Storia di un'anima - 12

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GENOA, coll'odore di mare salato, voi fugate la poesia a mille miglia
lontano a rimbellettarsi su qualche paio di _labbra di corallo_, a
incipriarsi su qualche _collo d'alabastro_.... Ho detto la poesia? Ho
sbagliato: dovevo dire la Nonna poesia: quella in cuffia, colla
tabacchiera e il mazzo dei tarocchi lì sul tavolo: è titolata,
sfoggia genealogia e stemmi, e nulla fa di bene se non ha le rose
dell'aurora, le polite pieghe del peplo, le note della lira, il profumo
dell'olimpo: cinguetta coi poeti e i professoroni ufficiali, è
pettegola e si liscia. Via! di codesta donna marchesaccia siamo stufi.
C'è una bella scapigliata, con grand'occhi acuti, senza rimario sotto
le ascelle, senza svolazletti, la penna d'oca e l'elmo di Minerva,
c'è una giovinetta che s'asside anche all'ombra delle vele, viaggia
coi marinai e mangia il pane duro, conta i soldi e canta Dio e il mare.
È la vera poesia. E Natura, diffondendola in ogni atomo delle cose
create, non le disse mai:--Sarai aristocratica: sarai democratica,--ma
le impose:--Non mentirai!
Voglio conoscere la potenza di Genova? Vado a gustare la grandiosa
poesia del suo Porto.
Il molo vecchio costrutto da Marino Boccanegra nei faustissimi giorni del
Comune, il nuovo d'Ansaldo di Masi, la Lanterna su cui si accesero i
primi lumi nel 1316, il robusto emporio del Portofranco, i porti di
sbarco, gli argini, vorrebbero ancora dieci trombe di _cintrago_ che li
proclamasse ai regni dei voli lirici, o meglio dieci portavoci di
capitani che rivelassero a questo bassissimo mondo quante _doble_ hanno
fruttato, e quanti futuri dii frutteranno. Sull'immenso sfondo verdognolo
azzurro nereggiano gli scafi snelli dei mille bastimenti: e sugli scafi
s'inclinano i bompressi, si drizzano i bassi alberi, gli alberi di
gabbia, quelli di pappafico e l'aste: le sartie s'appoggiano alle gabbie,
i pennoni recano il velame arrotolato, e le corde, le puleggie delle
_manovre dormenti_ e delle _correnti_ formano gli apparecchi altissimi
dei lucrosi saltimbanchi del mare. Anch'io userò il vecchio paragone: il
porto è tutto una selva nella quale i venti vogliono i loro giochetti, ed
ecco le vele triangolari, le quadre, quelle che tornarono sbrandellate,
il fumo dei tubi ritorti, e i tubi sbiecati. Come hanno giocato in alto
mare! Lo sanno i marinai che hanno appeso quindici o venti voti al
santuario di Savona, o i marinai che hanno appeso il loro sacco d'ossa ai
corallumi del glauco cimitero. Nel porto si stringe la gran famiglia: le
prore sono, per così dire, i volti, le poppe danno il nome di battesimo,
l'alberatura di tre, di due tronconi, segna la casta e l'anima è giù
nella pancia. Le barchette vanno e vengono, come i domestici, come le
formiche intorno al granaio. Io vorrei dirvi il giuoco dei riflessi del
cielo e del mare, le bolle delle aspergini tranquille, gli scherzi dei
vermi marini sulla costa, le gradazioni. Ma non posso! Però voglio dirvi
come appaiono tumide le vele tese dal vento, come imbizziscono le
banderuole a fiamma e come sembri che i catenoni dell'ancore e le
scalette giù giù tremolino col tremolare degli strati dell'acqua e si
perdano in un serpeggiamento vano.... Ma che? Come mai si può osservare?
Genova è Genova: la folla è turbinosa, l'affaccendarsi incrociantesi....
La locomotiva su un argine ripiglia fiato rapidamente ed urta i vagoni a
specchiarsi in mare. Bestemmiano, inturgidendo i muscoli, i nudi facchini
michelangioleschi: i carrioni con quattro, sei cavalli accodati sembrano
dire:--facciamo tremare la terra, la terra è nostra:--si fischia; si
urla; si inneggia.
La scena, o signori, è unica, e l'entrata _gratis_; vedete:--il mare,
il progresso, e su il guadagno, e su ancora la poesia, e su ancora il
sole che ride di tutto.
--O marinaio poeta, che hai letto nel gran libro dell'utile e nelle
grandi notti sull'estensione dell'Atlantico, dimmi le tue rime.
--Cuoio, acciaio, canape, corna, indaco, cocciniglia, grano, olio,
pepe, pelo di camello, tonno, salsapariglia.
--Ma no, che non sono rime! Noi diciamo _amore_ fa rima con _dolore_. Non
capisci? E sei _homo_, come me, sei _homo sapiens_.
--Che cosa dice?
--_Homo sapiens_ significa uomo sapiente. Ah? tu non intendi il latino,
sicuro.
--Uomo _sapiente_?
--Ebbene? Ci pensi?
--Nulla affatto. Fa rima con _niente_.
A questo punto il sole che rideva, mi parve sghignazzasse: io, furbo!
apro l'ombrellino.


GENOVA.

S'io fossi il _cintrago_, il banditore medioevale di Genova, da ogni
legno che venisse di Sardegna con sale, ne riscoterei mine tre: e mine
tre o mine una di grano da ogni legno che tornasse di Corsica, oppure
_de Maritima et Romania_. E poi _marabottini_ d'oro dalle galee che
andassero in corso al di là della Sardegna o in Ispagna. Adunerei
il popolo a suono di tromba, citerei ai placiti, ordinerei le guardie
della città, pranzerei coll'arcivescovo, e davanti a qualche
palazzo de' Fieschi, de' Grimaldi, dei Doria, degli Spinola, per
privilegio di magna prosapia fasciato di marmi bianchi e neri,
canterei le glorie di Genova mia. Vorrei essere il _cintrago_ e campare
vecchissimo vecchissimo, dal tempo dei consoli ai dogi biennali, e
dire:--N'ho vedute di cose traverso i secoli!-
E canterei così:--Ho squillato la mia tromba pei consoli, pei
podestà, pei capitani della libertà, i Fieschi, i Grimaldi, i
Doria, gli Spinola, per il reggimento dei dodici, dei ventiquattro
coll'abate del popolo, per la signoria d'Arrigo, quella di Roberto di
Napoli e di Giovanni XXII, pei guelfi, pei ghibellini, pei dogi
perpetui della stirpe Guarca, Montalda, Adorna e Fregosa, pei dogi
biennali, i nobili privilegiati, tra l'imperversare delle fazioni di
Portico nuovo e di Portico vecchio, pei commessari francesi della
repubblica ligure.
E narrerei:--Venite al porto. Io ho veduto le venerande galee, i
galioni, le galiazze, le galeotte, le cetee, i taridi, i panfili, le
vacchette, le borbotte, i golabi, le gatte, le cocche, le saettìe,
i portantini, gli uscieri, le flotte di quei genovesi che ghermirono
la Corsica, la Capraia, la Gorgona, Tunisi e Minorca, Almeria,
Tortosa; navigatori e guerrieri, i ghibellini contro Carlo, i guelfi
che preferirono lo esiglio al pane dato dai vincitori, i sostegni del
seggio bizantino, i mercatanti da Ceuta al mar Libico, all'Egizio, al
Sinaco, al Panfilio, al Lido, all'Arcipelago.
E inviterei:--Moviamo al tempio di san Matteo, monumento de' Doria, al
san Donato dalla torre costantinopolitana: a san Tomaso, al san Marco
col Veneto lione, che rugge ancora coll'ultimo lamento di Andrea
Dandolo, il suicida di Curzola memoranda; che freme ancora
all'invisibile sogghigno trionfale di Pagano Doria trascinante dalla
poppa della galea capitana lo stendardo de' Veneziani. Andiamo al
Campo Pisano: ivi i tredicimila prigionieri fatti alla Meloria
cainesca e le larve disperatissime dei tremila uccisi fecero ringhiare
il proverbio tremendo:--_Chi vuol veder Pisa vada a Genova--_: i
catenoni del porto della rivale furono tagliati a pezzi, perchè
potessero essere appesi qua e là per le piazze e le vie della
trionfatrice: inventore di questa vendetta luciferina Niceto Chiarli
re delle incudi: e per lui i fabbri, devoti alle balestre, alle
bombarde, alle pignatte di fuoco lavorato, ascoltavano in Santo Sisto
un'annua messa di suffragio. A San Sepolcro sorgono le memorie de'
crocesignati, dei cavalieri, degli spedalieri, e dei cinque cardinali
affogati nei cinque sacelli da Urbano VI. Alla Casa di San Giorgio
v'è il codice di _Gazaria_, o i cartulari della compera di Caffa,
Scio e Famagosta. Al Borgo di _Prè_ si spartivano le prede nel secolo
duodecimo. Al Duomo, ricordato anche da Fazio degli Uberti per _li
porfidi et marmi orientali_, non vi so dire gli archi acuti, coi fasci
di colonnine, gli ornati a mosaico, le zone, la simbolica cristiana
orfica, le tre navi, le sedici colonne di breccia africana coi
piedestalli di basalto, il coro, il presbiterio, la cupola, la
tribuna.... Avevo già novant'anni, o messeri, e madonne, ed io,
_cintrago_, l'ho veduto l'architettore! Era l'Embriaco, guerriero di
terra e di mare, consolo ed artista. E poi passarono gli anni! Un
giorno sotto queste vôlte, che accolsero le reliquie conquistate a
Mirrea e il sacro catino a Cesarea, sdegnosamente si ricusò il
giuro di fedeltà a Federigo imperatore!... E un altro giorno si
confermò Simone Boccanegra! Quante glorie di dogi! E in un tempo
funesto cinquanta fanciulle vestite di bianco, recando l'ulivo,
imploravano pace da Luigi XII!
E dirò ancora:--Andrea Doria fu insigne sul mare: Ambrogio Spinola
conquistò le Fiandre: Megallo Lercaro rappresenta la forza dei
traffici e delle colonie di san Giorgio benedetto. Volete leggere di
scienze, lettere e d'arti? Andalo del Negro, il Caffaro, Battista
Vernazza, Giustina Vageria, Bartolomeo Falamonica, Ansaldo Ceba,
Matteo Senarega hanno scritto: Tadisio Doria, i due Vivaldi, Colombo,
Antonio Noli, Usodimare hanno viaggiato: le pagine degli artisti le
vedrete nei palazzi: Via Nuova, a detta del Vasari, è unica al
mondo....
Imbocco la tromba d'oro, squillo tre volte tre, e proclamo a tutti i
venti. Udite, udite, udite:
_Ditis opes Asiæ et claros orientis honores
Quantaque ab Euxino traditur ora salo
Pisanas acies Thuscæ decora inclita pubis,
Et traxi ad ligures gallica signa manus:
Subjectis dominans tenui cervicibus Alpes
Et tremuit nostras Aphrica terra trabes.
Afflictus toties Venetus, qua fugerat olim
In patriis novit tela petitus aquis.
Frustra, Galle, cupis, frustra es frustator, Ibere,
Frustra sæva, Ferox Insuber, arena capis.
Vinco ego dum vincor, par est victoria damni,
Sumque eadem domina servaque facta mea._
* * *
In quel tempo in cui dal faro di Genova pendevano i lampioni fumigati
e le galee a velatura e palamento, dall'alta poppa teatrale, sparando
una straccia di bombarda, si piegavano su un fianco, in quei tempi in
cui una barca metteva fuori tanti remi da sembrare un millepiedi, si
poteva incominciare con quei versi la descrizione di Genova, prendere
l'aire, e gonfiarsi su fino al settimo cielo della poesia. Benedetti
tempi! Perchè non sono io nato allora? Allora non c'era questo
vezzo ribaldo di schizzare degli acquerelli fuggi fatica: così, e
così, quattro pennellate, senza fondo, senza un contorno deciso,
magari spropositati di disegno, su un brandello di carta qualunque,
per far ridere una marinara che non ci capisca un ette, per far
sorridere una marchesa, la quale indovina la sua _silhouette_
elegantissima nei tratti del pennello tinto d'azzurro. Lasciamola
lì. A quei tempi c'era l'incisione scrupolosa che vi dava l'idea
dell'infinito mare con mille o mille dugento righe orizzontali e
digradanti. La città si vedeva chiara e netta, come una mappa:
sulle terrazze dei palagi c'era l'A, B, C, D: nel cartellino poi
appiccato sul mare si leggeva la brava spiegazione dell'A, B, C, D....
--Adesso c'è la fotografia.
--Verissimo. Chi vuole le cose ammodo ricorra alla raccolta di vedute
che il padre Abate Giolfi pittore dedicava a Sua Eccellenza il signor
Giuseppe Boria Duca di Massanova e di Facina.
---Ricorra alle fotografie del Degoix.
Io non posso tracciare giù la pianta della città, nè
m'intendo di cose serie da imbandirvi, come s'usa, i primi cenni, la
scorsa da un capo all'altro, la Genova considerata militarmente, le
vecchie mura, il porto, il portofranco, l'acquidotto, le Belle Arti, i
palazzi, ecc., ecc.
Poh! questa mancherebbe: che voi mi pigliaste sul serio. No! no! Sono
chi sono: un poveraccio faticato dagli studi sui codici, un esule
volontario dalle dotte e morte biblioteche, un antiquario, che,
lavandosi la faccia nell'acqua limpidissima e scacciando la
polveraglia dei morti, incomincia a vederci meglio. Oh poesia
strapotente del cielo e del mare! Oh vita mia! Oh liberi sogni
d'artista! Se poi.... Marchesa, mi presti il suo occhialino
capriccioso: attraverso quelle lenti devo vederne di belle cose, se
già ci è passato il suo raggio visuale! Marchesa, mi favorisca
il suo albo.... Ella insidiosissimamente ha tutto profumato con quel
suo _muguet!_... Viaggiamo insieme verso Genova: in prima classe, già
s'intende.
Mi pare e non mi pare, ma il fischio della locomotiva, che entra
appunto nella stazione, ha come insultato il mio esordio, l'epigramma
dello Scaligero; perciò m'imbizzisco, e dimentico l'altro di
Maurizio Cattaneo, l'eroe delle tre navi, il vincitore della flotta di
Maometto, dimentico il distico di Antonio Asteggiano da Villanove, i
versi di Bettinelli, di Chiabrera, le lodi di Bonamico, di Muratori,
di Giovanni Villuani, del Brusoni, di Sua Maestà l'Imperatore
Cantacuzeno....
* * *
O Genova! o Genova! Chi può mai descrivere i tuoi palazzi di via
Balbi, della Nunziata, della Nuova o della Nuovissima, e le casette a
otto piani nelle strettucce che sembrano scolatoi al mare? Chi ti
dirà il nobile effluvio dei cedri e il plebeo fetore del
baccalà; la splendida pace dei pensili orti e l'arrabattarsi
lucroso nel porto: la vita opulentemente stanca nelle sale d'ozio e la
insaziabile voluttà della marmaglia saettata dal sole: la bianca
melanconia degli atri, degli scaloni, delle corti solitarie e
l'immensa gazzarra delle mille navi? Chi dirà, in qual reggia, in
qual sala dipinta da Guercino, Van Dik e Bubens, cento cavalieri e
quaranta dame furono convitati magnificentissimamente, serviti con
piatti d'argento e d'oro, e i piatti ammucchiati a formare tante
colonne fino alla volta: e chi descriverà la cena del pollivendolo,
il tozzo rosicchiato, sotto l'incarco d'una gabbiona pidocchiosa e
insudiciata?
Ma da che parte si deve incominciare?
--_Venturi non immemor ævi--Sibi et Urbi_--è scritto sui potenti
fastigi: Lodovico XII diceva ai patrizi di San Giorgio: «Voi siete
meglio alloggiati di me:» e lo dicevano Carlo V e Filippo II. Genova
è la città dei palazzi: vi architettarono l'Alessi, il Lurago,
il Vannone, il Bianco: vi pinsero il Calvi, il Semini, il Cambias, il
Tavarone, il Fiasella, i Carloni, l'Ansaldi.
Le facciate sono incrostate di marmi o coperte di freschi mitologici,
storici; le colonne di bianco Carrara o i pilastri di cupe bozze
sorreggono gli architravi stemmati delle porte maestre; le cornici, le
statue, le balaustre, gli scudi, i timpani, le piramidette, i festoni, i
bassorilievi, i loggiati, le inferriate sporgenti, con forte armonia
s'intonano alle linee del quadro, dovuto alla scuola di Michelangiolo e
del Bernino: una intera via, due, tre, quattro.... quattro prospettive
sceniche di sedi olimpiche. Nei vestiboli lastricati di marmi o s'adagia
un larghissimo scalone, coi lioni maestosi, veglianti sui piedestalli,
oppure un velo d'acqua frescamente scende a bagnare le muscose spalle di
due cariatidi reggenti la conchiglia, oppure tra le colonne appaiate
scintilla, come sfondo, l'azzurro mare e il cielo secato dagli apparecchi
aerei delle infinite alberature. Vi sono scalee che danno a cortili, e
nuovamente cortili che danno a scalee, e su ancora.... Arriviamo ai
terrazzi, alle logge, ai giardini sostenuti da baluardi, agli elisi, ove
le rose e gli aranci, la flora ligure venustissima non suade che amori,
coi profumi spossatori dei talami sempre fecondi. E vi sono scalee che
accedono alle straricche anticamere e agli appartamenti: ori, pietre,
stucchi, cristallo, basalto, alabastro, colonne doriche, ioniche,
corinzie, tele, freschi, statue, tutto vedi.... Cioè, non vedi niente:
perchè subisci là dentro un'arte sola strapotentissima, la seduzione. Là
comprendi quella incasta mitologia del decadimento, là fremi
all'incondito atteggiarsi delle Veneri, là capisci che la Medicea
formosissima non è donna, perchè perfetta. Sui terrazzi, ove ghignano i
mascaroni e nelle sale ove stringono l'occhietto le ninfe, una ebrietà di
tripudi ti dà il capogiro.... La dama, di cui si sparge l'olezzo mondano,
la dama che imagini con te, la vorresti coi nèi, colla cipria, colla
sapiente raffinatezza del secolo pettegolo, colla insidia vampirica delle
corti di Francia, nata espresso per esser civetta e dannatrice accorta
d'uomini. Ghigni anche tu, e anche tu stringi l'occhietto.... E quando
pensi che le acute scarpine, la veste _bergère_ a fiorami d'ortensia, il
busto colmo e giù appuntato, gli _accroche-coeurs,_ i nèi.... i meno
svelati.... tutto è finito! La dama giace sotto in qualche chiesa
barocca, sotto la pietra barocca, già dimenticata dalla prece barocca,
già.... Ah i lombrichi appartengono al realismo!... Quando ti trovi solo,
tu piangi d'amarissima voluttà! Guardi, cerchi e fantastichi: vedi il
bruno ritratto di _colei_ che t'avrebbe avvinghiato, lo scrittoio a
specchi ed oro su cui t'avrebbbe scritto il bigliettino galeotto, le
bugie olandesi che t'avrebbe accese....(11) Ti vanno e ti vengono innanzi
gli occhi le manine bianche, colle unghie rosee, coi braccialetti che
segnano nella carnicina grassottina la depressione sotto l'oro massiccio.
Non sono ancora accese le complici bugie per le?... Passi per le stanze
del riposo, coi moschetti di drappo a pennacchi, colle coltri dense, coi
cuscini gonfi, coi tavolini da notte inesplorabili: tutto sa l'odore
della vipera. Passi nella biblioteca, lunga, lunga, lunga.... Un
volumaccio è ancora aperto su un leggìo: ha il labbro rosso, le pagine
gialle e su una gottaccia tabaccosa.... Vegliava il geloso marito nella
biblioteca.... Passi nella galleria dei quadri, delle statue, delle
incisioni, delle conchiglie, in altre sale, in altre.... La semiluce è
triste: è triste la memoria dei morti: è tristissimo l'insaziabile
desiderio per coloro che non sono più. Chi guardi? Chi cerchi? Chi
domandi?--È morta da un un pezzo, eh!
Passando innanzi ai portoni, _la_ vedi sotto il velo d'acqua
freschissima. Adagio: prima di mettere il subbuglio in qualche
cuoricino. _La_ vedi che ha già fatto la doccia e sale lo scalone
mollissimamente. Adagio ancora: prima di compromettermi con qualche
mammina. _La_ vedi che, col parasole stillante, ti ride in faccia... Per
un capriccio la è passata sotto le spalle delle cariatidi a
spruzzarsi un po' giocherellando. Del rimanente sappi che la vestiva
un abito lunghissimo, alto, così e così. È la padrona del
palazzo che tornava dalla messa e ascendeva al sommo terrazzone...
O logge aeree, o grotte verdiccie; ultimi fastigi su cui trionfa lo
stemma, primi gradini col _salve_! O fiori che vedete il mare, marmi che
riflettete il cielo!... Donna, che mi appari, più formidabile del
Doria, appoggiata alla colonna, a cui già concessero le spalle la
mamma, la nonna, la bisnonna, fervidissima stirpe: o donna, sei
padrona del cielo, del mare, dell'infinito, dell'invisibile! Andrea
Doria nel classico suo palazzo fuor di Porta San Tomaso accoglieva
Carlo e Filippo re e la loro corte, e li faceva servire a suono di
fischietto, come se egli fosse sulla sua capitana. Tu accogli me, come
se tu fossi nel tuo regno e comandami col tuo riso... Non sono
imperatore, nè grande, nè poeta! E tu hai il riso del tuo regno,
del cielo, del mare, dell'infinito, dell'invisibile!... Io servirò
te... Andrea fischiava due coronati e ben faceva: tu fischi me colla
gola del serpente. Il tuo regno è il deserto: lo so: la vanità
della tua bellezza non ti concedette che il tormento della tua
bellezza.
O donna, stringi il libro delle preghiere convulsamente.
* * *
Se babbo, invece di darmi tra mano un codice ne' bei giorni della mia
giovinezza, m'avesse lasciato la carissima tavolozza, io avrei
schizzate tante macchiette quante ne abbisognavano per la processione
del _Corpus Domini:_ e potrei sorridere nel mio studiolo ad una ad una
di quelle che passano sotto gli arcucci dei tragetti, e s'affaccendano
nella contrada del mercato: una contrada fonda come un pozzo, dove da
una finestra all'altra delle case è in mostra sulle corde tutta
l'opera fatta dal bucato nella settimana: panni bianchi, panni rossi,
panni azzurri, l'allegra coccarda dei marinai a tre colori bagnati di
sudore. Alle botteghe a destra e a sinistra, qua e là panche e
corbe, e corbe e panche. La dico una contrada quella dove c'è di
tutto, dal mazzolino di fiori per lei, marchesa, al mucchio appetitoso
di lumache testacee chiuse nelle gabbie, come i passerotti: e pel
pittore tocchi di verde smeraldo, di cinabro, di giallolini: oh che
gazzarra! Fogliami spiccati, creste accese di galli, fette avvistate
di zucche, e via! Dove non c'è una cosa sola, quella santa pulizia.
Oh che sciupo di penne di pollastri e di spine di pesci! Che misto di
magro e grasso! Che confusione di venditrici austere e di sguaiate
esibitrici! E odore di baccalà, e grida senesi e filatere di
muletti, e risse sempre pronte...
Ho detto una processione di macchiette: nè più, nè meno. I
montanari sono già calati dalle viottole, quello colle frutta,
quello col pollame, quello col fieno, quello colla farina. Ecco i due
pescatori tozzotti che vengono reggendo l'uno di qua, l'altro di
là, la cesta piena di _murun_, il re dei pesci; ecco la donnaccia
colla stadera e colla corba dei _funzéti beli_: ecco la fante del
curato colla sporta e il libro della messa: e la massaia che cammina
cogli occhi a terra, a guardare le sue scarpe nuove dal pattume e
dagli scheggioni: ecco una ribaldella....
Che sei, ribaldella? Sei la bellissima dagli occhi neri. Se io fossi
pittore manierista, ti pingerei col pezzotto bianco, colla crocetta
d'oro in collo, colla camicia e le bretelle delle coriste pastorali,
colla gonna azzurra.... Ma tu sei la bellissima dagli occhi neri. Hai
la testa scoperta e i capegli scarmigliati, il guarnellino
procacemente discinto, la veste a strappi: sei tutta polverosa e
spensierata.... Anche tu somigli a quella sdegnosissima patrizia che
appoggiava le spalle alla colonna del terrazzo marmoreo. Chi sei? Che
cosa vendi?
* * *
Marchesa, le restituisco l'albo e il _pince-nez_. Mi scusi, ma.... le
sue lenti mi paiono maliziose, sì da farmi vedere sempre, troppo,
anche quando non voglio.
Mi metterò gli occhialoni d'antiquario e leggerò il catalogo
dell'Armeria genovese, che m'ha dato un reverendo scolopio. Dunque
c'erano:--«un cannone di legno antichissimo: un rostro di nave
probabilmente dei tempi delle zuffe con Magone cartaginese: alcune
corazze con intagli, geroglifici e sigle; la fama le diceva usate
dalle donne genovesi ch'erano andate a combattere in Terrasanta, la
forma del petto le dichiara....»
Se le dichiara! Anche pel dì d'oggi! Date due massime corazze per
la patrizia e per la ribaldella,


FIORELLINI.

Monti di Pegli.
Chi vi coglie? Fiorite ed appassite, e non sapete che sul candidissimo
seno di una dama, sulle braccia tarlate di una crocetta nera, altri
fiori, meno belli di voi, più belli di voi, agitano i petali al
susurro di una parola rovente, al prorotto singhiozzare d'una
preghiera. Fiorite ed appassite, e chi passa vi guarda e dice che le
speranze, i dolori, si sciupano in questa vita, come i vostri petali
ad uno ad uno, quando posate nelle mani della elegante passeggiatrice.
Ella vi sfoglia per sapere l'amore che dura un giorno....
Non sa l'amore e si trova senza speranze e senza dolori.


NOTTE STELLATA.

Sestri Ponente.
Quella notte al lido tacevamo....
Il vasto libro dell'astronomia è aperto sopra il nostro capo.
Leggavi il sapiente e l'idiota, il felice e l'infelice.
Quella notte al lido tacevamo.


STELLE CADENTI.

Sestri Ponente.
Le stelle più poetiche delle notti estive, le stelle inseguentisi
con velocissime curve, le soavi luci cangianti che scorrono al bacio
d'argento del mare! E il mare rispondendo al cielo sussulta, e dove le
crespe sue accarezzano i fiori, fiori della spiaggia, fiori delle
profondità, ogni ondeggiamento porta un gorgoglio--Amore!--ed ogni
gorgoglio una spruzzata di perle....


AL TRAMONTO.

Sestri Ponente.
Al tramonto rilucono le crocette dei campanili, le facciatelle delle
chiese sembrano parate a solennità con drappi d'oro e rosati, le
rupi hanno profili avvistati, le ombre azzurrigne invitano ai bisbigli
d'amore, dalle corna dei monti si stendono le pezze di porpora e si
allargano giù per le chine, scappando ai piani, dalle valli si leva
un vapore paonazziccio, nei paesi ogni casetta ha una gronda lucente e
un comignolo giocondamente fumante....
O anime gentili e mestissime, io contemplo i fiorellini strisciati
dall'ultimo raggio di sole.
E perchè di quei fiorellini io colgo e bacio l'appassito?


BARCANERA.

Sestri Ponente.
Aspetteremo una notte senza luna e senza stelle, a mare cupo, a pace
di cimitero.
Ti metteremo remi neri, vele nere, in prora corona di fiori funerari,
o barca che t'apparecchi al viaggio per là, da dove non si torna.
La notte sarà un immenso tempio parato a lutto, la spuma dell'onda
sarà l'argento della coltre, la pace sarà la desolazione... O
Signore! Nè alla spiaggia venga fanciulla che pianga, nè lungo
il viaggio batta seguace ala d'alcione. Solitudine vastissima!
E coi remi accarezzeremo il mare, e volgeremo le vele al vento, sì
da farle crepitare come se baciate insistentemente, e petalo per
petalo, o poeta della notte, sciuperemo i fiori della corona.
--L'amavi?
--Era la mia vita.
--Come aveva nome?
--Illusione.


L'ANCORA.

--Áncora,--gongolò il mio professore cogli occhiali d'oro--deriva
da =angkyra= e =angkyra= da =agkylos= che significa uncinato. I greci
non conobbero questo istrumento che dopo la guerra di Troia. Plinio ne
fa inventori i Fenici, i Tirreni e Pausania menziona Mida re dei Frigi.
--L'ancora,--mi disse un fabbro nudo fino alla cintura, re d'una
fucina in cui si profondava fino alle caviglie nel polverio nero,
s'arroventava la gola e lagrimavano gli occhi--può pesare da 150 a
4000 chilogrammi,--e alzava un martello da venti, lasciandolo cadere
su un'incudine suonante come un concerto di dieci campane.
--Ha l'anello, o _cicala_, il _fusto_, i bracci, le marre o _patte_, e il
ceppo--mi accontentò un ingegnere navale, aprendo il suo
portafogli, come chi dicesse:--ho i miei affari, non il tempo per
chiacchierare.
--All'ancora maestra si dava il nome di ancora di salute: e c'è
l'ancora di misericordia--mi soggiunse un marinaio segnandosi di
croce.--Ma si calano colle gomene pregando Dio.
--L'ancora--mi suonò nelle orecchie il curato--è l'emblema...
E non volli più ascoltarlo.
E tu, fanciulla, mi domandi?
Ti ho risposto.
Io ti parlerò; parlerò di desolazione.
Alla sera ho sognato che tu eri raggiante come un faro, avevi una
stella in fronte e stringevi un'ancora per me.


O CARO BIMBO.

A lume di luna, che ti rende macchietta mestissima, che fai? Colle
gambe nell'acqua, che ti pone intorno alle ginocchia un anello
oscillante d'argento, che guardi?
Colla camiciuola al basso già inzuppata, che alle mamme cittadine
fa pensare al raffreddore (che non verrà), che cosa spii? Spii il
mare: vuol mettersi al buono.
Dimmi, e perchè? Perchè tornerà. Chi? Il babbo marinaio che è partito con
in collo la santa medaglietta di Savona, che è partito per l'America da
due anni, il giorno della Concezione? Il babbo che più non scrive?
Tornerà il bastimentino: il bastimentino fatto con uno scheggione di
legno...
O _Bacciccin_! Aspetta, aspetta, o caro bimbo: ancora non conosci il
dolore. E se non tornasse il bastimentino? La tua Lena ne farà un
altro.
E se non tornasse il babbo?


CONVOGLI.

E passavano giù nella valle, pel letto asciutto del torrente. I
mulattieri col cappello di paglia, la camicia azzurra, la fascia
rossa, avevano la frusta a chiovetti d'ottone schioccante ad ogni
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