Storia di un'anima - 19

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acconcia Ella alla idea--_Per sempre?_--In vita si promette ciò che
non è in noi; in morte, ciò che speriamo nell'ultima illusione.
Sul piazzaletto compare il prete del luogo, vestito di verde, come la
speranza... del guadagno... non cerchiamo tanto: egli è felice, colla sua
pipa e le ciabatte e gli incerti; e ci fa invidia. Don... don... don...
(come diamine si chiamerà?) Il messere, insomma, ci condurrà alla chiesa:
cioè alla sua serva, giacchè lui desidera finire quella delizia
anticanonica che ha nella pipa.
Ed è peccato! A Fontanella, mestissima chiesina, avrei voluto
trovare un prete bianco, modesto, tranquillo, e digià arrivato
all'ultima scena della commedia.
Il cortiletto in cui entriamo, seguendo il giro dell'antico colonnato,
ha l'aria tranquilla, rassegnata direi, di un passato che è scorso
in pace, e in pace sopporta l'obblìo; due o tre archi: quattro
finestre; due gelsi; dei rottami; un portico. E qui facciamo una
sosta. C'è una tomba. Il coperchio ha scolpita, giacente
nell'ultimo sonno, una donna di mezza età, coi capegli lunghi, con
una corona in testa da contessa o da marchesa; il manto le è
fermato sul petto levigatissimo da un gioiello; una cintura le
allaccia la sottoveste; e le mani, senz'anello, sono incrociate al
mesto saluto della pace. Il coperchio è quello che di veramente
antico può presentare questa tomba. L'urna male gli si adatta, per
forma, per diversità di pietra, per gli stemmi scolpiti. Giace
sopra un gradino, e sotto un arco, colla data 1419.
Due parole di fretta. Il Pellegrino nella «_Vinea Sacra_» disse questa
tomba esser quella della regina Teutberga, moglie di Lotario, re di
Lotaringia, la quale, ripudiata, avrebbe cercato ricovero fra questi
monti bergamaschi, confortandosi alle parole del beato Alberto di
Sogra. Una scena fra questi e la regina è rappresentata su un
grande quadro della parrocchiale di Pontida. Ma alla tradizione
popolare, e al sasso che serba, sotto un castagno, le certe impronte
dei due, osta la cronologica verità. Teutberga morì verso il 951
e Alberto nel 1095 come dice la iscrizione del suo sepolcro.
Fontanella ebbe un Convento di Cluniacesi, con un abate e dodici
monaci, e un archivio nella torre del castello detta «_la Botta_». Il
Ronchetti ha provato che fondatrice fu una piissima vergine Toperga,
vissuta a tempi di Alberto, ivi sepolta, ed ivi venerata come beata,
in un sepolcro, con otto lampade.
Tutte queste cose, lette, pesate, discusse, per me turbano la pace di
quella tomba. Amo meglio l'indeterminato.
La chiesa è a tre navate, che, colle colonne informi, coi capitelli vari
e tozzi e frammisti, coi grafiti, affermano la impotenza artistica delle
prime costruzioni; il campanile s'alza davanti all'altare maggiore; una
tavola bellissima rappresenta il Rinascimento--Sant'Egidio; gli altri
arredi e la sacrilega imbiancatura suggeriscono alla serva guida la
sapiente esclamazione:--Tutti dicono che è una bella chiesa! Ma sì, se
fosse nuova! se...
Io non sono architetto e studioso per analizzare i particolari; mi
lascio vincere dall'insieme, che è severo, raccolto, pieno di
poesia storica e religiosa. Non domandò la mia fantasia:--Chi
pregò? Come vi pregò?... Il povero uomo passa; il cofano vecchio
e l'avello antico rinchiudono l'enigma della sfinge.
Le rimanenti case di Fontanella io vorrei assomigliarle a certi luoghi
veduti nei sogni, nei quali corre l'occhio e inciampa il piede, e la
luce non è luce, e l'aria vi è morta. Per anditi regolari, per
archi bui, per muraglie a dadi di pietra si giunge a certi bugigattoli
di tragetti e di scale, dove, se al dissopra delle finestrine, se
dalle pareti addentellate, se tra le gronde protese, si vede un po' di
cielo azzurro, sembra un fesso da cui scappa l'anima prigioniera alla
libertà della vita e dell'amore. C'è davvero del bello!... Là
si immagina un trovatore col liuto ad un pertugio di torre per
consolare un dolore, e si ode invece un lungo muggito di mucca e si
vede una fanciulla cho spalanca una stalla. Si sogna forse una donna
melanconica e stanca, e appare un vignaiuolo, barcollante sotto una
corba d'uva, che si sfrega contro le strette pareti della viuzza.
C'è un portico finalmente, dove il sole scalda ogni minima
ragnatela, e ogni fuscello di paglia; c'è una cucina oscura con una
scodella di latte, una facciata di castello, una gran botte, e uno,
due, tre, quattro grappoli d'uva.
E c'è una bionda fanciullina, con due begli occhi e un bocchino,
una cara, tranquilla creatura, che, fra tanta e tanta imponenza
d'antico, accompagnandoci sin presso a una tomba, sorrideva, inconscia
di tutto.
Oh tornerei lassù a baciarla!


MONTI E LAGO.

Sono schietto, schiettissimo e dico la verità: quando la locomotiva
esce fuori fischiando dal grande antro invetriato della nostra
stazione milanese, se in qualche vettura mi trovo fortunatamente
anch'io, io pure fischio colla gola del serpente.... Brutta città,
aria malsana, noie e fastidii, vi derido!
Addio!... Il fumo sbuffa a globi allegramente; suonano gli stantuffi,
luccicano gli ottoni, e la filatera pesante scorre, come su un
pendìo insaponato sulle rotaie che s'inazzurrano a perdita d'occhio
o diritte stupendamente o con quelle curve dolcissime che la scienza
ha segnato col compasso. Va e va, scappano le case affollate, i
traffici, gli altri mille carrozzoni allineati pei viaggi. La strada
è sorretta ad un terrapieno, fra i campi di biada, e le siepi,
colla compagnia dei pali telegrafici e dei cantonieri dalla banderuola
svolazzante.
Respiriamo!... Abbiamo già veduto gore, fossatelli, fiori a
bizzeffe, cascine e macchiette.
Alla prima stazione ascoltiamo qualche parola di dialetto campagnuolo.
E va e va! Sicuro che l'inglese leggerà sempre istessamente la sua
guida rossa e il mio babbo calcolerà che st'anno il frumento
sarà magro magro. Brava gente! Ma noi che viaggiamo perchè
nessun libro ci ha fatto bene, noi che vorremmo turbinarci tra il fumo
del gran tubo, saltabeccando pel cielo, noi abbiamo la testa che gira,
come il fiocchetto della tendina al finestruolo....
Che finestruolo!... Sporgiamo mezza persona, e sfidando il polverone e
i minuzzoli accesi di carbon fossile ci diciamo i re dell'aria!...
Benedetta età la nostra! Cioè la mia: perchè il mio compagno
a differenza di pochi mesi, è già uomo fatto, ha dei clienti e
non so quanti crediti. Ho parlato in plurale perchè ho questo
vizio, come un rettore magnifico dell'Università, quando mi credo
un re dell'aria!
Il nostro orario ha un'orecchietta alla pagina tale:--linea
Milano-Varese.
Da Varese andremo al Lago Maggiore e precisamente? Non abbiamo deciso
nulla: e se volete accompagnarmi, subìte un po' delle mie
indecisioni e de' miei entusiasmi.
Se tra i miei lettori c'è qualche Varesino, mi congratulo con lui
ch'è nato fra quei colli e quei monti avvolti da quell'aria che fa
guadagnare gli ostieri e scapitare l'amor platonico: se c'è qualche
Varesina le dirò che ho veduto dei porticati, dei poggioli antichi,
delle vie pittoresche, de' bei quadri presso il proposto.... Che cosa
importa a lei? Ho ammirato una villa bianca avvistatissima senza una
mosca, e un giardino su un colle, e un sentiero che si curvava fra un
roseto, un pratello in toletta, e montava e montava.... C'era posto
per due, per tre no.
O Varesina, al sommo di quel colle, quando il sentiero t'avrà fatta
arrossire, mi dirai come ti chiami....
Varese ha dei punti bellissimi dove guarda la campagna, il suo gran
campanile sorge su, tutto colorito, distinto, rilevato: filari
d'alberi verdeggiano sulle salite e ai giardini pubblici: la villa
Ponti dall'alto proclama alle otto valli di Laveno, di Cuvio, di
Marchirolo, di Gana, di Arcisate, di Stabio, di Malnate e di Vedano,
sono milionaria!
A dire la verità ho un foglietto dove ho copiato un po' di memorie
storiche di Varese--ad esempio:--È antico; forse risale a duemila
anni avanti Cristo: fu dominato dai Romani, i quali vi eressero un
castello di cui dura la memoria--a Belforte.--Fu saccheggiato dai Goti
e dai Longobardi, fece guerra a Como, ebbe un vicario, sei consoli, e
castella a Induno, Arcisate, Biandronno distrutti dai milanesi.
Solite storie d'ogni comune medioevale. Quello che voglio far notare
è che Varese nel 1768 venne da Maria Teresa dato in signoria a
Francesco III duca di Modena e a Teresa di Castelbarco.--Non dico
altro di cose storiche, cedo la parola all'amico mio, il quale
dichiara che a Varese si mangia male e i cuochi sotto la berretta
hanno una zucca, non una testa da cristiano.... Ripiglio la parola io
perchè non voglio battibecchi tra un'aria così santa e cara e
dico che ho deciso per valle di Cuvio di recarmi a Luino.
Lasciamo da parte la Madonna che su una gobba di monte spiccata,
accompagnata da cappelle e casette, toccata dal sole con color d'oro,
fusa dall'ombra con veli paonazzicci deve di lassù vedere il
formicolìo degli uomini che s'incontrano colle donne, per le strade
di Varese e si vogliono bene: la Madonna deve essere felice quando li
vede venir su, su coi muletti, comperandosi le medaglie, baciandosi
alla sfuggita.... Non ci montai, quindi nulla posso descrivere.
Valcuvio meriterebbe proprio che gli acquarellisti vi si recassero in
carovana. La strada, dapprima erta ed elegante, si strozza nelle
callaie dei paesi, fra le casette angolose, pittoresche, esce e
s'alza, s'abbassa, s'inaridisce su certe coste di macigni ove le tinte
ferrugginose luccicano di pagliette d'argento e d'oro, si storce
rabbiosamente in certe pieghe di montagna ove proprio c'è la
cappelletta, la croce della disgrazia e il mendicante che prega: si fa
stretta e si allarga tra i praticelli spianati, coi filari di salci,
coll'aria tranquilla della pianura.
Non s'incontra dapprima anima nata, tranne quell'accattone. Le capanne
sono celate dietro brune cataste di legna, o tra ammassi scaglionati
di fascine; frequenti sono le boscaglie, lucidissimi gli stagni
d'acqua, sempre gaio il fogliame vicino e aereo, soffice il lontano
fuso coi monti, col cielo, con alcune cime nevicate... I punti più
deserti sono per il pittore melanconico.
Proseguendo verso Luino la valle piana sembra promettere gli agi;
infatti sorgono le case e le casette, già imbiancate, già colle
vernici. Un torrente scorre tra gli argini, e mansueto, serio, prelude
alle ruote di ferro che muoverà: ecco degli stabilimenti a spesse
finestre, col tubo, col brontolìo: ecco comparire dei pali, dei
fili telegrafici su cui panni veder scorrere dispacci d'inglesi.
Presento, vedo i cappelloni col velo bianco e le vesti affagottate, i
_lords_ e le _miss_: qualche venerando pesce grosso si purga i polmoni
aspersi dalla natìa fuliggine coll'aria del lago... In quei luoghi
dove stampano i talloni piatti i _lords_ e le spesse orme le _miss_,
potete esser certi che vedrete qualcosa: infatti viali larghi
fiancheggiati da piante si curvano con dolcissimo meandro. Presentite
la curva che li disegna? È il lago: il lago appare, s'apre, si
sfonda... Luino alla foce del Margorobbia e del Tresa contempla il
bacino, Monti ed acqua!
Scendiamo di carrozza. Non c'è più all'orecchio il rotolare
monotono dei cerchioni di ferro e i sobbalzi delle molle sconnesse:
c'è un fruscio come di raso spazzolato, l'onda che bagna la ghiaia,
la ghiaia che sorbe l'onda: nell'intermittenze come dei sospiri gravi.
Non sembra di camminare, l'uomo, atomo, è sempre fisso innanzi alla
immensa bellezza della natura. C'è per l'occhio un riposo, un piano
liscio, levigato tra due catene di monti tutti in pace, c'è per
l'anima un cielo terso e limpidissimo. In un attimo si ama tutto e
tutto ci parla: la spiaggia ciottolosa, curva, l'arena bagnata, la
frangia d'argento dell'onda, il suolo fatto dagli uomini e le case e
le ville, e le frane spaccate dal caso.
L'aria che viene dai monti, che s'infresca dal lago, che si poetizza
dal cielo, entra in noi, scaccia da noi l'animaccia stanca, scettica,
cittadina e ci dà un po' dell'anima della natura, col bisogno di
salire in alto, coi voli dei desiderii amplissimi, coll'ali della
poesia che non ha metro nè rimario!--Si diventa buoni e si ama, si
ama, si ama!... Io qui non invito quelli che hanno la bottega nel
cuore, nè le donnine che portano sempre lo specchio al servizio
delle uniche loro carni bianchissime: non invito la folla che mangia,
beve, ride, ma sibbene le anime torturate dai desiderii inesplicabili,
affannate dalle spossatezze del deserto, i cuori che hanno amato o che
amano! E vengano i nervosi all'idropatia! Le isteriche stancate
dell'attendere! le vinte del corpo! Qui si ama, si ama!--E il lago
seduce sempre, cantando l'eterna canzone senza esigere la sua gentile
senseria.--Qui si combinano dei matrimoni. Spargete i confetti a
manciate pei bimbi dei pescatori, e da quelle facciole ridenti e negre
traete augurio per i vostri futuri scapatelli!...
Rammentando che Luino fu patria dell'angelico Bernardino, lo stupendo
pittore che effigiò le sante e gli angeli con sorrisi di cielo, andiamo
al molo che serra le acque cupe: il lago flagella i dadi di pietra e il
ripicchio si diguazza come stanco di battaglia. Per la via lunata,
passati sotto un arco che mostra un poderoso leone di pietra, incontriamo
una stradetta montana su un terrapieno: a sinistra il lago, a destra la
montagna. È una stradetta non disagiata, non ricca, un tesoro pittoresco,
a tratti s'inclina e quasi tocca la ghiaia, a tratto si solleva e mostra
giù giù il lago coll'abbagliante luccicare tra i boschetti o col verde
intensissimo lungo le coste profonde, o coll'irrequieto spumeggiare
attorno agli scogli: più in là la massa azzurra si acquieta, e pare, per
così dire, a zone smerigliate dai venti, in là ancora sorgono i castelli
di Cannero solitarii, piangenti il romanticismo e l'oblìo: la sponda
infine è deserta.
Qui dove passeggiamo noi il murello di riparo alla stradetta serpeggia
o lumeggiato o smorto in ombra con toni trasparenti, e la montagna
affolta boschi e boschetti e sprazza luci sulle zolle, e s'infosca
nelle ripiegature delle falde: grotte, acque, fiori, pratelli
stiacciati da cumuli di macigni... Oh i monti!
Il cittadino che li contempli in un attimo vi ha famigliari, e non
c'è pendìo di vallicella ove non sogni d'essere stato già
un'altra volta a piangere un dolore: non richiama una gioia definita,
ma ricorda d'aver sorriso e spera di sorridere dall'alto di quella
cima boscosa, da dove si deve vedere l'altro versante... Di là...
Monti e valli e case e gioie e dolori!... Se ha letto un bel libro,
sente di doverlo rileggere su quel masso, attraverso quel torrentello,
sguazzando sul fondo translucido e sabbioso l'ombrellino... di chi?
È un fatto: nei quadretti, e nelle memorie, e nelle speranze
_compone_ sempre, direbbero i pittori, una figurina di donna, che ne'
suoi occhi sintetizza tutto il linguaggio della natura...
Rincorriamoci, o fanciulla: il lago ci invita al bagno: la montagna ci
prepara la reazione. E che bagno! Vorrei staccarvi per lenzuolo un
lembo azzurro di cielo, ma... E poi corriamo!
Corriamo sui massi spaccati, profilati, da dove pendono i ciuffi
d'erba, nelle tane, nei bugigattoli, sui cigli di quei muraglioni erti
e schistosi, che la grande architettrice ha dipinti coi licheni,
lisciati coll'acqua, graffiati coll'azione dei geli... Corriamo! Dove
corre il desiderio? Le gambe sono umane, umano il ventre. Su dunque
s'incontrano tre o quattro case da pupattola, scheggioni ammucchiati,
coll'uscio aperto e la massaia che prepara la cena... Vogliamo cenare
cantando la canzone dei pescatori e vedendo il lago a strisce di
specchio tra le connessure delle pareti? Vogliamo bisbigliarci nella
semiluce? Vogliamo pescare?
Giungiamo a Maccagno inferiore detto _imperiale_, già feudo dei
Mandelli, con mura, misto imperio, e diritto di zecca.
Una chiesa su una piazza sostenuta da arconi di pietra come un
acquedotto, una largura che muove al lago, ove dondolano sette od otto
barconi, quattro case e l'osteria-stazione, da dove esce il suono
bambinesco di una cornetta. Ecco Maccagno.--Arriverà il piroscafo
da Luino, un punto nero che borbotta. Sediamo su una panca. Il lago si
sperpera innanzi giù fino a Stresa: l'occhio nuota in quelle tinte
perline e su nel cielo focato.
Il tramonto è vicino. Non è l'ora stanca della città: è il
preludio del riposo poetico: è l'ambiente di tutte le trasparenze,
tutti i desiderii, tutti i sogni; col tramonto il cielo bacia l'anima
nostra, e l'anima vola su quelle nubi che fingono delle isolette
scorcianti in un mare più tranquillo del mare della vita, vola...
Il piroscafo sbattendo le pale fracassose nell'acqua canta chiaro e
netto:--L'uomo non ha ali: l'uomo non ha pinne. Prendete il biglietto:
primi o secondi?
Siamo sul _San Gottardo_, coi marinai, coi macchinisti fuligginosi,
colla folla minuta dei contadini, colle valigie stemmate e coi
viaggiatori distinti dal Bedeker. Monti e lago pigliano una tinta
metallica, tutto sembra profondarsi, e su altissima luce brilla la
prima stella della Notte.
Il piroscafo ha fatto la traversata: il timoniere colla mano sui raggi
di una ruota di bronzo specula acutamente il punto da sbarco, il
capitano parla col portavoce agli uomini bruni giù nella pancia.
Sulla spiaggia appaiono case e portici, e portici e case, fuggenti
nell'ombre che si addensano nella gran montagna paonazza cupa.
Un facchino grida:--Chi ha bagagli per Cannobbio?-
L'ora è tarda, a domani. Vi basti sapere che a Cannobbio ci sono
molte cose a vedere: il borgo, la Salute, l'orrido, le appariscenti
valligiane e la signora Antonietta del _Biscione_, che stringe la mano a
chi arriva, porgendo una manina pastosella e capricciosa.


CHIARAVALLE
SCHIZZO A PENNA.


I.

Hai perfettamente ragione, mio amico. Vi sono dei luoghi insigni per
memorie d'arte e di storia o per lo speciale ambiente, nei quali
l'anima del visitatore s'appassiona con gentile virtù, e la
fantasia, correndo a ritroso del tempo, s'ingagliardisce, rivivendo di
fronte ai robusti sembianti degli avi. Nelle giornate di noia stanca,
giova moltissimo il fuggire la folla fastidiosa, l'indispettirsi dei
minuscoli capricci, il cercare la solitudine. Questa è fatale se il
cuore vuole tutta occuparla colle sue malinconie, è sana se in essa
l'anima cerca per punto d'appoggio una calda emozione.
Una passeggiata all'abbazia di Chiaravalle non è gran cosa, che
possa rompere le gambe di un cittadino. Si esce dalla porta Romana, e
si piega per circa tre miglia verso sud-est, camminando in mezzo a una
pianura monotona, la pianura lombarda, che al cielo non sa levare
altro che le capitozze pesanti degli eterni filari, qualche ramicello
pelato, qualche volo di corvi, qualche crasso fumo di stalla. Ma che
cosa merita quel cielo? E poi, signor mio, ogni acqua che scorre,
all'occhio dell'agricoltore, sembra far galleggiare i sacchetti d'oro;
ogni prato ti pare una mappa; ogni casa è segnata a cifre, a
cifrone. Se tu vedessi i fieni ammontati nelle cascine, il latte che
trabocca, spumando, dalle _brente_, e i formaggi che stanno, come in
biblioteca, negli stanzoni a corridoi! Se tu vedessi!
Il paese di Chiaravalle è un povero aggregato di case. Rovagnano
n'era l'antico nome. San Bernardo, capo dell'abbazia di Clairvaux
nella Sciampagna, venuto in Lombardia, e fondato in questo luogo
l'abbazia e il monastero dei cistercensi, l'intitolò Chiaravalle,
per amor di ricordo. Chiaravalle, favorito dalle famiglie milanesi,
illustrato dalla virtù e dal sapere dei monaci, crebbe di fama e di
ricchezza: molti cospicui personaggi venivano a visitarlo: Ottone
Visconti vi morì.
Al giorno d'oggi, camminando sulla strada, che fiancheggiata da due
placide acque, conduce ad una porta austera, il visitatore ha l'occhio
triste e l'anima triste. La campagna intorno è silente e spopolata:
le mura dell'edificio, dove rovinate, dove salde, dove rifatte, sono
come le pagine di un libro di storia. Mute, vi narrano una
verità.--Che cos'è il tempo!
Vi furono giorni in cui il potentissimo abate, collo stendardo della
cicogna, scendeva alle soglie imponenti dell'abbazia, fra la sua corte
fastosa, arbitro delle liti tra popolani e nobili, fra paese e paese,
scendeva a ricevere una comitiva guerresca od ossequente; e i monaci,
sui vasti dominii, sulle settantamila pertiche, si spargevano,
fratelli di preghiera e di lavoro, ad una nuova opera, asciugando i
paduli, guidando le acque, applicandole all'utile, creando il sistema
lombardo delle marcite; e i reggenti di Milano venivano agli altari
recando i diplomi dei frequentissimi privilegi; e i vecchierelli sotto
il saio vegliavano sui libri o cantavano nel coro, o sfilavano al
cimitero. La Guglielmina boema vi dormì poco sonno di morte. La
ricca nobiltà milanese vi restò a tripudio, quando uscì ad
incontrare Beatrice d'Este, che arrivava sposa a Galeazzo Visconti.
Potenza successe a potenza, pietà a pietà, mistero a mistero...
Infine, nel 1795, la più prosaica caria bollata era affissa ai
venerandi battenti colla cera rossa. E oggidì la locomotiva,
tagliando il pratello della pace antica, sbuffa faville ai morti, e
passa fischiando...
L'abbazia sorge vicina al villaggio, e coi ruderi del convento è
chiusa da una cinta. Entrando nella corte per una volta oscura, si ha
dinnanzi la chiesa, ragguardevole edifizio, con una cupola ottagona,
sovrastata da una torre ad archi, a colonnine, a piramide: le linee
sono dignitose, le tinte robuste, e i dettagli qua e là accentati
dai curiosi scherzi del tempo e del caso. L'ignoranza degli uomini
piccoli vuol mostrarsi dove può: eccola chiarissima, pretensiosa,
patentata, nel guasto arrecato alla facciata, Povero secolo decimo
settimo! Dio sa com'hai resa barocca anche la preghiera!
L'interno della chiesa è grande, tetro, umido: un segreto squallore
vi regna: la solitudine co' suoi misteri, la semiluce coi pochi raggi
del giorno, colle ombre freddicce, fanno parer eterni i passi sul
pavimento: e va e va:--e danno all'aria un che di morto, di chiuso,
d'ammuffito, che tronca il respiro, e assopisce il pensiero in una
incertezza di languore.... Fantastichiamo?
Ma in questo stato d'anima, il cuore a un tratto affretta i palpiti,
con un sentimento dolcissimo di speranza o di ricordo: eccoci desti! e
si gode d'esser desti, d'amare, di dover combattere, di voler vivere!
Il cuore si ribella alla morte.
Triste è lo sguardo che danno le sante screpolate degli affreschi;
triste la polvere fredda che s'adagia sugli stalli del coro; triste il
tremolo ardore delle lampadette nella grande solitudine: tristissima
la pace che il tempo ha fatto intorno a noi. Luino, l'angelico, ha
dipinto: l'ottimo Garavaglia ha intagliato: altri molti hanno lavorato
e vi giacciono nell'oblio; san Bernardo un giorno arse di zelo e fu
una fiaccola. Ma oggidì?
È santo quel sorriso che ci fa buoni e mesti: è salutare quella
polvere che noi solleviamo, galoppando audaci, sul nostro cammino;
chiamo luce quella che illumina l'anima, come i lampi. Più e più
nei luoghi austeri l'estro si accende, e si figge all'ideale. La pace?
Prima vogliamo la battaglia.
In fondo al coro vi è una porticella che mette al cimitero: è un
luogo raccolto, circondato da un muricciuolo che lega le une alle
altre tante cappelle mortuarie, ad arco, uniformi, severe, segnate
solo da qualche avanzo di pittura o di epigrafe: qui i nomi di Pagano
e Martino Torriano, dei Novati, dei Piola, degli Archinti. Un'unica
crocetta nel mezzo compendia tanti nomi, tante grandezze, tanto oblio,
in tanta pace, Qui venne con onorevole scorta armata sepolta la
Guglielmina, nel secolo XIII, la famosa fondatrice della setta dei
Guglielmiti, la quale pretendeva d'essere papessa, e più: qui fu
venerata con feste, lampade, devozioni: di qui fu dissepolta e
trasportata a Milano sulla piazza della Vetra, per essere abbruciata e
vituperata co' seguaci suoi. La storia vi è lunga, ma interessante
per gli scrittori milanesi: qualche sera chiacchiereremo, perchè
già adesso tu non hai tempo.
Che cosa t'ho descritto? Non so. E ti ho descritto, o credo? Non so,
davvero. Queste mie righe sono impressioni, Tratti di penna, schizzi:
se tu volessi linee rigide e contorni precisi, sai che ci sono guide,
buone e grame, e fotografie. Dunque non gettarmi in un cantuccio, se
non adopero squadra nè metro.
Però, se vuoi, eccoti le dimensioni. Incominciamo da serii:
Altezza della torre, piedi 57.
Altezza della piramide, piedi 34.
Lunghezza della chiesa...
Capisci! Sei tu che non mi ascolti! Dunque, zitto i zitto! zitto!


II.

Per ordinare le mie idee, bisogna che col pensiero io vada indietro
tre o quattro anni: cinque per l'appunto! Ed ecco mi ricordo una
passeggiata a Chiaravalle, una sosta, una colazioncina in un prato, e
poi un'ascensione chiassosa, quindi una meditazione seria. Come fosse
adesso! Voglio rammentarmi la torre della chiesa e il cimitero.
Prima di tutto, vi confesso ch'io ho un gusto matto per i campanili,
tanto che in un certo paese ho fatto un abbonamento con un sagrestano,
perchè mettesse a mia disposizione tutte le chiavi d'una chiesa.
Quei bugigattoli, quelle scalucce di legno dagli incerti gradini, quel
buio, quegli uscioli, per cui solitamente si deve passare per giungere
alla torre, mi piacciono in modo strano; e poi quelle funi che pendono
giù, o sfilacciate, o giù conducendo l'unto dagli ordigni
dell'orologio!--E tic-toc-toc: dall'alto l'inesorabile tempo ci grava
sul capo. Se poi stridono i falchi, o stormeggiano i passerotti, o un
amico pauroso mi grida:--Manca un gradino... avanti lo stesso.
A Chiaravalle la torre che sovrasta alla cupola ottagona offre tutte
le emozioni che voglio. Ecco, al tetto della chiesa, al primo riposo,
si giunge coll'abito concio dalle ragnatele, col cappello schiacciato
da qualche buio arco che non rispetta le proporzioni della figura
umana, coll'occhio intenebrato e polveroso: travi, tegole e calcinacci
sono amici, amiconi degli archeoflli curiosi. Al tetto c'è un
ballatoio: e da questo una scala a piuoli al primo giro d'archi della
torre; e da una colonnina di questo un'altra scala a un'altra
colonnina del secondo giro, e via e via; ma sui piuoli tarlati il
piede si poggia con precauzione, e gli staggi sono un po' zoppi.
All'ultimo piano di colonnette si leva la piramide, e noi che le
passeggiamo intorno, la vediamo tutta irta coi mattoni a spinapesce,
qua e là resa bizzarra da qualche ciuffo d'erba, bruna rossastra,
sormontata da un globetto con una croce nel mezzo, La vista di
lassù spazia sui piani e sui piani: monotonia, Pure, c'è da
trattenersi su una buona mezz'ora, e anche più; si ritarda la
discesa, pensando un po' a quelle scalucce malsicure che ci terranno
sospesi fra il cielo e i tetti.
Terra! terra! abbiamo toccato il suolo della chiesa: all'ultimo
gradino ci sentiamo piccini, come profondati, giù nel tenebrore:
camminiamo, e il passo ci sembra pesante, lo spazio per il piede
troppo, per l'occhio poco, e giungiamo al cimitero. Con un movimento
spontaneo si dà uno sguardo all'insù; le proporzioni della
muraglia, della torre, si allungano sul cielo, e là, in cima, ci
pare sia restato qualcosa di noi: qui basso siamo vuoti e melanconici:
un che inspiegabile signoreggia tacito intorno a noi, e noi subiamo
una pace per gli occhi, per le orecchie, per la bocca, un'aria morta
ci involve, entra in noi, esce: ci pare di dormire da lungo tempo, o
di svegliarci con altri sensi diversi dai nostri. È una bizzarria
questa? A me succede così. Credo animato un arbusto solitario, un
mucchio di rovine, un silenzio di crepuscolo: qualcosa requia, ma
spiandomi: un che d'ignoto, posandosi lento, incombe e incomberà su
di me. È una stramberia, temo l'oblìo... Sapete? certi sogni
senza senso comune si possono dire in poesia: in prosa bisogna
rendersi conto d'ogni contorno che ha la parola, e toccare liscio se
non si vuole errare e buscarsi, un'orecchiata dai professori!--C'è
la pace, ecco tutto: una pace antica, un silenzio, un'immobilità,
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