Storia di un'anima - 17

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conoscete da un pezzo, che avete visti e stravisti, dove avete letto
l'Aleardi e fumata la prima sigaretta, per piacere alla prima _fiamma_
vagabonda sulle rive a cercare il fiorello azzurro _non ti scordar di
me_... Vedete anche il grano turco che vi rammenta le aie e le canzoni
lombarde e le melanconie erotiche alla luna, quando _lei_ colle sue
manine voleva cavarsi il capriccio di scartocciare le pannocchie:
vedete le viti coi grappoli dell'idillio; _lei_ che vivrebbe anche d'un
grano solo al giorno se... Vedete le patate. In altra occasione vi
farò della poesia, per ora no, e vi dico che la natura di Andorno
sta a questa di Oropa precisamente come una fanciulla brianzuola ad
una donna alpigiana.--Ad Andorno è nato nel 1707 e morto nel 1794,
il valente pittore di prospettiva Bernardino Galliari, che
_all'eccellenza dell'ingegno, semplicità di costume, bontà e
religione accoppiando, colle opere sue dentro e fuori d'Italia il suo
nome eternò_. Così l'iscrizione sul suo sepolcro nella chiesa
parrocchiale.
L'Ospizio d'Andorno è detto di San Giovanni ed è assai insù
nella valle del Cervo, ad un'ora e mezza di vettura dal borgo. Il
Cervo colle sue acque battezza una generazione laboriosa, amantissima
del focolare paterno, dalla montanara, che coi calzoncini di panno
(_vireire_ o _virùi_) sui pendii scoscesi delle prealpi, suda alla
raccolta del fieno selvatico (_siùn_), agli imprenditori, ai maestri
di muro, agli opranti, che colla certezza delle braccia robuste e del
cuore gagliardo, corrono l'Europa, vanno in Algeria, si fanno lodare
all'istmo di Suez. La montanara abbella il suo _alp_ con qualche
medaglietta di San Giovanni e d'Oropa: i nuovi arricchiti innalzano
ville sontuose e cooperano all'edilizia pubblica, aprendo stradoni,
costruendo ponti, facendo segare marmi e pietre per cimiteri e chiese.
La valle è magnifica: montagne verdeggianti e dolci, poi rocciose
ed erte, piene di paesetti come nidi selvatici, ricche di borghi alle
comode falde, capricciose e franate nelle insenature, dominatrici
dalle cime, cave squarciate e pascoli e torrenti diroccianti, e in
fondo il Cervo colle lavatrici, le gore, le furie, le lingue secche di
sabbia, i labirinti dei ciottoloni, le corna delle scheggie, le spume,
le pennellate d'oltremare e le velature d'asfalto, i capricci
dell'artista e le calcolate architetture dei ponti. Signori miei,
questa è Svizzera. Fumano le allegre gole degli alti camini e
rumoreggiano gli opifici con gagliarda festa di lavoro: consoliamoci,
questa è Italia!
L'Ospizio è un luogo tranquillissimo, romito, senza sfoggio
d'architetture, poggiato tra il verde; Nessuna severità: ci si
potrebbe arrivare con sei cavalli! Tre casette con portici tozzi, una
quarta a quattro piani, un altro fabbricato, chiudono per tre lati una
piazza colla fontana, un terrazzone da cui la vista signoreggia giù
per la vallea. Ci sono entrato da un sentiero nicchiato sotto ai
faggi, se potessi dirlo, una corritoia di verzura: l'Ospizio mi ha
abbarbagliato gli occhi, cacciandomi dentro mille punture di luce,
mille serpentelli, mille zigzag, colla sferza del suo sollione. Oh che
sollione! Diventano verdi le tonache dei preti, e rosee le guance
delle monachelle. Dell'esterno della chiesa vidi i capitelli di marmo
bianco di Mozzucco, la statua del protettore, la facciata che a
sinistra s'appoggia sul petrone di San Giovanni, e leggendo le
iscrizioni _Vox clamantis in deserto--parate viam Domini_, pensai che
questo Ospizio deve procurare poche _novene_ cenobitiche in onore del
suo santo, finchè avrà l'albergo Peraldo, fatto apposta per
trasgredire il gran precetto del digiuno, punto primo per pulire a
nuovo le coscienze. Nell'interno della chiesa c'è il cattivo gusto
del seicento e del settecento: nel cupolino il pennello di Fabrizio
Galliari vuolsi abbia superato l'opera del cupolino di Graglia. La
Guida del Club Alpino cita, ed è giusto, i due evangelisti e la
nascita del precursore del Bernardino Galliari, cita la cappelletta
scavata nella roccia, e così soddisfa, se non gli amatori
dell'arte, i curiosi e i pellegrini, i quali non capiranno mai la
bellezza di quel lumicino scoppiettante in quell'umido eterno: ma la
Guida tace, e non so perchè, nella seconda o terza cappella di
destra, quella tavola delicata, ingenua, dolce e robusta a un tempo,
che è chiusa nella sua cornice azzurrina ed oro, di stile
elegantissimo rinascimento.--Che effetto m'ha fatto questo Ospizio?
Dico chiaro e tondo: la devozione non m'è apparsa nè a Graglia,
nè qui: là capitai in ora di pranzo, qui pure. Vidi gente che
mangiava a quattro ganasce, gente che fa la sua vacanzetta di nove
giorni coll'alloggio _gratis_, vidi poca poveraglia, preti tozzotti,
fantesche ruvide, pretenziose provincialette, e qualche _alpenstock_ che
ambiva fregiarsi coi nomi della Mologna grande o della _pcita_, o del
Croso, o del Maccagno, giacchè dall'Ospizio vi sono i passaggi per
Gressoney, per Valle Sesia, per Alagna. Buon appetito e buon viaggio.


SUI MONTI.


I.

Da Gressoney (1310 metri).
Ti scrivo dalla più simpatica cameretta che sì possa abitare.
Pareti di larice rosso, un gran lettone, per tappeti delle pelli di
camoscio, nel catino un'acqua ghiacciata, e dalla finestretta qual
vista! Compererei questa cameretta, per non so quante mila lire, a
patto di starci tanti anni, senza un pensiero, senza un rumore
fastidioso, così come sono, innamorata dei silenzi dei boschi e
delle valli,
L'alberghetto châlet, colla gronda sporgente e le grandi _lobie_ di
legno, è posto su un dolce pratello nel fondo della gran valle
della Lys: alle spalle s'ergono i boschi di larici e scroscia una
grande cascata, di fronte ancora boschi e cime; in fondo il campanile
di Gressoney, il ponte, il torrente lattiginoso; in fondo ancora il
Monte Rosa, coi ghiacciai del Lyskamm, e la Vincent-Pyramide, lo
Schwarzhorn, il Ludwigshöhe, il Parrospitze, il Signal Kuppe. La
valle della Lys è dei più bei luoghi dell'Alpi ch'io mi abbia
visto. Questo hôtel-pension Delapierre è una casina lucida,
specchiante, poetica.
Il comune di Gressoney tiene tutta la vallata, da Trina fino ai
ghiacciai. Trina che trovasi a mezz'ora da Gressoney Saint-Jean, offre
un alberguccio modesto, ove chi vien giù da Oropa sarà contento
di trovare buona birra e all'uopo anche un letto. Gressoney
Saint-Jean, quantunque distante un tre ore dai ghiacciai, è molto
conosciuta nel mondo alpinistico. Fu eretto qui il primo buon albergo
delle vallate alpine del versante italiano. Quivi fanno capo i
passaggi della Valdobbia, dell'Ollen, della Pisse, del Lyskamm, della
Betlina, della Betta-Furka, della Ranzola, e altri. La punta di
Zumstein si denomina da un valligiano di quel nome, che tradotto in
francese dicono Delapierre.
Curiosa è questa vallata per la confusione di favelle che vi si
odono, dal francese al tedesco, con tutte le gradazioni intermedie di
dialetti.
Due delle escursioni più belle da Gressoney, sono la salita al
Granhaupt, per la sua vista sul Monte Rosa, e l'escursione al Grand
Plateau sul ghiacciaio della Lys, molto interessante.
Un magnifico viaggetto in due tappe porta a Zermatt in Isvizzera:
prima tappa a Fierg per la Betta-Furka; seconda tappa a Zermatt per le
cime Blanches, Ghiacciaio di Aventina e quelle del Teodolo, facile e
bellissimo.
Rimontando la valle, s'incontra la frazione di Gressoney la
Trinità, indi Orsia, d'onde si dipartono i sentieri per la valle
della Sesia da una parte, per la valle d'Ayas dall'altra. Adesso mo
interroghiamo monsieur Delapierre: egli ci distingue _«les promenades
et environs, les ascensions principales, les voyages»_ soggiungendo che
_«l'ont tient des mulets, des guides pour la comodité des
voyageurs.»_ O amica mia, quali passeggiate! Che bellezze! Alla cascata
de l'Oobach, alla Cours de Lys, alla punta de la Rum, all'Ober e
Montil Alpenz!
Le ascensioni possono spingersi alla Punta dei tre Vescovi, al Corno
Bianco, al Monte Nery, al Colle di Liskamm, al Corno del Camoscio.
E i viaggi? A Pont-Saint-Martin, a Brusson, a Châtillon, ad Alagna,
a Maglia, a Varallo, a Piedicavallo....
Vedi, amica cara, io non mi starei quieta finchè sul mio _alpenstok_
avessi tutti questi nomi, che per te sembrano appena appena nero sul
bianco, per me sono quel che sono!
Che vita si fa, e che società c'è? Qui la cura è quella
_dell'aria_. Ci alziamo presto e apriamo la finestra, poi scendiamo
giù nel piazzaletto avanti l'albergo. Chi s'aspetta? Di che si
ciarla? Una compagnia è partita per una gita: vogliamo vederli al
ritorno. Che fiori ci porteranno? Ci conserveranno una manciata di
neve? ecco tutti i nostri pensieri. S'entra nella sala: chi suona il
pianoforte, chi legge i libri inglesi, chi spoglia gli album dei
passeggeri. A tratto, dèn dèn, s'ode la campanella. Arrivano
degli alpinisti, colla sacca sulle spalle, il lungo bastone, il _plaid_,
i calzaretti a stringhelle. Donde vengono? Dove vanno? Se potessimo
seguirli su ai ghiacciai! Ecco i nostri pensieri. Esce loro incontro
madama Delapierre a dire che le spiace molto, ma se vogliono
alloggiare non ha più posto; però se s'accontentano alle
_dépendances_.... Ride la ragazza che loro serve di guida Ed essi
mostrano sul Rosa, qualche larga pezza di serico bianco. Dormire? Essi
fanno la cura _del moto_. Buon viaggio! Lasciano sull'albo i loro nomi.
Sono da Milano?--Li conosci?--Sì, no.--Chi possono essere?--Io
credo uno d'averlo visto a una festa in casa ***--Sì, sì,--Bel
giovanotto!--Già.--Perchè già?--Eh!... Si ride. E ridono le
mamme. Intanto tornano i giovanotti, portando per regalo, quali il
_mignin_, quali la _concordia_, quali la _vaniglia_ e la viola dell'Alpi.
Si ciarla a colazione, in questo refettorio di gaudenti, si ciarla
tutto il giorno nella sala, sul piazzaletto, sulle _lobie_, si passeggia
e si ciarla prima di pranzo, facciamo toletta; e poi ciarliamo a
pranzo. A pranzo tu vedresti freschissime vesti bianche, pettinature
d'ottimo gusto col fiore alpino, gioielli preziosi, trine delicate, e,
quel che più importa, visini allegri, nobili, capricciosetti. Qui
vi sono molte signore torinesi, una signora milanese, che villeggia a
Broni, la inglesina, la francese e la Y X.
Siamo in fondo a una valle, passano dinnanzi povere contadine vestite di
panno rosso e vecchie insaccate di panno nero, vediamo picchi e
ghiacciai; pure, amica cara, qui a dopo pranzo si risuscitano come cose
attuali le mode, gli spettacoli, i pettegolezzi della città.... Si
spogliano giornali di moda e cronache segrete.... Dove sarà la marchesa
T. di Milano?--A Chamounix.--E la poetessa P. A. R. di Faenza?--Mi dicono
ai bagni di mare.--La marchesa-alpinista D. M. di Genova è
all'Oropa.--Chi sarà alla _salute_ di Cannobbio?--La V. di Milano e la
contessa S. di Bergamo.--Mi dicono che all'Oropa ci siano dei colonnelli
bellissimi e simpatici.--E ad Andorno molti milanesi.
Sfogliamo le cronache segrete:--Perchè l'Y un anno è ammalato di nervi,
un altro di stomaco, un altro di gambe, e va un anno all'Oropa, un altro
anno a Santa Caterina, un altro al mare?--Perchè?--Perchè all'Oropa, a
Santa Caterina, al mare è andata la X.--Indaghiamo questa X.--Veste
sempre all'inglese, ha il parasole-alpenstok, predilige la penna d'aquila
nel cappellino.--Ed è ammalata?...--Di cuore!...
E qui uno scroscio di risa maliziose e contente.
TEA.


II

Da Alagna (1205 metri).
Ho passato l'imponentissimo Col d'Ollen (2909) ed eccomi alla tanto
rinomata Alagna: un paesetto cacciato giù, nella Valle della Sesia,
ai piedi delle Due Gemelle. Come sono cari questi _châlets!_ Murati
al piano terreno, che serve per stalla e cantina, s'alzano in legno di
larice rosso, ricinti nei due o tre piani da ballatoi assai sporgenti,
e finiscono con un grazioso cuspide, qualche volta frangiato. Ma
bisogna vedere le finestrine, le panche, le balaustrate, le scalucce!
Sembrano costrutte per i pittori o per gli innamorati.
All'ombra dei larici quale tranquillità! Per queste straduzze quale
oblìo! La chiesa spicca col bianco campanile e colle sue mura fra
l'intonazione bruna e violastra della valle. E vicino, anzi intorno
alla chiesa, si stende il cimitero colle cappelline della Passione.
Mi dicono che la prima capanna sia stata costrutta da un Enrico
Staufacher: la piccola colonia crebbe a poco a poco, diventò
paesetto, si spopolò per le emigrazioni degli Alagnesi in
Isvizzera, in Francia, in Germania, in Ispagna, ma gli esuli volontari
tornarono ancora e con danari acquistati coll'arte dell'intagliare
legni e dipinger soffitti; il paese s'arricchì, l'amore al luogo
natìo è spiccatissimo e gentile. Alagna vide sorgere belle
casine e decorarsi la sua chiesa.
Ora ha il villino Grober e lo _châlet_ del cavalier Farinetti,
delizie da mettere nella scatolina colla bambagia.
Immaginati un paesaggio alpestre: picchi, foreste di larici, casette
che sembrano inerpicate, mucche pascenti, gruppi di pecore, cime
scoscese, aspre, abbrustolate, eppure sparse di neve, immaginati il
Monte Rosa che giganteggia dominatore.--E le macchiette? Uomini colle
calze groppose e gli zoccoli di legno, ragazze vestite di scuro, colle
pieghettine sulla schiena, vecchie curve sotto il carico di legna o di
fieno.
Passa anche qualche Fobellina, il cui costume tradizionale è
pittoresco e notissimo. Una specie di grembiale ricamato s'attacca su
quasi fino al collo, la cintura è altissima, di sotto la corta
gonnella sporgono le calze di panno o di maglia, come s'usa nella
Valle del Cervo (le _vireire_ o _virtù_).
Alagna è quartiere di grande concorso per gli alpinisti, essendo il
centro ove convergono molti passaggi: Col d'Olen, Col della Pisse,
Passo del Turbo, Passo della Piana, Col di Mond, Col di Rima, ed altri
meno frequentati. La salita alle vette più importanti del Monte
Rosa non è praticata da qui.
Da Alagna si può stringere l'_alpenstok_ fino a.... a...
interroghiamo il signor Guglielmina, buonissimo albergatore
dell'eccellente _Monte Rosa_: ci risponde che ci sono a fare escursioni,
passeggiate e viaggi.
Il viaggio sarebbe a Varallo per Mollia. Da Alagna a Mollia vi è
una strada mulattiera che segue la Sesia, pittoresca, ora fra prati,
ora su roccie; da Mollia a Varallo ventisei chilometri si percorrono
benissimo in vettura.
Escursioni da metter la scintilla elettrica nel cervello sono quelle
al Corno Bianco pel lago del Tailli, ai ghiacciai della Sesia, alla
punta delle Loccie per vedere Macugnaga, al Colle del Turlo, a Rima, a
Fabello, a Zermate, al Riffel.
Vuoi passeggiate? Si va a Riva-Valdobbia a vedere la grande pittura a
fresco della chiesa di Melchiorre d'Enrico d'Alagna, eseguita nel
1597, a godersi la magnifica vista del Rosa; si va alla cascata
dell'Otro (metri trentatrè), all'Orrido, al Corno di Stoful,
all'Alpe di Bors e di Von Decco, all'Alpe del Campo e di Von Sattel,
alla cima des Kuffers Grod. Ti mostrerà fotografie, ma non c'è
macchina, non c'è carta, non c'è nitrato d'argento che possa
darti una mezza idea di questi luoghi. E poi! questo _patois_ tedesco e
francese ti fa parer d'essere su nella Svizzera famosissima.
L'albergo di Guglielmina ti dice come la gente onesta e laboriosa si
abbia sempre un premio.
Passano e ripassano alpinisti di tutte le provincie; vi si fermano per
un mese o due delle famiglie milanesi e torinesi. L'anno scorso
avevamo insigni e pomposissime signore, decoro dei nostri bastioni, e
molti signori. St'anno ebbimo anche il distinto archeologo A. C. e un
duca inglese con un nome che mi suona aspretto, ma celebre.
L'albergo ha belle camere, eleganti corritoi, lieto salone da pranzo,
simpatica sala da conversazione: vi trovi mescolato il larice alle
pitture, le sbarre di legno alle dorature delle sbarre di di ghisa, il
carattere montanaro al _comfort_ esigentissimo cittadinesco.
Avrei tante cose a dirti: ma sento una certa campanella che mi fa fare
un salto di gioia.... Arriva qualcuno? Chi arriva?
Arriva la zuppa fumante, e chi impugna l'_alpenstok_ sa come si stringa
volentieri anche il cucchiaio.
A rivederci,
TEA.


DA RECOARO.
(NOTE COL LAPIS.)


I.


5 agosto 1880.
Quando un mio amico, chimico-farmacista d'archiginnasio, mi tirò
fuori da uno scaffale polveroso il librattolo di messer Giovanni
Graziano bergamasco, professore di medicina a Padova, e me lo
spalancò dinanzi, sì ch'io vi lessi _Thermarum Patavinarum
Examen, Patavi MDCCI_, e quando mi citò le disquisizioni
dell'Arduino, del Lorgna, del Mastino, io confesso che non mi vidi
innanzi agli occhi (e come no?) altro che il conte Lelio Piovene da
Vicenza, lo scopritore della fonte che ancora ne conserva il nome, e
Fulgenzio e Domenico Griffani, usurpatori di essa; e il Serenissimo
Principe, e i Provveditori, e i Pregadi, gli ufficiali della sanità
pubblica, tutti riuniti in consiglio, una folla negra di parrucconi
grigi, coi musi nascosti dai ricciolotti tiepoleschi, inferraiuolati,
arcigni, incollarati, misteriosi. Mai, mai, mai non avrei sognato di
vedere, nemmeno fuggitiva come un baleno, la faccia sorridente così
gaia e la strettissima toletta bianco e nera di quella nostra signora
milanese.... Amici miei, neppure le iniziali del nome vi dò: vorrei
solo potervi dire il fascino di quelle linee elegantissime, il gusto
di quella semplicità, l'audacia di quell'abito, che una signora mia
conoscente dichiara il più bello e il più nuovo st'anno sin qui
veduto a Recoaro. Il conte Lelio sullodato quand'ebbe scoperta l'acqua
salutare, deve aver sorriso mestamente, pensando ai cento malanni
della misera umanità, e deve aver sognato solo volti scialbi di
montanari e di pastori, giù scendenti dalle Alpi Retiche, col
melanconico brontolìo del rosario sulle labbra. Ma sì! Se egli
avesse potuto ficcare gli occhi sino a noi! Avrebbe veduto, in groppa
agli asinelli, le più care signore, felici di svelare una scarpina
col tacco all'Efftein, e gli eleganti giovanotti felicissimi di poter
loro tener la staffa; i buoni papà e le mamme che lasciano
volontieri sviarsi tra i crocchi dei caffè e dei piazzali le loro
ragazze sui diciassette, e i bimbi allegri, vestiti alla marinaresca
che già offrono cavaliermente il braccio alle signorine, e i mariti
che domandano: _dov'è mia moglie?_ e le mogli che non domandano:
_dov'è mio marito?_ e i patriarcali piovani che sono sempre pronti e
convinti a dire che tutto succede con permissione del Signore. Che
festa! che gaiezza! che profumo di gioventù e di lusso! E quante
speranze di confetti e quante benedizioni dal cielo! Il patrizio
vicentino avrebbe veduto saloni elegantissimi per caffè e concerti;
stabilimenti idropatici; alberghi d'aspetto svizzero, coi maggiordomi
dalle basette all'inglese, colla tabella piena di titoloni, di
contesse, di marchese, di duchesse.... E la villa Tomello l'avrebbe
veduta quel cittadino d'una serenissima repubblica, la bianca villa
che accolse e ancora deve accogliere la prima e la gentilissima Regina
d'Italia? E avrebbe sognato, tra il basso fragore del torrente Agno,
bisbigli di donna per lo meno in sette lingue e ciarle e riso e
armonie di concerti musicali?
Pace nell'altra vita a quel conte Lelio: e pace in questa ai mariti e
ai babbi che mettono mano alle borse!
* * *
Con questi quattro scarabocchi io non pretendo di cucirvi una
corrispondenza: vi mando delle note a lapis e se potessi vi darei
più volentieri degli acquarelli che ho pennellato sul mio albo. La
via provinciale che da Vicenza conduce per Tavernelle a Recoaro è
lunga 42 chilometri e con due cavalli l'ho percorsa in quattro ore. Le
montagne, i campi di granoturco, i cascinali, i prati, somigliano
affatto a quelli della sponda dell'Adda tra Lecco e Bergamo: solo i
vigneti hanno un aspetto diverso, perchè le viti sono arcadicamente
maritate agli olmi. I binari di un _tramway_ si vedono già collocati,
una macchina sbuffa potentemente e fra pochi giorni sarà aperto al
pubblico un servizio opportunissimo fra Tavernelle e Valdagno. Nel
lungo paese di Montecchio v'è il palazzo Cardelina, un esastilo
grandioso, d'inspirazione Palladiana, con statue, scalee, muraglioni,
cancellate, ma quasi deserto e mestissimo. Su un colle si veda la
fastosa villa del cantore epico dell'_Italia liberata dai Goti_, il
Trissino: e su su due castelli che dai crepacci delle mine sembrano
l'uno ringhiare verso l'altro con astio feroce: la tradizione li dice
i manieri dei Capuleti e dei Montecchi.
Una fermata a Valdagno, scrive l'egregio dottor Schivardi, è di
rigore: e nota che è capoluogo, borgata, con una bella piazza Roma,
il giardino dei conti Valle, le fabbriche di panno del signor
Manzotto.
Io mi compiaccio ad osservare delle poderose facciate di case del
secolo XVI, con balconi in ferro o parapetti a fogliami traforati in
sasso; vedo dei gustosi martelli di porta, e per la prima volta
disegno dei mascheroni o meglio delle testaccie tonde e scipite di
greci e di turchi, sporgenti dagli archivolti, come _serraglie_
bizzarre. Da Valdagno a Recoaro la strada si fa ripida, i monti
giganteggiano, il verde è intenso: tutta la valle si restringe.
Recoaro (da _Recubarium_, luogo di riposo, o da _Rex aquarum_, re delle
acque) fino agli ultimi anni del secolo XVII non era che un paesucolo
composto di gruppi di casolari qua e là sulle pendici delle Alpi
Retiche. Ora è un paesotto; meglio è un solo albergo, un solo
caffè, un solo stallo...
* * *
Chi sono e dove sono i Recoaresi? Tra questa folla in cento abiti,
dalle foggie date dalla nostra Chaillon alle vestaccie affagottate
delle alpigiane tirolesi, tra il sonare di otto o dieci lingue e la
babele di cento dialetti, fra il va e vieni delle carrozze, il
tempestare delle unghie degli asinelli, e gli inviti: _paron! paron!
paron!_ io non so dirvi chi sono e dove sono i Recoaresi. La scena è
pittoresca; il paese lungo, la via erta, le case affatto moderne e
come quelle della riviera ligure, la chiesa piccina e tutta bianca, il
campanile grosso, tozzotto, degno d'un proposto capo pieve, una casa
col tetto a quattro pioventi, un po' acuminato, la gronda a
volticciuole e l'aria di un torracchiotto; in fondo le allee che a
zig-zag vanno alle fonti, il santuario di Santa Giuliana raccosciato
come tra il verde; a sinistra, quasi sempre incoronata di nubi, la
vetta dello Spitz, e giù l'Agno dalle acque saponacee e dal letto
sassoso, e a chiudere la scena, aduste, violastre, cornute, le
formidabili alpi tirolesi.
Dello Stabilimento Giorgietti, del piazzale, dei divertimenti e delle
cure vi parlerò un'altra volta.
Per ora, prima che si muti la folla degli ospiti, mi faccio premura
ricordarvi che c'è qui il simpaticissimo e spiritosissimo Pompiere
del _Fanfulla_, la contessa W. alla villa Tonello, la marchesa P. di
Venezia. E infine dico alle lettrici colla massima gioia che, fra la
tolette di vera eleganza, noto sempre quelle delle nostre gentilissime
concittadine, signora C., signora M., signora S.


II.

11 agosto 1880.
Il buon milanese che, vergognoso, solo, rincantucciato nel fondo di una
vettura, arriva sulla piazza della Fonte Lelia, allo stabilimento del mio
amicone Giorgetti, e guarda l'orologio e vi trova segnate le 6,30 dopo il
mezzogiorno non può a meno di consolarsi, dicendo:--Qui fra i monti si fa
presto sera. Almeno domani la _Sagra_ sarà finita, e tutto sarà in pace
per la mia cura felice. Che festa è quella d'oggi sul calendario?--Sì, le
mie signore lettrici: a 6.30 le campane di Recoaro tampellano giù nella
vallata con un suono maestoso e lieto: sulle allee trottano a torme gli
asinelli bardati, e i mulattieri vociano nel loro festosissimo dialetto;
davanti alle cento trabacche variopinte una folla oziosa brulica con un
ronzio da vincere la voce del Prechel dirocciante nelle tane dell'Agno:
là le grida dei venditori e le risa delle compratici: qui un'ondata di
musica e un acciottolio di tazze da caffè e... È appunto qui che proprio
il nuovo arrivato non s'arrischia a dare un'occhiata: ma è appunto qui
per sua condanna che deve discendere dalla vettura, e sgranchirsi, e
pigliarsi il fascio dei paracqua, dei parasole, dei bastoni, e far calare
le non stemmate valigie, e cavare di tasca il telegramma del Giorgetti
che ieri gli assicurava una camera... ritarda persino il maggiordomo!
Quelle 6,30! benedetta ora per gli stomachi deboli! Proprio sotto la
_verandah_ d'ingresso v'è il crocchio del dopopranzo, le ciarle graziose,
i bisbigli crudeli, i commenti arguti. Qui le scarpine proterve che
batterebbero i tacchi anche sui frantumi di un paradiso, pur di correre
ad un trionfo d'orgoglio: le calze nere e bianche, e carnicine, quanto
pii schiette, tanto più superbe: qui la seta stupenda, i percali
capricciosi, i velluti, i merletti antichi, le foggie studiatissime e le
semplicità insidiose, i colori, i profumi, le linee olimpiche e le
birichine audacie del Watteau: qui le candide manine straricche di
anella, e le braccia nude, dal colore della cardenia, misteriosamente
affogate nelle trine e roseamente tormentate dalla depressione dell'oro
massiccio dei braccialetti... Il nuovo arrivato non ha coraggio di
arrischiare un solo sguardo su quei volti femminili, e maledicendo al suo
stomaco, al suo fegato, alle sue febbri intermittenti, si dice condotto
nel regno della vanità, non nella severa valle d'Igea. Buona notte
all'amico. Siccome è un figliuolo tanto giudizioso, ed ha la guida alle
acque di Recoaro, prima di soffiar sul lume, legga quanti malanni
affliggono l'umanità fisicamente e ricordi quanti altri la percotano
moralmente, e poi si rassegni a pigliare il mondo com'è. Sognando qualche
bionda testina di veneziana, con un garofano di Vicenza alle treccie, una
collana di perle al collo, pensi a sant'Antonio, che solo, nel deserto,
meditabondo ed arcigno, doveva sbadigliare fino a sgangherarsi le
mascelle. E ciò è poca lode di messer Domeneddio, che, creando Recoaro,
lo volle proprio sacro ad Imene ed alla Salute; ei volle che la vita qui
fosse animatissima, come una perpetua sagra, senza santi di calendario:
il giorno rallegrato dalla festa del sole, dalla vista dei monti, dallo
scroscio dei torrenti; il crepuscolo vespertino poetizzato dalle gite sui
somarelli pei viottoli deserti, e la notte dedicata alla musica, alla
tombola, alla danza.
* * *
E si fa sera--la sera solenne dei monti. Le cime aduste e stagliate
mano mano prendono le tinte violastre che fondono in un velo solo le
frane, i torrenti, le insenature, le gobbe, gli ruffii selvatici, gli
scaglioni, i torracchiotti: giù per i pendii vestiti di boscaglie,
una fredda oscurità cancella i contorni dei faggi, dei castagni,
dei pioppi, e versa il solo verde cupo della solitudine; i pratelli
erbosi sembrano aggelati da cento rivoletti che, gorgogliando dalle
chiuse e perdendo il luccicore, per tane e bugigattoli si smarriscono
giù in fili bisbiglianti; i falciatori tornano soli e senza canzoni
su pei viottoli di sassi ammontati e sui sentieruzzi guazzosi,
sciacquano i falcioni alle cascatelle, e si dilungano tra i macchioni
dei castagni, dove s'alza un filo di fumo color cobalto da un
tettuccio di tegole muscose. Il cielo è del più intenso azzurro,
profondo senza un fiocco di nube; e la prima stella sembra aprire e
chiudere, ammiccando, la sua pupilla di luce, quasi mesta fra tanta
pace, fra tanto silenzio, fra tanta solennità di morte. L'uggioso
guaiolare di qualche cane, qualche lontanissimo muggito, il fragore
basso dell'Agno: ecco i saluti di questo deserto che si addorme, che
si sprofonda nell'oscurità, che ha i fremiti degli abissi e i
sussulti del vento.
* * *
E si fa notte--la notte lieta dello stabilimento Giorgetti. Il
mercante turco attraversa il piazzale con un paggio non maomettano che
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