Storia di un'anima - 15

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mia mano non avrebbe per l'avanti solo svolte le pagine di qualche
libro, ma si sarebbe stretta a un _alpenstok_; a vespro, per la reazione
del bagno, sceglievo la più erta passeggiata, e su per gli
scheggioni cantarellando, a tratto facendomi silenziosa, pensavo ai
nomi insigni delle Alpi, con cui fregiare il mio bastone dal corno di
camoscio, e pensavo ai libri che si accorderebbero alla poeticissima
contemplazione della natura. No, signora mia, non fui una pigraccia:
col desiderio ho fatto poi di quei voli da conoscere tutta la rosa dei
venti. Se tu ti fossi seduta sull'estremo masso di quel dosso, detto
_dei tre cantoni_! Come non illudere te stessa! Come non credere d'aver
l'ali, dinnanzi un panorama sterminato, che ha solo per raffronto il
mare?
* * *
I più bei dì del mio soggiorno li trovo qui ricordati da sette
ad otto giornali politici, di quelli che non servirono a involgere
niente, tanto grami sono i disutilacci! Essi me li ricordano col loro
bollettino meteorologico: questo segnava per noi un'atmosfera da
caldaia bollente. Grazie tante: da noi non ho veduto mai termometro, e
lo star bene aveva due sole gradazioni superlative.--Sto benissimo.
Sto arcibenissimo.--Vuoi di più, mia cara?
Voi che facevate? I vostri spettacoli cittadini vi persuadevano a quel
sonno che non concedeva madre natura, spietata infuocatrice, e la
vostra languidezza e i vostri sudori non commuovevano il cielo
inesorabilmente azzurro.--Noi che facevamo? Non credere che fossimo
qui per essere solo i martiri dell'acqua ghiacciata: stammi ad
ascoltare, e tu pure applaudirai.
* * *
Entro in argomento, parlandoti addirittura della nostra festa del 24
luglio. Devi sapere che i preparativi servirono a divertire una settimana
prima eccitando desideri e impiegando facoltà pensatrici, perchè tutto
andasse per bene. Fu aperta una sottoscrizione, fu tenuta un'adunanza, fu
eletta una commissione, col nome di una gentile patronessa in capo:
abbiti le iniziali dei due signori direttori,--conte colonnello F,
commendatore colonnello G.--Un programma venne affisso, e la fama gonfiò
le gote, sonando la tromba su a Oropa, per la valle, e giù ai bagnanti
d'Andorno e di Cossilla: così per l'entrata principale dello stabilimento
sfilarono molte gentili spettatrici, e pel cancello che dà al sentiero
dei monti vennero ritrose le guardatrici di mucche, e pieni di voglia i
robusti garzonotti.--Sullo spiano innanzi lo stabilimento, ponendo delle
panche e dei sedili si determinò uno spazio rettangolare: in giro la
gente si affollò, ai posti d'onore sedendo le dame e i cavalieri, dietro,
le ancelle e i valletti, dietro ancora, il popolo minuto; fu dato il
segno: e nella onorata lizza comparvero i campioni.... Sei o sette
giovanotti, i quali entrarono colle gambe in un sacco, se ne strinsero le
funicelle intorno alla vita; e poi al suono di una musica olimpicamente
eccitatrice di muscoli gagliardi, presero a saltare verso la meta,
balzando innanzi come spiritati, e cadendo arrovesciati, impigliandosi, e
sorgendo da animosi.--T'assicuro che proprio bisognava ridere di buon
cuore, e bisognava applaudire, perchè nella gara non c'era punto
pericolo, ma c'era tutta la gioia e tutto lo spettacolo grottesco: si
rise e si battè le mani a tutti, e se pel vincitore non s'intrecciò una
corona classica, poco male, che per lui splendette nelle mani della
patronessa un dieci lire d'oro, caro come un sole. Dopo di che, la lizza
non fu contrastata colla forza, sibbene colle dolci paroline, e le
coppie, dapprima vergognose, poi audaci per gli applausi e pel vicino
tempio di Bacco, largo dispensiero di vini, le coppie del ballo popolare
slanciaronsi, rispondendo all'invito del programma: bagnini, montanari,
bagnine, cameriere, stancarono le gambe, non le voglie, fino all'ora di
cena. Evvivano gli spassi!
* * *
Dopo cena trovammo sullo spiano e sul terrazzo, dondolanti sui fili
all'aria del vespro, tanti palloncini di carta, lisci o crespi, e d'un
colore o di due o di tre: e vedemmo un aereostato salire maestosamente,
su, su e mostrare alle nostre bocche attonite la sua boccaccia infuocata,
e su, e su.... Non scorgemmo più niente: invidiammo gli immensi campi
della poesia azzurra, ci fecimo augurio d'essere palloncini: ma oh! a
rammentare la nostra natura impotente un altro aerostato compagno non
volle spingersi, dondolò, si fe' ribelle a tutti i voti, e cadde a terra,
con una fiamma fugace, ricordandoci quel detto di Salomone sulla vanità
delle vanità..... S'accesero i palloncini variopinti, e da tutte le
finestre dello stabilimento brillarono due candellieri: illuminazione
fastosa ad onore della Dea Salute, e della sua invidiata sorella
Contentezza. Pel contrasto dei lumi, fatti bui il monte e la vallea, lo
spazio allegro parve più ristretto e più affollato: molti rossori si
confusero ai riflessi dei palloncini vermigli, molte ritrosie furono
vinte dall'onda armoniosa, e la danza regnò, esultò, non diede più
stanchezza. Intanto da una rupe di faccia al teatro della gazzarra,
salivano al cielo, squarciando l'aria e crepitando e scoppiando, cento
razzi a pennacchi di fuoco, a gruppi di stelle, a luci vividissime; le
girandole disegnavano vortici di scintille: il bengala tricolore pingeva,
come nei sogni delle fate, il paesaggio sì da farlo credere trasparente:
e un immenso falò finale annunziava a quei di Cossilla e Andorno il
tripudio dei bagnanti confratelli.
* * *
Dopo il falò lo spiano fu animato da fervidissime danze: e
incominciò la festa, la vera festa distinta, nelle sale. Udimmo un
pezzo a quattro mani, eseguito con sì gentile intendimento d'arte
elettissima da farcene per lungo tempo aver caro il ricordo: udimmo un
motivo della _Linda_, che fu un regalo grazioso. Poi fra le danze e i
complimenti, c'intrattenemmo discorrendo della giornata, e ognuno
facendone la chiusura colle più grate lodi. Non era finita, no! Con
grande sorpresa, a dieci ore, squilla la campanetta degli arrivi, e
s'odono la voce del maggiordomo e i passi di nuovi venuti. Chi
saranno? a quest'ora? che?... Entra nella sala un'elegante _dottore
Dulcamara_, con uno spigliato _moretto_: quello pieno di gentilezza per
le signore, e questo di regali: lo _specifico elisire_ ci venne offerto
con canto briosissimo e con lazzi sollazzevoli da eccitare le risa le
più belle. La sera si passò piacevolmente, e a mezzanotte la
sala era ancora lieta e affollata.
* * *
Il dì dopo a mattina, molte camerine di bagno furono deserte, ma a
capo di molti letti posava il mazzetto di fiori offerto, gentile
testimone alla schietta gioia della sera e del placidissimo riposo
della notte.
E s'io ebbi il mazzetto ti confesserò a voce, e in un orecchio ti
dirò....
LAURA.


DALL'OROPA.
(LETTERE ALLA _Vita Nuova_.)


I.

Dallo Stabilimento Idropatico Mazzucchetti.
All'altezza di mille metri press'a poco sul livello del mare, tra il
flagellare rabbioso della doccia orizzontale, della pioggia, del
soffione, della circolare, e le bastonature della colonna mobile e il
rombare cupo dell'acque che s'avventano nelle vasche dei bagni
_scozzesi_, colla massima convinzione affermo e provo che, fra i sorrisi
delle bocche contente, a questo mondo si deve porre non ultimo quello
dell'uomo, che, uscendo di sotto ai freddi portici di uno stabilimento
idropatico, va alla sala di lettura, e, per aspettare la tarda campanella
del pranzo, piglia un giornale qualunque, e due, e tre.... Un giornale?
Che cos'è? Come si fa? Che affaracci ci sono laggiù nel basso mondo?...
Mah? È gran che se l'uomo capisce qualche cosa delle _sessantamila lire_,
dell'articolo di fondo, dei dispacci turchi e dei serbi. Ma ecco il
bollettino meteorologico:--32, 34, 35 gradi! A Milano si bolle come la
minestra, a Bologna si va in brodo, a Firenze si prepara l'arrosto. Oh
implacabile cielo! Cielo, che ti compiaci dei nostri _foulards_ agitati,
degli incessanti ventagli, dei nobili sudori e dei plebei, delle tolette
svelatrici e de' costumi senza foglia o camicia!--Mi pare di vederla
questa Milano!--dice l'uomo:--Vampeggiano i tetti coi mille fumaiuoli
abbrunati, vampeggiano i selciati lucidissimi, vampeggia il Duomo, come
un gigante calcinato dal sole, e sulla maggiore aguglia la povera
Madonnina dorata saetta dei baleni scottanti. La città è mezzo deserta.
Chi ha fretta s'impaccia sotto le tende sporgenti dalle botteghe e magari
sogna una cabina da bagno in riva al mare: corrono gli _omnibus_ e i
_broughams_ sopraccarichi di bauli, colle bianche faccine di dentro, che
vanno a farsi brune, e i cocchieri sul serpe, colla facciona cioccolatte,
che, rubando la corsa al padrone, andranno all'osteria a farsi _biondi_:
gli scolaretti, che all'esame hanno trovato lo scoglio del greco o
dell'algebra, fanno trottare le sartine, e le sartine, nell'odoroso
percale, sudate, rubiconde, rompono l'aria insidiosamente: gli uomini
d'affari hanno comperato il parasole: le sentinelle personificano la
rassegnazione umana: i preti guardano insù; ma solo le portinaie discinte
escono giù cogli annaffiatoi in mano e i numeri del lotto in cuore: il
cielo è un piombo che non lascia sperare una stilla. Chiuse le persiane
dei primi piani, secchi i fiori degli abbaini, colme le tazzone di birra
per gli uomini, e dallo sciame minuto della poveraglia invocati i
sorbetti della carriuola tintinnante.... Oh che arsura! oh che sollione!
oh che vita! Solo godono un po' di fresco le beghine sdentate, che
all'alba lumacano alle chiese chiamate dalla campana pettegola, e i gatti
unghiati, che in ogni ora del giorno scappano alle cantine muffe senza
buscarsi il raffreddore.... Oh, per carità del buon Dio, venga presto la
sera per lasciarci dire: anche oggi è andato! La sera, dopo una
passeggiatina calma e silenziosa, si va al caffè, su una piazzuola, dove
ci sia un filo di verde e ancora qualche abitino assestato alla persona e
qualche scarpetta bassa. Ah! come ci sediamo volentieri! Bell'invenzione,
sapete, quella delle seggiole di legno piegato a vapore, leggiere come
una galla, col sedere che lascia passar l'aria! Facendoci vento col
panama e col fazzoletto, aggiustandoci più in su dei ginocchi le pieghe
sudate dei pantaloni, torcendo la faccia a una buffata di fumo caldo che
c'invia il vicino, ed occhieggiando:--Il tale?--si domanda.--È andato in
campagna, alle acque, ai monti, al mare.--Sì?--Sì.--Eh! ci andrei
anch'io, se....--Che cosa?--(Non si vuole confessare la verità e si
dice:)--Se non avessi affari!--Si è pigri, sissignori: si temono i bauli,
il viaggio, le novità, l'eleganza, le donnine.... Passano i giorni e i
giorni: si rimane soli. Il tale? Partito. Il tal'altro? Partito. Al caffè
non si trova più una persona, che c'inviti a quattro asciuttissime
chiacchiere: la frutta è cara: il caldo addoppia, lo dice il termometro
della Galleria. E come si dorme? Come si ha appetito? Come si passeggia e
si accudisce agli affari? Eh lo sapete, il lenzuolo è di troppo: il
ghiaccio rovina i denti: i boschetti incominciano a perdere il loro verde
intenso, se non piove! Si dorme allo scrittoio, si appisola negli uffizi,
si russa nelle chiese e nelle caserme.... Mi ricordo che in una di quelle
giornatacce da forno m'era saltato un ghiribizzo strano, caldo caldo: eh!
quistione di nervi, sicuro, e vi dirò che....--così ciarla l'uomo, e
lascia il giornale, si guarda l'unghie, che forse sono ancora livide per
la doccia, dà una stropicciata alle mani, vede dalla finestra passare di
fuori, galoppando, una signora imbacuccata nello scialle: si sente un
brivido all'osso sacro e capisce che non ha fatto bene la sua _reazione_.
Allora sorride.... Uomo contento! esce dalla sala, è innondato di sole, è
avvolto nell'aria frizzante, vede monti e valli e cielo e cielo: giù il
piano sterminato: muoiono le tinte verdi nelle azzurre: spiccano
paesetti, città, serpeggiamenti d'acque: poi si stende come un mare
trasparente e celeste, una vastità fantastica, un regno di vapori....
Quell'uomo è contento. Lo volete contentissimo? Supponete ch'egli
sia un giovanotto, il quale non pensi di correre dietro alla signora
infuriata, nella veste da camera, colle ciabatte senza tacco, col naso
rosso e i capegli impastati sulla fronte (marchesa, mi perdoni!):
supponete che salga gli ottanta gradini della scala, fra la parata dei
lenzuoli, e giunga alla sua cameretta. Questa è piccolina, col bel
letto di ferro, gaia, colle persiane rinfrescate da riflessi verdi
chiarissimi, col calamaio secco e la penna rugginosa.... Bene!
Scriviamo agli amici, poco, pochissimo, quello che si potrà: già
ci sono le circostanze attenuanti.... Che cosa scrivere?... Giuro che
la doccia smorza la fiaccola della fantasia, l'orizzontale cambia il
cuore in un pezzo di ghiaccio, e il semicupio ad acqua corrente ci
condanna a bassa prosaccia. Che cosa scrivere?... Nella camerina, ad
un piuolo pende un cappello biellese che ha un mazzetto di _rododendron_
nella ghiera, un fiocco di _mignin_ morbidissimo, una vaniglia, una
_concordia_ e una violetta del pensiero: poveri fiori appassiti in
quattro giorni! Sul tavolo c'è una Guida, con un itinerario attorno
al Monte Rosa, segnato da grandi chiazze bianche che vogliono dire
ghiacciai, da nomi francesi e tedeschi, da vene lattee di torrenti:
lì in un canto c'è un lungo bastone, che, come quello di santo
Antonio, porta legato all'estremità il conforto dei pellegrini:
eccovi la fiaschetta impagliata del rhum.... Il giovanotto lascia la
penna, e colla matita schizza lo stemma del Club Alpino, lo scudo
colla stella, sormontato dall'aquila coll'ali tese, accompagnato dal
cannocchiale, dalle corde, dal piccone, dalla scure. Il giovinetto
lascia la matita e rimane appensato. Non sono i monotoni ricordi della
città! Non l'acre ridestarsi di quei ghiribizzi strani, che si
guariscono coll'idropatia! No, no, no!... È la sana, la
liberissima, la grande aria dell'Alpi, che, per così dire, irrompe
nella cameretta a dare sfondi, a ricolorire monti e valli e cielo
nella fantasia dell'uomo innamorato!
Ecco come pensa il giovinetto:--Quanti bei luoghi ho veduto! Come
voglio rammentarli ancora! Oh mio caro _rododendron_!... È mattina.
Tutto il mondo a quest'ora, ai nostri occhi ancora sonnolenti, pare
debba essere una valle bassa bassa, e la valle, in fondo a cui
c'incamminiamo noi, la ci sembra la più seppellita; violastra,
fredda, tutta un'ombra senza un'ombra. Non c'è luna: l'ultima
stella della notte sgorga tanta luce che pare avanzi dritta e
velocissima verso la nostra pupilla; è immota, non splende per chi
muore, è solo un gioiello per la misteriosa immobilità dei
cieli. Mugge un invisibile torrente; perdendosi nei faggi opachi,
corre alla notte che noi abbiamo lasciato alle spalle, nel paesetto. A
quest'ora ineffabile l'aria e la luce pare si confondano: il
crepuscolo lo diciamo freddo, il vento oscuro: la risultante una
sola--Pace grandiosa. Taciono i monti. Noi scambiarne le prime parole
colla ragazza che ci serve di guida, pel bisogno di sentire una voce
umana in tanto deserto: lei, col guarnellino, la gerla sulle spalle,
dice che ha accompagnato ieri e l'altr'ieri tanti signori, e hanno
fatto colazione, con tanta allegria.... Davvero a quest'ora ci
rincrescerebbe morire, ai piedi di questi altissimi monti.... Il cielo
s'è schiarito un po': i mille accidenti delle spaccature, delle
gobbe, delle creste, delle valli, prendono rilievo: ma ancora regna
l'intonazione violastra, più netta, più larga, più fredda.
Col piede si schivano i rigagnoletti, danno stringicore i fiori che
dondolano all'ondina piangente, ci fanno abbrividire i pratelli
irrugiadati. Il cielo s'è schiarito ancor più: come? quando? Su
un estremo picco la luce del sole ha dipinto una pezza di
rosso-carminio. È il mattino: con questa parola si dice tutto!
Già canta un fringuello. Camminiamo, su, su! Sotto ai faggi dalle
cortecce lucenti e dalle foglie ovate, sugli scheggioni, di qua, di
là, per le breccie dei macigni e sulle schiene, poi sui pendii
sparsi di massi rotolati e d'altri conficcati, poi sui sentieruzzi
teneri, spolverizzati di squamucce d'argento, tra le selvette fresche
di felci, si cammina e si cammina.... Il sole scappa giù ampio e
gaio: fra poco ci coloriremo a' suoi raggi.... Siamo all'_alp_. È una
cascina di pietre ammucchiate, col tetto di lastre micacee, col
fienile, la stalla, la fontana che trabocca dal tubo di legno: il
sentiero fangoso, puzzolente, trito da cento unghie, accompagna ai
pascoli, alle grotte sotto cui hanno dormito le capre, fra gli enormi
massi vellutati d'efflorescenze verdicce. All'_alp_ si beve il latte
nella _biella_, nella cucina affumicata, sui trespoli, tra le fascine, i
secchi gialli e le macchiette dei vecchi pastori in calze groppose, e
quelle dei bimbi seminudi: le ragazze corrono alla fontana. Una sola
finestra scaccia il fumo e fa entrare la luce: chi non vede un pezzo
di montagna festante al sole, da quella balestriera livida, angolosa,
abbruciata e slavata! Chi non sente sotto, dalle fessure del pavimento
di legno, le vacche agitare i collaracci e magari il latte schizzare
con suono acuto nel vaso di rame della massaia! Chi non ha comperato
un cucchiaio di legno!... Quando ci siamo nuovamente incamminati, la
guida ci si fa un po' più vicina, non ci precede più di venti
passi, ma solo di cinque (la colazione ha messo tra noi un po' di
confidenza), e non risponde più quell'asciutto--_Sissgnor_--ma, cogli
occhi bassi, muove la manina ad accennare qualche fiore, qualche erba:
ecco la genziana aromatica e la _mattutina_ profumata (sassifraga) e i
garofanetti coi petali a ritagli minutissimi. La guida è una bella
ragazza, dritta come un bersagliere, tondina, piccola, bionda: ha dato
i fastidi _a rangé_, canterella sottovoce, e si arrischia anche a
risponderci che si chiama _Main...._ Sul monte non crescono più
arbusti di carpini, nè frassini, nè faggi: solo scheggioni fessi
e macigni e zolle inaridite. Sui pendii s'affollano le felci: qua
calpestate pesantemente da poco mostrano come un sentiero nuovo,
svelando tra il verde gaio dell'insieme il verde freddo delle loro
pagine inferiori: altrove schiantate da un pezzo e disseccate appaiono
come cuprei ricami: su su digradano ondulando. Incomincia una frana
sconvolta, un torrente secco: i cespi del _rododendron ferrugineum_
sbucano da ogni crepaccio ove ci sia una manciata di terra,
ricchissimamente adorni di fiori vermigli: alcuni corimbi staccano
sulle tinte cineree-lucenti delle pietre, altri sul cielo azzurro di
sette azzurri, altri sui guancialetti dell'erica che odora di
miele.... Oh meraviglia! suona un campanaccio grave: dòn dòn,
dodòn, dodòn: una vacca appare, col muso gemmato d'acqua, le
corna sporche di terra, con una bava che fila giù dalle mascelle
spostate dal ruminare: sbarra gli occhioni, colla coda sferza una
mosca, poi sprofonda la gamba nana nei cespi di _rododendron,_
sviluppando l'adipe del tardo corpaccio, strascinando le densissime
mammelle sui fiori gentili. Suona un altro campanaccio, e un altro, e
un altro: è un concerto da festa. Vediamo l'intera mandra: il
pastore su un'eminenza s'appoggia al bastone, come un cavaliere al
lanciotto: le caprette colle gambe lanose e divaricate, sporgendo il
collo, s'arrampicano sui tetti delle stalle o sui grandi basamenti dei
macigni.... E canta il pastore:--_L'America l'è granda_--: muggono le
vacche: e le caprette col tremulo belato fingono le cornamuse
nasali...
È mezzogiorno. Dal colle si domina il portentoso anfiteatro dei
monti: monti rocciosi a destra, a sinistra, giù la _comba_ aperta che
dà origine a una voragine profondissima, il principio di un'altra
valle laterale che si perde Dio sa dove: in fondo, alta, vi è una
cima dentata, dalle abbaglianti pezze di serico bianco che si spiegano
e si stratagliano sui ghiacciai. È impossibile dire le tinte
violastre dell'ombre lontane trasparentissime, su cui si fondono i
larici, e impiccioliscono, e fanno selve bluastre e s'inerpicano sulle
torri di fantastiche ruine. Il sole è grande colorista. Eccoci ai
larici dal fusto eretto, dai rami cadenti, dalle foglie lucide di
mille ispidi aghetti e flessuose ad ogni vento: eccoci ai coni
crocchianti, all'erbe dei camosci, ai radiconi che disegnano informi
spine dorsali di mostri, alle scalee ammucchiate dai giganti, ai
ginepri tenacissimi. Il sole scalda l'acro odore delle cortecce. Qua,
da un'insenatura umida e lucida come acciaio, un torrente sembra con
cento braccia cadere aggrappandosi di picco in picco: là invece
tranquillo, spiegato, maestoso, si abbandona giù come un velo di
limatura d'argento: il rombo è il misterioso _crescendo_ degli
abissi: ogni dove con prorotto singhiozzo nelle tane scavate
gorgogliano acque sotterranee. Certe locuste, saltabeccando da
stordite in ogni direzione, vibrano seccamente colle ali: dall'alto
gridano le marmotte.... Dove siamo? A quale altezza? In una conca
strozzata fra i macigni c'è una bella isoletta di neve. La neve? La
neve ai tanti di agosto! Facciamo subito un _punch frappé_. La neve!
Si tocca, si mangia, si vede scintillare, si getta nella gerla di
_Main_... Il terreno è fracido: s'è fusa la neve il giorno prima,
ed oggi è nato un fiorello azzurro melanconico: più su, come
pennacchietti orientali, tremolano i fiocchi argentei del _mignin,_
odora il gratissimo fiore della _concordia,_ l'amaranto che dà il
responso dalle radici a chi lo vuole interrogare. Più in su ancora
all'_alp_ di nitido larice, la fanciulla nitidissima, che veste di panno
rosso, parla il tedesco dai denti stretti e legge il libricciuolo
della messa stampato a Kemden e col legno imprime sul burro le cifre
col rosone del babbo, nella _coulisse_ piccina della sua finestrella
specchiante, la fanciulla che sorride ha posto un mazzolino di viole
del pensiero, esili, rigide di contorni, pallide, odorose, insieme
alla cara vaniglia dell'Alpi. Più in su ancora si cammina sulla
neve, il piede freddo, l'occhio infastidito dalla vasta bianchezza, la
mano stretta al bastone, il collo saettato dal sole: e su e su: si
sdrucciola e si ride. Ma che! in fondo c'è un precipizio: finisce o
non finisce questo tappeto, che addoppia le tinte abbrustolate delle
cime? Qui vicino ai massi sporgenti e neri il piede rompe una fragile
crosta insudiciata: là la monotona eguaglianza è tolta da
strisce che vi lasciarono le trosce d'acqua: là si avvalla ed è
ondeggiata. La nostra ragazza procede dritta, senza fallare,
equilibrata, colla gerla sulle spalle, e ride alla nostra
domanda:--Finisce o non finisce?--Chi s'arresta, sdrucciola: chi
s'imbizzisce, falla: chi sdrucciola e chi falla arrischia di rifare il
cammino in meno di dieci minuti fino al fondo. E su e su, ci
arrampichiamo poggiando i piedi nell'orme profonde lasciate dalla
guida: crepita la neve e s'ode il nostro anelito frequente.--Ohe, che
gioco lungo!--dico io, e mi sento floscio ed annoiato.... Oh santa
fiaschetta del rhum, ti benedico, ti voglio, ti bacio! A te devo il
passo sicuro, l'occhio indagatore, il petto ristorato: più la
sorsata m'arde la gola, più mi pare di divenire un piccolo re della
natura. Bevi, bevi anche tu, bionda fanciulla: alla cima urleremo a
squarciagola il grido selvaggio dei pastori.... Chi ha detto ch'io
sono stanco? Ch'io casco sulla neve?... Vedremo i laghetti freddi e le
vacche immote sulle rive a specchiarsi e le pecore lanose sdraiate sui
pendii e i corti vitelli dalle gambe lunghe, che labbreggiano cercando
le mamme, e le mandriane brune che addormono in grembo la testa del
mandriano.... Udiste il nostro grido d'allegria?
È sera. Il cielo al suo cobalto mischia il nero: addensa la tinta:
taciono i monti e si aggravano sulle valli: non stride un grillo, non
geme un uccello, ma solo rombano i torrenti. Io guardo le cime e mi
domando:--Se dovessi ancora salire lassù nel tenebrore? Una notte
tra i faggi e le balze? Senza provvisioni?--e cammino tacitamente e
spio il volto della ragazza, che di rubicondo e sanissimo, s'è
fatto freddiccio e violaceo: fiori ed erbe e sassi e ruscelli
sereneranno tranquilli: alle stelle mi sento quasi tentato di dire:--A
che vi affollate in questa zona di cielo? Non vi è pupilla che vi
contempli, non v'è dolore, non v'è amore!--.... Sfilano le
vacche, ciondolando i campanacci e smottando il terreno: le conto,
una, due, quattro, sei.... Non le conto più: ascolto dei sospiri
gravissimi, dei fruscii, delle note sorde: non è il dodòn,
dodòn, no, ma un tardo addio. Si sbandano ancora le caprette, ma
trottando, quasi paurose di slontanarsi dalla torma: ballonzano
pesantemente i montoni, come cose balorde: segue il mandriano con un
fascio di radiconi sul capo.... Si vorrebbe udire un suono di campana
benedetta, vedere un cimiterio, passare innanzi a un'osteria dal
focolare vampeggiente: insomma accorgerci del massimo beneficio degli
uomini stretti in società, l'aiuto, il ricordo, la speranza,
l'oste, il prete.... Si pensa saltando di sasso in sasso:--È questo
il sentiero che deve battere il medico condotto, se è chiamato di
notte da chi non istà bene? Oh che luoghi! E lo speziale? Vorrei
vederla quella bottega, io che mi prendo le medicine inglesi! Oh che
gente! Eppure qui si vive tutto l'anno da migliaia d'anni, qui si
nasce e si muore e si ignora che c'è la città, la nostra
città, che ci sono io che a st'ora mi sento ed ho grandi
bisogni!--Cala sempre più la notte.... Di lontano, dei lumi! Ci
guardiamo di dietro per gustare di più la tetra oscurità senza
compassione, e poi affisarci nei punti rossigni, provvisti, carissimi,
umani.... Aaah! I nomi di Ludwigs Höhe, di Parrospitze, di
Signalkuppe, di Schwarzhorn, e cent'altri, che ci si ficcarono tutto
il giorno nel desiderio ambizioso, diventano strani, crudeli,
ghiacciati: vengono insidiosissimi e saporiti, per così dire, nella
gola quei battesimi ambrosiani delle nostre buone donne di servizio:
se la Peppa ci desse qui un _risottino_ fumante! Se Perpetua allagasse
di _conza_ un piattone di stufato!... Aaah!...
* * *
Arriviamo al paese, all'albergo, ai grandi lumi, caldi e vivissimi: la
guida ci precede: ci viene incontro una cameriera tutta in chiaro.... Che
effetto strano in quell'eleganza! Giacchè l'abbiamo abbandonata, ci
volgiamo indietro all'oscurità, a gettare uno sguardo alle prime luci che
incomincia a nevicare giù la luna: a quest'ora, al termine del
pellegrinaggio, siamo quasi dolenti di non soffrire più privazioni,
d'esser giunti, d'esser sicuri: con stringicore ci sovveniamo di
qualcosa, di qualcuno, di qualcuna: è un lampo di poesia, la chiusa, la
consacrazione della giornata. Il mio amico pensa di sicuro:--Se mia
cugina vedesse dove sono!--ed io sospiro:--La mia povera Tea è in
collegio!--Squilla una campanella per noi. La gente che c'è, donnine
avvolte nelle ciarpe e uomini in _gilé_ bianco, s'affaccia ai nuovi
venuti, lì dallo spiano del terrazzo, qua dalla _lobia_ del _châlet_. Oh
seccature! oh figurini profumati! oh statuette di porcellana! Suona un
pianoforte: e s'odono delle risa inviziatelle, aristocratiche,
maliziose.... Noi, un po' orsi, pesanti, impolverati, goffi, rizziamo il
capo facendo dondolare sul cappello il mazzetto di fiori.--Mi
rincresce,--dice la cameriera:--ma la _table d'hôte_ è finita.--(Meglio!
meglio!)--Mi spiace, ma....--Non importa: arriviamo da....--giù un
nomaccio:--Ceneremo da alpinisti.--A cena, sulla candida tovaglia, fra le
posate e le bottiglie lustranti, fra le boccette della senape e di
cent'altre leccornie obliate da noi, in mezzo a tante meraviglie, apriamo
e riapriamo la Guida: il seguire sulla carta il viaggio e il pronunciare
delle sillabe, _spitze_ ed _höhe_, sul musino bianco e pastosello delle
cameriere è la gioia che fa passare ogni stanchezza: i bei nomoni sono
come il pepe delle vivande che si mangiano. Stamattina, questi nomi erano
muti, _colle, passo, comba, alp, cima, horn_, erano bianco su nero,
parole: a quest'ora sono quel che sono!--Si guarda l'itinerario pel
domani: e quei nuovi nomi, quelle nuove _x_ diventano desideri
ardentissimi. E si ciarla, si ciarla, poi si prendono dalla caminiera del
salon i biglietti litografati dell'_Hôtel et Pension_, si leggono le
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