Storia di un'anima - 14

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La tomba è un leggìo sul quale la eguaglianza depone il volume
chiuso d'ogni mortale, co' suoi fogli bianchi e neri: la verità
rompe i suggelli e spalanca ai vivi le pagine un dì più
nascoste.

Ai nostri dì nei sacrari si è introdotta una mitologia
bottegaia, De' successori degli apostoli i più, come gli auguri
romani, non possono guardarsi in faccia senza ridere: i molti
abbassano gli occhi: pochissimi sanno levare la fronte alla croce, e
levarla sorridendo. Ricordati: a te ministro di religione sia il
cuore.

Amare l'arte significa sublimare l'ideale. Le civiltà antiche sono
come i quadranti solari della umanità su cui l'idea radiante del
Sommo Perfetto, segnò gli anni del progresso.

Cerca la solitudine: in essa troverai te stessa, e alla natura leverai
l'immenso inno dell'amore.

Ho letto i libri dei filosofi ed ho riso: ho baciato la madre ed ho
sorriso.

Osserva che il giorno, cioè la vita quotidiana, è luce, è
lavoro, cui succede il crepuscolo, la semiluce, la pace. Siccome
natura provvida ha fatto il giorno lungo pei bisogni della vita, il
crepuscolo breve alla poesia, così la operosità dell'uomo è
duratura, la bellezza della donna è fuggente.

La modestia sia la Vestale attentissima pel fuoco sacro che hai nel
cuore.

L'anima nostra è tale che a volte sia piccina a contenere una
goccia di rugiada, a volte sia troppo vasta per contenere i mari.

Opera la carità col cuore, che è carità indefinita, non colla
mano, che è misurata.

L'anima precorre tempo e spazio, e non è come l'occhio, che crede
cominci il cielo dove comincia l'orizzonte.

Meditai, cercando la solitudine, e scrissi appoggiandomi al muro di un
cimitero. Guardando il cielo fra i neri boschi e sorridendo
nell'azzurro alle larve della fantasia, io credetti d'avere pensato a
qualcosa: contemplando le croci del tristissimo campo, m'accorsi che i
miei pensieri furono deliri di mente malata. Tutto finisce! E che
resterà di queste pagine?


CORRISPONDENZE.


DALL'OROPA.
(LETTERE DI LAURA ALL'AMICA).


I.

Oropa, 11 luglio 1874.
_Amica_,
Credimi, amica mia, accompagnare questa data di tempo, 11 luglio, con
quest'altra cara di luogo è una vera fortuna: io lo so! Ieri notte
a Milano agitavo il ventaglio sì rabbiosamente da lacerarlo, oggi a
sera, guardando sui monti i lumi accesi, indovinavo i focolari, e
senza affatto paura tra la queta famiglia dei boscaioli fingevo un
posticino anche per me ad ascoltare le vecchie istorie delle valli.
Toltami finalmente all'afa di Milano e rinfrescatemi le labbra con
un'acqua purissima, sento bisogno di fare qualcosa o per lo meno di
chiacchierare un pochino. Se mi ascolti, quando ti rivedrò prometto
farti tanti baci di più, e di dirti ancora la mia compiacentissima
amica.
Da Milano a Biella voler descrivere il viaggio sarebbe come
dire:--Leggi l'orario e ti divertirai!--Sì, una monotonia, un
piano, una noia da far piangere, quando si rammentino le vetture dei
nostri nonni. Almeno noi ebbimo l'aiuto del vapore; e la locomotiva,
sbuffando una negra tempesta mischiata alle faville ed alla polvere,
ci tolse in fretta alle immense praterie, alle adacquatrici maestre,
ai campi di granoturco, alle filarate di gelsi, e via via.
A Biella ti s'allarga il cuore: la collina è gaia, la macchia
generale del paese viva e svariata, le montagne a sfondo, se sono
belle pei pittori, sono bellissime certo e buonissime per due poveri
occhi stanchi di tutto, persino dei _pince-nez_ affumicati, per due
meschini polmoni, nati proprio per l'aria dell'Alpi. Ma ahimè!
bisogna prepararci ad uno strazio! scesi appena dal vagone, una turba
di monellacci-vetturini così assedia i viaggiatori, che andarne
illesi con tutto l'abito a posto o senza una trafittura nel cervello,
è cosa da schizzare un quadretto e recarlo votivamente al
Santuario.--Oropa! Oropa! Oropa!--scoppia il grido d'ogni parte, e
schioccano le fruste e imbizzarriscono le bestie. Lah! tiriamo innanzi
colla carrozza. Biella non saprei giudicarla, così di sfuggita: ha
portici, chiese a colonnati classici, vie discrete, ma insomma le
muraglie danno sempre l'idea del caldo; riposiamo dunque lo sguardo
sulla verzura, l'immensa verzura che, assumendo cento toni, si stende
nelle valli, pare si rannicchi nelle gole, s'inazzurra nei lontani
sfondi, trionfa sui monti, e finisce alle cime con qualche ciuffetto
che stacca sul cielo come una pennellata bizzarra. Le strade
abbenchè erte sono bellissime e senza scheggloni, e per lo più
ombreggiate, ma con tante e tante svolte sì che le quattro miglia
da Biella a Oropa fanno un viaggetto di un paio d'ore. A sinistra
s'incontra lo stabilimento idroterapico di Cossilla, un bianco
fabbricato tutto ad archi acuti soprapposti, elegante, tale che
l'immaginazione dentro ci gioca, cercando l'insidia degli sprazzi
d'acqua, e, forse più, degli sprazzi di luce de' begli occhi. Una
signora in veste da camera stancamente si sorreggeva ad una colonnina
di un loggiato, e pareva una figura veneta, nell'attesa della gondola
tizianesca. Poi la strada s'inerpica e lascia giù vedere, oltre
l'insieme grandioso, i dettagli pittorici di certi ponticelli di
legno, certe chiuse fresche, e siepi e casette e cascate e rompimenti,
e certe nicchie erbose da destare la vocazione d'eremita. Oh! cara
mia, non voglio dimenticare le belle macchiette: le donne e gli uomini
attendono ai lavori, non ci alzano il capo incontro, ond'io solamente
ti so dire che recano falcioni da fieno e corbe, o tranquillamente
girano il fuso della conocchia o impagliano scranne: ma i bimbi e le
ragazzine sono creature con una faccia bellamente audace, con un corpo
tondo, sodo, sicurissimo, macchiette da acquerellare sul tuo album.
Non so i nomi dei paeselli: so bensì che in ognuno c'è una
fontana ristoratrice. Lo stabilimento idroterapico che di quando in
quando ci addita il vetturale colla sua frusta, si viene avvicinando
all'occhio, con grande inganno, perchè la strada raddoppia i giri
ed i rigiri. Un po' di pazienza ancora. Infanto ci sono sempre da
ammirare i bei massi quarzosi, i pendii sparsi di fieno falciato, e i
castagni che curvano i loro rami con protezione sui passeggiatori.
Eccoci alio stabilmento Mazzucchetti. È una casa grande, bianca,
con tante finestrine da collegio, un terrazzo, una scalea, i
portichetti, un tutt'insieme che mi rammenta i muraglioni scabri della
riviera genovese e le cellette di Monte San Bernardo. I lenzuoli tesi
ad asciugare, l'aria frizzante, e qualche signora accoccolata su un
panchetto collo scialle, fanno subito pensare, con un moto di
pigrizia:--Io non sono ammalata! Dio sa che bagni freddi!--Poi ci
consoliamo entrando e chiedendo dopo il viaggio il tranquillo
lettuccio. Ancora ci stringiamo nelle spalle, passando per un
corritojo appoggiato ad una roccia stillante e per gli altri ancora
soprapposti, come nella costruzione dei conventi. È inutile che io
ti descriva la mia cameretta; quello che ti voglio dire è che la
sento freschissima, e corro a spalancarne le finestre. Una guarda
giù verso Biella, ove digradano le montagne, e là si stende un
piano azzurro sterminato, una diffusione di vapori che solo ti
rammenta il mare. E come lo rammentai! Pensai a Lucy che in questi
giorni sarà a Pegli, candida nuotatrice delle ore cocenti, mesta,
poeticissima indovina dei dolori altrui, quando la sera sederà alla
spiaggia, interrogando il gran libro del cielo! L'altra mia finestra
guarda su verso il Santuario le montagne paonazzicce e verdi, separate
alle falde dalla striscia sassosa del torrente: vedo certe casette,
che mi rammentano i miei giocattoli di un dì, le bell'ombre
invitanti alla lettura, le bianche cappelle che segnano la via alla
chiesa.--Cara mia, la penna vale niente: colla matita mi sforzerò
di mostrarti qualcosa al mio ritorno.
Per oggi non posso dirti nient'altro, perchè non istetti insieme ai
bagnanti, nè mi ghiacciai coll'acqua salutare. Ma domani
comincerò a far annotazioni.
Da una finestra vedo dei parasoli chiari spargersi sul terrazzo, e
sott'essi degli abiti di foulard crudo; qualche fanciullo cattivello
correre all'impazzata; e quattro uomini sedersi coi giornali in mano.
Dall'altra vedo niente; solo ascolto le gentilissime voci di una
conversazione francese nella quale a vece di punti e virgole ci sono
delle risa: e giù il fragore delle acque cadenti e il sonare dei
campanacci delle mandre su per i pendii.
Ti dirò solo come io so che nello stabilimento c'è ogni sorta di
cure, sala di lettura, sala da ballo, sala da bigliardo, posta,
ufficio telegrafico, _coiffeur_ ecc. Spero di trovarmi bene: un
vantaggio grande che si ha dal bevere a questi zampilli montani si
è quello del'obblio: sì, io ho dimenticato che ieri a Milano
soffocavo!... Ma sopraggiunge la sera colle nebbioline nelle valli e
col suono delle avemmarie: ti vorrei avere vicina, e vorrei che Lucy
colle sue manine ci aprisse il volumetto dell'Aleardi. Che begli
istanti sarebbero! Che amorosissima pace!
Scusami se chiudo l'Aleardi, ma gli è perchè passeggiando sul
terrazzo mi viene incontro una signora. Porta essa una casacca
assettata con baschine ripiegate, in casimiro, riccamente guarnita di
ricamo, imperlata di lustrino. Tu la conosci: è la contessa V. di
Napoli: ed io pure la conobbi ai bagni dell'Ardenza. Dà la colpa a
lei, m'interrompe la lettura e mi conduce a passeggiare.
A rivederci adunque.
LAURA.


II.

Oropa, 23 luglio 1874,
_Amica_,
Scrivere questa lettera è per me un peccatuccio che mi punge la
coscienza. Difatti, lodare i monti, l'aria freschissima, l'acqua
salutare, la vita montana, a chi proprio non vede che i muraglioni
soffocanti di una città, e spalanca le labbra, invano supplicando
al giardino del caffè Cova un alito di vento ossigenato e una tazza
sudata di acqua ristoratrice, lodare, dico, ciò che io gusto e
altri invidia con troppo ardore, non mi pare una bella cosa. Ma dunque
dovrei tacere? No, certo: e tu non vuoi perchè mi stuzzichi con
lettere nelle quali paiono messi giù da te apposta i termini di
paragone fra le mie giornate e le tue. La colpa è a metà: bada
che dico alla mia coscienza di mettersi tranquilla, e intingo la
penna.
Da due settimane sono a Oropa, e per quanto abbia pensato a
riscriverti, davvero non mi ci sono mai decisa, non sapendo come
incominciare le mie descrizioni. Se ti dicessi le giornate tali quali
sono, farei un guazzabuglio da spaventarti: capisco che bisogna
mettere ordine.
Penso e ripenso.... Pure non so raccogliere le idee principali, e a
queste subordinare le secondarie: sai, gli schizzi che ho fatto colla
matita mi guastarono anche la penna.
Come mi sbrigo? Fa conto ch'io abbia tra le mani il tuo albo e
sbizzarrisca di foglietto in foglietto.
* * *
Sappi dunque, amica cara, che al mattino non mi sveglierebbero punto i
canti delle falciatrici di fieno, nè il rumore delle scarpacce dei
pastori, nè il muggito delle acque cadenti. No! ma mi sveglia,
picchiando sull'uscio colla nocca delle dita, la _bagnina_, che ha tanto
coraggio d'augurarmi il _buon giorno!_ Cattivissima e ruvida, a cinque
ore! Sonnolenta, brontolona, freddolosa, raccolgo le poche robe, mi
involgo in uno sciallo, e scendo al bagno. L'acqua è così fredda
che manda il sonno a mille miglia, e, stringendo le gambe e le braccia
come con tante anella d'acciaio tagliente, fa sentire strapotente il
bisogno di un moto il più accelerato. Gli è in quest'ora che pei
corritoi vedi correre gli uomini imbacuccati nelle copertone di lana,
e le signore scendere in giardino al primo raggio di sole.
* * *
Dopo la colazione, ad ore otto, lo Stabilimento a poco a poco si
acquieta: i signori escono a passeggio, e di solito verso il santuario
dì Oropa, le signore si chiudono nelle camere: solo si vede qualche
crocchio di politici, in cui biancheggia la _Gazzetta del Popolo_,
l'_Opinione_, la _Nazione_ e altre carte imbrattate: qualche romantica e
qualche romantico, coll'albo o con un libro, si dilungano giù pei
viali ombreggiati del monte. Buon disegno e buona lettura. Per me li
ammiro e vorrei.... Ma oh! vedi prosaccia, batto i denti, solo
pensando che m'aspettano, a undici ore, la _doccia_ e l'_orizzontale_.
Sai, amica mia, e l'una e l'altra danno tante migliaia di trafitture
di ghiacciuoli spietatissimi, sì che ci sarebbe da gridare,
credendo di essere conci come pelli da crivello!
* * *
Alle dodici e mezza squilla la campanella del pranzo. A tavola ti
presento conti e contesse, marchesi e marchese, e cavalieri e
ufficiali e commendatori: ti mostro abiti elegantissimi, pizzi, gioie
e pettinature; ti faccio ascoltare discorsi in fiorentino aspirato, in
ruvido piemontese, in italiano guasto da labbra milanesi, in rapido
veneziano, in pretto genovese. Mescola tutto assieme: tra la
vanità, la pompa, le chiacchiere, esce una sola risultante, data da
madre natura: una fame impaziente. Ond'è che i medaglioni stemmati
oscillano prosaicamente da un collo bianco su un piatto di zuppa, un
panetto o una dozzina di _grissini_ valgono un pizzo, da cento labbra
fuggono le eleganti vacuità per dare adito alla forchetta. Signor
medico cavaliere, evviva dunque la cara idropatica, che dà buon
sapore alla cucina!
* * *
Dopo pranzo c'è la sfilata all'ufficio della posta. Di loro,
signori uomini, non mi occupo: parlo delle mie consorelle peccatrici
di vanità. Vedo sottane in seta adorne di pieghettati in granadina,
guarniture di ricami bianchi, corsetti a punta davanti e a baschina di
dietro, fisciù in granadina, arricciature in tulle di Bruxelles,
gonne con sbiechi di velluto, tuniche polacche, cappelli a veli
svolazzanti, e via e via. In particolare poi ti cito la contessa B. di
Torino, le due contesse R. e S. di Firenze, la marchesa S. di
Piacenza, la contessa C. di Milano.
* * *
Il terzo bagno non merita di essere nominato: e la cena si assomiglia
al pranzo. Dunque sto zitta: e attendo la sera.
A sera c'è radunata nel salone, si fanno crocchi, si ballano dei
lancieri e delle quadriglie, si chiacchiera....
Vuoi ascoltare? Mi fai un verissimo piacere: perchè così rompo
l'ordine cronologico, e salto con te di palo in frasca.
--Dunque che mi dice, contessa?
--Che vuole, commendatore?
--Innanzi tutto, notizie della sua salute.
--Oh la va per benino. L'aria è fresca, l'acqua frizzante, ma la
cucina.... la cucina!
Sdruccioliamo nella prosa. ti consiglio a cambiar posto.
* * *
--C'è nessuna sociabilità: io non so perchè, Perchè coi
nuovi venuti si è così discortesi? Non dovrebbero gli ospiti
vecchi fare gli onori di casa ai nuovi? Si sa, la noia stizzosa dei
primi giorni fa andar a male la cura.
--Perchè, dice? Perchè l'Italia è fatta, ma non sono fatti
gli italiani.
Qui si dicono belle verità: cambia crocchio o saresti segnata a
dito.
* * *
--Sì, sì, l'ho veduto il corsetto.
--Com'era?
--Era aperto a cuore: aveva un fisciù in granadina nera e malva:
lo stesso ricamo forma attorno delle conchiglie spiegate: una
arricciatura....
Ti diverti? Credo che il _Mode_ tu l'abbia già letto.
* * *
--Questo stabilimento manca di molte cose,
--Ha mille ragioni.
--Manca di sala da lettura, di gabinetti di fiori, di libri, di
musiche.
--E poi, sa, le signore devono inerpicarsi su al santuario per la
messa della domenica! L'erta è difficile.
--A questo si provvederà. Avremo una mezza festicciuola:
s'inaugurerà dal vescovo di Biella un altare nel corridoio, con
lusso di fiori e di festoni.
--Quando?
--Ma non ha letto il programma? No? Oh guardi mo! Domenica avremo la
cerimonia religiosa: poi i giuochi profani, cioè il _tempio di Bacco_
con zampilli di vino, la corsa nel sacco, il ballo popolare, e a dopo
pranzo, ancora il ballo, la lotteria artistica, i fuochi di artifizio,
il falò. Un complesso da far strabiliare i bagnanti d'Andorno e di
Cossilla.
--Ma bene! ma bene!
--Vedremo. Così ci sarà un po' d'allegria: qui la vita è
troppo monotona, e sì che c'è tanta gente!
--Tutti i giorni il direttore deve rifiutare domande.
--Persino gli abbaini sono occupati,
In questo crocchio non c'è male. Peccato che scenda la notte.
* * *
Prima di recarmi nel salone voglio bisbigliare con te:
--Perchè sei così triste?
--Io? no.
--Ma sì!
--Ti sbagli.
--Che cosa aspetti?
--Una tua stretta di mano.
LAURA.


III.

Oropa, 27 agosto 1874.
_Amica_,
Devi sapere ch'io sono venuta ad Oropa coll'Albo da disegno e qualche
libro, di quelli che, scritti in faccia alla natura, vogliono essere
letti sotto l'immenso cielo, con una zolla d'erba a leggìo, con un
fiore a segno, coll'auretta che ne volge le pagine, quasi profumando i
pensieri ad esse consegnati. Cara amica, tra pochi giorni io
partirò da questi monti! Sono certissima che l'albo mi farà
spargere qualche lagrimuccia, quando co' suoi fogli disegnati mi
rammenterà i luoghi cari alla meditazione, quando colle traccie dei
fogli staccati mi ricorderà le manine gentili, che strinsero la mia
in rendimento di grazie. Quei libri, colle righe sottolineate
appassionatamente, letti e riletti nei brani descrittivi, declamati in
quelli affettuosi, poseranno sul mio tavolo da lavoro, in città,
non più aperti nella triste semiluce, a carissimo ricordo, a
dubbiosa promessa:--A tante persone ho detto: _a rivederci_ l'anno
venturo.... Ci rivedremo?
Ho incominciato così la mia lettera per farti capire ch'ella non
è punto una lettera. No, voglio che noi passeggiamo insieme
discorrendo.
* * *
Quando io penso ai mesi di luglio che ho passato per l'addietro, e li
confronto col luglio e l'agosto di quest'anno di grazia, dico la
verità che ho tale stizza con chi mi mandò ad arroventarmi ai
bagni di mare e con me stessa così pigra, come se io avessi le
radici nella mia città, tale stizza ho, che mi mordo la lingua,
piuttostochè fare di peggio. E dico alle eleganti che strascicano
la seta sulle ghiaie di Pegli:--O poverine!--A me poi leggo gli
_spettacoli diversi_ la _cronaca cittadina_ e il _bollettino meteorologico_
di qualche foglio! Ma mi era possibile sopportare l'afa di un teatro,
la noia di un concerto, la perpetua atmosfera di piombo colato? Oh, in
riparazione, ho fatto anch'io un mezzo voto al santuario d'Oropa:
quello, cioè, di accettare nella vita tutto e con pazienza,
tranne.... l'estate in città!
* * *
A mille e ventidue metri sul livello del mare, da un monte su cui
l'arnica coi fiori gialli dieci volte in un dì è circonfusa di
nebbie, per poi brillare come un oro al sole più raggiante, io
figgo giù gli occhi a voi poverini: laggiù, laggiù, indovino
le aguglie della mia città. Tanto io sto bene, che dimentico di
essere stata male, nell'aria bevo a sorsate l'oblìo a me sì
necessario, guardo su le cime del brullo Mucrone, con invidia, poi
giù ancora contemplo il vastissimo piano. Vedi: in quel semicerchio
di monti, a sinistra, il paese d'Andorno, che spicca illuminato su una
frana rossiccia, nel mezzo ecco certi dossi boscosi di un verde
metallico, a sinistra i tetti del Favaro. Al di là, il piano si
stende, con macchiette bianche, con lucidi serpeggiamenti, con ombre
pavonazze di colline, poi si fonde tranquillamente in un tono
azzurriccio, su cui a liste si vedono le ombre proiettate dalle nubi:
il piano si perde, sfuma in un vapore. L'occhio dice--finisce:--ma il
desiderio va oltre, si spande, e trova ancora i piani, i monti, il
mare!
Credi: queste vedute così estese mi fanno meditare.... Che cosa
è il desiderio? Che cosa è la vita? Sugli orizzonti del pensiero
perchè, come su questo, tramonta un altro sole, quello della
speranza?--Non so rispondere io, non sai tu: risponde il canto di una
fanciulla, Ella è contenta, torna alla casetta sua, e della vita
non conosce i misteri nella fortunata ignoranza.
* * *
La fanciulla è una falciatrice di fieno. Vogliamo, o cara, copiarla
sull'albo? Ella porta una gonna di cotone bleu, col busto compagno,
colla camicia bianca stretta al collo con pieghe gelose: un fazzoletto
rosso è allacciato sul capo con una foggia bellissima, sì da
lasciare due lembi svolazzanti sulle orecchie. Non guardo punto a'
suoi lineamenti: tutto è nell'espressione, e questa dice:--Ho la
contentezza del cuore.--E fa tanto piacere discorrere con essa!
Perchè la fanciulla non è ritrosa, perchè dice che ha tante
mucche e tanto fieno falciato, e i fratelli e il babbo lavorano giù
negli opifici del Biellese. La vita le va per benone, e lo sposo,
grazie alla Madonna d'Oropa, sarà un garzonotto, bersagliere
dell'Alpi.
* * *
Le casette che vedi sui monti sono le stalle per le mucche nella
stagione dei pascoli: all'inverno i pastori scendono al piano, e le
lasciano ai venti e alle nevi. Le sono casine murate a sassi
irregolari, coi tetti di pietra lucente, col portichetto a pilastri
azzurrigni, coll'orticello verdeggiante, cinto da un muricciolo di
scheggioni ammucchiati: vicino c'è sempre uno zampillo, e lì
distesi sul declivo i rotoli casalinghi di tela montanara, c'è un
frascato che invita ai discorsi.... Oh che discorsi! Fra il ciondolare
dei campanacci e il mugghiare delle vacche, non si sa che
dire:--Vogliamo assaggiare una ciotola di latte? un po' di burro
fresco?
Detto, fatto: l'assicuro io, che ho visto personcine morbide, che non
si sdraiano se non sul velluto, persone gravi che siedono su
seggioloni d'autorità, magari nel Parlamento e nel Senato, signore
e signori su un pratello o su un panchino di legno s'assettano alla
meglio, e, chiacchierando colla massaia che fila e coi bimbi venditori
di mazzoni d'arnica, si sentono figli anch'essi d'Adamo, e costole di
Adamo, il primo fannullone o il primo contemplatore della natura. Fra
le ciarle si ascoltano i nomi del santuario di Graglia e di quello
d'Oropa.
Discorriamo d'Oropa.
* * *
O meglio ancora, avviamoci. È una delle più belle passeggiate,
per la strada pittoresca, e perchè la meta, celata nel seno del
monte, invoglia a continuare sempre il cammino per iscoprirla. Prima
del 1620 non era il caso di dire--avviamoci. Oh no! bisognava baciare
i cari e la soglia della casa, poi mettersi al pellegrinaggio, per
selve, per frane, per stagni, per ciglioni di precipizi. Che parolacce
le sono queste? Oggidì, grazie all'abate Bertodani, si passeggia su
una strada larga, liscia, ombreggiata, ad ogni tanto facendo sosta al
parapetto per contemplare o una cappella, o giù la vallea col
mugghiante Oropa, o la vetta su del Mucrone, oppure per cogliere una
margheritina e per interrogarla. Purchè si eviti il sabbato, giorno
in cui i valligiani salgono a vere processioni, e l'ora in cui passano
gli omnibus fragorosi. E va, e va: il santuario si scopre solo
all'ultima voltata della strada: apparisce un aggregato immenso e
basso di fabbriche diverse, tutto bigio, con una cancellata a lance
d'oro, sullo sfondo di un monte arsiccio. Tutti quelli che lo
descrissero usarono le cifre, dicendo le misure, la fondazione, gli
ampliamenti, e via: io vorrei adoperare la matita, ma non so proprio
da dove incominciare, nè so metter giù le linee da ingegnere o
da prospettico. Pazienza! chiudo l'albo e m'abbandono alle
impressioni. Il primo cortile ha l'aria animata di un luogo di fiera:
la piazza, da cui vedesi il piano del Vercellese e del Novarese, la
scalea barocca piena di gente oziosa e sdraiata, la fronte
dell'edificio reale colle statue dipinte e gli stemmi d'oro, i
porticati dorici, tutto mi piace e mi ricorda qualche cosa di Genova:
il secondo cortile colla fontana, la chiesa e i pratelli mi dà una
mestizia indefinita. Oh quanta gente! E concorre da tutte le valli! Ti
dirò che ascoltai un canto di litanie, triste, confidente,
soavissimo, che usciva da una finestra della chiesa: e vidi ad
allietar la gronda di quel luogo d'ospitalità un nuvolo di rondini,
aleggianti, coll'ali azzurre. E contemplando gli archi, la fontana, la
chiesa, i pratelli, ebbi un momento di dolcissima mestizia.
* * *
Fuori dell'ospizio abbiamo due bellissime passeggiate: l'una sulla
strada che deve condurre a San Giovanni d'Andorno, l'altra al cimitero
nuovo. La prima fu incominciata nel 1870: taglia la cresta della
montagna, all'alto resa pittoresca da una frana di sassi, immensa,
arida, scheggiosa; al basso allegrata da una selva di faggi, dalle
cascate dell'Oropa, da un ponticello di legno, e mille accidenti che
invero la fanno somigliare al viale di un parco. Peccato che proceda
così a rilento! E fortuna che è così bella! L'altra strada va
su alle chiese, e devia ad uno spiano, ove si è eretto un muro
elittico ad una cappellina gotica così cara da far pensare alle
bianche nozze, non alla pace della buia notte. Continua poi di faccia
alla precedente, e dovrebbe arrivare fino allo Stabilimento idropatico
del cavalier Mazzucchetti: questa è ancor più lieta, più
ariosa, popolata da cascinali, fresca d'acqua, propizia d'ombre e di
riposi.
* * *
Una terza passeggiata è al lago del Mucrone: non te l'ho citata
ora, perchè te l'avrei detta altre volte parlando dei sentieri da
capra, perchè so di una signora che volle su arrampicarsi, ma a
metà discese nella corba e sulle spalle di un montanaro!
Ma ancora quante altre passeggiate! Ami la natura? Sì: orbene puoi
scorrazzare ad un masso gigante, ad un rompimento, ad uno zampillo, ad
una mandra di mucche, ad un cespo di rododendron, ad un sorbo carico
di grappolini rossi. Va e va! Dimentica, se qualche cosa hai che ti
fece soffrire.
Quando sentirai una voce che ti domandi, ascoltala, ridiventa mesta, e
chiama anche tu, chiama l'amica.
LAURA.


IV.

Oropa, 8 settembre 1874.
_Amica_,
Gettando uno sguardo sui bauli già empiuti e chiusi, sola nella mia
camera spogliata, tanto melanconica davvero, sento uno di quegli
stringicori che cento volte fanno dire addio. E in fondo in fondo un
dispettuccio mi punzecchia la coscienza, come un morso di zanzara.
Devo dirtelo? Mi pento di essere stata teco un po' imbronciata; e il
dolore non è per te proprio, giacchè penso che, fra un giorno,
dandoti una stretta di mano, avrò subito ottenuto il tuo sorriso;
il dolore è per me, che mi lamento e mi lamenterò sempre di non
aver saputo tracciare una dozzina di righe nei dì più lieti di
questo soggiorno. Mi sarebbe stata cosa gradita, in città, nei
momenti di noia, aprire un foglietto, nel quale trovare delineati quei
particolari, che, a volerli dappoi richiamare col ricordo, sfumano
dietro un velo della nostra mente, per eccitare il desiderio.
Rispondi, cara: non è così? Alcune volte una sola data scritta
sul tuo portafogli non ti fa dire:--Ah ci sei?--e non t'illudi di
poter arrestare per poco il tempo, farlo retrocedere a tuo agio,
legarlo fisso a quel punto, che è tuo?
È vero che peccato confessato è mezzo perdonato: ma a me non so
punto perdonare, ed ho tanta severità da impormi una riparazione.
Se non avrò un ricordo colla data di tempo, almeno lo voglio con
quella di luogo.
* * *
Scrivo adunque Oropa sull'unico foglietto di carta che mi rimane, e
ancora desidero....
Desidero che cosa? Forse il bagno all'alba, la doccia a spilli, la
sem-immersione ghiacciata?.. E perchè no? Brontolando di
pigrissìma stizza, sia pure, dal letto passavo sul balcone per
avviarmi alla vasca, ma, senti, sul cielo mattutino vedevo i monti
tanto belli e tanto in pace: uscendo dalla buia stanzuccia della
doccia a mezzodì, trovavo vigore in dosso, sì che speravo che la
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