Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo II - 07
diventasse campo di battaglia. Buonaparte sopraggiunto fulminava le
porte coi cannoni, ed entrava vincitore. Successero alcune sparse zuffe
coi Tedeschi, non senza terrore dei Veronesi, e se gli Austriaci fossero
stati o più numerosi o più animosi seguiva qualche funesto accidente. Ma
i repubblicani, mostrando moderazione, eccettuate alcune ingiurie fatte
nell'oscurità della notte, conservarono la terra intatta.
Entrato per tal modo in Verona il generalissimo di Francia, ed animati
di nuovo i suoi con un manifesto, in cui gli paragonava, certo con
ragione pel coraggio, ai soldati di Maratona e di Platea, gli conduceva
alle fazioni del Tirolo. Saliva col grosso per le rive dell'Adige,
contro Wurmser; Sauret in questo mentre, per ordine suo, camminando
all'insù della sponda occidentale del lago, andava a ferire Quosnadowich
e il principe di Reuss. Dovevano entrambi raccozzarsi in su quel di
Roveredo per andarsene poscia ad occupar Trento, metropoli del Tirolo
Italiano. Furono da Sauret cacciati gli Austriaci da tutti i posti sul
lago per modo che, abbandonata Rocca d'Anfo e Lodrone, si ritirarono ai
luoghi superiori di Arco. Dal canto suo Buonaparte, per opera di Massena
e di Augereau, superati, non senza sangue, i siti forti di Corona e di
Preabocco, e più su di Ala, di Serravalle e di Mori, mentre Vaubois si
alloggiava in Torbole, compariva con mostra vittoriosa in cospetto di
Roveredo. I Tedeschi già rotti a Mori, e spaventati da un furioso
assalto di Rampon in Roveredo, abbandonarono frettolosamente la terra
con andare a posarsi nel sito fortissimo, che chiamano il Castello della
Pietra, o di Calliano. Solo passo a questa terra a chi viene di sotto, è
una stretta forra, che è serrata a destra da monti inaccessibili, a
sinistra dall'Adige. La terra medesima poi distendendosi anch'essa dal
monte al fiume, serra il passo, ed appresenta verso la profonda forra un
grosso muro merlato, che rende assai facile la difesa. Per questa
strettura dovevano passare, e questa muraglia, munita dai Tedeschi di
grosse artiglierìe, espugnare i Francesi per andare all'acquisto di
Trento. Speravano gl'imperiali, se non di arrestare l'impeto del nemico
in questo luogo, almeno di starvi forti tanto, che ogni cosa potessero
mettere in sicuro alle spalle. Ma quei presti repubblicani, capaci a
sostenere le battaglie giuste nei luoghi piani, e molto più capaci
ancora a far le guerre spedite e spartite dei monti, ebbero assai presto
superati tutti gli ostacoli, che e la natura del sito, e l'arte del
nemico aveva loro opposto. Imperciocchè il generale Dammartin, allogate,
con incredibile fatica, alcune artiglierìe in un luogo creduto per lo
innanzi inaccessibile, donde feriva di fianco la stretta, ed i feritori
alla leggiera, destrissimi ed animosissimi, come sono ordinariamente i
Francesi, arrampicatisi per luoghi dirupati e precipitosi, togliendo
sicurezza a quel forte passo, tempestavano contro i difensori molto
furiosamente. Vedutosi da Buonaparte il successo di queste cose,
comandava a tre battaglioni di disperato valore, dessero dentro alla
forra a precipizio senza trarre, ed assaltassero il castello, che in
fine di quella torreggiava. Nè fu meno pronta la esecuzione di quanto
fosse risoluto il comandamento; perchè messisi i battaglioni a quello
sbaraglio, in meno tempo che uomo non concitato a presti passi farebbe,
passarono la forra, menando grande strage degli Alemanni. Spaventati e
rotti i Wurmseriani abbandonarono all'audacissimo nemico non solo la
strada, ma anche la forte muraglia, ritirandosi a gran fretta a Trento.
Nè credendovisi sicuri, e lasciandolo in balìa di se medesimo, e certa
preda ai repubblicani, si ritirarono sulla destra del Lavisio sulla
strada per a Bolzano. Tale fu l'esito della battaglia di Roveredo,
combattuta il dì quattro settembre, nella quale risplende vieppiù
chiaramente il valor dei Francesi, già tanto chiaro per le precedenti
fazioni. Perdettero gli Austriaci, con venticinque cannoni, tre in
quattro mila soldati morti, feriti, o prigionieri. Dei Francesi pochi
mancarono, per la speditezza del fatto.
Perduto il forte sito di Calliano, restava Trento senza difesa. Infatti
il cinque settembre, ritiratosene il giorno precedente il vescovo,
principe dell'impero germanico, vi entravano i Francesi vittoriosi,
prima Massena, poi Vaubois, il quale, non potendo tollerare sotto gli
occhi suoi propri i ladronecci di Toscana, e preferendo i pericoli di
morte al veder l'infamia, aveva instantemente chiesto di esser mandato
al campo. Divenuto Buonaparte signore di Trento, veniva tosto in sulle
lusinghevoli parole, dichiarando, volere, che la città e principato di
Trento fossero per sempre liberati dalla superiorità Tedesca, e posti in
libertà. Laonde, cacciati tutti coloro che per parte dell'impero
germanico vi tenevano i magistrati, vi surrogava i nativi, con
eleggergli tra quelli che erano più avversi al dominio Tedesco, o più
amatori del nome Francese, o più zelanti di novità. Del rimanente poco
importava al generale della repubblica lo stato dei popoli Trentini:
bensì gli premeva di sollevare con dolci discorsi i popoli della vicina
Germania, affinchè tumultuando contro i principi loro, gli rendessero
facile l'impresa di congiungersi coi soldati di Ferino mandati avanti da
Moreau con questo intento. Certo era, che chiamata a sedizione la
Baviera, l'imperatore d'Alemagna sarebbe stato ridotto in estremo
pericolo, o costretto ad accettare patti disonorevoli. Questi erano i
pensieri ai quali era venuto Buonaparte, per la vastità della sua mente
e per lo stimolo delle vittorie.
Gli rompeva questi disegni l'antico Wurmser. Aveva il capitano Austriaco
considerato, che Buonaparte si era recato nell'animo, ch'ei fosse per
difendere per quei luoghi alpestri con le reliquie de' suoi i passi
della Germania. Credeva anzi, che il generale di Francia fosse
confidente di venire a capo di questo suo intento; perciocchè si vedeva
probabile, che coloro i quali avevano vinto con tanto impeto le strette
di Calliano, potrebbero anche facilmente superare gli altri passi del
Tirolo. Ma il pratico e tenace Alemanno fece avviso, che quello che
combattendo di fronte non avrebbe potuto conseguire, il potrebbe per
modo di diversione. Deliberossi adunque con animoso e ben ponderato
consiglio di voltarsi di nuovo all'Italia, sperando che per la sua
presenza inopinata in questa provincia, aggiuntovi qualche rinforzo che
testè gli era giunto dal Norico, avrebbe potuto farvi qualche
variazione, od almeno ritirarsi al sicuro nido di Mantova. Qualunque
avesse ad essere o prospero od avverso l'esito di questa fazione, bene
era certo l'effetto di tirare nuovamente Buonaparte in Italia, e di
stornare per questo mezzo quella terribile tempesta dalla nativa
Germania. Nasce la Brenta poco lontano da Trento, e correndo nel fondo
di una valle profonda tra monti aspri e discoscesi, arriva a Bassano,
luogo dove incominciano ad aprirsi le dilettevoli pianure del Padovano e
del Vicentino. Questa è la strada che conduce da Venezia a Trento per la
più diritta, senza passar per Verona. Adunque il maresciallo, già fin
quando si combatteva a Roveredo ed a Calliano, s'incamminava, scendendo
a gran passi, per la valle Brentana, intento suo essendo di congiungersi
in Bassano con gli ajuti, che venuti dal Norico sotto la condotta dei
generali Mitruski e Hohenzollern si erano ridotti ad aspettarlo in
quella città. Si era persuaso che il suo avversario, udita la strada
presa da lui, non solamente deporrebbe il pensiero di assaltar la
Germania, ma ancora scenderebbe a gran passi a seconda dell'Adige per
andar a far argine a quel nuovo impeto nelle vicinanze di Verona. Della
prima opinione non s'ingannava Wurmser, perchè effettivamente
Buonaparte, abbandonata l'impresa di Germania, si rivoltava verso
l'Italia; ma bene non prese la via dell'Adige, anzi, sprolungata la
destra de' suoi per la valle medesima della Brenta, seguitava
frettolosamente, divallandosi ancor esso, le genti Alemanne. Erano
guidatori principali di questi presti soldati, secondo il solito, quei
due folgori di guerra Massena e Augereau. Questa deliberazione fece
Buonaparte per interrompere a Wurmser ogni comunicazione coi corpi che
lasciava ai luoghi più alti del Tirolo, e perchè non altra speranza di
salute restasse al capitano dell'imperatore, se non quella o di
ritirarsi più che di passo alle montagne donde sorge la Piave, o di far
opera di condursi a Mantova. Marciarono tanto speditamente i
repubblicani, che giunsero gl'imperiali a Primolano, e gli vinsero con
presa di molti soldati, non però di quattromila, come fu scritto, che è
un'amplificazione di parole molto evidente. Si combattè poscia a
Cismone, si combattè a Selagno, e sempre felicemente pei Francesi. Già
quel nembo era vicino a scoccare contro Bassano, dov'era il corpo
principale di Wurmser. L'assaltarono correndo Augereau a sinistra.
Massena a destra, e tosto il ruppero, avendo fatto, in ciò dissimile da
se medesimo, invalida difesa, con grande ammirazione e sconforto di
Wurmser, che si era confidato nella fortezza di quel passo posto alla
sboccatura della valle della Brenta. Ora nissun altro partito restava al
maresciallo d'Austria, poichè sì presti l'avevano sopraggiunto i
Francesi, se non quello di ritirarsi per far pruova di guadagnare le
sicure muraglie di Mantova. Adunque, velocemente marciando, e
velocemente ancora seguitato dai repubblicani, passava l'Adige a
Porto-Legnago, batteva Massena a Cerea, Buonaparte a Sanguineto, ed
entrava coi soldati tutti sanguinosi, ma con aver fatta sanguinosa la
vittoria anche al nemico, dentro i ripari della forte Mantova.
Questo fu il fine dell'impresa di Wurmser in Italia, e del poderoso
esercito che vi condusse. Ne fu afflitta la Germania, ne fu lieta la
Francia, ne pendè di nuovo incerta l'Italia del destino che
l'aspettasse; perchè nè Mantova era piazza che si potesse facilmente
espugnare, nè l'imperator d'Alemagna era tale, che non fosse per fare un
nuovo sforzo per riconquistar le rive tanto infelicemente feconde
dell'Adda, del Ticino e del Po.
Siede Mantova, città antica e nobile, in mezzo ad un lago che il fiume
Mincio, calandosi da Goito in una gran fondura, forma, ed in tre parti
si divide, separate una dall'altra da due ponti, dei quali il superiore,
da presso a porta Molina dipartendosi, dove sono i molini dei dodici
apostoli, dà l'adito dalla città alla cittadella posta a tramontana;
l'inferiore apre il varco dalla porta di San Giorgio al sobborgo di
questo nome situato a levante. La prima parte del lago tra la bocca del
fiume, dove entra nel lago medesimo, ed il superior ponte frapposta,
chiamasi col nome di lago superiore; la seconda rinchiusa fra i due
ponti, con quello di lago di mezzo; e finalmente quella parte che dal
ponte inferiore partendo, insino all'emissario si distende, col nome di
lago inferiore si appella. Nè tutta la città è circondata da acque
libere e correnti; conciossiachè il Mincio, a stanca verso la cittadella
precipitandosi, lascia i terreni a dritta o del tutto scoperti, o di
poche acque velati, ma limacciosi tutti, ed ingombri di erbe e di canne
palustri. Questa è la palude, che si dilata, e circuisce le mura,
cominciando da porta Pradella, per cui si ha la via a Bozzolo ed a
Cremona, insino a porta Ceresa, per cui si va alla strada di Modena.
Così girando da porta Pradella per tramontana e levante fino a porta
Ceresa, è Mantova bagnata dalle acque dei tre laghi; e dando la volta
dalla medesima porta Pradella per Ponente ed Ostro fino a porta Ceresa,
è circondata da un profondo ed instabile marese, eccettuata una parte di
terreno più sodo situata a guisa di penisola da porta Postierla a porta
Ceresa. Quivi sorge il castello del T, così chiamato, perchè per
singolar guisa d'architettura ha forma di questa lettera dell'alfabeto.
Si ammirano in lui quelle belle pitture a fresco, che rappresentano la
battaglia di Giove e dei Titani, opera tanto celebrata di Giulio Romeno,
nativo di Mantova. Questa penisola si congiunge al corpo della città per
parecchi ponti: ma i principali aditi alla campagna si aprono pei due
suddetti ponti della cittadella, e di San Giorgio, e per mezzo degli
argini, che partendo dalle porte Pradella e Ceresa, ed attraversando la
palude, menano i viandanti all'aperto. Oltre le anzidette porte sonvene
alcune altre minori, o piuttosto uscite che porte, le quali danno sul
lago, e sono quelle della Catena, della Pomponassa, di San Niccolò,
degli Ebrei, d'Ozzolo, di San Giovanni e del Filatojo. Ma siccome la
palude a nissun modo varcabile è difesa più forte del lago, che con le
barche si può passare, così per assicurare la piazza là dove guarda il
lago, fu eretta a tramontana la cittadella, che chiude il passo a chi
venisse da Verona, ed il forte San Giorgio a levante contro chi volesse
andar contro alla terra, procedendo da Portolegnago e da Castellara. Non
ostante, parti pericolose erano le due estremità della palude, perchè là
sono gli argini che accennano alle due porte principali per la via di
terra, cioè Pradella e Ceresa. Per questa cagione furono affortificate
con bastioni, e con altre opere di difesa. Nè fu lasciata senza
munizioni la porta Postierla, la quale, avvegnachè si apra quasi nel
mezzo di una cortina, ha per difesa a destra il forte bastione di
Sant'Alessi, a sinistra un'alta di muro chiamata la torre di Sant'Anna.
Per dare poi maggiore forza a questa parte, principalmente a porta
Ceresa, e per impedire soprattutto che il nemico non possa fare un
alloggiamento nella penisola del T, furono ordinate alcune trincee con
terrati e terrapieni sull'orlo di lei, e nel luogo che chiamano il
Migliaretto. Così, oltre le acque e la palude, le principali difese di
Mantova consistono nella cittadella, nel forte San Giorgio, nei bastioni
di porta Pradella e di porta Ceresa, ed in altri propugnacoli, che da
luogo a luogo sorgono tutt'all'intorno nel recinto delle mura, e
finalmente nelle trincee del T e del Migliaretto.
Tutte queste difese fanno la fortezza di Mantova, ma più ancora l'aria
pestilente, che massimamente ai tempi caldi rende quei luoghi insani per
le febbri e per le molte morti, e fa le stanze pericolosissime,
principalmente ai forestieri, non assuefatti alla natura di quel cielo.
Non è però che nel complesso delle raccontate fortificazioni non vi sia
una parte di debolezza, perchè nè la cittadella nè il forte San Giorgio
sono tali, che possano resistere lungo tempo ad un nemico, che
validamente e con le debite arti gli oppugnasse; e chi fosse padrone di
questi due forti, potrebbe con evidente vantaggio battere il corpo della
piazza, più debole assai da questo lato che da quello della palude. Male
altresì la cittadella si chiama con questo nome, poichè non è tale nè
per la grandezza nè per la fortezza, che il presidio di Mantova vi si
possa ricoverare, nel caso in cui non fosse più abile a tenere la città.
La parte poi di porta Pradella, che è pure il lato più forte, e con più
diligenza munito, una sola difesa esteriore l'assicura; e quest'è
un'opera a corno dominata dall'eminenza di Belfiore. Le sole difese del
corpo della piazza in questa parte sono il bastione di Sant'Alessi,
stimato da tutti fortissimo, e pure troppo più piccolo, che non
bisognerebbe per poter essere guernito del numero di difensori e di
artiglierìe necessario, e la mezza luna di Pradella. L'uno e l'altra poi
non sono coperti, e le loro scarpe s'innalzano tutte sopra l'orizzonte.
Oltre a ciò sono congiunti fra di loro per una cortina lunghissima, e
perciò male atta ad essere difesa dai fianchi di quei due bastioni. Vero
è che per rimediare a questa debolezza, sono state sospinte oltre il
pelo della cortina, a guisa di due frecce, i due ridotti di terra Nuovo
e del Chiostro; ma questi due ridotti sono e di sito troppo più
ristretto e troppo, meno che si converrebbe, sporgenti, e male anco
volti rispetto alla cortina da potere e pel numero dei difensori, e per
quello delle artiglierìe, e per la direzione dei tiri acconciamente
servirle di difesa.
Nè maggior fortezza appare nelle mura di Mantova a mano manca di porta
Ceresa, andando verso il lago inferiore, perchè quivi, eccettuato un
debole torrione a guisa d'orecchione congiunto alla cortina, e tre
piccole e basse punte di bastioni, niuna difesa si ritrova. Sapevanselo
i Francesi, che prima dell'arrivo di Wurmser, avevano assaltato questa
parte, e già tanto si erano condotti avanti, che, aperta la breccia,
stavano in punto di entrarvi. A tutto questo pensando Buonaparte, era
venuto in questa opinione, che in venti giorni di trincea aperta si
potesse prender Mantova, ed a questa piazza anteponeva, per la fortezza,
quella di Pizzighettone. Aveva anche fatto disegno d'impadronirsene per
un assalto notturno ed inopinato con attraversare il lago sopra barche,
che a tal uopo aveva fatto apprestare. Avvertiva però, che la riuscita
di queste fazioni notturne dipende da un gridare o di cani o di oche.
Seguita da tutto ciò, che l'oppugnazione da questa parte non è tanto
malagevole, quanto porta la fama.
A questo si aggiunge, che quello che a prima vista pare constituire il
principale fondamento della difesa, ne fa appunto la debilitazione, e
questa cagione sono gli stretti argini per cui il nemico debbe
necessariamente passare per arrivare alla città; imperciocchè siccome i
più efficaci mezzi per ritardar le oppugnazioni e per prolungar la
difesa delle piazze sono le sortite forti degli assediati, che rovinano
le opere degli assedianti, così questi argini, rendendo le sortite più
difficili, nuocono alla difesa; perchè dovendo gli assediati uscire, e
passare per un luogo certo, stretto e lungo, facile cosa è agli
assedianti di scoprirgli, e di combattergli quando escono, ed innanzi
che sopraggiungano loro addosso. La quale facilità è anche più grande a
Mantova che in altre piazze, a cagione che per le acque del lago possono
agevolmente pervenire al campo degli assediatori i rapportatori e le
novelle. Questa natura dei luoghi è cagione, che con poche genti si può
fare, se non la oppugnazione, almeno l'assedio di Mantova, perchè il
nemico, senza che sia in necessità di circuire tutta la piazza,
ponendosi solamente, e facendosi forte alle punte dei ponti e degli
argini, verrà facilmente a capo di ridurre il presidio alla necessità di
capitolare per mancanza di vitto. Quindi è vero quello ch'era solito
dire Buonaparte, il quale se n'intendeva, che con settemila soldati se
ne possono bloccar dentro Mantova ventimila. Per la qual cosa si vede,
che se nuoce agli assaltatori l'aria infetta di miasmi pestiferi, nuoce
ai difensori la fame facilmente indotta. Tutti questi accidenti e di
sito e di natura e di arte, operarono a vicenda ed efficacemente o negli
assedj, o nelle oppugnazioni di Mantova, come si renderà manifesto dal
progresso di queste storie.
Era giunto, come abbiam narrato, il maresciallo Wurmser in Mantova con
un grosso corpo di genti avanzate alle stragi di Castiglione e di
Bassano. Questo sussidio, mentre dava maggior forza alla guernigione già
stanca da molte battaglie, e da troppo frequenti vigilie, induceva
nondimeno una più grande necessità di vettovaglia. Difettava
particolarmente di erba e di strame per pascere i cavalli, che erano,
rispetto ai fanti, in numero assai considerabile. Adunque il capitano
Austriaco, vedendosi potente per la moltitudine dei soldati, massime di
cavallerìa, sortiva spesso, per allungare i pericoli, con grosse
cavalcate a foraggiare alla campagna. Il che tanto più facilmente poteva
fare, quanto più, essendo tuttavìa padrone della cittadella e di San
Giorgio, aveva le uscite spedite, senza essere obbligato di restringere
le genti in lunghe file per passare i ponti o gli argini. Queste cose
infinitamente cuocevano a Buonaparte, il quale sapendo, che l'Austria,
malgrado delle rotte avute, non avrebbe omesso di mandare nuovi soldati
in Italia, desiderava di venirne presto alle strette per aver Mantova in
mano sua, innanzichè gli ajuti arrivassero. A questo fine, essendo
giunto alla metà del suo corso il mese di settembre, comandava a' suoi,
andassero all'assalto di San Giorgio, perchè quello era il principale
sbocco degli Austriaci alla campagna. Nel tempo medesimo il generale
Sahuguet dava l'assalto alla Favorita, sito fortificato dagli Austriaci,
e posto a tramontana tra San Giorgio e la cittadella. Attraversò questi
disegni il vivido e sagace Wurmser; perchè cacciatosi di mezzo con la
cavallerìa, e represso l'impeto dei repubblicani, gli sbaragliava, e se
non era la trigesimaseconda, valorosissima fra le brigate Francesi, che
sostenne l'urto del nemico, sarebbe seguìto qualche grave danno a
Buonaparte. Rimasero i Tedeschi in possessione della Favorita e di San
Giorgio; Sahuguet fu costretto a tirarsi indietro malconcio, e con le
genti sceme pei morti e pei feriti. Ma l'audace Buonaparte non era uomo
da interrompere i suoi pensieri per un piccolo tratto di fortuna
contraria. E però avvisandosi che il suo avversario, fatto confidente
dalla prosperità della fazione, cercherebbe ad allargarsi
viemaggiormente nella campagna, volendo nutrire in lui questa baldanza
nuova, ritirava i suoi più lontano dalla piazza. Era il suo fine di
tirar Wurmser tanto discosto dal suo sicuro nido, che a lui nascesse la
occasione d'impadronirsi improvvisamente di San Giorgio, per vietare
all'avversario ogni comodità del paese. Eransi gli Austriaci ingrossati,
coll'intenzione di conservarsi libera la campagna, a San Giorgio ed alla
Favorita: avevano anzi spinto molto avanti le loro guardie fuori di
questi alloggiamenti. Per meglio mandar ad effetto il suo pensiero,
aveva Buonaparte comandato ad Augereau, che stanziava a Governolo,
salisse per la riva del fiume, ed improvvisamente urtasse il fianco
destro dell'inimico. Sahuguet occupava i passi tra la Favorita e San
Giorgio; ma non avendo forze bastanti per resistere al nemico
potentissimo di cavalli, ordinava a Buonaparte, che a questa schiera si
accostasse quella di Pigeon, che veniva da Villanova, perchè dal tagliar
la strada fra San Giorgio e la Favorita dipendeva in gran parte l'esito
della fazione. Ma perchè Wurmser, avendo che fare sulla sua fronte, non
potesse correre contro le ali dei repubblicani che si avanzavano,
imponeva a quel pronto e valoroso Massena, urtasse francamente nel mezzo
il sobborgo di San Giorgio. Fu l'industria e la virtù del generale di
Francia ajutata dal benefizio della fortuna; perchè Wurmser essendosi di
soverchio allargato nella campagna, non fu difficile a Pigeon di
congiungersi con Sahuguet ad interrompere le strade fra i due nominati
luoghi, ed Augereau arrivava tempestando a rompere l'ala dritta
degl'imperiali. Il maggior danno fu quello recato da Massena; poichè fu
tanto forte l'impeto suo, che prostrando ogni difesa, entrava per viva
forza in San Giorgio, e se ne faceva padrone. Nè in alcun modo
soprastando, per non corrompere con la tardanza il corso della fortuna
favorevole, metteva anche in suo potere il capo del ponte, che dal
sobborgo porta alla città. A questo modo gli Austriaci rotti e dispersi,
parte furono presi o morti in numero di circa tremila, e parte si
ritirarono fuggendo alla cittadella: perdettero venti bocche da fuoco.
Questa fazione, avendo posto in poter dei Francesi i luoghi più
opportuni all'ossidione, e fiaccando l'ardire degli Austriaci, restrinse
molto la piazza; e sebbene di quando in quando il generale dell'imperio,
condotto dal proprio coraggio, e tirato anche dalla necessità, per
fuggire le molestie della fame, facesse, per andar a saccomanno, sue
sortite, non si affidava però più di correre così liberamente la
campagna, il che rendè in breve tempo le sue condizioni peggiori;
perciocchè cominciava a patire maravigliosamente di vettovaglie. Già
sorgevano segni di mala contentezza, che obbligavano Wurmser a star
vigilante così dentro, come fuori. Munivano i Francesi con fossi e con
trincee il conquistato San Giorgio, e dimostravano grandissima
confidenza d'entrar presto in Mantova.
Era Buonaparte d'ingegno vastissimo, e di attività tale, che occupato in
imprese di grandissimo momento, non ometteva di condurne al tempo
medesimo altre di minore importanza. Perlochè, mentre dall'una parte
pensava a tener lontani dall'Italia gli Alemanni, ed a conquistar
Mantova, dall'altra non trascurava le cose del Mediterraneo, e
principalmente quelle della Corsica. Eransi in quest'isola
maravigliosamente sollevati gli animi a cagione delle vittorie dei
Francesi in Italia; il quale moto tanto si mostrava più grande, quanto
più alla contentezza dei prosperi successi delle armi si aggiungeva
quella, che principalissimo operatore fosse quel Buonaparte, che
quantunque mandato in tenera età a crearsi in Francia, era peraltro nato
e cresciuto fra di loro. Per la qual cosa si vedeva, che se le vittorie
di Francia in paesi tanto vicini alla Corsica davano in lei nuovo animo
alla parte Francese, l'essere acquistate da Buonaparte le dava un capo e
un guidatore valoroso. Questi umori erano anche ingrossati dalle
insolenze degl'Inglesi, e dalle taglie che avevano poste. Quest'erano le
cagioni, per cui la parte Francese in Corsica andava ogni dì acquistando
nuove forze e nuovo ardire, mentre la Inglese perdeva continuamente di
forza e di riputazione; già il dominio d'Inghilterra vi titubava.
Accadevano non di rado nelle più interne regioni dell'isola ingiurie e
violenze contro il nome e gli uomini Inglesi, e contro coloro che a loro
aderivano. Era l'autorità del vicerè ridotta alle terre forti e murate,
poste nei luoghi dove poteva avere accesso il forte navilio
d'Inghilterra. Queste cose si sapevano da Buouaparte; e siccome quegli
che era sempre pronto ad usare le occasioni, aveva posto piede in
Livorno, non solamente col fine di serrare questo porto agl'Inglesi, ma
ancora per movere la Corsica a danno loro. Laonde indotto in isperanza
di poter tosto farvi rivoltar lo stato a favore della Francia, aveva
mandato a Livorno, aspettando tempo d'insorgere più vivamente, un
colonnello Bonelli Corso, con alcuni altri soldati del medesimo paese, e
provvedutolo di denari, d'armi e di munizioni, gli comandava andasse in
Corsica, e con la presenza e con le esortazioni desse speranza di
maggiori sussidj. Era il passaggio di mare assai pericoloso, per le navi
Inglesi che continuamente il correvano; ma Buonaparte, confidando
nell'opera di Sapey, un Delfinate molto sagace ed attivo, che aveva il
carico di quel passo, gliene commetteva l'impresa. A questi primi
principj crescendo vieppiù le speranze del felice fine, mandava a
Livorno, perchè fossero pronti a salpare, i generali Gentili, Casalta e
Cervoni, nativi dell'isola, e che potevano pel credito e dipendenza loro
ajutare l'impresa. Preponeva ad essa, come capo, Gentili, uomo d'intera
fama, e savio per natura e per età. I Corsi fuorusciti per intenzione di
Buonaparte concorrevano a Livorno, e si ordinavano in compagnìe. Una
compagnìa di ducento più attivi e più animosi degli altri, doveva essere
il principal nervo dei conquistatori di Corsica. S'aggiungevano alcuni
pezzi d'artiglierìe di montagna, e cannonieri pratichi per governarle.
Erano vicine a mutarsi in pro della Francia le sorti della patria di
Buonaparte.
Avevano molto per tempo gl'Inglesi avuto avviso di tutti questi
preparamenti, e stavano vigilanti nell'impedire il passo del mare. Nè
parendo loro che ciò bastasse alla sicurezza dell'isola dopo il perduto
Livorno, applicarono l'animo al farsi signori di Porto-Ferrajo, terra
forte, e principale dell'isola d'Elba. Pervenuto sentore di questo
tentativo a Miot, ministro di Francia a Firenze, richiedeva con viva
instanza dal gran duca, desse lo scambio al governatore di
Porto-Ferrajo, sospetto, secondo l'opinione sua, di essere aderente
agl'Inglesi. Il ricercava altresì, mettesse in quel forte un presidio
sufficiente ad assicurarlo. Voleva finalmente che si aggiungessero
duecento soldati Francesi. Soddisfece alla prima domanda il principe,
scambiando il governatore, ma fondandosi sulla neutralità, legge
fondamentale della Toscana, accettata dalla repubblica di Francia, e
confermata da tutte le potenze amiche e nemiche, non consentì a mandar
nuove genti, e molto meno soldati Francesi a Porto-Ferrajo. Si scusò
eziandìo allegando, che gl'Inglesi proibivano l'uso del mare, e che
porte coi cannoni, ed entrava vincitore. Successero alcune sparse zuffe
coi Tedeschi, non senza terrore dei Veronesi, e se gli Austriaci fossero
stati o più numerosi o più animosi seguiva qualche funesto accidente. Ma
i repubblicani, mostrando moderazione, eccettuate alcune ingiurie fatte
nell'oscurità della notte, conservarono la terra intatta.
Entrato per tal modo in Verona il generalissimo di Francia, ed animati
di nuovo i suoi con un manifesto, in cui gli paragonava, certo con
ragione pel coraggio, ai soldati di Maratona e di Platea, gli conduceva
alle fazioni del Tirolo. Saliva col grosso per le rive dell'Adige,
contro Wurmser; Sauret in questo mentre, per ordine suo, camminando
all'insù della sponda occidentale del lago, andava a ferire Quosnadowich
e il principe di Reuss. Dovevano entrambi raccozzarsi in su quel di
Roveredo per andarsene poscia ad occupar Trento, metropoli del Tirolo
Italiano. Furono da Sauret cacciati gli Austriaci da tutti i posti sul
lago per modo che, abbandonata Rocca d'Anfo e Lodrone, si ritirarono ai
luoghi superiori di Arco. Dal canto suo Buonaparte, per opera di Massena
e di Augereau, superati, non senza sangue, i siti forti di Corona e di
Preabocco, e più su di Ala, di Serravalle e di Mori, mentre Vaubois si
alloggiava in Torbole, compariva con mostra vittoriosa in cospetto di
Roveredo. I Tedeschi già rotti a Mori, e spaventati da un furioso
assalto di Rampon in Roveredo, abbandonarono frettolosamente la terra
con andare a posarsi nel sito fortissimo, che chiamano il Castello della
Pietra, o di Calliano. Solo passo a questa terra a chi viene di sotto, è
una stretta forra, che è serrata a destra da monti inaccessibili, a
sinistra dall'Adige. La terra medesima poi distendendosi anch'essa dal
monte al fiume, serra il passo, ed appresenta verso la profonda forra un
grosso muro merlato, che rende assai facile la difesa. Per questa
strettura dovevano passare, e questa muraglia, munita dai Tedeschi di
grosse artiglierìe, espugnare i Francesi per andare all'acquisto di
Trento. Speravano gl'imperiali, se non di arrestare l'impeto del nemico
in questo luogo, almeno di starvi forti tanto, che ogni cosa potessero
mettere in sicuro alle spalle. Ma quei presti repubblicani, capaci a
sostenere le battaglie giuste nei luoghi piani, e molto più capaci
ancora a far le guerre spedite e spartite dei monti, ebbero assai presto
superati tutti gli ostacoli, che e la natura del sito, e l'arte del
nemico aveva loro opposto. Imperciocchè il generale Dammartin, allogate,
con incredibile fatica, alcune artiglierìe in un luogo creduto per lo
innanzi inaccessibile, donde feriva di fianco la stretta, ed i feritori
alla leggiera, destrissimi ed animosissimi, come sono ordinariamente i
Francesi, arrampicatisi per luoghi dirupati e precipitosi, togliendo
sicurezza a quel forte passo, tempestavano contro i difensori molto
furiosamente. Vedutosi da Buonaparte il successo di queste cose,
comandava a tre battaglioni di disperato valore, dessero dentro alla
forra a precipizio senza trarre, ed assaltassero il castello, che in
fine di quella torreggiava. Nè fu meno pronta la esecuzione di quanto
fosse risoluto il comandamento; perchè messisi i battaglioni a quello
sbaraglio, in meno tempo che uomo non concitato a presti passi farebbe,
passarono la forra, menando grande strage degli Alemanni. Spaventati e
rotti i Wurmseriani abbandonarono all'audacissimo nemico non solo la
strada, ma anche la forte muraglia, ritirandosi a gran fretta a Trento.
Nè credendovisi sicuri, e lasciandolo in balìa di se medesimo, e certa
preda ai repubblicani, si ritirarono sulla destra del Lavisio sulla
strada per a Bolzano. Tale fu l'esito della battaglia di Roveredo,
combattuta il dì quattro settembre, nella quale risplende vieppiù
chiaramente il valor dei Francesi, già tanto chiaro per le precedenti
fazioni. Perdettero gli Austriaci, con venticinque cannoni, tre in
quattro mila soldati morti, feriti, o prigionieri. Dei Francesi pochi
mancarono, per la speditezza del fatto.
Perduto il forte sito di Calliano, restava Trento senza difesa. Infatti
il cinque settembre, ritiratosene il giorno precedente il vescovo,
principe dell'impero germanico, vi entravano i Francesi vittoriosi,
prima Massena, poi Vaubois, il quale, non potendo tollerare sotto gli
occhi suoi propri i ladronecci di Toscana, e preferendo i pericoli di
morte al veder l'infamia, aveva instantemente chiesto di esser mandato
al campo. Divenuto Buonaparte signore di Trento, veniva tosto in sulle
lusinghevoli parole, dichiarando, volere, che la città e principato di
Trento fossero per sempre liberati dalla superiorità Tedesca, e posti in
libertà. Laonde, cacciati tutti coloro che per parte dell'impero
germanico vi tenevano i magistrati, vi surrogava i nativi, con
eleggergli tra quelli che erano più avversi al dominio Tedesco, o più
amatori del nome Francese, o più zelanti di novità. Del rimanente poco
importava al generale della repubblica lo stato dei popoli Trentini:
bensì gli premeva di sollevare con dolci discorsi i popoli della vicina
Germania, affinchè tumultuando contro i principi loro, gli rendessero
facile l'impresa di congiungersi coi soldati di Ferino mandati avanti da
Moreau con questo intento. Certo era, che chiamata a sedizione la
Baviera, l'imperatore d'Alemagna sarebbe stato ridotto in estremo
pericolo, o costretto ad accettare patti disonorevoli. Questi erano i
pensieri ai quali era venuto Buonaparte, per la vastità della sua mente
e per lo stimolo delle vittorie.
Gli rompeva questi disegni l'antico Wurmser. Aveva il capitano Austriaco
considerato, che Buonaparte si era recato nell'animo, ch'ei fosse per
difendere per quei luoghi alpestri con le reliquie de' suoi i passi
della Germania. Credeva anzi, che il generale di Francia fosse
confidente di venire a capo di questo suo intento; perciocchè si vedeva
probabile, che coloro i quali avevano vinto con tanto impeto le strette
di Calliano, potrebbero anche facilmente superare gli altri passi del
Tirolo. Ma il pratico e tenace Alemanno fece avviso, che quello che
combattendo di fronte non avrebbe potuto conseguire, il potrebbe per
modo di diversione. Deliberossi adunque con animoso e ben ponderato
consiglio di voltarsi di nuovo all'Italia, sperando che per la sua
presenza inopinata in questa provincia, aggiuntovi qualche rinforzo che
testè gli era giunto dal Norico, avrebbe potuto farvi qualche
variazione, od almeno ritirarsi al sicuro nido di Mantova. Qualunque
avesse ad essere o prospero od avverso l'esito di questa fazione, bene
era certo l'effetto di tirare nuovamente Buonaparte in Italia, e di
stornare per questo mezzo quella terribile tempesta dalla nativa
Germania. Nasce la Brenta poco lontano da Trento, e correndo nel fondo
di una valle profonda tra monti aspri e discoscesi, arriva a Bassano,
luogo dove incominciano ad aprirsi le dilettevoli pianure del Padovano e
del Vicentino. Questa è la strada che conduce da Venezia a Trento per la
più diritta, senza passar per Verona. Adunque il maresciallo, già fin
quando si combatteva a Roveredo ed a Calliano, s'incamminava, scendendo
a gran passi, per la valle Brentana, intento suo essendo di congiungersi
in Bassano con gli ajuti, che venuti dal Norico sotto la condotta dei
generali Mitruski e Hohenzollern si erano ridotti ad aspettarlo in
quella città. Si era persuaso che il suo avversario, udita la strada
presa da lui, non solamente deporrebbe il pensiero di assaltar la
Germania, ma ancora scenderebbe a gran passi a seconda dell'Adige per
andar a far argine a quel nuovo impeto nelle vicinanze di Verona. Della
prima opinione non s'ingannava Wurmser, perchè effettivamente
Buonaparte, abbandonata l'impresa di Germania, si rivoltava verso
l'Italia; ma bene non prese la via dell'Adige, anzi, sprolungata la
destra de' suoi per la valle medesima della Brenta, seguitava
frettolosamente, divallandosi ancor esso, le genti Alemanne. Erano
guidatori principali di questi presti soldati, secondo il solito, quei
due folgori di guerra Massena e Augereau. Questa deliberazione fece
Buonaparte per interrompere a Wurmser ogni comunicazione coi corpi che
lasciava ai luoghi più alti del Tirolo, e perchè non altra speranza di
salute restasse al capitano dell'imperatore, se non quella o di
ritirarsi più che di passo alle montagne donde sorge la Piave, o di far
opera di condursi a Mantova. Marciarono tanto speditamente i
repubblicani, che giunsero gl'imperiali a Primolano, e gli vinsero con
presa di molti soldati, non però di quattromila, come fu scritto, che è
un'amplificazione di parole molto evidente. Si combattè poscia a
Cismone, si combattè a Selagno, e sempre felicemente pei Francesi. Già
quel nembo era vicino a scoccare contro Bassano, dov'era il corpo
principale di Wurmser. L'assaltarono correndo Augereau a sinistra.
Massena a destra, e tosto il ruppero, avendo fatto, in ciò dissimile da
se medesimo, invalida difesa, con grande ammirazione e sconforto di
Wurmser, che si era confidato nella fortezza di quel passo posto alla
sboccatura della valle della Brenta. Ora nissun altro partito restava al
maresciallo d'Austria, poichè sì presti l'avevano sopraggiunto i
Francesi, se non quello di ritirarsi per far pruova di guadagnare le
sicure muraglie di Mantova. Adunque, velocemente marciando, e
velocemente ancora seguitato dai repubblicani, passava l'Adige a
Porto-Legnago, batteva Massena a Cerea, Buonaparte a Sanguineto, ed
entrava coi soldati tutti sanguinosi, ma con aver fatta sanguinosa la
vittoria anche al nemico, dentro i ripari della forte Mantova.
Questo fu il fine dell'impresa di Wurmser in Italia, e del poderoso
esercito che vi condusse. Ne fu afflitta la Germania, ne fu lieta la
Francia, ne pendè di nuovo incerta l'Italia del destino che
l'aspettasse; perchè nè Mantova era piazza che si potesse facilmente
espugnare, nè l'imperator d'Alemagna era tale, che non fosse per fare un
nuovo sforzo per riconquistar le rive tanto infelicemente feconde
dell'Adda, del Ticino e del Po.
Siede Mantova, città antica e nobile, in mezzo ad un lago che il fiume
Mincio, calandosi da Goito in una gran fondura, forma, ed in tre parti
si divide, separate una dall'altra da due ponti, dei quali il superiore,
da presso a porta Molina dipartendosi, dove sono i molini dei dodici
apostoli, dà l'adito dalla città alla cittadella posta a tramontana;
l'inferiore apre il varco dalla porta di San Giorgio al sobborgo di
questo nome situato a levante. La prima parte del lago tra la bocca del
fiume, dove entra nel lago medesimo, ed il superior ponte frapposta,
chiamasi col nome di lago superiore; la seconda rinchiusa fra i due
ponti, con quello di lago di mezzo; e finalmente quella parte che dal
ponte inferiore partendo, insino all'emissario si distende, col nome di
lago inferiore si appella. Nè tutta la città è circondata da acque
libere e correnti; conciossiachè il Mincio, a stanca verso la cittadella
precipitandosi, lascia i terreni a dritta o del tutto scoperti, o di
poche acque velati, ma limacciosi tutti, ed ingombri di erbe e di canne
palustri. Questa è la palude, che si dilata, e circuisce le mura,
cominciando da porta Pradella, per cui si ha la via a Bozzolo ed a
Cremona, insino a porta Ceresa, per cui si va alla strada di Modena.
Così girando da porta Pradella per tramontana e levante fino a porta
Ceresa, è Mantova bagnata dalle acque dei tre laghi; e dando la volta
dalla medesima porta Pradella per Ponente ed Ostro fino a porta Ceresa,
è circondata da un profondo ed instabile marese, eccettuata una parte di
terreno più sodo situata a guisa di penisola da porta Postierla a porta
Ceresa. Quivi sorge il castello del T, così chiamato, perchè per
singolar guisa d'architettura ha forma di questa lettera dell'alfabeto.
Si ammirano in lui quelle belle pitture a fresco, che rappresentano la
battaglia di Giove e dei Titani, opera tanto celebrata di Giulio Romeno,
nativo di Mantova. Questa penisola si congiunge al corpo della città per
parecchi ponti: ma i principali aditi alla campagna si aprono pei due
suddetti ponti della cittadella, e di San Giorgio, e per mezzo degli
argini, che partendo dalle porte Pradella e Ceresa, ed attraversando la
palude, menano i viandanti all'aperto. Oltre le anzidette porte sonvene
alcune altre minori, o piuttosto uscite che porte, le quali danno sul
lago, e sono quelle della Catena, della Pomponassa, di San Niccolò,
degli Ebrei, d'Ozzolo, di San Giovanni e del Filatojo. Ma siccome la
palude a nissun modo varcabile è difesa più forte del lago, che con le
barche si può passare, così per assicurare la piazza là dove guarda il
lago, fu eretta a tramontana la cittadella, che chiude il passo a chi
venisse da Verona, ed il forte San Giorgio a levante contro chi volesse
andar contro alla terra, procedendo da Portolegnago e da Castellara. Non
ostante, parti pericolose erano le due estremità della palude, perchè là
sono gli argini che accennano alle due porte principali per la via di
terra, cioè Pradella e Ceresa. Per questa cagione furono affortificate
con bastioni, e con altre opere di difesa. Nè fu lasciata senza
munizioni la porta Postierla, la quale, avvegnachè si apra quasi nel
mezzo di una cortina, ha per difesa a destra il forte bastione di
Sant'Alessi, a sinistra un'alta di muro chiamata la torre di Sant'Anna.
Per dare poi maggiore forza a questa parte, principalmente a porta
Ceresa, e per impedire soprattutto che il nemico non possa fare un
alloggiamento nella penisola del T, furono ordinate alcune trincee con
terrati e terrapieni sull'orlo di lei, e nel luogo che chiamano il
Migliaretto. Così, oltre le acque e la palude, le principali difese di
Mantova consistono nella cittadella, nel forte San Giorgio, nei bastioni
di porta Pradella e di porta Ceresa, ed in altri propugnacoli, che da
luogo a luogo sorgono tutt'all'intorno nel recinto delle mura, e
finalmente nelle trincee del T e del Migliaretto.
Tutte queste difese fanno la fortezza di Mantova, ma più ancora l'aria
pestilente, che massimamente ai tempi caldi rende quei luoghi insani per
le febbri e per le molte morti, e fa le stanze pericolosissime,
principalmente ai forestieri, non assuefatti alla natura di quel cielo.
Non è però che nel complesso delle raccontate fortificazioni non vi sia
una parte di debolezza, perchè nè la cittadella nè il forte San Giorgio
sono tali, che possano resistere lungo tempo ad un nemico, che
validamente e con le debite arti gli oppugnasse; e chi fosse padrone di
questi due forti, potrebbe con evidente vantaggio battere il corpo della
piazza, più debole assai da questo lato che da quello della palude. Male
altresì la cittadella si chiama con questo nome, poichè non è tale nè
per la grandezza nè per la fortezza, che il presidio di Mantova vi si
possa ricoverare, nel caso in cui non fosse più abile a tenere la città.
La parte poi di porta Pradella, che è pure il lato più forte, e con più
diligenza munito, una sola difesa esteriore l'assicura; e quest'è
un'opera a corno dominata dall'eminenza di Belfiore. Le sole difese del
corpo della piazza in questa parte sono il bastione di Sant'Alessi,
stimato da tutti fortissimo, e pure troppo più piccolo, che non
bisognerebbe per poter essere guernito del numero di difensori e di
artiglierìe necessario, e la mezza luna di Pradella. L'uno e l'altra poi
non sono coperti, e le loro scarpe s'innalzano tutte sopra l'orizzonte.
Oltre a ciò sono congiunti fra di loro per una cortina lunghissima, e
perciò male atta ad essere difesa dai fianchi di quei due bastioni. Vero
è che per rimediare a questa debolezza, sono state sospinte oltre il
pelo della cortina, a guisa di due frecce, i due ridotti di terra Nuovo
e del Chiostro; ma questi due ridotti sono e di sito troppo più
ristretto e troppo, meno che si converrebbe, sporgenti, e male anco
volti rispetto alla cortina da potere e pel numero dei difensori, e per
quello delle artiglierìe, e per la direzione dei tiri acconciamente
servirle di difesa.
Nè maggior fortezza appare nelle mura di Mantova a mano manca di porta
Ceresa, andando verso il lago inferiore, perchè quivi, eccettuato un
debole torrione a guisa d'orecchione congiunto alla cortina, e tre
piccole e basse punte di bastioni, niuna difesa si ritrova. Sapevanselo
i Francesi, che prima dell'arrivo di Wurmser, avevano assaltato questa
parte, e già tanto si erano condotti avanti, che, aperta la breccia,
stavano in punto di entrarvi. A tutto questo pensando Buonaparte, era
venuto in questa opinione, che in venti giorni di trincea aperta si
potesse prender Mantova, ed a questa piazza anteponeva, per la fortezza,
quella di Pizzighettone. Aveva anche fatto disegno d'impadronirsene per
un assalto notturno ed inopinato con attraversare il lago sopra barche,
che a tal uopo aveva fatto apprestare. Avvertiva però, che la riuscita
di queste fazioni notturne dipende da un gridare o di cani o di oche.
Seguita da tutto ciò, che l'oppugnazione da questa parte non è tanto
malagevole, quanto porta la fama.
A questo si aggiunge, che quello che a prima vista pare constituire il
principale fondamento della difesa, ne fa appunto la debilitazione, e
questa cagione sono gli stretti argini per cui il nemico debbe
necessariamente passare per arrivare alla città; imperciocchè siccome i
più efficaci mezzi per ritardar le oppugnazioni e per prolungar la
difesa delle piazze sono le sortite forti degli assediati, che rovinano
le opere degli assedianti, così questi argini, rendendo le sortite più
difficili, nuocono alla difesa; perchè dovendo gli assediati uscire, e
passare per un luogo certo, stretto e lungo, facile cosa è agli
assedianti di scoprirgli, e di combattergli quando escono, ed innanzi
che sopraggiungano loro addosso. La quale facilità è anche più grande a
Mantova che in altre piazze, a cagione che per le acque del lago possono
agevolmente pervenire al campo degli assediatori i rapportatori e le
novelle. Questa natura dei luoghi è cagione, che con poche genti si può
fare, se non la oppugnazione, almeno l'assedio di Mantova, perchè il
nemico, senza che sia in necessità di circuire tutta la piazza,
ponendosi solamente, e facendosi forte alle punte dei ponti e degli
argini, verrà facilmente a capo di ridurre il presidio alla necessità di
capitolare per mancanza di vitto. Quindi è vero quello ch'era solito
dire Buonaparte, il quale se n'intendeva, che con settemila soldati se
ne possono bloccar dentro Mantova ventimila. Per la qual cosa si vede,
che se nuoce agli assaltatori l'aria infetta di miasmi pestiferi, nuoce
ai difensori la fame facilmente indotta. Tutti questi accidenti e di
sito e di natura e di arte, operarono a vicenda ed efficacemente o negli
assedj, o nelle oppugnazioni di Mantova, come si renderà manifesto dal
progresso di queste storie.
Era giunto, come abbiam narrato, il maresciallo Wurmser in Mantova con
un grosso corpo di genti avanzate alle stragi di Castiglione e di
Bassano. Questo sussidio, mentre dava maggior forza alla guernigione già
stanca da molte battaglie, e da troppo frequenti vigilie, induceva
nondimeno una più grande necessità di vettovaglia. Difettava
particolarmente di erba e di strame per pascere i cavalli, che erano,
rispetto ai fanti, in numero assai considerabile. Adunque il capitano
Austriaco, vedendosi potente per la moltitudine dei soldati, massime di
cavallerìa, sortiva spesso, per allungare i pericoli, con grosse
cavalcate a foraggiare alla campagna. Il che tanto più facilmente poteva
fare, quanto più, essendo tuttavìa padrone della cittadella e di San
Giorgio, aveva le uscite spedite, senza essere obbligato di restringere
le genti in lunghe file per passare i ponti o gli argini. Queste cose
infinitamente cuocevano a Buonaparte, il quale sapendo, che l'Austria,
malgrado delle rotte avute, non avrebbe omesso di mandare nuovi soldati
in Italia, desiderava di venirne presto alle strette per aver Mantova in
mano sua, innanzichè gli ajuti arrivassero. A questo fine, essendo
giunto alla metà del suo corso il mese di settembre, comandava a' suoi,
andassero all'assalto di San Giorgio, perchè quello era il principale
sbocco degli Austriaci alla campagna. Nel tempo medesimo il generale
Sahuguet dava l'assalto alla Favorita, sito fortificato dagli Austriaci,
e posto a tramontana tra San Giorgio e la cittadella. Attraversò questi
disegni il vivido e sagace Wurmser; perchè cacciatosi di mezzo con la
cavallerìa, e represso l'impeto dei repubblicani, gli sbaragliava, e se
non era la trigesimaseconda, valorosissima fra le brigate Francesi, che
sostenne l'urto del nemico, sarebbe seguìto qualche grave danno a
Buonaparte. Rimasero i Tedeschi in possessione della Favorita e di San
Giorgio; Sahuguet fu costretto a tirarsi indietro malconcio, e con le
genti sceme pei morti e pei feriti. Ma l'audace Buonaparte non era uomo
da interrompere i suoi pensieri per un piccolo tratto di fortuna
contraria. E però avvisandosi che il suo avversario, fatto confidente
dalla prosperità della fazione, cercherebbe ad allargarsi
viemaggiormente nella campagna, volendo nutrire in lui questa baldanza
nuova, ritirava i suoi più lontano dalla piazza. Era il suo fine di
tirar Wurmser tanto discosto dal suo sicuro nido, che a lui nascesse la
occasione d'impadronirsi improvvisamente di San Giorgio, per vietare
all'avversario ogni comodità del paese. Eransi gli Austriaci ingrossati,
coll'intenzione di conservarsi libera la campagna, a San Giorgio ed alla
Favorita: avevano anzi spinto molto avanti le loro guardie fuori di
questi alloggiamenti. Per meglio mandar ad effetto il suo pensiero,
aveva Buonaparte comandato ad Augereau, che stanziava a Governolo,
salisse per la riva del fiume, ed improvvisamente urtasse il fianco
destro dell'inimico. Sahuguet occupava i passi tra la Favorita e San
Giorgio; ma non avendo forze bastanti per resistere al nemico
potentissimo di cavalli, ordinava a Buonaparte, che a questa schiera si
accostasse quella di Pigeon, che veniva da Villanova, perchè dal tagliar
la strada fra San Giorgio e la Favorita dipendeva in gran parte l'esito
della fazione. Ma perchè Wurmser, avendo che fare sulla sua fronte, non
potesse correre contro le ali dei repubblicani che si avanzavano,
imponeva a quel pronto e valoroso Massena, urtasse francamente nel mezzo
il sobborgo di San Giorgio. Fu l'industria e la virtù del generale di
Francia ajutata dal benefizio della fortuna; perchè Wurmser essendosi di
soverchio allargato nella campagna, non fu difficile a Pigeon di
congiungersi con Sahuguet ad interrompere le strade fra i due nominati
luoghi, ed Augereau arrivava tempestando a rompere l'ala dritta
degl'imperiali. Il maggior danno fu quello recato da Massena; poichè fu
tanto forte l'impeto suo, che prostrando ogni difesa, entrava per viva
forza in San Giorgio, e se ne faceva padrone. Nè in alcun modo
soprastando, per non corrompere con la tardanza il corso della fortuna
favorevole, metteva anche in suo potere il capo del ponte, che dal
sobborgo porta alla città. A questo modo gli Austriaci rotti e dispersi,
parte furono presi o morti in numero di circa tremila, e parte si
ritirarono fuggendo alla cittadella: perdettero venti bocche da fuoco.
Questa fazione, avendo posto in poter dei Francesi i luoghi più
opportuni all'ossidione, e fiaccando l'ardire degli Austriaci, restrinse
molto la piazza; e sebbene di quando in quando il generale dell'imperio,
condotto dal proprio coraggio, e tirato anche dalla necessità, per
fuggire le molestie della fame, facesse, per andar a saccomanno, sue
sortite, non si affidava però più di correre così liberamente la
campagna, il che rendè in breve tempo le sue condizioni peggiori;
perciocchè cominciava a patire maravigliosamente di vettovaglie. Già
sorgevano segni di mala contentezza, che obbligavano Wurmser a star
vigilante così dentro, come fuori. Munivano i Francesi con fossi e con
trincee il conquistato San Giorgio, e dimostravano grandissima
confidenza d'entrar presto in Mantova.
Era Buonaparte d'ingegno vastissimo, e di attività tale, che occupato in
imprese di grandissimo momento, non ometteva di condurne al tempo
medesimo altre di minore importanza. Perlochè, mentre dall'una parte
pensava a tener lontani dall'Italia gli Alemanni, ed a conquistar
Mantova, dall'altra non trascurava le cose del Mediterraneo, e
principalmente quelle della Corsica. Eransi in quest'isola
maravigliosamente sollevati gli animi a cagione delle vittorie dei
Francesi in Italia; il quale moto tanto si mostrava più grande, quanto
più alla contentezza dei prosperi successi delle armi si aggiungeva
quella, che principalissimo operatore fosse quel Buonaparte, che
quantunque mandato in tenera età a crearsi in Francia, era peraltro nato
e cresciuto fra di loro. Per la qual cosa si vedeva, che se le vittorie
di Francia in paesi tanto vicini alla Corsica davano in lei nuovo animo
alla parte Francese, l'essere acquistate da Buonaparte le dava un capo e
un guidatore valoroso. Questi umori erano anche ingrossati dalle
insolenze degl'Inglesi, e dalle taglie che avevano poste. Quest'erano le
cagioni, per cui la parte Francese in Corsica andava ogni dì acquistando
nuove forze e nuovo ardire, mentre la Inglese perdeva continuamente di
forza e di riputazione; già il dominio d'Inghilterra vi titubava.
Accadevano non di rado nelle più interne regioni dell'isola ingiurie e
violenze contro il nome e gli uomini Inglesi, e contro coloro che a loro
aderivano. Era l'autorità del vicerè ridotta alle terre forti e murate,
poste nei luoghi dove poteva avere accesso il forte navilio
d'Inghilterra. Queste cose si sapevano da Buouaparte; e siccome quegli
che era sempre pronto ad usare le occasioni, aveva posto piede in
Livorno, non solamente col fine di serrare questo porto agl'Inglesi, ma
ancora per movere la Corsica a danno loro. Laonde indotto in isperanza
di poter tosto farvi rivoltar lo stato a favore della Francia, aveva
mandato a Livorno, aspettando tempo d'insorgere più vivamente, un
colonnello Bonelli Corso, con alcuni altri soldati del medesimo paese, e
provvedutolo di denari, d'armi e di munizioni, gli comandava andasse in
Corsica, e con la presenza e con le esortazioni desse speranza di
maggiori sussidj. Era il passaggio di mare assai pericoloso, per le navi
Inglesi che continuamente il correvano; ma Buonaparte, confidando
nell'opera di Sapey, un Delfinate molto sagace ed attivo, che aveva il
carico di quel passo, gliene commetteva l'impresa. A questi primi
principj crescendo vieppiù le speranze del felice fine, mandava a
Livorno, perchè fossero pronti a salpare, i generali Gentili, Casalta e
Cervoni, nativi dell'isola, e che potevano pel credito e dipendenza loro
ajutare l'impresa. Preponeva ad essa, come capo, Gentili, uomo d'intera
fama, e savio per natura e per età. I Corsi fuorusciti per intenzione di
Buonaparte concorrevano a Livorno, e si ordinavano in compagnìe. Una
compagnìa di ducento più attivi e più animosi degli altri, doveva essere
il principal nervo dei conquistatori di Corsica. S'aggiungevano alcuni
pezzi d'artiglierìe di montagna, e cannonieri pratichi per governarle.
Erano vicine a mutarsi in pro della Francia le sorti della patria di
Buonaparte.
Avevano molto per tempo gl'Inglesi avuto avviso di tutti questi
preparamenti, e stavano vigilanti nell'impedire il passo del mare. Nè
parendo loro che ciò bastasse alla sicurezza dell'isola dopo il perduto
Livorno, applicarono l'animo al farsi signori di Porto-Ferrajo, terra
forte, e principale dell'isola d'Elba. Pervenuto sentore di questo
tentativo a Miot, ministro di Francia a Firenze, richiedeva con viva
instanza dal gran duca, desse lo scambio al governatore di
Porto-Ferrajo, sospetto, secondo l'opinione sua, di essere aderente
agl'Inglesi. Il ricercava altresì, mettesse in quel forte un presidio
sufficiente ad assicurarlo. Voleva finalmente che si aggiungessero
duecento soldati Francesi. Soddisfece alla prima domanda il principe,
scambiando il governatore, ma fondandosi sulla neutralità, legge
fondamentale della Toscana, accettata dalla repubblica di Francia, e
confermata da tutte le potenze amiche e nemiche, non consentì a mandar
nuove genti, e molto meno soldati Francesi a Porto-Ferrajo. Si scusò
eziandìo allegando, che gl'Inglesi proibivano l'uso del mare, e che
- Parts
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