Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 05

Total number of words is 4475
Total number of unique words is 1667
38.3 of words are in the 2000 most common words
55.4 of words are in the 5000 most common words
63.0 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
i quali erano indefessi nell'andar di corte in corte, di ministro in
ministro per raccomandar la causa del re, la causa stessa, come
affermavano, dell'umanità e della religione. A queste instigazioni
l'imperatore Francesco, che giovane d'età aveva già assaggiato la guerra
all'assedio di Belgrado, deposti del tutto i pensieri pacifici di
Leopoldo, e non dando ascolto ai ministri, nei quali suo padre aveva
avuto più fede, accostossi ai consigli di coloro, che dipendendo dalla
Russia, lo esortavano ad assumere l'impresa, ed a cominciar la guerra.
Dal canto suo Federigo Guglielmo, principe di poca mente, ma d'indole
generosa, impietositosi alle disgrazie della casa reale di Francia, e
ricordandosi della gloria acquistata da Federigo secondo, si lasciò
svolgere, e postosi in arbitrio della fortuna corse anch'egli all'armi
contro la Francia.
Noi non descriveremo nè la lega, che seguì tra la Russia, l'Austria, e
la Prussia, nè il congresso di Magonza, nè la guerra felicemente
cominciata, e più felicemente terminata nelle pianure della Sciampagna.
Quest'incidenza troppo ci allontanerebbe dalle cose d'Italia.
Incredibile era l'aspettazione degli uomini in questa provincia, e
ciascuno formava in se varj pensieri secondo la varietà dei desiderj e
delle opinioni. Il re di Sardegna, spinto sempre dalla brama di far
chiaro il suo nome per le imprese d'armi, stimolato continuamente dai
fuorusciti francesi, che in grandissimo numero s'erano ricoverati ne'
suoi stati, e lasciandosi tirare alle loro speranze, certo molto più che
a uomo prudente si appartenesse, aveva meglio bisogno di freno che di
sprone. Intanto non cessava di avviar soldati, armi e munizioni verso la
Savoja, e nella contea di Nizza, parti del suo reame solite a sentir le
prime percosse dell'armi francesi, e donde, se la guerra dal canto suo
fosse amministrata con prospero successo, poteva penetrar facilmente
nelle viscere delle province più popolose, e più opime della Francia. Nè
contento alle dimostrazioni, ardeva di desiderio di venirne prestamente
alle mani, persuadendosi che le soldatesche francesi, come nuove ed
indisciplinate, non avrebbero osato, non che altro, mostrar il viso a'
suoi prediletti soldati. Ma o che l'Austria e la Prussia abbiano creduto
di terminar da se la bisogna, marciando sollecitamente contro Parigi, o
che credessero pericoloso pel re di Sardegna lo scoprirsi troppo presto,
lo avevano persuaso a temporeggiare fino a tanto che si fosse veduto a
che termine inclinasse la guerra sulle sponde della Matrona, e della
Senna. Così mutate le cose per la morte di Leopoldo, e pei nuovi
consigli di Francesco, il re di Sardegna, prima talmente rispettivo, che
altro non pretendeva che una lega fra i principi Italici a difesa
comune, ora datosi in preda allo spirito guerriero, gli pareva
mill'anni, che non cominciasse a mescolar le mani con la Francia.
La subitezza di Vittorio Amedeo, e la lega dei re contro la Francia,
diedero non poco a pensare al senato Veneziano, e lo confermarono
vieppiù nella risoluzione presa di non pendere da nissun lato,
quantunque la corte di Napoli gli facesse frequenti e vivissime
instanze, affinchè aderisse alla lega Italica. Ma prevedendo le ostilità
vicine anche dalla parte d'Italia, il che gli dava sospetto che navi
armate di potenze belligeranti potessero entrar nel golfo, e turbar i
mari, e forse ancora che altri potentati d'Italia non forti sull'armi
navali, gli domandassero ajuti per preservar i lidi dagl'insulti nemici,
ordinò che le sue armate, che ritornate dalla spedizione contro Tunisi
stanziavano nelle acque di Malta e nell'isole del mare Ionio, se ne
venissero nell'Adriatico. Veramente essendo stato richiesto poco dopo
dai ministri Cesareo, e di Toscana, che mandasse navi per proteggere
Livorno ed il littorale pontificio, rispose, aver deliberato di osservar
la neutralità molto scrupolosamente; la qual deliberazione convenirsegli
e per massima di stato, e per interesse dei popoli.
Il re di Napoli stimolato continuamente dalla regina, e dal debito del
sangue verso i reali di Francia, andava affortificandosi con l'armi
navali e terrestri; ma non si confidava di scoprirsi apertamente, perchè
sapeva che una forte armata francese era pronta a salpare dal porto di
Tolone; nè era bastante da se a difendersi dagli assalti di lei, nè
appariva alcun vicino soccorso d'Inghilterra, non essendosi ancora il re
Giorgio chiarito del tutto, se dovesse continuar nella neutralità. o
congiunger le sue armi con quelle del confederati. Perciò se ne giva
temporeggiando con gli accidenti. Solo si apparecchiava a poter
prorompere con frutto in aperta guerra, quando fosse venuto il tempo, e
teneva più che poteva le sue pratiche segrete.
Il gran duca di Toscana, principe savio, stava in non poca apprensione
pei traffichi di Livorno; però schivava con molta gelosia di dar
occasione di tirare a se la tempesta, che già desolava i paesi lontani,
e minacciava i vicini.
Il papa non poteva tollerare pazientemente le novità di Francia in
materia religiosa. Ma l'assemblea constituente astutamente procedendo ed
andando a versi alla natura di lui alta e generosa, protestava volersene
star sempre unita col sommo pontefice, come capo della chiesa cattolica,
in quanto spetta alle materie spirituali. Chiamavanlo padre comune, lo
salutavano vicario visibile di Dio in terra. Queste lusinghe venute da
un'assemblea di cui parlava, e per cui temeva tutto il mondo, avevano
molta efficacia sulla mente del pontefice, e già si lasciava mitigare.
Ma succedute all'assemblea constituente, la quale benchè proceduta più
oltre che non si conveniva, aveva non di meno mostrato qualche
temperanza, l'assemblea legislativa, ed il consesso nazionale, queste
disordinatamente usando la potestà loro, diedero senza freno in ogni
sorte di enormità. Pio VI risentitosi di nuovo gravissimamente fulminò
interdetti contro gli autori delle innovazioni, e condannò sdegnosamente
le dottrine dei novatori circa le materie religiose. Allora fu
opportunamente tentato dall'imperatore d'Allemagna, e dai principi
d'Italia, che seguitavano le sue parti. Nè fu vana l'opera loro; perchè
il pontefice parendogli, che alla verità impugnata della religione, alla
necessità contraddetta delle discipline, ed alla dignità offesa della
sedia apostolica fosse congiunta la sicurezza dei principi, e la
protezione degli afflitti, ministerio vero e prediletto del successore
di Cristo, prestò orecchie alle nuove insinuazioni, ed entrò volentieri
nella lega offensiva contro la Francia.
Ma siccome questa era una guerra, non solamente di armi, ma ancora
d'opinioni, così si pensò a Roma ad un rimedio singolare per fermar in
suo favore quelle, che si erano tanto dilatate, e che minacciavano sì
grave ruina ai principi; conciossiachè temendosi di qualche sbocco di
Francesi in Italia, fu creduto utile il preoccupare il passo, con fare
che la religione santificasse certi principj politici, acciocchè non
facessero più forza contro di lei; e al tempo stesso, il che era più
importante, si pruovasse, che ella era il mezzo più efficace, anzi il
solo che fosse abile a prevenir gli abusi, che sogliono spingere i
popoli a trascorrere contro i principi. Così, ammessa e conciliata la
radice politica con la religione, si toglieva, speravano, agli avversari
quell'arma tanto potente delle opinioni, che allora più che nei tempi
passati erano prevalse, e si confermava vieppiù l'imperio della
religione. Adunque, ed a questo fine si diede opera, che uno Spedalieri,
uomo molto dotto e di non mediocre ingegno, stampasse nel 1791 in Assisi
un libro intitolato, _I diritti dell'uomo_. Questo libro fu dedicato al
cardinale Fabbrizio Ruffo, allora tesoriere generale della camera
apostolica, e Pio sesto ne nominò l'autore beneficiato di s. Pietro.
Afferma in questa sua opera lo Spedalieri, che la società umana, ossia
il patto che unisce gli uomini nello stato civile, è formato
direttamente, e immediatamente dagli uomini stessi, che è tutto loro,
che Dio non vi ha parte con volontà particolare diretta ed immediata, ma
soltanto come primo ente e primo movente, cioè a dire che il patto
sociale viene da Dio come vengono da lui tutti gli effetti naturali
delle cause seconde. Afferma ancora, che il governo dispotico non è
governo legittimo, ma abuso di governo, e che la nazione, che ha formato
il patto sociale, è in diritto di dichiarare decaduto il sovrano, se
questi, invece di eseguire le condizioni sotto le quali gli è stata
affidata la sovranità, le viola tirannicamente. Quindi l'autore spiega i
caratteri, per cui si viene a conoscere la tirannide, e che adducono il
caso della decadenza. Queste sue proposizioni corrobora con l'autorità
di San Tommaso, il quale nel suo opuscolo latino intitolato: _De
regimine principum ad regem Cypri_, ne dimostra la verità. Finalmente lo
Spedalieri pruova che la religione cristiana è la più sicura custode del
patto sociale, e dei diritti dell'uomo in società, e che anzi ella è
l'unica capace di produrre un tanto effetto. Rimedio non senza prudenza
era questo, ma non fu usato universalmente; imperciocchè dalla
dimostrazione in fuori, che se ne fece in Roma, nissun altro segno sorse
in Italia, che i principi il volessero accettare: appresso a loro un
principio politico contrario prevalse, la religione restò sola, e le
cose rovinarono.
La repubblica di Genova fu poco tentata dagli alleati o per disegni che
si facevano sopra di lei, o perchè la credevano troppo dipendente, o
troppo vicina della Francia. Dimostrossi neutrale con un gran benefizio
dei sudditi, che tutt'intenti al commercio di mare con la Francia
navigavano sicuramente nelle acque della riviera di ponente.
Così erano in Italia nel corso del millesettecentonovantadue timori
universali; armi potenti ed aperte con un'accesa voglia di combattere in
Piemonte; preparamenti occulti in Napoli; desiderio di neutralità in
Toscana; armi poche, ed animo guerriero in Roma; neutralità dichiarata
nelle due repubbliche. Quest'erano le disposizioni dei governi; ma varj
si dimostravano gli umori dei popoli. In Piemonte per la vicinanza le
nuove dottrine si erano introdotte, e quantunque non pochi per le
enormezze di Francia si fossero ritirati, alcuni ancora vi
perseveravano. In Milano le novità avevano posto radice, ma molto
rimessamente siccome in terreno molle e dilettoso. In Venezia per
l'indole molto ingentilita dei popoli gli atroci fatti avevano destato
uno sdegno grandissimo, e poco vi si temevano gli effetti dell'esempio,
massime con quel tribunale degl'inquisitori di stato, quantunque fosse
divenuto più terribile di nome che di fatto. Gli Schiavoni ancora
servivano di scudo, siccome gente aliena dalle nuovi opinioni, e
fedelissima alla repubblica. In Napoli covava gran fuoco sotto poca
cenere, perchè le opinioni nuove vi si erano molto distese, ed il cielo
vi fa gli uomini eccessivi. In Roma fra preti, che intendevano alle
faccende ecclesiastiche, ed un numero esorbitante di servitori, che a
tutt'altro pensavano, che a quello che gli altri temevano, si poteva
vivere a sicurtà. In Toscana, provincia dove sono i cervelli sottili, e
gli animi ingentiliti, poco si stimavano i nuovi aforismi, e la felicità
del vivere vi faceva odiar le mutazioni. In Genova poi erano molti e
fortemente risentiti gli umori; ma siccome vi si lasciavano sfogare,
poco erano da temersi, ed i rivolgimenti non fanno per chi vive sul
commercio.
La Francia intanto venuta in preda a uomini senza freno e senza
consiglio, vedendo la piena che le veniva addosso, volle accoppiare alle
armi le lusinghevoli promesse, e le disordinate opinioni. Però i suoi
agenti sì pubblici che segreti riempivano l'Italia della fedeltà del
governo loro, e delle beatitudini della libertà. Affermavano, non voler
la Francia ingerirsi nei governi altrui; voler esser fedele coi fedeli,
rispettar chi rispettava. Quest'erano parole; ma i fatti avevano altro
suono; imperciocchè e cercavano di stillare le nuove massime nell'animo
dei sudditi con rigiri segreti, mostravano loro il modo di unirsi, loro
promettevano ajuti di consiglio, di denaro, e di potenza, e tentando
ogni modo ed ogni via, si sforzavano di scemar la forza dei governi con
torre loro il fondamento della fedeltà dei sudditi.
Per meglio dichiarare il secolo, sarà mestiero raccontare ciò che
allegavano le due contrarie parti; parrà certamente ch'io dica cose
enormi, ma se ne fecero delle più enormi ancora. Dicevano adunque i
novatori smoderati apertamente, ed a tutti che lo volevano udire, che i
re son tutti tiranni, e bisognare uccidergli; i nobili satelliti dei
tiranni; i nobili appoggiare i tiranni con l'armi, i preti con le
opinioni; il popolo esser sovrano; da lui derivar ogni potere; il popolo
esser pupillo, nè poter mai perdere i suoi diritti nè per tempo nè per
usurpazione; il ribellarsi esser dovere, quando son lesi da chi governa
i diritti del popolo; abbominevole, assurda e ridicola cosa esser la
realtà; solo governo legittimo esser la repubblica; nè tutte le
repubbliche esser legittime, ma solo le democratiche; l'aristocrazìa
mera peggiore della realtà; l'oligarchìa un male orrendo; sola, e vera
fedeltà esser quella verso il popolo; la fedeltà verso i re e verso gli
aristocrati esser tradimento; perciò tradire i re, tradire gli
aristocrati essere non solo lecito, ma debito; quest'esser le massime
eterne dettate dalle natura e da Dio; il Vangelo esser democratico; e
qui aggiungevano cose, che quantunque siamo disposti a favellar alla
libera, non osiamo per riverenza alla santità replicare; nascere una era
novella per l'umana generazione, e compiersi le predizioni delle
scritture; sorgere coi diritti la giustizia, con la giustizia la pace,
con la pace la felicità; abbastanza, e pur troppo essersi fatto pruova
delle usurpazioni, ora doversi pruovare la libertà; abbastanza, e pur
troppo essersi pruovati i privilegi, ora doversi pruovare l'equalità; la
libertà elevar gli animi, l'equalità consolargli; essere finalmente
giunto il tempo, in cui il povero avrà soccorso senza scherno,
l'oppresso riparo senza prezzo, ed in cui la società più farà per chi
meno puote; poichè negli antichi governi il potere era tutto volto a
favor di chi può contro chi non può, vero ed unico fine di ogni buon
governo; avere il potere e la legge, esser troppo, aver nemmen la legge
esser troppo poco; aver tutti una legge uguale esser giusto; bastar
bene, ed esser anche di soverchio, che i ricchi ed i grandi abbiano il
potere che danno le ricchezze e le dipendenze, senza che abbiano quello
che danno i privilegj; così nelle nuove forme torsene a chi ha troppo, e
darsene a chi ne manca, santo e dolce compenso. Sorgessero adunque,
sclamavano, giacchè sorgevano i tiranni, sorgessero i popoli a far
quello che più piace a Dio, quello che stat'era da Dio eternamente
prescritto: sorgessero, abbattessero, conculcassero i tiranni,
fondassero i governi popolari, fondassero le repubbliche, e stabilissero
un fortunato e dolce vivere. A così alta impresa spirar l'aure
favorevoli; la tirannide essere stata spenta in Francia, parte tanto
principale d'Europa; una grande, valorosa e potente nazione esser tutta
sorta in piè per ajutare chiunque voglia gettar dal collo il grave
giogo; abbastanza essersi sofferto, abbastanza tollerato, ora splendere
più benigne stelle; pruovassero, che i più numerosi sono i più forti,
che gli oppressi non son vili; trasportassero il governo del mondo dal
vizio potente alla virtù infelice.
Dall'altro canto nè maggior moderazione d'animi si osservava, nè maggior
modestia di parole. Dove sono, dicevano, questi giacobini (che così gli
chiamavano da una setta furibonda nata in Parigi), che ora si fanno a
voler riformare il mondo? Bel principio al governo loro il metter la
mano nella roba e nella vita altrui, e portar le teste lacere in
processione! Imprigionar gli onesti, e scannar gl'imprigionati! parlar
di aristocrazìa! ma se l'aristocrazìa fa male, fallo a pochi, la
democrazìa a tutti; chi fa scudo ai re, unico, e salutar temperamento in
una nazione grande, se non l'aristocrazìa, massime quando i re son
diventati bersaglio a popoli indemoniati? che virtù! I ladri in onore,
le meretrici in trionfo! Se sono i popolari virtuosi per ignoranza, sono
i magnati per educazione, e la virtù rozza diventa ferocia, se non la
tempera la gentilezza. Se i magnati son freno alle voglie assolute del
principe, ed alle voglie disordinate della plebe, sono ancora esempio ad
infondere nei popoli costumi miti, e gentili; non essere nidi di tiranni
i castelli, bensì specchi di civiltà; ciò che fu, non esser quello che
è, e nemmanco i popoli essere stati angeli; doversi in questo, e quanto
al passato dare e chiedere perdonanza. E che valse ai nobili l'aver dato
alla patria i privilegi loro, non conquistati per forza ma conceduti per
ricompensa, se, spenti i privilegi, loro si tolsero le proprietà, poi la
libertà, poi la vita? E quando finiranno gli esilj, le persecuzioni, e
le carneficine? Della realtà che dirassi? se non se questa esser modo di
governo connaturale all'uomo, poichè là dove sono uniti uomini in
società, là sempre nasce come di necessità la realtà, se non di nome,
almen di fatto, ma le più volte e di nome e di fatto; non vedersi forse
dove i più governano, reggere un solo? e non valer forse meglio la
realtà vera, che la realtà velata? non esser quella sempre più temperata
o dalle leggi, o dalle consuetudini, o dalla necessità di comparire, se
non buono, almeno giusto? all'incontro esser questa più sospettosa,
perchè senza appoggio, più crudele perchè più sospettosa, più arbitraria
perchè senza freno. Nascere la realtà dal desiderio innato in tutti di
dominare; poichè questo inducendo l'anarchìa, morte della società, fa
che si trasporta il dominio da tutti prima in pochi, poi per la medesima
ragione da pochi in un solo; e beate le nazioni che trovano la realtà
bell'e fatta, senza dover passare per l'anarchìa per farsela! Il popolo
sovrano! Certo sì per ammazzar prima i migliori uomini, poi se stesso!
Error scelerato essere il voler ridurre un teorema speculativo in
pratica; che anche i matti furiosi son padroni di muoversi, e pure si
metton loro le catene addosso: con le astrattezze non governarsi gli
uomini, ma con i rimedj contro le passioni, e mal rimedio essere lo
sbrigliarle. Doversi perciò questi regoli plebei spegnere del tutto ad
eterno esempio di una gran malvagità punita; e siccome ne furono
scrollate le fondamenta stesse della società, così doversi questa
ritirare non solo là dond'era partita, ma più verso un governo forte e
stretto. A questo opportuni stromenti essere i nobili ed i religiosi, i
primi perchè dan la forza, i secondi perchè danno la persuasione, ed a
tutti questi preporre un re forte e risoluto. Nè ciò bastare; spenti gli
uomini infami, doversi anche spegnere le dottrine sfrenate; perchè, se
bisogna castigar la generazione presente, e' bisogna sanar le future;
una moderata ignoranza esser migliore d'un insolente sapere: insomma
punir i traditori, premiar i fedeli, riordinar in tutto e per sempre il
vivere sociale. Per questo muoversi l'Europa, per questo aguzzar l'armi;
nè tanto moto essere per palliar solamente un male immenso, ma per
estirparlo; rimanere ancora in Europa sufficienti residui di realtà e di
aristocrazìa per risarcir l'edifizio della società rovinata, se
prudentemente e gagliardamente si rimettessero insieme; questo voler
fare i re confederati, a questo mirare le speranze di tutti i buoni, a
questo offerirsi i nobili, a questo persuadere i religiosi; che se tanta
aspettazione, se così gran consenso, se una sant'ira mossa da crudeli
misfatti fossero indarno, dover cader l'Europa in una inudita barbarie.
Da tutto questo si vede, quanto siano intemperanti gli uomini, quando
sono mossi da passioni politiche; imperciocchè i primi erravano per aver
portato tropp'oltre le riforme, i secondi per averle fatte degenerare in
eccessi enormi pel contrasto da loro fatto anche alle più utili e
giuste; gli uni per aver posto mano nel sangue, gli altri per volerlavi
porre; quelli per aver deposto ed ucciso un re santo, questi per aver
chiamato i re stranieri a' danni della patria loro; e se la libertà,
quantunque di un valore inestimabile, male si compra con la crudeltà,
male ancora si riacquistano i dritti feudali, e le seggiole in corte,
con dar il proprio paese in preda ai forestieri. Certo quel che più
mancò all'età nostra, è l'amor della patria, poichè i primi la resero
serva con le mannaje, i secondi la volevano render serva coi cannoni
Tedeschi, rei gli uni e gli altri per non aver voluto accettare quella
libertà, che il re e gli uomini savj volevano dar loro, unica e sola
libertà, che ad un tanto stato, quanto la Francia è, potesse convenirsi;
nuovo, ma non unico argomento, che non può esser libertà, dove sono i
mali costumi, massime la cupidità sfrenata di comandare, e di comparire.
Le parole dei novatori avevano più forza sull'animo dei popoli, che
quelle dei loro avversarj, perchè i popoli sono sempre cupidi di novità;
poi coloro, che si coprono col velame del ben comune, hanno più
efficacia di quelli, che pretendono i privilegi. Laonde l'Europa era
piena di spaventi, e si temevano funesti incendi per ogni parte.
Intanto essendo accesa la guerra fra l'Austria e la Francia, l'una e
l'altra di queste potenze applicarono l'animo alle cose d'Italia; la
prima per conservar quello che vi possedeva, la seconda per acquistarvi
quello che non possedeva, od almeno per potervi sicuramente aver il
passo col fine di andar a ferire sul fianco il suo nemico.
Dall'altro lato il governo di Francia aveva spedito agenti segreti e
palesi per domandare, parte con minacce, parte con preghiere, ai governi
d'Italia, o lega o passo o neutralità. Fra gli altri Semonville fu
destinato ad andare a specular le cose in Piemonte, ed a tentar l'animo
del re, affinchè negli accidenti gravi che si preparavano, si
dimostrasse favorevole alla Francia. Aveva carico di proporre a Vittorio
Amedeo di collegarsi con la Francia, e di dar il passo agli eserciti
Francesi, perchè andassero ad assaltare la Lombardia Austriaca; con ciò
la Francia gli guarentirebbe i suoi stati, raffrenerebbe gli spiriti
turbolenti in Piemonte ed in Savoja, cederebbe in potestà di lui quanto
si sarebbe conquistato con l'armi comuni in Italia contro l'imperatore.
Il re si era risoluto a non udire le proposte, sì perchè temeva, nè
senza ragione, d'insidie, sì perchè procedeva in queste faccende con
troppa passione, e sì perchè la sua congiunzione con l'Austria già era
tropp'oltre trascorsa. Infatti già calavano Tedeschi dal Tirolo, e
s'incamminavano a gran passo verso il Piemonte. Perlochè, giunto essendo
Semonville in Alessandria, fu spedito ordine al conte Solaro
governatore, che nol lasciasse procedere più oltre, anzi gl'intimasse di
tornarsene fuori degli stati del re, usando però col ministro Francese
tutti quei termini di complimento, che meglio sapesse immaginare.
Solaro, uomo assai cortese, ed atto a tutte le cose onorate, eseguì
prudentemente gli ordini avuti. Tornossene Semonville a Genova.
Il fatto fu gravissimamente sentito in Parigi. Il giorno quindici
settembre del millesettecentonovantadue, Dumourier, ministro degli
affari esteri, favellando molto risentitamente al consesso nazionale del
governo di Piemonte, e lamentandosi con apposito discorso dell'affronto
fatto alla Francia nella persona del suo ambasciadore in Alessandria,
conchiuse doversi dichiarar la guerra al re di Sardegna. Quivi levossi
un romore grandissimo; chè le parole di despoto, di tiranno, di nemico
del genere umano andarono al colmo. Insomma fu chiarita solennemente la
guerra tra la Francia e la Sardegna.
Di già il giorno dieci dello stesso mese il consiglio esecutivo
provvisorio aveva spedito ordine al generale Montesquiou, capo
dell'esercito che raccolto nell'alto Delfinato minacciava la Savoia, di
assaltar questa provincia, e cacciate l'armi Piemontesi oltremonti, di
usare tutte quelle maggiori occasioni che gli si offrirebbero. Questo fu
il primo principio di tutti quei mali che patì Italia per tanti anni, e
che empierono tutto il corpo suo di ferite, che non si potranno così
facilmente sanare.
Il re di Sardegna, come prima fu incominciata la guerra tra la Francia e
le potenze confederate di Germania, aveva con grandi speranze fatto
notabili apparecchi in Savoia, e nella contea di Nizza. Ma le vittorie
dei Francesi nella Sciampagna cambiarono le condizioni della guerra, ed
il re, invece di conquistare i paesi d'altri, dovette pensare a
difendere i proprj. Erano le sue condizioni assai peggiori di quelle dei
Francesi; poichè nei due paesi contigui, in cui si doveva far la guerra,
la Savoia parteggiava pei Francesi, il Delfinato non solo non
parteggiava pei Piemontesi, ma loro era anche nimicissimo; che anzi
questa provincia si era mostrata molto propensa alle mutazioni che si
erano fatte e si facevano: sicchè i Francesi avevano favore andando
avanti, sicurezza andando indietro; il contrario accadeva ai Piemontesi.
Non ostante tutto questo, i capi, che governavano le cose del re in
Savoia, se ne vivevano con molta sicurezza. Soli coi fuorusciti
francesi, che loro stavano continuamente intorno, non vedevano ciò, che
era chiaro a tutto il mondo: improvvidi, che non conobbero, che male con
le ire e con la imprudenza si reggono i casi umani.
Il cavaliere di Colegno, comandante di Ciamberì, oltre la sua credulità
verso i fuorusciti, e verso un generale di Francia, che, per ispiare, il
veniva a trovare in abito e sotto nome di prete Irlandese, con duro
governo asperava i popoli, soffiò imprudente sur un fuoco che già si
accendeva. Assai miglior animo aveva il conte Perrone, governator
generale della Savoia, ma in mezzo a tanti sfrenati non aveva
quell'autorità e quel credito, che in sì pericoloso accidente si
richiedevano; ed anch'egli dava fede alle novelle del prete Irlandese.
Il cavaliere di Lazari governava l'esercito; capitano certamente poco
atto a sostenere le guerre vive dei Francesi.
Adunque tali essendo le condizioni della Savoia nel mese di settembre,
si aperse la via alle future calamità. I capi dell'esercito, vivendo
sempre nella solita sicurtà, nè potendo credere sì vicino un assalto, in
vece di allogar le truppe in pochi luoghi, ma forti, ed ai passi, le
avevano sparse quà e là senza alcun utile disegno, talmente che ed erano
inabili al resistere al nemico ovunque si appresentasse, ed incapaci a
rannodarsi subitamente dove egli assaltasse. Tanta era questa loro
semplicità, che anche quando i Francesi, prima divisi in diversi campi,
si erano raccolti tutti vicino al forte Barraux, il che denotava
l'intenzione di un assalto vicino, non fecero dimostrazione alcuna.
Il prete Irlandese stava loro a' fianchi, e raccontava loro le più gran
novelle del mondo, ed ei se le credevano. I fuorusciti Francesi, che
pure incominciavano a temere, dimandarono se vi fosse pericolo;
risposero del no. Aggiunsero, ch'era la gente di roba, che aveva paura,
e che spargeva spaventi. In questo mordevano il conte Bottone di
Castellamonte, il quale essendo intendente generale della Savoia, da
quell'uomo fine e perspicace ch'egli era, avendo bene penetrate le cose,
aveva domandato soldati al governatore per iscorta al tesoro, che voleva
far partire alla volta del Piemonte. Certo, impossibil cosa era il
difendere la Savoia, massime dopo le disgrazie dei confederati: non
stanziavano in questa provincia più di nove in diecimila soldati; ma
siccome erano buoni, così se fossero stati retti da capitani pratichi, e
posti ai passi opportuni, avrebbero almeno fatto una difesa onorata, e
ritardato l'impeto del nemico. Ma agli sparsi mancò l'ordine, il
riunirgli fu impossibile in accidente tanto improvviso.
Intanto il generale Montesquiou, avuto comandamento d'incominciar la
guerra, dal campo di Cessieux, dove alloggiava con l'esercito raccolto,
in cui si noveravano circa quindici mila combattenti, gente, se non
molto disciplinata, certo molto ardente, andò a porsi agli Abresti,
donde spedì ordine al generale Anselmo, che, passato il Varo, assaltasse
nel tempo medesimo la contea di Nizza. Presidiavano la contea genti poco
numerose, che obbedivano al conte Pinto. Queste mosse doveva anche
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 06
  • Parts
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 01
    Total number of words is 4348
    Total number of unique words is 1709
    37.7 of words are in the 2000 most common words
    52.4 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 02
    Total number of words is 4344
    Total number of unique words is 1714
    35.8 of words are in the 2000 most common words
    50.9 of words are in the 5000 most common words
    60.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 03
    Total number of words is 4434
    Total number of unique words is 1742
    38.1 of words are in the 2000 most common words
    54.5 of words are in the 5000 most common words
    62.9 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 04
    Total number of words is 4440
    Total number of unique words is 1607
    37.3 of words are in the 2000 most common words
    54.3 of words are in the 5000 most common words
    62.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 05
    Total number of words is 4475
    Total number of unique words is 1667
    38.3 of words are in the 2000 most common words
    55.4 of words are in the 5000 most common words
    63.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 06
    Total number of words is 4433
    Total number of unique words is 1711
    37.6 of words are in the 2000 most common words
    54.6 of words are in the 5000 most common words
    63.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 07
    Total number of words is 4540
    Total number of unique words is 1667
    38.2 of words are in the 2000 most common words
    54.4 of words are in the 5000 most common words
    61.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 08
    Total number of words is 4363
    Total number of unique words is 1625
    36.2 of words are in the 2000 most common words
    53.6 of words are in the 5000 most common words
    63.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 09
    Total number of words is 4407
    Total number of unique words is 1588
    38.1 of words are in the 2000 most common words
    54.1 of words are in the 5000 most common words
    63.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 10
    Total number of words is 4376
    Total number of unique words is 1564
    36.2 of words are in the 2000 most common words
    52.9 of words are in the 5000 most common words
    61.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 11
    Total number of words is 4423
    Total number of unique words is 1587
    39.0 of words are in the 2000 most common words
    56.4 of words are in the 5000 most common words
    64.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 12
    Total number of words is 4421
    Total number of unique words is 1712
    37.5 of words are in the 2000 most common words
    53.4 of words are in the 5000 most common words
    62.3 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 13
    Total number of words is 4292
    Total number of unique words is 1616
    36.3 of words are in the 2000 most common words
    52.3 of words are in the 5000 most common words
    61.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 14
    Total number of words is 4408
    Total number of unique words is 1586
    37.9 of words are in the 2000 most common words
    54.7 of words are in the 5000 most common words
    63.0 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 15
    Total number of words is 4383
    Total number of unique words is 1640
    36.1 of words are in the 2000 most common words
    50.8 of words are in the 5000 most common words
    59.2 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 16
    Total number of words is 4552
    Total number of unique words is 1689
    38.8 of words are in the 2000 most common words
    54.8 of words are in the 5000 most common words
    63.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 17
    Total number of words is 4401
    Total number of unique words is 1620
    38.6 of words are in the 2000 most common words
    55.1 of words are in the 5000 most common words
    62.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 18
    Total number of words is 4419
    Total number of unique words is 1611
    37.2 of words are in the 2000 most common words
    53.0 of words are in the 5000 most common words
    61.8 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 19
    Total number of words is 4387
    Total number of unique words is 1607
    38.9 of words are in the 2000 most common words
    55.3 of words are in the 5000 most common words
    62.4 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 20
    Total number of words is 4384
    Total number of unique words is 1646
    39.5 of words are in the 2000 most common words
    55.0 of words are in the 5000 most common words
    63.1 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
  • Storia d'Italia dal 1789 al 1814, tomo I - 21
    Total number of words is 3548
    Total number of unique words is 1496
    39.3 of words are in the 2000 most common words
    55.3 of words are in the 5000 most common words
    62.6 of words are in the 8000 most common words
    Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.