Storia di un'anima - 16

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_promenades et environs--ascensions principales--voyages--le elevazioni
sul livello del mare delle principali vette dei monti nei dintorni_: si
sa che _on parle allemand, français, italien--on tient des mulets et des
guides pour la commodité des Voyageurs:_ fanno pietà in un angolo i
parasoli delle signore e gli _alpenstock_ bianchissimi col cornetto di
camoscio e i cappellini alla moschettiera colla piuma spavalda: si
scarabocchia il nome sull'albo dei forestieri. Guarda, guarda: c'è il
dottor tale, milanese, peuh! C'è la famiglia tale! Schiva! Tutte
scarpette basse e piedini di butirro!... Vicino s'ode nuovamente il suono
del pianoforte e un calpestìo di danze... La fiamma della candela sembra
ingrossarsi al nostro occhio, vestirsi di nubi vaporose, razzare,
tremolare: la mano stropiccia gli occhi come per cacciarne fuori delle
briciole di pane pungenti, la testa si china sulla Guida, il ghiacciaio
dell'itinerario si allarga come un lenzuolo... un lenzuolo di un ottimo
letto... Chi dà un letto?... Intanto che già si sogna vagamente e
penosamente di camminare per scheggioni, per grotte, per frane,
attraverso ghiacci, la cameriera ci tocca su un braccio. Eravamo
addormentati.
Anche voi, o lettori, dormite a questa mia cicalata? Vi domando mille
perdoni. L'esordio è finito.
E sulle mie labbra c'è il sorriso dell'uomo contento. Voi, amici
miei, avete 32 gradi, voi passeggiate dalla Galleria al forno del
vostro studiolo. Io tolgo adesso gli occhi da' miei fiori, dalla mia
Guida, dalla mia fiaschetta, e fremo agli ultimi brividi freddissimi
che m'ha lasciato la doccia delle 11 ore.
La mia escursione è incominciata da Biella, s'è spinta su al
_Corno del Camoscio_ vicino al Monte Rosa, è calata ad Orla, ha
voluto il riposo allo Stabilimento Idropatico d'Oropa.
Io mi dico:--Come si fa a scriverle, certe cose?--e mi arrovello. Voi
direte:--Come si fa a leggerle?--e....
E chiudete pure il giornale: io apro la Guida.


BIELLA.

«Il Circondario di Biella è limitato al nord, all'ovest e al
sud-ovest dalle linee di separazione delle acque della Sesia e del
Leiss e poscia della Dora, ed è chiuso all'est ed al sud da confini
meno naturali, che tagliano le vallate dei torrenti che hanno origine
dalla costiera settentrionale ed occidentale. Esso ha una superficie
di 960,48 chilometri quadrati, e una popolazione di 126,360 abitanti
(censimento del 1861). Vi sono quindi 131,56 abitanti per chilometro
quadrato, mentre in media nel regno d'Italia non si hanno che 83,54
abitanti per chilometro quadrato. E questo non è poco, ove si
consideri che il 57% del suolo biellese è montuoso. Principali
torrenti sono al nord la Sessera che volge verso l'est ed al sud il
Cervo, cui fanno capo la Viona, l'Elvo, l'Oremo, l'Oropa, la Strona,
la Roasenda, tutti gli altri torrenti insomma che non mettono nella
Sessera.» E basta. Mille grazie al signor Quintino Sella che
pronunciò queste parole nel discorso inaugurale della prima
riunione straordinaria della Società italiana di Scienze naturali
in Biella. Io non lo saccheggierò più: perchè, rubando male,
il _terreno diluviale_, le _alluvioni_, il _diluvium_, il _pliocene_, il
_calcare_, le _roccie feldispatiche e micacee_, l'_anfilobo_ e la
_diorite_, la _formazione sienitica_ e il _melafiro_, e l'altre parolone
mi potrebbero procurare qualche tirata d'orecchi da chi ha sulle corna la
poesia e gli acquerellisti.
Biella (_Bullarella, Buraiella, Buiella, Bucella, Bugella_) è al
confluente dell'Oropa cel Cervo. Che sia città antica (153 ab U.
C.) lo comprovano la iscrizione di Caio Publicio Crescenzio e l'altre
che si conservano nella casa parrocchiale, il sepolcro de' romani
Melii, ora divenuto battisterio, la medaglia fatta per commemorare la
ruina di Gerusalemme. Da Lodovico il Pio e da Lotario fu donata al
conte Bosone nell'826: poi da Carlo, da Ottone, da Corrado, da
Federigo I alla chiesa vercellese: nel secolo XIII si levò ad
animosa controversia per sottrarsi al dominio di Vercelli: nel XIV
provò il furore della peste, segnò di croci rosse i militi
contro Fra Dolcino, si scosse di dosso il vescovo tirannello Giovanni
Fieschi: nel 1379 diede giuramento di fedeltà al conte di Savoia:
nel 1525 gli imperiali vi aguzzarono l'unghie. Trascrivo un
particolare che soddisferà la curiosa domanda di alcuni miei
amici:--«Il maresciallo francese Brissac estese la sua occupazione su
parte del Biellese ed obbligò il comune ad inviare a Parigi dei
legati per il giuramento di fedellà ad Enrico II e per ottenere la
conferma di tutti i privilegi. Si fu in quell'epoca che si
incominciò il commercio delle lane colla Francia e principalmente
con Lione, e ne venne il motto _francese di Biella_, perchè il comune
di Lione accordò con diploma 23 gennaio 1558, il privilegio di
cittadinanza ai Biellesi.» (_Guida per gite ed escursioni nel Biellese,
edita e compilata per cura della Direzione del Club Alpino, sezione di
Biella, 1873_). Poi Biella ebbe ancora la peste, gli Spagnuoli e i
Francesi, peggiori della peste, e di nuovo i Francesi.
Biella è una cittadina simpatica, che si presenta pulita,
sanissima, affaccendata, percorsa da cento omnibus dalla stazione
verso il santuario e verso Andorno. Nella via maestra vi sono dei
portici sotto cui s'impaccia la gente ai giorni di mercati popolosi:
tutto vi si trova, dalle usuali terraglie impastate colle argille di
Ronco e Ternengo agli immensi tesori delle fabbriche grandiose. Nuove
piazze, nuove vie, nuovi edifizi accennano ad intendimenti edilizi di
buon gusto. De' monumenti conosco il Duomo, incominciato nel 1402 e
finito nel 1825: vorrebbe esser gotico nell'insieme, ma stentato
nell'ornamentazione, senza gusto, senza carattere, goffo e
pretenzioso, coll'alto peristilio che mischia persino dei capitelli
semi-egiziani agli archi acuti, alle colonne allampanate, al terrazzo
sopracarico di tabernacoletti, di sfere, di piramidi, in tutto ha
qualcosa del cartone dipinto a gesso e colla: nell'interno si può
perdonare qualcosa, in vista d'una pittura del Lanino e d'un pulpito
in legno scolpito.
Il Battistero è un tempietto ottagono, di mattoni grossi,
incoronato da tanti arcucci venerandi, con una scoltura che porta
effigiati due putti carnosi, bene atteggiati sullo sfondo di un
colonnato a rigidi profili. Una porticina conduce a un sotterraneo,
un'altra al piano terreno. Il pretino che ci accompagnò ci disse
che giù c'erano due tombe di vescovi: dal mazzo di chiavi una sola
scelse e ci aprì il battistero, nudo, gretto, squallido. De' Melii,
delle lapidi romane e delle notizie che gli domandai intorno al
Galliari, al Cogrosso, al Vacca, al Fea, al Gonin, il povero
schiccheratore di fedi di nascite e di morti ne sapeva come le ragazze
che, colla gabassa sulle spalle, comperano gli zoccoli. San Cassiano
si presenta coll'alto peristilio sbiancato: è chiesa di fondazione
antica, di cui le memorie rimontano al 1200. Ma, povera Arte! Ero
insoddisfatto. Per conto mio, ho guardato e riguardato la porta e la
porticina antica dell'albergo d'Europa, con alcuni dettagli di fascie
robuste, tracce di finestroni, la scoltura dei due angioletti che si
baciano, reggendo lo scudo col motto _Ubi Pax ibi Deus_, e i due stemmi
che spiccano sul campo nero d'un riquadro. Il mio pretino,
eruditissima guida, mi perdonerà se taccio del Seminario, del
Palazzo vescovile, della Trinità, dell'Amministrazione dell'Ospizio
d'Oropa, dell'Ospedale, del S. Paolo, del S. Filippo, ecc., mi saranno
invece grati i lettori se dico loro che nella città vi sono 9
fabbriche di drapperia e filati, 12 depositi di lane e rappresentanze
di case estere, 2 fabbriche di maglie, 8 di bordati, 5 di cappelli, 5
concerie, la grandiosa fonderia di ghisa degli Squindo e l'altra dei
Girelli, la nota cartiera Amosso e la birreria di Menabrea. Sella,
Rosazza, Poma, Bozzalla, Garbaccio, Boussu, Trombetta, nell'industria
hanno tanto nome, quanto splendore avevano nei tempi andati i
Ternengo, la casa Lamarmora, i principi di Masserano, i principi della
Cisterna. Benedetto il Cervo e l'Oropa! Sì, il lavoro ferve
animatissimo dappertutto, sia nei vasti fabbricati che hanno 400
finestroni, da dove rombano le macchine più meravigliose del
progresso, sia sotto ai portichetti smattonatì dove le ragazze,
cantando, impagliano scranne o filano colla conocchia della nonna.
Esempio siano: il lanificio Piacenza a Pollone, la fabbrica dei Poma a
Occhieppo superiore, a Miagliano il cotonificio pure Poma, colle case
degli operai costrutte sul modello di quelle di Mulhouse in Alsazia:
esempio presenti la _fia della Nastasia_ al Favaro. Lo dico con
orgoglio: gli stabilimenti industriali di Biella sommateli voi, io
v'ho date le cifre: 190 sono quelli del Circondario (_Guida del Club
Alpino_, ecc.). Si lavora, si lavora, si lavora, ognuno secondo le
proprie forze: i figli della _fia di Nastasia_ un di mangeranno il pane
che sa di sudore onoratissimo e di lucido acciaio strofinato e di
grasso abbruciato, se pure non lo faranno mangiare agli altri: il
lavoro ha sempre avuto un premio.
Per controbilanciare il poco bene che ho detto di Biella, come
accoglitrice di cose d'Arte, devo parlare e col massimo piacere di
Biella-Piazza, o sia di Biella alta, un gruppo della città, su un
poggio, dove difficilmente capita il viaggiatore per Oropa. Al sommo
dell'erta salita si presenta un edificio del rinascimento, di gusto
squisitissimo, con finestre rettangolari, fascie dipinte di azzurro,
linee egregie, i campi illustrati da storie belligere, gli occhi di
bue, e sotto la gronda le tracce elegantissime degli archetti che
sporgevano a sostenere il tetto. Di sotto al sudiciume, alle moderne
manomissioni, all'opera del tempo, esce un profumo d'Arte gentile,
corretta, spigliata. Di chi fu quella casa? Ho domandato invano.
Nell'interno c'è la fabbrica di maglierie dei Guglielminotti:
domina la sbiancatura e l'adattamento. Nell'istessa viuzza, su cui
dà il fianco, s'incontrano delle fascie di terra cotta, due o tre a
frange trilobate, una a targhette, grifoni e flessuoso svolgersi di
foglie. Il palazzo del principe della Cisterna mostra l'architettura
salda e già capricciosa del cinquecento: portone col poggiuolo
marmoreo, finestre col timpano spezzato e i busti, colonne bozzate, e
all'alto un loggiato d'arconcelli coperto. Lo dicono anche _il
Castello_. Nell'interno ho visitato una torricella colla scala a
chiocciola, i solai spaziosi, adorni di una porta acuta a fascia di
terra cotta, lo scalone nudo, a cui è unita la tradizione della
_morte segreta_, un muraglione cioè pieno di coltelli e trabocchetti,
e finalmente i saloni. Il palazzo è ridotto a filatoio. Ma bisogna
ancora vederle quelle travature, quei freschi a chiaroscuro che
ricingono le somme pareti, quel camino eretto sugli orecchioni, colla
cappa scolpita, ornata, dorata, colle statue sedenti e gli stemmi e
gli stucchi e i finestroni! Bisogna immaginare il decoro sontuoso
degli arazzi, dove ora sporgono le cornici di legno spezzate e i
chiodi ritorti: i mobiloni di noce, le seggiole di broccato, i
ritratti degli avi, dove ora s'ammucchiano i telai spezzati!
L'_ambiente_ è austero. Citerò anche la chiesa di Sant'Anna che
doveva esser bella, se non intervenivano a vituperarla pennello e
cazzuola, sì che pare che i santi del Gaudenzio Ferrari e le sante
stecchite fra le colonnine d'oro spirali, pare rimpiangano i buoni
tempi. Attiguo c'è il palazzo Ternengo, con un cospicuo archivio
patrio, si dice. Poi c'è il Palazzo del Comune, la casa Lamarmora,
quella dei principi di Masserano, ora stabilimento idropatico. Dal
Piazzo volevo scendere in Vernato per gustarvi un bel quadro antico, e
poi a San Sebastiano attratto dal _Cristo_ del Ferrari, dall'_Assunzione_
del Luino, dalla _Trinità_ del Moncalvo, e da altri dipinti di scuola
lombarda e vercellese, che avevo già veduto l'anno scorso: ma
l'amico che mi accompagnava si diceva stanco all'aria della città.
È vero, è calda, è noiosa. Vogliamo respirare.
Giacchè ho incominciato la tiritera parlando di monti, finirò
rendendo il mio omaggio alla simpatica Biella e facendo voti pel suo
Club Alpino. Fu istituito dal signor Giuseppe Corona, è presieduto
da Q. Sella, diretto da Corona Giuseppe e Lodovico Garzena, Amosso,
Pozzo, Prario, Vallino, Vercellone. L'illustrano Sella, l'astronomo
padre Denza, il vescovo Losana, l'erborista Zumaglini. Per un pezzo io
ho avuto tra le mani la Guida edita dalla Direzione: da Piedicavallo,
dall'Alp Pianell, dal Colle della Mologna grande, dal Colle di
Loozonèi, dall'Alp Ober-Loo, da Lomatta, da Gressoney, dal Colle
d'Ollen, da Alagna, da tutti i luoghi in cui verificavo l'ore del mio
orologio con quelle notate dalla Direzione su quel libricciuolo
carissimo, mandavo un saluto a quegli egregi che, istituendo la
società del Club Alpino, preparano all'Italia uomini sani,
entusiasti alle bellezze grandiosissime, desiosi di scuole tanto
larghe, quanto l'anfiteatro dei monti. E di nuovo un saluto!


II

Dopo che abbiamo chiacchierato tanto, vi parrebbe tempo, o signori, di
fare una passeggiatina? Vi sono torrenti scroscianti che c'invitano,
freschissimi castagneti, gruppi di frassini, pendii, scese,
scaglioncini da giardino inglese, frane dirotte, ciclami nicchiati
sotto ai massi stillanti, stradoni e stradette mulattiere, ponti
altissimi e _plance_ traballanti, paesotti, manifatture e castella e
storiche memorie: di lontano sempre i sommi deserti delle Alpi. Volete
carrozze? Biella ne ha a centinaia. Volete cavalli? Eccovi bestie
membrute, colle gaie sonagliere. Volete camminare da alpinisti?
Provvedetevi un paio di scarpe dal calzolaio Crosa di Via Maestra.
Dove si va? All'Ospizio di Oropa. In questo ci arresteremo un po' fra
alcuni giorni: scegliamo per ora le scorse. Si va a Cossila, _lunga e
sottil_, sino allo stabilimento idropatico aperto nel 1858 dal dottor
Vinea ed ora tenuto del dottor Emilio Coda con poco prospere sorti: si va
al Favaro dalla _fia di Nastasia_ e si può salire alla vetta della
Burcina: a Pollone, al grandioso lanificio Piacenza: a Sordevolo, paese
sull'Elvo, dove strepitano le industri macchine del Vercellone, del
Sormano, del Maia, dove ancora si rappresenta eroicomicamente il _mistero
della passione e morte_: all'austero convento della Trappa (1058 m.), fra
le cui tetre rovine d'arcate, di sale, di celle, di refettori, si
scalcinano all'eterno oblio i _moniti salutari_ dipinti; dietro la Trappa
in un piccolo abituro c'è la tomba, colla scritta C. W. 1803, dell'ultimo
di quei laboriosissimi monaci agricoltori: si va all'Ospizio di Graglia,
di cui ciarleremo più sotto: ai due Occhieppo: al villaggio di Graglia:
al castello di Gaglianico, donato nel 1152 da Federigo imperatore al
vescovo Uguccione, il fondatore di Biella-Piazzo: al castello di
Moncavallo: alla vetta del Bricco e al castello di Ternengo, a
Pettinengo, a Mosso: ad Andorno, a Sagliano-Micca, all'Ospizio di san
Giovanni, pei quali luoghi prometto tre ciarle: si va alla Colma
d'Andorno, ai tre Turlo, alla Bocchetta della Sessera: a Tolegno; alle
castella di Perrione, di Verrone, di Valdengo, di Perretto, di
Castellengo, di Repolo, di Masino, d'Azeglio... Volete altro? Non finirei
più: e vi dico che queste sono tutte scorse bellissime che soddisfano
tutti i gusti. La signora troverà la strada comoda o la carrozza, o
strillerà capricciosamente sulla sella dei muli: la ragazza avrà i
fiorellini, i maschiotti le noci da rubacchiare e i prati dove
scorrazzare, saltando le rustiche barriere. C'è un poeta nella comitiva?
Canterà le _chiare, fresche, dolci acque_: intanto che il prete
sberretterà cento cappelle colla Madonna negra, l'uomo serio calcolerà i
_cavalli-vapore_ della tale e tal'altra macchina, l'innamorato, che non
manca mai, vedrà la gonna diletta sventolare voluttuosamente alle
frizzanti aure dell'Elvo, dell'Oropa, del Cervo, e il botanico
incomincierà e proseguirà per non finire:--_Cyclamen europæum, rudici
orbiculari, foliis synanthiis cordato orbiculatis obtusiusculis
denticulates subzonalis lacitis corollæ lanceolatis corollæ fauce
integra. C. æstivum Reich, excurs. 407, C. litorale Sadler. C. officinale
Wend. C. retroflexum. Moeneh apud Duby_... etc. Dove lascio me? Io avrò
sempre da sorridere alle lapidi dei morti e alla formica, che, arrampica,
arrampica, arrampica, vuole scalare i dadi di pietra degli antichi
castelli. Poveri morti e povera formica!
Ho promesso due righe per l'Ospizio di Graglia, per Andorno, Sagliano
e San Giovanni: la sosta la faremo all'Oropa.
L'Ospizio di Graglia sorge a 826 m. sul livello del mare, su di un
colle verdeggiante, fra monti verdeggianti, e signoreggia una pianura
verdeggiante che muore nel glauco nebbioso dell'orizzonte, dall'Elvo
fin oltre il Ticino e a Milano. Ed ecco le Alpi Graie, il Monviso, la
catena degli Appennini, Superga, la cupola di san Gaudenzio di Novara,
l'aguglia del nostro Duomo: e sotto sotto i villaggi dall'Elvo alla
Serra. E per la povera penna la descrizione è finita: nel calamaio
ho solo il nero sbiadito dell'inchiostro e l'acido dell'aceto, negli
occhi ho il sole fulgidissimo, coloritore, diffuso, nel cuore ho una
mestizia indefinita: tra gli ampi spettacoloni e la mia povera pupilla
sempre si pone una lente colle iridi più care, una bella lagrima e
ben calda.... Dite quello che volete: ma è così, e così ho
imparato solitariamente ad amare Madre Natura. L'Ospizio ha una
facciata greggia, con un piccolo corpo avanzato nel mezzo, cioè due
loggiati sovrapposti a tre archi, e un terrazzo al sommo: su un fianco
i mattoni addentellati promettono la continuazione dell'edificio:
dall'interno s'alza una cupola di 38 metri, a foggia di un torrione.
Non squilla nessuna campanetta pei nuovi venuti: non s'invoca nessun
santo, nè si scioglie voto: chi arriva a piedi trova che l'ingresso
al santuario è l'ingresso a una trattoria. L'odore delle bistecche
sale su ai tre corridoi dei tre piani, ove s'allineano gli usci delle
camere ospitali. La chiesa è costrutta secondo la forma di una
croce greca, un po' squallida, un po' fredda, colle pitture della
cupola fatte da Fabrizio Calliari e una statua in legno della Madonna.
Il tutto insieme che aspetto ha? Un aspetto tranquillo, polito e,
diciamolo, melanconico. A me ha fatto l'effetto di una solitudine in
una gran solitudine. Il passeggiare nei freschi corritoi mi sembra una
occupazione da fraticelli vecchissimi: fra il toc-toc degli orologi a
torricella, le gerle delle guide che sono andate alla chiesa o a
succiare l'acqua della fontana, fra i busti dei benefattori, le lapidi
degli insigni visitatori, leggiamo l'uffiziolo, quieti, strascicando
le ciabatte larghe, cogli occhi imbrogliati dal sonno della pace,
passandoci la mano grinzosa sulla testa pelata che luccica di riflessi
d'avorio.... Ah che vita!... O fraticelli, non falliamo l'uscio delle
cellette: elegantissime signore vengono all'Ospizio nei mesi d'estate
e d'autunno, e vi rimangono nove giorni, lasciando al decimo sui
mobili la cipria rosea, e nei cassettoni quei profumi nobilissimi,
indizio ch'è passato un serpente: è vero, entrando in una camera
così abbandonata di fresco si è persino rispettosi dinnanzi al
grande disordine sparso da una piccola manina, e si soffre caramente
un ignoto abbandono, e si ama la cipria e l'_opoponax_. Verrà la
lercia fantesca, affagottata come una monaca, a spolverare i mobili
colla scopa, a spargere il suo tanfo di sudore e di sacristia. D'altro
non so dirvi, perchè non ho letto il libro del teologo Marocco:
_Rimembranze di un viaggio da Torino a Graglia_. Dall'interna piazzuola
sotto il giro degli alberi, dopo avere fatto un sonnellino
ristoratore, colla pancia al sole e la testa all'ombrìa verde, ho
dato uno sguardo alle poche cappelle che vanno su su al monte,
abbrustolandosi al meriggio. Le statue in terra cotta del Tabacchetti
non valevano due soli degli svolazzucci dorati che dal collo
lanuginoso della nostra guida, la _Main_, scappavano sotto le trecce
attorte della gentilissima testina. Povera figliuola! Rammento la sua
tinta bruna, gli occhi ingenui se guardavano, pudichi se erano
guardati, il sorriso confidente dei sedici anni, e quel mento e quel
collino da gran dama! Aveva il suo fazzoletto, la pezzuola, il
corsetto, la gonna, il grembiale, tutto a modo, tutto per lei: due
sole cose mi facevano compassione, le scarpacce e la gerla: quelle
parvero dirmi:--Noi costiamo tanto e tanto!--e questa:--Ho portato
delle colazioni, con molta roba di Dio, su alle cime pei gran signori
che mangiano coi guanti: ma la mia povera padroncina all'inverno,
quando mi colma di legna gelate e mi fa ballare giù, giù giù,
fino al Favaro, trova una minestra lunga e bianca bianca....--Ah,
signori miei, non mi commovo alla polenta ruvida, al latte coagulato,
ai formaggi duri, anzi per me le considero come leccornie capricciose
d'un giorno all'anno, ma la minestra che fa scaldare le mani attorno
alle scodelle, che si mangia a cucchiaiate, che fa tanto bene allo
stomaco, l'auguro saporita a tutti, massime alla povera gente! E in
tutti i giorni dell'anno!... Quando la _Main_ fosse stata sposa (e glie
lo desideravo presto), mi pareva che un grande garofano dovesse su
quei capegli spirare l'aperta allegria di un mattino di maggio, e lei,
volgendo la testina all'insù a prendere ingordamente il sodo
bacione di un bersagliere del Favaro, lei dovesse mostrare tutto il
suo collo, candido di sotto, rispettato dal sole. Sì, _Main_, io ho
amato le tue trecce bionde, lo ripeto ancora, attorte dietro la
testina, e la medaglietta d'Oropa che si perdeva giù fra le modeste
pieghe della tua camiciuola. E ti rammento Graglia perchè là eri
lieta, sollazzevole, senza pensiero. Un dì forse racconterò la
brutta istoria delle tue lagrime, io che le ho viste cadere sulle tue
manine, come le prime gocce di un grande uragano. Non avevi mai
pianto, povera capretta dei monti!
Sino da quando io ero alle prime scuole, fra i _doveri morali e civili_,
che imparavo a sillabare, come tipo di un dovere sublime, mi
giganteggiava innanzi la figura nera di un soldato, di cui mi pareva
rammentarne l'uniforme, coi nastri alle bottoniere, la grande tracolla e
la miccia bituminosa e fumante. Pietro Micca era giù nel sotterraneo, fra
i barili di polvere: suonavano i picconi dei nemici sempre più vicino:
crepitava la fiamma della miccia nel buio. Si udì uno di quei sospiri che
fremono come l'aria del liberissimo mare, quando sembra sdegnoso di
confini: la piccola fiamma--sicurissima--avvampò. Poi successe il caos
che tuona, l'inferno che strugge, sbattendo le ruine al cielo, la
tremenda ridda delle mille viscere squarciate e palpitanti, i rivi di
sangue sulla terra abbrustolata e fessa, i cervelli oscenamente incollati
e le ossa scheggiate. Torino è salva! i francesi distrutti! la rocca è
saltata! Io leggevo e rileggevo quel racconto, e con me i piccolini
sillabanti finivano a guardare il vecchio maestruccio che piangeva.
Eravamo nel 1859: a chi è di già agghiacciato a certi entusiasmi valga
qualcosa la data. È giunto il tempo in cui io ho potuto pellegrinare nel
Biellese a visitare la casetta del martire minatore: ma il mio povero
maestruccio ha finito di addentare mozziconi ultimissimi di sigari e
giace sotto fra le quattr'assi: come l'ho ricordato!... Sagliano-Micca è
la continuazione del borgo d'Andorno: un paese di 2300 abitanti, colla
solita via maestra a case belle e brutte, alcuni lanifici, stabilimenti
di filature, 600 operai fabbricatori di cappelli, un collegio-convitto, e
giù il Cervo strepitante che si mesce alla Moreccia. La casa del Micca dà
in un vicoluccio: due muretti e una scala, ecco tutto. Non vi fila la
vecchia discendente dell'animoso, ma una vecchia Madre, la Patria,
sublimemente silenziosa e presente, sembra alla religione invocare la
santa illusione di una seconda vita. Che Pietro Micca ritorni al suo
focolare e vegga! Ch'egli ancora santifichi questo santuario degli
Italiani! Ch'egli viva eterno giacchè è morto colla fede dei primi
cristiani!... Sei lapidi fregiano gli scheggioni storici della casetta:
_Entra e vedrai il marmo--che ti addita l'umile abituro--del gran
minatore Pietro Micca._
_Pietro Micca--il sesto giorno di marzo 1677--trasse in questa casipola
i natali--il ventesimonono di ottobre 1704 impalmò Maria Pasquale
Bonini--da cui venne allietato del figlio Giacomo--e la memoranda
notte del 29 agosto 1706--allo sboccar delle schiere francesi--nella
vegliata rocca di Torino--incendiando animoso le mine--ostia
volontaria s'immolò alla patria--ammirate nel saglianese--un Codro
novello._
_Amedeo Maria di Savoia duca d'Aosta--il quarto giorno di agosto
1864---visitando non ancora quadrilustre--la casipola di Pietro
Micca--mostrò--di nutrire i sensi del generoso--che alla vita
antepone la patria--ridestò negli animi la speranza--di nuove
glorie all'Italia--e fece atto di viva gratitudine--verso il soldato
pel cui eroismo--la corona ducale fu conservata--e la regia posta in
capo--ai principi di Savoia._
_Giuseppe Garibaldi--il diciannovesimo di giugno 1859--pria di avviarsi
alla guerra italica--inspirandosi all'abituro dell'eroe biellese--il
cui magnanimo sacrificio--salvò il Piemonte dal franco invasore--vi
appose in omaggio del generoso--un serto di fiori--arra certissima del
serto d'alloro--che avrebbe incoronata la fronte--all'eroe niceno--le
cui mirabili gesta tanto conferirono--a redimere la Lombardia--dal
teutono oppressore_.
_A Pietro Micca--morto a difesa d'Italia--contro l'invasione
straniera--nel loco ove nacque--alcuni modenesi--crociati per la
indipendenza della patria--pronti all'armi al cessare della
pace--questa memoria--1848._
_Alla memoria di Pietro Micca--morto eroicamente--nel compimento di un
santo dovere--alcune donne--delle diverse provincie d'Italia--come
esempio ai figli--posero questa lapide--il III agosto_ 1876.
_Salve--Pietro Micca--vera gloria d'Italia--di santissimo
eroismo--splendido esempio--Te fra gli itali campioni--la storia
illustra ed eterna--e Sagliano che ti diè culla--sull'abituro reso
grande da te--nel secondo centenario di tua nascita--pone riverente
questo ricordo--addì 27 agosto 1876._
L'esempio del Micca ha valso: un secolo dopo di lui Giacomo Antonio
Pasquale nelle milizie napoleoniche seppe meritarsi il vanto d'esser nato
(1778) in Sagliano: a Ronzon in Aragona nel 1813, minatore e
sott'ufficiale del genio, con 100 soldati combattè fiera guerra
sotterranea contro 3000 spagnuoli, non cedendo il forte che
onorevolissimamente, dopo la caduta di Lerida e di Maquinenza..--St'anno,
non so perchè anticipandolo, s'è celebrato il secondo centenario del
Micca: non ho veduto apparecchi in Sagliano: so che ci furono discorsi e
banchetti, ma principalmente attesto che il maggiore Pasquina del 17°
fanteria, dalla festa ritornato al nostro stabilimento idropatico, fu
salutato con sincerissimi evviva: egli mostrava fregiato il suo petto da
due medaglie al valor militare e dall'altre delle campagne
dell'Indipendenza. Nell'esercito italiano si continuano le tradizioni
memorande del piccolo esercito piemontese.
Andorno è borgo antico: fu donato dal vescovo Liutprando, da Carlo
il Calvo alla chiesa vercellese, riconfermato da Ottone III: nel 1378
dal vescovo Fieschi venduto a Ibleto di Challand: un anno dopo per la
spontanea dedizione si affidava alla mano leale di Amedeo VI di
Savoia. Il castello colla torre fu un'antica commenda dei cavalieri
gerosolimitani: ora guarda giù, rintonacato alla moderna, e vede le
industrie animose, svariate, produttive: esempio massimo il
cotonificio di Miagliano. Lo stabilimento idropatico (600 m.) così
bene diretto dal dott. Carlo Corte, così frequentato dai milanesi,
flagella le sue docce su morbidi corpicciuoli, candidissimi e nervosi,
dove un dì borbottavano incappucciate e insaccate, giallissime e
linfatiche, le monache cistercensi: e dove si chiudeva come in un
castello l'arcigno vescovo Fieschi, sui bei giardini della montagna,
sugli spiani claustrali scorazzano sanguigni giovanotti, inseguendo
farfalle... o fanciulle. La natura intorno vi è mesta: giù prati
con salici, dossi boscosi di castagneti, edifici bianchi e rumorosi
opifici, e folte case e cielo compiacente. Vi paiono luoghi che
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