conformi all'onorata difesa.
Usciva Wurmser circondato da' suoi liberi soldati: ammiravano in lui la
fortezza, e la volontà egregia con un corso di fortuna troppo
indegnamente contraria. Debbonsi lodare i vincitori, che con ogni più
cortese dimostrazione il vecchio, prode, ed infelice guerriero
onorarono. Buonaparte, che poco prima della dedizione era presente al
campo, se n'era andato, o per modestia, o per superbia, a Bologna: ma
non omise, affetto raro in lui, solito a deprimere gli avversarj, di
esaltare il guerriero Austriaco, scrivendo al direttorio, avere con
intento proprio voluto dimostrare la francese generosità verso il
vecchio Wurmser, generale di settant'anni, segno d'avversa fortuna,
d'animo invitto: avere Wurmser, perduto nella battaglia di Bassano
l'esercito, concetto il pensiero di ricoverarsi in Mantova lontana a
cinque giorni, passato l'Adige, prostrato i repubblicani a Cerea,
traversato la Molinella, guadagnato la piazza; essere quinci più volte
sortito, sempre infelicemente, sempre valorosamente, sortito essere con
soldati consunti da malattie pestilenti: tale essere stato Wurmser: pure
sapere, non avere a mancar uomini, soliti a perseguitare cui la fortuna
perseguita, che incolperebbero l'incolpabile Wurmser. Quest'erano le
generose voci di Buonaparte rispetto a Wurmser vecchio, e valoroso.
Entravano i Francesi nella desolata terra. Pietosi miravano nelle case
arse o diroccate volti pallidi e sparuti; argomentavano qual fosse stata
la costanza e la pazienza dei difensori. Trovavano centoventisei cannoni
di sedici libbre di palla, centoquindici di quindici, con altri pezzi
minori. Si rallegravano massimamente al vedere settantadue bocche da
breccia conquistate dagli Austriaci al tempo, in cui per l'arrivo di
Wurmser fu allargato l'assedio; s'aggiunse alla presa artiglierìa una
fiorita archibuserìa: acquisto prezioso specialmente fu quello di
settantadue piatte ad uso di far ponti estemporanei, le quali giunte a
quelle che già avevano i repubblicani, montarono al numero di
centotrenta, suppellettile capace a passare qualunque più grosso fiume.
Così Mantova combattuta dalla forza e dalla fame, venne in potestà della
repubblica, e per questo accidente cambiossi in Italia la servitù
Tedesca in servitù Francese.
Ora è tempo di ritornare ai travagli che erano in Roma. L'esercito
pontificio si era, come abbiam narrato più sopra, accampato sulla destra
del Senio, pronto a difendersi, non ad offendere. Corre il Senio
precipitandosi dagli Apennini, a fronte di Faenza, e va a metter foce
nel destro ramo del Po, che chiamano col nome di Po Primaro. Avevano i
soldati del pontefice, che ascendevano al numero di sei in settemila
fanti, e cinquecento cavalli, munito il ponte del Senio sopra e sotto
con buoni ridotti, e con quattordici pezzi di artiglieria. Un altro
pezzo assicurava il ponte medesimo, che guarda quasi per diritto la
strada di Faenza. Oltre a ciò avevano cavato un fosso a sinistra del
ponte, che oltre il medesimo si sprolungava, empiendolo di feritori alla
leggiera, affinchè bersagliassero coloro, che primi si fossero attentati
di passare. Avevano, cavando il fosso, alzato sulla sua sponda un
ciglione di terra verso il fiume, che a guisa di parapetto gli
preservava dalle ferite. La cavalleria alloggiava dietro i ridotti per
perseguitar l'inimico oltre il ponte, se fosse rotto, o far sicura la
ritirata dei compagni, se fossero vinti. Il generale di Francia, come
prima giunse ad un quarto di miglia da Castelbolognese, arrestava il
passo a Lannes ed a Fiorella, e mandava avanti Junot con un buon
reggimento di cavalleria ad ordinarsi in battaglia a sinistra della
strada vicino al ponte, ma oltre il tiro dell'artiglierie pontificie.
Robillard schierava, non fitti, ma larghi duecento feritori alla
leggiera lungo il fiume sulla riva sinistra. Voleva Victor, che costoro
facessero opera di passare a qualche agevole guado, poichè pei tempi
secchi era il fiume guadoso in molti luoghi. Non così tosto si
affacciarono al fiume, che pioveva loro addosso una tempesta di palle;
già piegavano; ma incuorati dai capi, erano tutti soldati di Lombardia,
tornavano al cimento, e non solamente sostenevano quel duro bersaglio,
ma cacciatisi nel fiume, che correva molto rapido, il passarono. Del
quale ardimento sbigottiti i soldati del papa, abbandonavano il fosso
per ricoverarsi nei ridotti; al che tanto più volentieri ne vennero,
quanto più Victor, accortosi del fatto, e non volendo lasciar soli al
pericolo i primi feritori, aveva ordinato alla quinta dei leggieri, che
varcasse ancor essa. Ma i pontificj, siccome il fosso era stato scavato
per diritto, e perpendicolarmente ai ridotti, nè l'avevano munito con le
necessarie traverse, si trovavano esposti a tutto il bersaglio dei
feritori nemici; il che gli fece disordinare, e sbigottire vieppiù. In
questo punto la cavalleria del papa, mossa da uno spavento repentino, si
metteva in fuga. Victor, conosciuto che quello era il tempo buono per
vincere, mandava a dar la carica al ponte due compagnie di Lombardi, due
di Polacchi. Non contrastarono più lungamente le truppe pontificali il
passo, e si ritirarono con grave disordine, e precipitosamente a Faenza.
Non poterono tostamente seguitarle i repubblicani per la difficoltà
delle strade. Quattordici cannoni vennero in poter dei vincitori.
Scrisse Buonaparte, avere ucciso in questo fatto quattrocento pontificj,
presone mila. Ma mancarono solamente tra morti e feriti circa trecento
cinquanta, e alcuni più di prigionieri. Perdettero i repubblicani circa
settanta soldati tra morti e feriti. Morì con dolore di tutti un
capitano Fokalla, giovane Polacco di grande aspettazione. Noverossi fra
i feriti Lahoz, colonnello dei Lombardi. Narrò il generale repubblicano,
non senza scherno, che fra gli uccisi si noverarono preti, che quando
ardeva la battaglia, avevano animato i soldati del pontefice a
combattere. Bene sarebbe stato meglio, che i preti non si fossero
mescolati fra le armi, ma certo questa divozione loro verso Roma, e
verso il loro signore, non era atto da essere beffato da nissuno, e
manco da colui, che non contento al combattere con le armi, combatteva
ancora con le instigazioni, per far levare contro i propri governi e chi
aveva inclinazione a tumultuare, e chi non l'aveva. Affermano alcuni
storici, avere i pontificj subitamente perduto la battaglia del Senio
per la inaspettata ribellione di un reggimento Corso ai soldi del
pontefice. Il quale accidente, come troppo grave, noi non saremo nè per
affermare, nè per negare, non avendone pruove sufficienti.
Superato il Senio, s'appresentavano i repubblicani alle porte di Faenza,
le quali atterravano coi cannoni, ed entrarono nella terra abbandonata
dal presidio pontificio. Fu notabile in Faenza, città nobile e ricca, la
moderazione del vincitore; conservò intatte ed inviolate le proprietà e
le persone; anzi Buonaparte, fatti venire a se i preti ed i frati, gli
confortava a star di buona voglia, dimostrando volere, che da tutti la
religione si rispettasse, ed i suoi ministri si beneficassero. Davansi
facilmente, discorrendo i Francesi per tutto il paese come un folgore,
Forlì, Cesena, Rimini, Pesaro, Fano, Sinigaglia, quantunque il passo di
quest'ultima fosse munito di buoni difensori. Si era Colli tirato
indietro fino ad Ancona, sperando di poter quivi fare qualche resistenza
sì per la cittadella, e sì per un forte alloggiamento munito di trincee,
che aveva fatto sopra un monte chiamato nel paese la Montagnola, e che
sta a sopracapo della città. Prevedendo intanto il pericolo della Casa
di Loreto, intorno alla quale non ignorava i pensieri rapaci manifestati
già fin da principio del novantasei dal direttorio, aveva spacciatamente
comandato, che posti sui carri gli arredi, e le reliquie più preziose,
s'indirizzassero alla volta di Roma. Stava Colli accampato sulla
Montagnola con cinque mila soldati, e sette pezzi di buone artiglierie.
Ordinava Victor agl'Italiani, ed ai Polacchi, andassero all'assalto: le
genti grosse, girando a destra, facevano sembianza di voler riuscire
alle spalle dei pontificj. Fu debole la difesa; perchè i soldati di
Colli spaventati dalla rotta precedente si ritirarono in gran fretta:
appena Colli fu a tempo di vuotare Ancona, e la cittadella. Se ne
impadronivano i repubblicani. Il generale della chiesa, come prima potè
raccorre i soldati disordinati, andava a porre il campo tra Foligno e
Spoleto. La Marca, tutto il ducato d'Urbino, eccettuata la metropoli, la
più gran parte dell'Umbria, venivano sotto l'obbedienza della
repubblica. Espilavasi Loreto. La statua della madonna, con alcuni altri
capi più singolari trascelti dai commissari Monge, Villetard, e Moscati,
si avviavano alla volta di Parigi. Del resto si mostrava assai
continente Buonaparte, minacciando morte ai soldati che facessero sacco.
Anzi sapendo quanta efficacia abbia a legare gli animi degli uomini
l'umanità, usava un atto molto pietoso verso i preti di Francia
fuorusciti, che nello stato Romano si erano ricoverati: comandava,
vivessero sicuri, dessero loro i conventi il vitto, e quindici lire al
mese pel vestito, risoluzione degna di grandissima commendazione.
Piantava Victor il suo principale alloggiamento a Foligno.
Andando tanto impetuosamente in precipizio lo stato pontificio, un alto
terrore assaliva Roma. Rammentavano i tempi antichi sotto Attila, i
moderni sotto Borbone. Già pareva ai Romani, che quel primo seggio della
cristianità dovesse andare a sacco ed a fuoco, per opera di coloro che
dai pulpiti, e dai più secreti luoghi erano stati, quai barbari,
rappresentati. Nè il romore che si udiva continuo, nè lo scompiglio che
si vedeva, erano fatti per riconfortare gli spiriti. L'erario, le
suppellettili preziose, le lauretane ricchezze si avviavano a gran
pressa a Terracina. Nè i ricchi se ne stavano, perchè ancor essi
incamminavano le suppellettili più nobili e più care, e così le persone
al medesimo viaggio. I religiosi, sì secolari che regolari, erano presi
di spavento; ne erano piene le strade; chi verso Terracina, chi verso
Firenze, chi alle montagne si ritirava. In mezzo a sì grave precipizio,
uscivano, ad ora ad ora, come suol accadere in simili casi, voci più
spaventose ancora, che già i nemici fossero alle porte, e chi diceva di
avergli uditi, e chi di avergli veduti. Raddoppiavansi le grida, il
terrore, la confusione, la fuga: pareva ad ognuno, che già spenta fosse
ogni salute, che già Roma, l'antica madre, rovinasse. S'aggiungeva, che
il papa medesimo s'apprestava a partir per Terracina; il che era agli
occhi dei popoli spaventati segno d'eccidio imminente, presagio che Dio
già abbandonasse, e già portasse altrove quella veneranda sede di Pietro
apostolo.
In caso tanto lagrimevole e spaventoso, potendo i Francesi a volontà
loro correre per tutto lo stato ecclesiastico, non era più luogo ad
altra deliberazione, se non di piegarsi a quella necessità, che o sdegno
di Dio, o malvagità degli uomini aveva apprestato. Si mostrava costante
il pontefice nel non voler consentire a quelle condizioni, che nel
modello del trattato imposto dal direttorio erano a lui parute contrarie
alle dottrine della sedia apostolica ed alle consuetudini della chiesa;
nè mai volle scemare, o a se od agli oracoli suoi, con pusillanimi e
disonorevoli ritrattazioni quella fede, e quella dignità che pretendeva
a tutte le cose sue, e che erano il fondamento principale della
grandezza della Romana chiesa. Così in quest'ultimo urto di fortuna
fortemente resisteva. Quanto agl'interessi temporali, preponendo il
titolo della salvezza di Roma a qualunque altro rispetto, si preservasse
con opportune concessioni, sclamava, la città, alla concordia con
Buonaparte si provvedesse. Aveva sempre il generale della repubblica
veduto molto volentieri il cardinale Mattei: parve mediatore opportuno a
piegare lo sdegno del vincitore. Scrivessegli, deliberarono,
richiedendolo della pace, e del trattare umanamente Roma desolata.
Spacciarono anche incontanente a Napoli, a Parma, al ministro Azara,
perchè intercedessero. Facevano i pregati intercessori l'ufficio; furono
uditi benignamente; soprastava la risposta al cardinale. Cresceva
tuttavia il pericolo, cresceva il terrore. Destinava il pontefice
quattro legati al generale, il cardinale Mattei, monsignor Galoppi, il
duca Luigi Braschi, il marchese Camillo Massimi; concludessero ad ogni
modo la pace, salva però la religione, e la sedia apostolica.
Incontravano per viaggio il corriero portatore delle lettere di
Buonaparte al cardinale: erano molto benigne, recatrici di tregua,
promettitrici d'accordo, questa fu la prima consolazione di Roma. Avute
le novelle, viaggiavano più confidentemente verso Tolentino, dove
Buonaparte aveva le sue stanze. S'incontravano al terminarsi della via
Flaminia coll'antiguardo repubblicano, in cui erano e Francesi ed
Italiani. Maravigliavansi i repubblicani al vedere quelle vecchie fogge
d'abiti e di carrozze, che per loro erano nuove, e se ne muovevano a
riso. Arrivavano i legati a Tolentino: accolti con dimostrazioni cortesi
dal generale, si restringevano tostamente con lui a negoziare in una
faccenda, che oggimai non aveva più in se difficoltà d'importanza,
perchè nè Buonaparte voleva toccare lo spirituale, nè il papa aveva più,
pel terrore e per l'estremità del caso, arbitrio nel temporale, essendo
già posto tutto in balìa del vincitore. Sospese intanto per volontà del
generalissimo le offese, visitavano Victor e Lannes, prima i campi del
Trasimeno, poi le grandezze di Roma. Gli guardava curiosamente il
popolo; gli accoglieva molto umanamente il pontefice.
Si concludeva il giorno diecinove febbrajo a Tolentino il trattato di
pace fra il papa, e la repubblica di Francia. Si obbligava il pontefice
a recedere da qualunque lega segreta o palese contro la repubblica; a
non dar soccorsi nè d'armi, nè di soldati, nè di viveri, nè di denaro,
nè di navi a chi nemico ne fosse; a licenziare i reggimenti nuovi, a
serrare i porti ai nemici di Francia, ad aprirgli ai Francesi; al cedere
alla Francia Avignone, il Contado, e le dipendenze; al cedere ugualmente
le legazioni di Bologna e di Ferrara, con ciò però che non vi si
facessero novità pregiudiciali alla religione cattolica; al consentire,
che la città, la cittadella, ed il territorio d'Ancona sino alla pace si
depositassero ia mano della repubblica. Oltre a questo si obbligava il
papa a pagare fra un mese ai Francesi quindici milioni di tornesi, dieci
in contanti, cinque in diamanti, fra due mesi altrettanti, parte pure in
pecunia numerata, parte in diamanti. Consentiva inoltre a somministrare
ottocento cavalli, bestie da tiro altrettante, buoi, bufali, ed altri
animali dello stato della chiesa; a dare i manoscritti, i quadri, le
statue pattuite nel trattato di Bologna; a disappruovare l'uccisione di
Basseville, ed al pagare per ristoro dei danni alla famiglia dell'ucciso
trecentomila tornesi; a liberare i prigionieri per cause di stato; a
restituire ai Francesi la scuola delle arti in Roma: volle finalmente il
vincitore, e consentiva il papa, che il trattato fosse obbligatorio per
lui, e pei successori nella cattedra di San Pietro per sempre.
Così finiva la Romana guerra. Nei capitoli della pace si vede, che se il
papa restò di sotto per denari e per territorj, furono vantaggiate le
condizioni attinenti alle materie religiose; perchè furono cassi dal
trattato i capitoli delle disdette, delle rivocazioni, e delle
ritrattazioni, che il direttorio aveva voluto imporre al pontefice, e
che erano stati la cagione del rifiuto e della guerra. Intanto, per
pagar la taglia, si richiedevano a Roma gli ori e gli argenti, sì dei
religiosi che dei laici, e vi si facevano accatti rovinosi.
Il generale invitto, domati i grandi, volle far mostra di rispettare ed
onorare i piccoli, o fosse in lui nuova spezie d'ambizione, o qualche
radice di affetto buono. Pure riuscì la cosa troppo magnifica per non
esser perniziosa tentazione ai modesti. Mandò, trovandosi agli
alloggiamenti di Pesaro addì sette febbraio, Monge a certificare la
repubblica di San Marino della fratellanza ed amicizia della repubblica
francese. Andò Monge sulla cima del monte Titano. Introdotto in cospetto
dei padri, disse enfaticamente parlando, dappoichè Atene, Tebe, Roma e
Firenze avevano perduto la libertà, quasi tutta l'Europa essere venuta
in servitù; solamente in San Marino essersi ricoverata la libertà, ma
pur finalmente il popolo francese, del proprio servaggio vergognandosi,
essersi vendicato in libertà: l'Europa, posti in non cale i propri
interessi, posti in non cale gl'interessi del genere umano, essere corsa
all'armi contro di lui; la civil guerra avere aiutato la forestiera;
pure essersi avventato lui alle frontiere, avere debellato i suoi
nemici: avere trionfato: venuti i suoi eserciti in Italia, avervi vinto
quattro eserciti Austriaci, recatovi la libertà, acquistatovi gloria
immortale quasi fin sotto agli occhi della Sanmarinese repubblica; avere
la repubblica di Francia, abborrente dal sangue, offerto pace, ma averla
anche offerta indarno; perseguitare pertanto i suoi nemici, passare
presso a San Marino per perseguitarli, ma vivessero sicuri, che Francia
era amica a San Marino. A questo passo veniva Monge offerendo alla
repubblica da parte del generalissimo territorj di stati vicini. Troppo
squisito e magnifico parlare, e troppo inconveniente offerta era questa
a quegli uomini semplici ed ammisurati; nè so perchè Monge, che uomo
temperato era anch'egli, la facesse. Il torre e l'accettare, erano
ugualmente brutti e pericolosi per una repubblica, che era vissa sì
lunga età innocente, e pura da quel d'altrui. L'ingiustizia e la rapina
erano cose ignote per lei. Buonaparte venne poscia in sull'offerire egli
stesso: darebbe quattro cannoni, darebbe fromenti; riceverebbe in sua
protezione San Marino, e farebbe portar rispetto ovunque e quandunque a'
suoi cittadini.
Rispose il consiglio, accetterebbe i cannoni volentieri, accetterebbe
anche i fromenti, ma pagandoli; dei territorj contento agli antichi, non
volerne nuovi: solo pregare qualche maggior larghezza di commercio, e di
ciò richiedere l'eroe invincibile. Il seguito fu, che i cannoni non
furono dati, e che non si parlò più di San Marino; ciò successe molto
prosperamente per lui. Continuò nella solita quiete e libertà; continuò
a rispettare i diritti degli uomini senza vantargli, il che è meglio che
il vantargli senza rispettargli; continuarono dall'altra parte intorno
al felice monte gli strepiti, e la licenza dei popoli e dei soldati.
Rimoveva Buonaparte appoco appoco le sue genti dallo stato
ecclesiastico; poscia si conduceva a Bologna intento a nuove imprese,
perchè già l'Austria un'altra volta ingrossava.

FINE DEL TOMO II.