Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo II - 15

dalla riva destra, che fu fatto abilità ai soldati di Buonaparte di
racconciar il ponte, di conservar la duodecima, e di varcare. Andavasi
adunque alla battaglia terminativa: il maggior numero delle genti, e
l'esito delle precedenti fazioni facevano i Tedeschi confidentissimi: il
nuovo ordine dell'assalto, l'avere facoltà di passare sulla sinistra
dell'Alpone, il presidio di Legnago, che già si approssimava, ed il
valore di tanti soldati agguerriti mettevano i Francesi in isperanza di
diventar possessori della vittoria.
Incominciava a colorirsi il disegno di Buonaparte; conciossiachè Massena
con piccola parte della sua schiera marciava contro Porcile per operare,
che Provera non isboccasse da questo lato; si accostava con la restante
ad Arcole per aiutare l'opera della sessagesimaquinta, in faccia al
ponte d'Arcole, e della trigesimaseconda, che sotto la condotta di
Gardanne si era alloggiata in un bosco vicino all'argine. Era il fine di
questi ordinamenti l'impedire, che i Tedeschi non potessero condurre a
mal partito le genti repubblicane poste sulla destra dell'Alpone, e non
s'impadronissero del passo di Ronco. Ma lo sforzo principale doveva
farsi da Augereau, che, passato l'Alpone sul ponte construtto la notte,
si avventerebbe, secondato dal presidio di Legnago, contro Arcole da
quella parte, dove meno era difendevole. Le cose succedevano come il
generale Francese le aveva ordinate; perchè Provera non potè far frutto
da Porcile, Augereau varcava l'Alpone, e la sessagesimaquinta condotta
da Robert, rincacciava, marciando sull'argine, i Tedeschi insino al
ponte di Arcole. Ma gl'imperiali, sboccandone di nuovo più grossi, si
scagliavano con tanto impeto contro di lui, che non solo fu risospinta
sin là donde si era mossa, ma disordinatamente fuggendo già aveva dato
indietro sino al ponte di Ronco. Fu percosso con grave ferita in questo
fatto Robert. Seguitavano i Tedeschi questa parte dei Francesi, che
fuggiva, credendo di possedere la vittoria, mentre ella effettivamente
già loro usciva di mano; imperciocchè Massena, che sapeva bene corre i
tempi, ed usargli con vigore, compariva improvviso sulla destra loro, la
diciottesima gli percuoteva di fronte, Gardanne uscito dall'agguato gli
urtava sul fianco sinistro. Tanti contemporanei assalti disordinavano la
schiera Tedesca, di cui parte si ritirava più che di passo verso Arcole,
parte fu spinta nella palude vicina, dove divenne miserabile bersaglio
delle artiglierìe, e dell'archibuserìa di Francia. Morirono in
quest'abbattimento, del quale la principal lode si debbe a Massena,
quantità grande di buoni soldati Tedeschi; circa tre mila vennero in
poter dei repubblicani.
Alvinzi manteneva tuttavia la battaglia contro Augereau, che, varcato il
nuovo ponte, si era condotto sulla sinistra dell'Alpone. Nè era facile a
Buonaparte di sforzarlo, perchè il Tedesco aveva con lui il miglior
nervo delle sue genti, e la sua destra si appoggiava ad una palude,
mentre la sinistra era assicurata da luoghi anche pantanosi, e da una
fiorita cavallerìa. Durava la battaglia già buon tempo con esito
incerto, quando, siccome narrano, sovvenne a Buonaparte uno stratagemma,
e fu di mandare una compagnìa di soldati a cavallo, acciocchè girando
velocemente dietro il fianco degli Austriaci, andasse a romoreggiar loro
alle spalle con le trombe, e con quel maggiore strepito che potesse.
Scrivono, che questo carico fu dato dal generale Francese ad un
luogotenente Ercole, e che Ercole lo condusse a fine con quella celerità
ed avvedutezza, che meglio si potevano desiderare. Certo è bene che, o
che il romore improvviso di questo Ercole, od il presidio di Legnago,
che già uscendo dalla vicina terra di San Gregorio incominciava a
tempestare sul sinistro fianco, ed alle spalle dei Tedeschi, o
finalmente la vittoria avuta da Massena contro il destro, sel facessero,
gli Austriaci incominciavano a declinare manifestamente, ed infine a
cedere il campo, se non con fuga, almeno con ritirata molto presta.
Occupavano con infinita allegrezza i Francesi il tanto combattuto
Arcole, e vi pernottavano. Ritirava Alvinzi le sue genti ad Altavilla,
poscia a Montebello sul Vicentino. Lasciava, ovunque passava, ogni più
sfrenato eccesso commettendo i suoi soldati, funesti vestigi sui
desolati paesi. Poco meno di tremila Tedeschi furono uccisi nella
giornata di Arcole, circa cinque mila prigionieri, tra i quali sessanta
ufficiali, diciotto pezzi d'artiglieria, e quattro insegne ornarono il
trionfo dei vincitori. Grave esser stata la perdita dei Francesi nissuno
potrà dubitare, considerando le spesse ed aspre battaglie, ed i mortali
ributtamenti, massime il silenzio del generale repubblicano in questa
parte. Ma la vittoria intiera, la mantenuta fama, la conservata Italia,
l'aver superato con un esercito vinto e minore, un esercito vincitore e
più grosso, l'aver impedito la congiunzione dei due eserciti Tedeschi,
l'aver fatto passaggio, per mezzo di una mossa maravigliosa, da una
condizione quasi disperata ad una condizione prosperissima, e finalmente
la presa di Mantova, che già si vedeva sicura per Francia, di gran lunga
compensarono i sopportati danneggiamenti.
La battaglia di Arcole, che finchè saranno in onore presso agli uomini
il valore e la scienza militare, sarà celebratissima, e stimata uno dei
più esimj fatti di guerra, che dalle storie siano tramandati ai posteri,
pose per allora in sicuro la fortuna Francese in Italia. Aveva bene
Davidowich, calatosi da Ala il dì medesimo in cui Buonaparte vinceva ad
Arcole, rotto e fugato Vaubois da Corona poscia da Rivoli, e ridotto in
potestà sua il posto importante della Chiusa. Aveva bene anche scacciato
Vaubois medesimo dai monti di Campara con presa di undici cannoni, e di
due mila prigionieri, fra i quali si noveravano Fiorella e Lavalette;
finalmente aveva bene altresì, seguitando il corso della fortuna
prospera, occupato Bussolengo, e distendendosi sulla sinistra insino a
Castelnuovo, e sulla destra insino in prossimità di Peschiera,
minacciato di riuscire alle spalle di Verona, e di correre al riscatto
di Mantova. Ma quello, che sarebbe stato fatale ai Francesi, se fosse
stato effettuato cinque o sei giorni avanti, non poteva partorire, se
non la ruina di Davidowich, effettuato essendo a questo tempo. Il che fa
vedere, quanto sia stato funesto alla casa d'Austria, e disonorevole,
per non dire colpevole, a Davidowich l'avere soprastato, e consumato
invano tutto il tempo utile alle stanze di Roveredo. Non arrivò alle
sponde del Mincio, quando era il tempo di arrivarvi, e vi arrivò, quando
non era più il tempo. Così piuttosto agli errori de' suoi capitani che
alla natura dei soldati restò l'Austria obbligata delle rotte sofferte,
e della perduta Italia.
Non così tosto ebbe Buonaparte vinto ad Arcole, che si rivoltava con le
sue schiere vincitrici contro Davidowich, e trovatolo a Campara lo
debellava. Vero è però, che il Tedesco, avendo avuto avviso della
calamità di Arcole, stimandosi, come era realmente, impotente al
resistere, ebbe combattuto rimessamente, e solo per dar tempo
agl'impedimenti di condursi in salvo. Poi vieppiù tirandosi all'insu, si
conduceva prima a Dolce, poi ad Ala, seguitato velocemente dai Francesi,
che lo danneggiarono nella retroguardia. Nè fuvvi in questa ritirata
cosa notabile, se non che una squadra di otto cento Alemanni governati
dal colonnello Lusignano, tanto trattenne, valorosamente combattendo,
Augereau, che con ottimo intendimento era partito da Verona per
riuscire, valicando i monti della Mallara, alle spalle di Davidowich,
prima che fosse giunto ad Ala, che rendè vano il disegno dei
repubblicani. Essendo diventati novellamente i Francesi padroni di tutto
il Veronese, e la stagione correndo molto sinistra, condussero i due
avversari i soldati loro alle stanze. Fermossi Davidowich in Ala,
Alvinzi in Bassano, con la vanguardia a Vicenza ed a Padova, ed il
grosso sulle rive della Brenta. Si avvisò anche di alloggiare un grosso
a Primolano per aver in tal modo più vicina, e più spedita la via di
comunicare, pel corso della Brenta, con Davidowich. Stanziò Buonaparte
nel Veronese, rimandata però la schiera di Kilmaine al campo di Mantova
per istringere viemaggiormente l'assedio della piazza, che, siccome
priva dell'ajuto d'Alvinzi, credeva aver tosto a venire in sua possanza.
Gli Alemanni, ancora quando fossero respinti, non erano però rotti, e se
molti buoni soldati erano morti, grave danno avevano anche patito i
Francesi; le fazioni di Caldiero, e le vittorie conseguite da Davidowich
nello scendere dal Tirolo compensavano le perdite fatte nella battaglia
di Arcole. Si vedeva manifestamente, che, ove Alvinzi si fosse riforzato
per nuovi ajuti venuti dagli stati ereditarj, sarebbe di nuovo in grado
di uscire alla campagna, e di ritentar la fortuna delle armi: di nuovo
le Austriache sorti potevano risorgere. Sapeva queste cose Buonaparte;
perciò continuamente rappresentava al direttorio, avere bisogno di nuovi
soldati, e tosto gli mandassero se a loro stavano a cuore la fama, e la
potenza acquistata nelle contrade Italiche.
Mandava apportatore delle felicissime novelle a Parigi Lemarrois, suo
ajutante di campo. Appresentava le conquistate insegne al direttorio; i
segni delle avute vittorie tanto più volentieri furono veduti, quanto
maggiore era stata la sollevazione degli animi all'apparato Austriaco.
Le lodi del capitano invitto, e dell'esercito Italico andavano al cielo.
Decretava la repubblica, le repubblicane bandiere portate da Augereau e
da Buonaparte contro gli Alemanni nella battaglia di Arcole, a loro in
nazionale ricompensa si donassero. Bene considerato certamente fu questo
decreto in quel che diceva, ma non in quel che taceva, perchè Massena
aveva vinto gran parte della battaglia.
Le armi infelicemente usate dall'Alvinzi non avevano tanto sbigottito
l'imperatore, che non confidasse di poter soccorrere con frutto le cose
d'Italia. Perochè e le sue genti erano tuttavia quasi intiere, e la
divozione dei popoli grande, e la somma della guerra consisteva in una
vittoria, alla quale la volubile fortuna avrebbe, quando meno si
pensava, potuto aprire il varco.
Nasceva altresì la sicurezza dell'Austria dalla risoluzione del
pontefice di volere piuttosto incontrare una guerra pericolosa, che
accettare condizioni inonorate, e contrarie, siccome credeva, alla
purità della fede. Pareva, che l'autorità ed il pericolo della santa
sede avessero a muovere gl'Italiani, ove l'Austria apparisse di nuovo
grossa in Italia, e qualche vittoria l'assicurasse. Non si dubitava poi
che se la fortuna voltasse il viso più benigno a coloro, ai quali fino
allora era stata avversa, Napoli non fosse per mutar fede, per la grande
entratura che avevano gl'Inglesi in quella corte. Le quali cose molto
bene considerate e ponderate dall'Austria, la confortarono a fare un
nuovo sforzo anche prima che la stagione si fosse intiepidita. Solo dava
timore la piazza di Mantova, che si sapeva essere ridotta agli estremi,
e l'averla, o non averla era per ambe le parti l'importanza della
guerra. Ma Wurmser non indugiava a torre in questo proposito ogni
dubbio; perchè non perdutosi d'animo all'esito infelice delle battaglie
d'Alvinzi, tanta era la costanza di questo vecchio, nè alle malattie che
infierivano in mezzo a' suoi soldati, nè alle tante morti che gli
avevano scemati, si deliberava di trovar modo per qualche improvvisa
sortita a procurare a se nuova vettovaglia. Assaltava i giorni
diecinove, e ventitre novembre con quasi tutto il presidio i
repubblicani a Sant'Antonio, ed alla Favorita, ed avendogli fatti
piegare, predava, ed introduceva dentro la piazza non poca quantità di
viveri. Avendo poi avuto avviso, che erano arrivate nel porto alcune
barche cariche di munizioni da bocca ad uso dei Francesi, usciva
nuovamente molto grosso gli undici, e quattordici decembre, e le
predava; prezioso sussidio alle sue affamate genti. Oltre le munizioni
conquistate, la sortita di Wurmser per la porta Pradella cagionava non
poco danno alle trincee fatte dai Francesi.
Erasi intanto Alvinzi condotto in Tirolo per consultare con Davidowich
sulle faccende comuni, e per fermare i consigli sull'indirizzo a darsi
alle nuove armi, che si preparavano. Poco dopo Davidowich, la cui
tardità era gravemente spiaciuta all'Imperatore, fu richiamato, ed ebbe
lo scambio nel principe di Reuss, capitano pratico dei luoghi, avendo
pochi mesi innanzi guerreggiato, non senza lode, con Quosnadowich sulle
spiaggie del lago di Garda. Deliberava Alvinzi, al quale l'imperatore
serbava fede malgrado dell'infelice successo della guerra testè
terminata con la sconfitta di Arcole, che il principale nervo si
muovesse, ed il principale sforzo si facesse dal Tirolo, calando per le
rive dell'Adige; alla quale deliberazione si era accostato per la
difficoltà incontrata di passare questo grosso fiume a Verona. Aveva
argomentato, che venendo dal Tirolo, si trovava a campeggiare
naturalmente tra l'Adige e il Mincio, ed in grado di correre senza
impedimento di fiumi al soccorso della città assediata. Aveva poi
ordinato, che la parte di mezzo condotta da Quosnadowich si
pruoverrebbe, percotendo verso Verona, di congiungersi con la destra,
che era la più grossa, e veniva dal Tirolo, e che al tempo stesso la
sinistra guidata da Provera si sforzerebbe di passar l'Adige verso
Porto-Legnago. Ma per poter meglio ingannare l'inimico, e tenerlo
sospeso del dove avesse a ferire quella nuova tempesta, aveva Alvinzi
operato, da una parte, che Laudon con una mano di soldati armati alla
leggiera, disceso per la destra del lago, andasse a romoreggiare sino
alle porte di Brescia, dall'altra, che un'altra parte di simil gente,
partita da Padova, e traversato il Polesine di Rovigo, passasse l'Adige
a Boara per mettere in sentore Ferrara e Bologna, dove i Francesi
s'ingrossavano per far la guerra al papa. Era lo scopo d'Alvinzi
nell'ordinare la mossa contro Brescia il far credere a Buonaparte, ch'ei
volesse far campo della nuova guerra le regioni tra il Mincio e l'Oglio,
e col correre contro le due legazioni intendeva di dar animo e forza al
papa, che già aveva adunato le sue genti sulle rive del Senio. Sperava
poi generalmente, che tempestando coi due corni estremi del suo
esercito, avrebbe allontanato dalla credenza del generale repubblicano,
ch'ei fosse per fare il principale sforzo tra l'Adige e il Mincio. Così
come pareva nuovo questo disegno, confidava, che avrebbe suscitato nuovi
pensieri di Buonaparte, e messo in sospetto di una maniera di guerra non
ancora usata. Per arrivare a questo fine aveva cinquanta mila
combattenti, se non tutti sperimentati, almeno tutti ardenti; perchè
aveva con se in Tirolo venticinque mila soldati, dieci mila ne aveva
Quosnadowich in Bassano, altrettanti Provera a Padova, il resto sulle
ali estreme. Maravigliosa cosa è il pensare, come l'Austria, dopo tante
rotte, abbia potuto raccorre in sì breve tempo un esercito sì grosso. Ma
dal Reno erano venuti più di tre mila soldati, quattro mila
dall'Ungheria: gli altri stati ereditari fornivano a proporzione.
Risplendè principalmente la fedeltà e l'ardore dei Viennesi in tanta
depressione della potenza Austriaca; perchè quattro mila giovani delle
prime famiglie, lasciati in sì grave pericolo della patria, gli agi e le
morbidezze, e prese le armi, accorrevano bramosamente fra le nevi del
Tirolo, e fra i veterani dell'esercito al voler riconquistare al loro
signore le perduta Italia. Buonaparte, che stimava l'utile, non il
generoso, si faceva beffe di questa gente, giovinastri chiamandogli, e
ciamberlani. Ma si vide alla pruova, ch'erano valenti soldati, e che se
non era di una spia, e della celerità di un giorno, i vinti sarebbero
divenuti vincitori, gli scherniti trionfatori.
Erasi il generale repubblicano ingrossato per nuove genti venute di
Francia. Non ostante non arrivava il suo esercito al novero di quello
d'Alvinzi, poichè passando i quarantacinque mila, non arrivava ai
cinquanta. L'aveva egli spartito in cinque schiere principali, una delle
quali governata da Serrurier teneva il campo sotto Mantova, l'altra con
Augereau stanziava a Verona, distendendosi verso le regioni inferiori
dell'Adige, la terza retta da Massena alloggiava pure in Verona, ma
spingeva le sue genti innanzi per sopravvedere quello che fosse per
annunziare la guerra dalle sponde della Brenta; la quarta, che obbediva
a Joubert, surrogato a Vaubois, guardava le fauci del Tirolo, avendo il
campo alla Corona, a Rivoli, e nei luoghi intermezzi; la quinta
finalmente, quale corpo di ricuperazione, e per assicurare la destra del
lago, aveva le sue stanze a Brescia, Peschiera, Desenzano, Salò e
Lonato.
Da tutto questo si può conoscere, che Buonaparte si era persuaso, che lo
sforzo dei Tedeschi avesse a indirizzarsi contro Verona; ma però,
siccome astuto e prudente capitano, aveva ordinato i suoi per forma che
se la tempesta si scagliasse dal Tirolo, fossero in grado di resisterle,
perchè e Joubert era grosso di dieci mila soldati, ed Augereau e Massena
potevano arrivare prestamente in soccorso di lui da Verona. Il primo a
dar le mosse alla sanguinosa guerra, che siam per raccontare, fu
Provera, che partito da Padova il dì sette gennajo, si dirizzava verso
Bevilacqua, terra posta sul rivo, che chiamano la Fratta. Era in
Bevilacqua il generale Duphot con una squadra, che serviva come
antiguardo al presidio di Porto-Legnago. Era intendimento di Provera di
tentare il passo dell'Adige poco sopra a quest'ultima fortezza per
recarsi quindi al soccorso di Mantova. Il dì otto sul far del giorno il
principe Hohenzollern marciava contro Bevilacqua difesa da un piccolo
castello: trovato per istrada un grosso corpo repubblicano, che gli
voleva far contrasto, dopo un aspro combattimento, lo fugava. Al tempo
medesimo il colonnello Placseck sulla sinistra s'impadroniva del posto
di Caselle, e sulla destra un capitano Giulay occupava i passi di
Merlara e di San Salvaro. Frattanto i Francesi si erano rinforzati a
Bevilacqua per le genti fresche venute da Porto-Legnago. Ma assaliti in
diverse parti dagli Alemanni, fu loro forza di pensare al ritirarsi, e
si ridussero a Bonavigo ed a Porto-Legnago sull'Adige, non senza grave
danno, e con perdita di due cannoni. Combattè molto animosamente in
questo fatto Duphot, ma con non minor valore combatterono i volontari
Viennesi, che furono gran parte della vittoria. Conseguìti questi primi
vantaggi, confidava Provera di poter presto passar l'Adige tra Ronco e
Porto-Legnago. Era, quando seguirono queste prime battaglie, Buonaparte
a Bologna, intento ad ordinar la guerra contro il papa, e non così tosto
ne ebbe avviso, che giudicando bene del tempo, comandava a due mila
soldati, che già aveva indirizzato contro gli stati della chiesa,
retrocedessero, e gissero a congiungersi con Augereau, che difendeva le
rive dell'Adige assaltate da Provera. Il che dimostra quanto
intempestiva, e troppo presta fosse la mossa del generale Austriaco;
perchè avrebbe fatto di mestiero, che si fosse dato tempo ai pontificj
di venire avanti tanto che congiunti con gl'imperiali avessero potuto
concorrere coi medesimi al fine, che gli uni e gli altri si proponevano.
Buonaparte, poichè tanto stringeva il tempo, e le cose se gli
dimostravano pericolose, condottosi celeremente, e soprastato alquanto
al campo di Mantova per ordinar quello che fosse a farsi in tanto
pericolo, s'avviava a Verona la mattina del dodici, dove trovava Massena
alle mani coi Tedeschi venuti a Bassano; imperciocchè Alvinzi per tener
incerto l'avversario del luogo, dove principalmente volesse ferire,
aveva comandato, che al tempo medesimo si urtasse contro tutta la fronte
del nemico. Trovavasi l'antiguardo di Massena a San Michele, poco
distante da Verona, quando assalito dai Tedeschi fu costretto a
ritirarsi dentro le mura. Ma Massena, uscito fuori con tutti i suoi,
attaccava la battaglia, che fu molto aspra e sanguinosa. Restava il
campo ai Francesi, e prendevano al nemico seicento prigionieri con tre
bocche da fuoco. Non fu senza grave danno la vittoria, perchè i
repubblicani perdettero a un di presso il medesimo numero di soldati con
quattro pezzi d'artiglierìa.
Non insistevano maggiormente gl'imperiali, contenti allo aver fatto
credere al nemico, che lo volessero assalire fortemente, e grossi in
questa parte. Si ritraevano per iscaltrimento indietro alle montagne;
anzi una parte guidata da Quosnadowich si conduceva celatamente, e con
molta prestezza per la valle della Brenta a rinforzare Alvinzi in
Tirolo. Restava la rimanente sotto il generale Bajalitsch. Nè qui si
restavano i tentativi degli Austriaci, perchè sulle due ali estreme
Provera varcava l'Adige il dì tredici, non però senza molta difficoltà,
contrastatogli animosamente il passo da Guyeux. Alvinzi sforzava le
strette della Corona con avere obbligato Joubert a ritirarsi
sull'alloggiamento forte, e fortificato di Rivoli. Pendeva in tale modo
incerto Buonaparte del vero intento dell'avversario; nè sapendo a qual
parte volgersi, se ne stava tuttavia a Verona, aspettando che il tempo,
e più aperte dimostrazioni degli Austriaci gli dessero maggior lume. Nè
tardava ad essere appagato del suo desiderio; perchè, in primo luogo, un
Veronese, amatore dei Francesi, e congiunto d'antica amicizia con
Alvinzi, si era segretamente condotto a Trento per visitarlo, ed ivi
soprastato essendo tre giorni, ebbe trovato modo di copiare tutto il
disegno di guerra del generale Austriaco, il quale disegno, tornatosene
a Verona, consegnava ad un Pico, che nato in Piemonte, e mescolatosi
nelle congiure di quel paese, si era ricoverato in Francia, e seguitando
sempre l'alloggiamento principale, si adoperava come esploratore delle
operazioni militari del nemico. Da questo Pico fu incontanente il
disegno d'Alvinzi dato in mano del generalissimo di Francia. Così ebbe
sicura notizia di quanto intendesse fare il generalissimo d'Austria.
Giungevano in secondo luogo lettere espresse di Joubert, che portavano,
quanto grossi fossero comparsi gli Austriaci alla Corona. Da tutto
questo divenne chiaro, che gl'imperiali farebbero il più grosso sforzo
per le regioni superiori dell'Adige col fine di andar a percuotere
direttamente quelle, che sono poste fra l'Adige ed il Mincio. Buonaparte
allora, solito a spingere con incredibile celerità sempre innanzi le
occasioni, comandava a Massena, corresse con tutta la sua schiera a
Rivoli più prestamente che potesse. Lo stesso ordine mandava a Rey, che
se ne stava alle stanze di Desenzano e di Lonato. Egli poi, la notte
medesima del tredici, s'incamminava frettolosamente a Rivoli per ivi
sostenere la fortuna vacillante. Confidava Alvinzi, che il generale
repubblicano, trovandosi alle prese a Verona, e sul basso Adige, non
sarebbe accorso sull'alto con tutte le sue forze. Però si persuadeva di
aver solo a fronte la schiera di Joubert. Per la qual cosa aveva
ordinato talmente i suoi, che una parte urtasse contro il forte passo di
San Marco occupato dalla vanguardia di Joubert, e che è la chiave di chi
scende dal Tirolo verso Verona; l'altra condotta da Liptay girasse sui
monti per Campione per andar a ferire alla schiena il rimanente corpo di
Joubert, che alloggiava in Rivoli. Un'altra colonna grossa di
quattromila soldati, e governata dal generale Lusignano, girando più
alla larga, doveva riuscire più alle spalle dei Francesi, per la valle
del Tasso. Arrivava intanto Quosnadowich, e romoreggiava sulla sinistra
dell'Adige. Aveva infatti Alvinzi con un urto gagliardo acquistato il
passo di San Marco. Ma non era ancora spuntato il giorno del
quattordici, che Buonaparte già ingrossato dalle genti più leggieri di
Massena, aveva dato dentro a San Marco, e dopo un grave conflitto, se
n'era impossessato. Si accorgeva allora Alvinzi, che i suoi pensieri
erano stati penetrati, e che in vece di avere a combattere col solo
Joubert, gli era forza di sostenere l'impeto della maggior parte
dell'esercito repubblicano. Ciò cambiava le sue sorti, perchè quello,
che era conveniente combattendo molti contro pochi, non era parimente
combattendo molti contro molti, anzi contro più. Tuttavia non diminuendo
per questa difficoltà della speranza di vincere, ed essendo già presente
il nemico, non aveva più comodità di cambiare l'ordine incominciato
della battaglia, e dovette far fronte con mosse non acconce ad un caso
inaspettato. Nè sicuro consiglio sarebbe stato il ritirarsi, perchè
avrebbe portato con se la perdita di tutta l'impresa, oltrechè in
cospetto di un nemico tanto attivo, la ritirata sarebbe stata
accompagnata da gravissimi pericoli. Vi era adunque pel generale
Austriaco necessità di combattere, e d'incontrar la fortuna, qualunque
ella si fosse.
Già si combatteva asprissimamente dalle due parti alle cinque della
mattina, e siccome gli Austriaci per ordine del loro generale puntavano
massimamente contro la sinistra dei Francesi, per secondare le colonne
che giravano alle spalle, così quest'ala Francese, ed anche la mezza
pativano grandemente, e già, crollandosi, si tiravano indietro
disordinate: erano la ottuagesimaquinta, e la vigesimanona. Pareva la
fortuna inclinare a favore dei Tedeschi. Mosso Buonaparte dall'estremo
pericolo, comandava a Berthier, nel quale e pel valore e per
l'esperienza molto confidava, sostenesse con la quartadecima l'inimico
in mezzo. Egli poi accorreva alla sinistra, che tuttavia sempre più
piegava, e pericolava. Sosteneva la quartadecima un urto ferocissimo.
Questo sforzo, e la terribile trigesimaseconda, che arrivava,
ristoravano in questo luogo la battaglia, che inclinava. Ma non
procedevano con simile prosperità le cose dei Francesi sulla sinistra,
che continuava a cedere del campo: era sempre il rischio estremo, quando
ecco arrivare a gran tempesta Massena, ed entrare nella battaglia sulla
sinistra. Quivi risvegliatasi in lui la solita caldezza, e combattendo
con grandissimo valore, fe' strage orribile del nemico, e ricuperò
alcuni dei siti perduti sulle eminenze. Mentre Massena rintegrava la
fortuna, e guadagnava del campo a sinistra, il mezzo e la destra dei
repubblicani acremente incalzati si ritiravano, e già gli Austriaci
erano in punto d'impadronirsi dell'eminenza di Rivoli, che era a chi
l'avesse in poter suo, la vittoria della giornata. In questo momento
compariva sulle alture a man manca Liptay, e mettendosi alla scesa già
era vicino a ferire di fianco l'ala sinistra dei repubblicani. Quest'era
il momento determinativo della fortuna; perchè, se gli Austriaci, in
vece che erano spartiti in parecchi corpi, tanto sulla destra, quanto
sulla sinistra dell'Adige, fossero stati ammassati in un solo e grosso
per far forza contro Rivoli, cosa è più che probabile, che avrebbero
acquistato la vittoria. Ma trovandosi le schiere divise, perchè Alvinzi,
credendo di aver a far solo con Joubert, le aveva ordinate piuttosto per
circondare, che per combattere, non poterono urtar tutte al medesimo
tempo e di concerto, e lasciarono intervalli fra di loro, pei quali
poteva il nemico penetrare, ed assaltarle di fianco. Tuttavia,
spignendosi avanti con mirabile coraggio, avevano recato in poter loro
il fatale Rivoli; ma Buonaparte, veduto che poteva, per la separazione
delle colonne nemiche, riunire i suoi in un grosso corpo senza pericolo,
il fece, e ricuperava con breve battaglia Rivoli. Pinsero di nuovo
avanti i Tedeschi, e dopo una mischia spaventevole, se lo pigliavano una
seconda volta. Buonaparte, che vedeva stare ad un punto la fama e la
fortuna sua, comandato a Berthier, che trattenesse con la cavallerìa i
Tedeschi nel piano, che fra le alture a sinistra, e Rivoli a destra si
apre, acciocchè non potessero aiutare i difensori di Rivoli, adunava in
un solo sforzo tutti gli squadroni che potè raccorre in quel momento, ed
uniti e grossi gli conduceva contro Alvinzi, occupatore per la seconda
volta del contrastato passo. Là erano le sorti d'Italia, e di tutta la
guerra, là di Mantova si diffiniva. Nè nissuno creda, che dappoichè gli
uomini fan guerra, e neanco nelle battaglie più famose dell'antichità, e
dei tempi moderni si sia combattuto o più ostinatamente, o più
coraggiosamente, come in questo fatto si combattè. Ebbero l'uno assalto
e l'altro felice fine pei buonapartiani, perchè e Berthier frenava il