Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 05 (of 16) - 08

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tentarono di opporgli resistenza. Tornò poscia a Lucca per assistere ai
funerali del padre, che fu con grandissima pompa sepolto il giorno 14 di
dicembre nel convento de' frati minori di san Francesco[172].
[172] _Gio. Villani l. X, c. 85. — Storie Pistolesi p. 451. — Vita
Castrucci Antelminelli a Nicolao Tegrimo p. 1343. — Andrea Dei
Cronaca Sanese t. XV, p. 83. — Cronica di Pisa anonima t. XV, p.
1000._
Estremo fu il giubbilo de' Fiorentini allorchè seppero la morte di
Castruccio. Lo stesso Luigi di Baviera, privo de' consigli e
dell'appoggio di Castruccio, più non era per loro un terribile nemico.
Sapevano che rimasto senza di lui in Roma non d'altro erasi occupato che
di vane e ridicole cerimonie; che colle imprudenti sue invettive contro
il papa e contro la chiesa aveva disgustati i suoi più fedeli
partigiani; che aveva trascurato il momento più opportuno di attaccare
il regno di Napoli; che le truppe del re Roberto eransi avanzate ad
insultarlo fino ad Ostia; che un corpo de' suoi cavalieri era stato
distrutto fra Todi e Narni; che i Romani stanchi di averlo nella loro
città, ed irritati dalle contribuzioni che loro imponeva grandissime,
eransi battuti coi suoi Tedeschi; e finalmente che, partendo da Roma il
4 di agosto per passare in Toscana assieme al suo antipapa, erano stati
dalla plebe gravemente ingiuriati; gettati nel Tevere alcuni de' suoi
soldati rimasti alla coda dell'armata; ed all'indomani accolti e creati
senatori Bartoldo Orsino e Stefano Colonna, ch'erano tornati in Roma coi
Guelfi[173].
[173] _Gio. Villani l. X, c. 96._
Intanto erasi l'imperatore avanzato fino a Todi con due mila cinquecento
cavalli, disponendosi a tenere la strada d'Arezzo per attraversare la
Toscana. Egli pensava di assediare Firenze prima che potesse
vittovagliarsi col vicino raccolto; nel qual caso avrebbe potuto ridurla
a difficili circostanze. Ma lo rimosse da questo progetto una flotta
siciliana giunta ne' mari di Toscana sotto il comando di don Pedro,
figliuolo del re Federico, che aveva con se mille cento cavalieri
catalani o siciliani. Don Pedro ricordava all'imperatore la concertata
spedizione col re di Sicilia contro Roberto re di Napoli, affrettandolo
a riprendere la strada del regno. In fatti Luigi tornò alquanto addietro
per avvicinarsi al mare: incontrò a Corneto don Pedro, ed i due principi
si caricarono a vicenda di rimproveri. Luigi accusava il Siciliano
d'essere venuto troppo tardi; e questi rinfacciava all'imperatore
d'avere troppo presto abbandonati i suoi progetti. Fecero non pertanto
assieme qualche impresa nelle Maremme; ma trovandosi Luigi a Grossetto,
ebbe notizia il 18 settembre della morte di Castruccio, e di quanto suo
figliuolo Enrico aveva fatto in Pisa; onde partì all'istante per riavere
questa città, che si affrettò di aprirgli le porte per liberarsi dal
giogo dei Lucchesi[174].
[174] _Gio. Villani l. X, c. 102. — Cronica di Pisa p. 1000. —
Andrea Del Cronaca Sanese p. 84. — Leonardo Aretino l. V._
Quando moriva Castruccio, Luigi di Baviera perdeva un altro de' suoi
consiglieri e de' suoi confidenti, Marsilio di Padova, il teologo
controversista che aveva combattuta l'autorità dei papi, ed aveva avuta
grandissima parte ne' processi cominciati in Roma contro Giovanni
XXII[175]. Il giorno 9 di novembre morì ancora Carlo, figliuolo del re
Roberto, duca di Calabria e signore dei Fiorentini. Costui non lasciava
che due figliuole[176]; ed il re suo padre non aveva altri figli, di
modo che questa casa, già da tanto tempo la protettrice del partito
guelfo, pareva vicina al suo fine. Perciò i più zelanti Guelfi di
Fiorenza ne furono estremamente afflitti; ma il popolo rallegravasi di
veder terminato, prima che spirasse il termine convenuto, l'arbitrario e
concussionario governo de' Pugliesi. Trovavasi felice nel vedersi
liberato da un signore nè valoroso nè prudente, e che chiamato a
difendere Firenze nelle più difficili circostanze aveva dissipati i
tesori dello stato non pensando che a vane ostentazioni ed a' suoi
piaceri[177].
[175] _Gio. Villani l. X, c. 104._
[176] La seconda di queste figlie, Maria, nacque dopo la morte del
padre.
[177] _Gio. Villani l. X, c. 109. — Cronaca Sanese di Andrea Dei p.
84._
La morte suole di rado recar soccorso agli sventurati quando gemono nel
colmo delle sofferenze; più raramente ancora ferisce colui contro del
quale i voti degli uomini invocano la vendetta del cielo. I suoi
inaspettati decreti colgono il giusto, le di cui virtù eccitano il più
vivo rammarico, mentre il grande colpevole non cade che quando i suoi
delitti incominciano ad essere obbliati. Ma nella storia fiorentina la
morte ci si presenta più volte quale liberatrice della repubblica. La
morte d'Enrico VII salvò Firenze dalla collera di questo provocato
imperatore; la morte di Castruccio la liberò dal più valoroso guerriero,
dal più profondo politico, dal più temuto di tutti i suoi nemici; la
morte del duca di Calabria la sottrasse al dominio de' Napoletani nel
momento che più non aveva bisogno de' loro soccorsi.


CAPITOLO XXXII.
_Grandezza di Firenze. — Ritirata di Luigi di Baviera e ruina
de' suoi alleati. — Campagna in Italia di Giovanni di Boemia._
1328 = 1333.

Alla morte di Castruccio incomincia un'altra delle più gloriose epoche
della grandezza di Firenze, la quale, liberata da così potente nemico,
dominò tutta l'Italia col vigore de' suoi consigli e colla profonda sua
politica. Sempre disposta a proteggere i deboli e gli oppressi, sempre
apparecchiata ad opporre agli usurpatori un'insormontabile resistenza,
la signoria fiorentina si considerò quale custode dell'equilibrio
politico d'Italia specialmente destinata a conservare ai sovrani la loro
indipendenza, ai popoli il proprio governo.
D'uopo è ricercare nello stesso carattere di una nazione i motivi
dell'abituale condotta del suo governo, e specialmente quando il governo
è democratico. Le qualità caratteristiche de' Fiorentini li rendevano
acconci a sostenere le luminose parti che avevano preso a rappresentare,
e l'Atene d'Italia ricordò quella di Grecia non meno per l'ingegno del
suo popolo, che pei capi d'opera che produsse.
Tra i popoli italiani risguardavasi il fiorentino come il più accorto;
motteggiatore nelle brigate, coglieva con vivacità il ridicolo; quando
trattavasi di affari, la sua perspicacia mostravagli la più breve e
facile via per conseguire l'intento, i vantaggi e la difficoltà d'ambo i
lati; nella politica indovinava i progetti de' suoi nemici, prevedeva le
conseguenze delle loro azioni, e la serie degli avvenimenti. Non
pertanto il suo carattere era più fermo, e la sua condotta più misurata
assai che non sarebbesi potuto presumere da tanta vivacità. Lento a
risolvere, non intraprendeva cose pericolose che dopo lunghi consigli;
ma quando vi si era impegnato, non si lasciava smuovere dai più gravi ed
impreveduti disastri. Nelle cose delle lettere i Fiorentini univano alla
prontezza la forza del raziocinio, alla filosofia la giovialità, la
facezia alle più sublimi meditazioni. La profondità del carattere aveva
presso questo popolo conservato l'entusiasmo, ed il motteggio ne aveva
formato il gusto; la severità del pubblico contro il ridicolo aveva
stabilita intorno alle lettere ed alle arti una non meno severa
legislazione.
La scuola di pittura che allora fioriva nella loro città, porta
l'impronta del genio creatore, di cui venivano per altro corretti i
traviamenti. Il pittore che inventava il paradiso ed osava
rappresentarvi gli eletti nella loro gloria, consigliavasi col pubblico
di cui temeva il giudizio. Giotto fioriva a quest'epoca in Firenze:
figliuolo d'un povero montanaro, aveva ricevuto dalla repubblica l'onore
della cittadinanza ed una ragguardevole pensione. Con una prodigiosa
diligenza arricchiva tutte le chiese di quadri assai più belli di quanto
erasi fatto fino allora, e trovava tempo per dipingerne ancora per le
altre città d'Italia. Aveva egli fatto il modello del bel campanile
della cattedrale di Firenze; ed i molti discepoli ai quali amorosamente
insegnava l'arte sua, erano destinati a darle maggior perfezione[178].
Stefano, Andrea di Cione, Buffalmacco, Taddeo Gaddi ec., ottennero
grandissima celebrità.
[178] _Vasari, Vita di Giotto p. I._
Ma più che l'amore delle lettere e delle belle arti radicato era nel
popolo fiorentino quello della libertà. La sua gelosia della suprema
autorità lo chiamava ad opporsi vigorosamente ad ogni specie di
aristocrazia; ed i suoi talenti per le combinazioni politiche lo
riconducevano sempre verso lo stesso scopo con venti sperienze in
diverse costituzioni. Nello stesso tempo egli sapeva circoscrivere il
potere dei capi, e porsi in guardia contro le agitazioni delle assemblee
popolari.
(1328) La morte del duca di Calabria diede ai Fiorentini nuova cagione
di riformare la loro costituzione, e di equilibrare i diversi poteri
della repubblica. I parlamenti o assemblee generali dei cittadini che
tenevansi nella pubblica piazza, avevano più spesso servito al
sovvertimento delle leggi che a tenerle in vigore; quindi i buoni
cittadini andavano sempre proponendo di chiamare il popolo all'esercizio
della sovranità per mezzo di rappresentanti, e non direttamente; di
consultare la sua opinione, non di contarne i suffragi; poichè non può
esistere la pubblica opinione, nè ha tempo di formarsi in que' paesi,
ne' quali il regime democratico la converte subito in legge; e quando
vengono interpellati tutti i cittadini sopra oggetti non meditati che da
pochi, quasi tutti non danno la propria ma l'altrui opinione. I
Fiorentini non meno gelosi de' cittadini ateniesi non volevano
persuadersi che la nascita, il rango, gl'impieghi rendessero gli uni più
che gli altri cittadini proprj al governo. Non pretendevano per altro,
che la nazione intera fosse nello stesso tempo sovrana e suddita; ma
bensì volevano tutti giugnere successivamente alla magistratura ed ai
consigli, acconsentendo che la magistratura ed i consigli, finchè durava
la loro amministrazione, governassero soli in nome della repubblica.
Ed a fronte del loro esagerato amore dell'eguaglianza, erano non
pertanto costretti di confessare che molti cittadini avrebbero avvilito
il governo colla bassezza della loro condizione, coi villani loro modi,
e colla loro ignoranza. Non volevano per altro escluderli con leggi
generali, le quali verrebbero considerate e come ingiuriose a coloro
contro i quali erano dirette, ed inoltre come insufficienti; onde
preferirono di provvedervi indirettamente, non accordando le cariche che
a quelli che ne sarebbero giudicati degni da una autorità nazionale.
Chiesero adunque che si facesse una nota generale di tutti i cittadini
eleggibili, guelfi, e dell'età di trent'anni: e questa nota si formò
coll'intervento di cinque magistrature indipendenti, cadauna delle quali
rappresentava un interesse nazionale: i priori in nome del governo, i
confalonieri in nome della milizia, i capitani di parte in nome de'
Guelfi, i giudici di commercio in nome de' mercanti, i consoli delle
arti in nome degli artisti, indicavano tutti la volta loro i cittadini
che riputavano degni de' pubblici onori. Alcuni aggiunti cavati dalla
massa del popolo sussidiavano questi elettori, onde verun cittadino non
fosse dimenticato o escluso per sorpresa: e così colui che non veniva
ricordato da nessuno come abbastanza degno, non era più chiamato alle
cariche.
La nota degli eleggibili veniva poscia assoggettata alla ricognizione di
una balìa. Componevasi questo corpo elettorale dei magistrati in numero
di novantasette[179]; e dovevansi avere sessant'otto suffragi per essere
iscritto nella lista de' priori. I buoni uomini, i consoli delle arti, i
confalonieri della compagnia venivano eletti nella stessa maniera.
Finalmente furono aboliti i quattro antichi consigli, e surrogati due
nuovi; quello del popolo composto di trecento membri che dovevano
provare di essere guelfi e popolani; ed il consiglio del comune formato
di cento venti nobili e di cento venti cittadini dell'ordine popolare. I
due consigli venivano rinnovati ogni quattro mesi[180].
[179] Cioè sei priori, dodici buoni uomini, diecinove confalonieri
delle compagnie, ventiquattro consoli delle arti, e sei deputati di
ogni quartiere. La balìa veniva presieduta dal confaloniere di
giustizia.
[180] _Gio. Villani l. X, c. 110. — Leon. Aretino l. V._
Per tal modo ebbero nel governo la loro rappresentanza tutte le
principali parti componenti lo stato, la nobiltà ed il popolo, il
commercio e le manifatture, ogni corpo militare, ogni mestiere, ogni
quartiere della città. La sovranità rimase tutta intera alla nazione,
senza che la nazione fosse adunata; la volontà del popolo giudicò di
tutte le più importanti quistioni, ma dopo essere state lungamente
disaminate dalla magistratura e dai consigli.
Quel medesimo spirito di libertà che aveva presieduto alla formazione
della costituzione, dirigeva il governo nelle sue relazioni esteriori. I
Fiorentini furono appena liberati dal timore di Castruccio, che
determinarono di liberare dal giogo dei tiranni anche i popoli vicini.
Dopo aver veduto l'indipendenza d'Italia minacciata dal Bavaro,
determinarono di opporsi allo stabilimento di qualunque potenza
straniera al di qua delle Alpi.
Luigi di Baviera erasi avanzato fino alle frontiere della repubblica
fiorentina, e pel 13 dicembre del 1328 aveva convocata in Pisa
un'assemblea de' principali capi del partito ghibellino: ma mentre la
teneva occupata soltanto intorno al processo che faceva contro il papa
d'Avignone il suo antipapa Nicolò V[181], la cavalleria fiorentina due
volte s'avanzò ad insultarla fino sotto le mura di Pisa. Luigi di
Baviera aveva perduto in Castruccio il suo miglior consigliere ed il suo
campione. Egli non aveva danaro per mantenere un'armata così lontana dal
proprio paese; ed era talvolta costretto di procurarsene coi più perfidi
e vergognosi modi[182]: veniva perciò doppiamente diffamato, per la sua
povertà e per le frodi e per l'ingratitudine che questa obbligavalo a
praticare[183].
[181] _Gio. Villani l. X, c. 113 e 114._
[182] D'ordine di Massimiliano, duca di Baviera, Gio. Giorgio
Herwart, suo cancelliere, scrisse del 1618 un'opera per difendere
Luigi IV contro le imputazioni de' Guelfi, e specialmente di Bzovio,
continuatore degli Annali ecclesiastici. È un grosso libro in 4.º
stampato a Monaco. Ma ridonda più d'invettive che di ragioni, e non
basta a ristabilire la riputazione dell'imperatore.
[183] Il Petrarca vi allude nella canzone _Italia mia_ composta
quando i Fiorentini pensavano di richiamare il Bavaro in Italia:
_Nè v'accorgete ancor per tante prove_
_Del Bavarico inganno_
_Che alzando 'l dito colla morte scherza?_
Durante la sua dimora in Roma aveva fatto imprigionare e mettere
barbaramente alla tortura Salvestro de' Gatti, signore di Viterbo, per
obbligarlo a scoprire il luogo in cui teneva nascosti i suoi tesori,
sebbene fosse questi il primo signore dello stato ecclesiastico, che
aveva volontariamente data in mano dell'imperatore una fortezza[184].
Cercava in pari tempo di aver danaro da' Visconti e di cavare nuovi
frutti del tradimento loro fatto. Il 6 di luglio del precedente anno
aveva fatto ritenere Galeazzo accusato d'aver trattato coi Guelfi; ma
aveva, senza verun pretesto, fatto imprigionare in Monza il figlio ed il
fratello di questo signore. Dopo otto mesi lasciatosi finalmente piegare
dalle istanze di Castruccio, avea ritornata loro la libertà il 25 marzo
del 1328, ma lasciato morire nella miseria e nell'esilio il valoroso
capo di questa famiglia. Presentemente negoziava coi superstiti di
vender loro la sovranità rapitagli. Egli voleva danaro, ed inoltre
chiedeva un pegno della futura fedeltà di coloro che aveva tanto
crudelmente offesi. Per fargli cosa grata, Giovanni Visconti, il terzo
de' figliuoli del grande Matteo, aveva accettato il cappello
cardinalizio dell'antipapa Nicolò V; e mentre suo nipote Azzo
mercanteggiava coll'imperatore il riacquisto di Milano, un impreveduto
avvenimento affrettò la conclusione del trattato[185].
[184] _Gio. Villani l. X, c. 65._
[185] _Gio. Villani l. X, c. 117._
Tutte le truppe imperiali lagnavansi di non essere pagate; ma più
impazienti di tutti erano i Sassoni e gli abitanti della Germania
inferiore, che anche nello stato ecclesiastico avevano minacciato di
battersi coi loro patriotti. Finalmente risolsero di sorprendere una
fortezza, perchè servisse loro di pegno; ed ottocento cavalieri della
bassa Germania con molti pedoni partirono il giorno 29 ottobre del 1329
alla volta di Lucca con tanta celerità, che l'imperatore ebbe appena
tempo di far chiudere le porte della città[186]. Dopo aver saccheggiati
i sobborghi di Lucca ed i villaggi di Val di Nievole, si stabilirono
sulla montagna del Ceruglio, il più alto tra i colli che dividono il
piano delle paludi di Fucecchio da quello del lago di Bientina. Si
afforzarono in questa vantaggiosa posizione, lontana quindici miglia da
Lucca e dodici da Pisa, signoreggiando egualmente le pianure di Val di
Nievole e quelle di Val d'Arno, onde chiudevano l'ingresso ne' territorj
pisano e lucchese. Allora minacciando indistintamente i Guelfi ed i
Ghibellini posero all'incanto i loro servigi e la loro nimicizia[187].
[186] _Gio. Villani l. X, c. 107._
[187] _Bart. Beverini Annales Lucens. l. VII._
Luigi di Baviera, conoscendo quanto pericolosa fosse la sua situazione,
volendo richiamare gli ammutinati, si determinò finalmente a conchiudere
la lunga negoziazione coi Visconti, ritornando ad Azzo il titolo di
vicario imperiale e facendogli aprire le porte di Milano. Azzo Visconti
promise il pagamento di cento venticinque mila fiorini, e mandò suo zio
Marco al corpo tedesco di Ceruglio, per informarlo di questo trattato e
pregarlo a pazientare finchè il danaro giugnesse da Milano. Ma i
Tedeschi, dopo avere aspettato pochi giorni, fermarono Marco Visconti,
come sigurtà del danaro che loro aveva promesso[188].
[188] _Gio. Villani l. X, c. 117._
Intanto l'imperatore cercava d'imporre contribuzioni sui paesi già
governati da Castruccio. Egli aveva accordato ai di lui figliuoli il
titolo di duchi di Lucca, che loro ubbidiva ancora; sebbene molte
famiglie repubblicane, gli Onesti, i Pozzinghi ed i Salamoncelli,
cercassero di ristabilire l'antica forma del governo[189]. Luigi di
Baviera sotto colore di proteggere i giovanetti orfani, de' quali era
naturale tutore, entrò in Lucca, ove fu ricevuto senza sospetto il 16
marzo del 1329. Ma egli ordinò subito al suo maresciallo di correre per
le strade con un corpo di cavalleria, come costumasi nel prender
possesso di una città. I Tedeschi attaccarono gli steccati eretti contro
di loro, bruciarono le case de' Pozzinghi, ove incontrarono resistenza,
ed il fuoco comunicandosi ai vicini edificj ridusse in cenere il più
ricco quartiere della città, quello di san Michele. Dopo ciò
l'imperatore vendette Lucca per ventidue mila fiorini a Francesco
Castracani, parente, ma nemico, di Castruccio e de' suoi figliuoli[190].
[189] _Beverini Ann. Lucens. l. VII, p. 857-859._
[190] _Istorie Pistolesi anonime t. XI, p. 453. — Gio. Villani l. X,
c. 125._
Filippo Tedici, che aveva venduta Pistoja a Castruccio, voleva almeno
conservare la signoria di questa città ai giovani Castracani; ma i
Panciatichi, antichi capi del partito ghibellino, vi si opposero colle
armi, e Tedici fu cacciato di Pistoja coi soldati di Castruccio. Così fu
in pochi mesi distrutta la potenza di questo valoroso ed accorto
principe che fatti aveva tremare tutti i Guelfi d'Italia. I suoi
figliuoli, scacciati dalle città in cui aveva egli regnato, furono
forzati di ripararsi ne' castelli degli Appennini, finchè giunti all'età
atta alle armi professarono il mestiere di _condottieri_. I diversi
stati da Castruccio uniti in un solo, si separarono per essere un dopo
l'altro ridotti in servitù, mostrando così che l'efimera loro potenza
era attaccata ad una sola vita. Que' popoli, cui Castruccio aveva
ispirato il proprio ardore militare, trovaronsi spossati dalle battaglie
sostenute con tanta gloria; esauriti erano i loro tesori, la loro
gioventù perita nelle battaglie, e i Lucchesi pagarono con quaranta anni
di schiavitù la breve gloria onde Castruccio gli aveva coperti.
Luigi di Baviera non prendendosi verun pensiero dei figliuoli del suo
più fedele servitore, ch'egli stesso aveva ruinati, lasciò la Toscana il
giorno 11 aprile. Vedeva ogni giorno venir meno in questa provincia il
suo credito; e non potendo ridurre sotto le sue insegne i Tedeschi del
Ceruglio, temeva di vedersi esposto a grandi rovesci di fortuna, ove
questi prendessero soldo dalla repubblica fiorentina. Affidò la custodia
di Pisa a Tarlatino di Pietra Mala, uno de' signori d'Arezzo,
lasciandogli circa seicento cavalli tedeschi, e s'incamminò col resto
delle sue truppe verso la Lombardia[191].
[191] _Gio. Villani l. X, c. 128._
Finchè l'imperatore si trattenne in Toscana, i Fiorentini non potevano
disporre delle loro forze, che per difendersi da così potente nemico; ma
ne fu appena lontano, che cominciarono ad approfittare dell'odio che
questo monarca aveva ispirato ai popoli. Dì quante conquiste aveva fatte
Castruccio, più d'ogni altra spiaceva ai Fiorentini quella di Pistoja
che apriva ai Ghibellini il passaggio delle montagne, e li metteva nella
stessa campagna di Firenze. Ma i Panciatichi, capi de' Ghibellini
pistojesi, dopo averne scacciati i Tedici che risguardavano come
traditori, mossero pratica presso il governo fiorentino per
rappacificarsi. Ne aprì le negoziazioni Pazzino de' Pazzi, loro parente,
col di cui mezzo il 24 maggio del 1329 si segnò la pace tra Pistoja e
Firenze. I Pistojesi rinunciarono ad ogni loro diritto sopra Montemurlo,
Carmignano, Artimino e Vitolino, fortezze già occupate dai Fiorentini;
si obbligarono ad avere in ogni tempo per loro amici gli amici dei
Fiorentini, per nemici i loro nemici; ed acconsentirono a ricevere entro
le loro mura, per sicurezza della città, un capitano fiorentino con una
piccola guarnigione[192]. Dopo questo trattato, sebbene si continuasse a
risguardare Pistoja qual città alleata e non suddita de' Fiorentini,
cessò d'avere un'esistenza indipendente, e cessarono i suoi abitanti di
formare un popolo.
[192] _Istor. Pistolesi anon. t. XI. — Gio. Villani l. X, c. 130._
La più ridente provincia della Toscana, Val di Nievole, occupata dai
Lucchesi l'anno 1281[193] aveva ubbidito a Castruccio. Due piccoli
fiumi, che per altro non sono mai senz'acque, la Pescia e la Nievole,
rendono fertilissimo il piano di questa bella vallata che si copre ogni
anno di ricche messi. Le colline che la circondano sparse di ulivi e di
viti, producono il più delicato olio ed i migliori vini della Toscana:
ne coronano la vetta antiche rocche, le di cui torri, coperte d'ellera e
di capperi, s'innalzano di mezzo ad alti castagni ed ai cipressi. Queste
rocche non appartenevano alla nobiltà immediata, ma vi si erano adunati
per loro sicurezza i proprietarj della valle; un ricinto comune serviva
alla difesa delle case e de' più preziosi effetti, e senza uscire dai
loro ripari gli abitanti di questo delizioso paese potevano custodire le
messi del piano ed osservare il lavoro de' loro agricoltori. Ogni
borgata aveva un governo municipale; e prima di passare sotto il dominio
de' Lucchesi, queste piccole popolazioni, tanto vicine le une alle altre
da potersi intendere parlando da un castello all'altro, si erano
talvolta fatte la guerra, ed avevano contratte fra di loro alleanze
offensive e difensive. Morto Castruccio, desiderando di separare la loro
sorte da quella dei Lucchesi, si collegarono tra di loro per assicurare
la comune indipendenza; ma l'esempio dei Pistojesi li persuase a cercare
l'alleanza e la protezione di Firenze; onde il 21 giugno del 1329 fu
firmato un trattato di perpetua pace tra la repubblica per una parte, e
per l'altra i castelli di Pescia, Montecatini, Buggiano, Uzzano, Colle,
Cozzile, Massa, Monsummano e Montevetturini. Obbligavansi questi a non
avere altri amici che gli amici dei Fiorentini, ed essere nemici dei
loro nemici, e ad ubbidire ad un capitano che manderebbe loro la
repubblica[194].
[193] _Gio. Villani l. VII, c. 76. — Prosper Omero Baldassaroni,
Istoria di Pescia, un vol. in 8.º._
[194] _Gio. Villani l. X, c. 135. — Beverini Annales Lucens. l. VII,
p. 864._
Parve che allora si presentasse alla repubblica l'opportunità di fare un
acquisto assai più importante. Le fu offerta in vendita la città di
Lucca. I Tedeschi che avevano abbandonato l'imperatore, e ch'eransi
trincierati a Ceruglio, quando seppero ch'era partito, credettero utile
di assoggettarsi ad un capo che conoscesse l'Italia e la politica
italiana, e scelsero quello stesso Marco Visconti che pochi dì prima
avevano arrestato, ma che aveva saputo farsi amare da molti loro
compatriotti per il suo valore ed i talenti militari, e perchè il suo
carattere inquieto ed intraprendente lo rendevano degno del comando
d'una banda di avventurieri. Infatti Marco Visconti trovossi appena capo
di questa temuta gente, che prese a negoziare con tutti i suoi vicini,
col governo di Firenze, coi Tedeschi di guarnigione a Lucca, e cogli
oppressi cittadini di Pisa.
La conquista di Lucca fu il primo frutto di queste segrete pratiche.
L'imperatore aveva lasciati trecento cavalieri tedeschi a Francesco
Castraccani degli Interminelli, suo vicario in Lucca; questi furono
sedotti dai Tedeschi del Ceruglio; ed altri cavalieri della stessa
nazione, che avevano militato sotto Castruccio, ed erano rimasti di
guarnigione nella rocca di Lucca, promisero di ajutare il figlio del
loro duca, che Marco Visconti aveva fatto venire nel suo campo; e nella
notte del 15 aprile le porte della città e la sua rocca furono aperte ai
Tedeschi del Ceruglio, i quali disarmarono i cittadini e ne diedero la
signoria a Marco Visconti[195]. Ma i soldati cui andava debitore della
nuova sovranità, erano accostumati a vivere coi ladronecci, ed il
territorio lucchese che andavano guastando, e la città, impoverita dalle
precedenti guerre, più omai non bastavano a mantenerli[196]. Perciò
desideravano di tornare in Germania, ed erano disposti a cedere Lucca a
qualunque loro pagasse in cumulo il soldo dovuto dall'imperatore; il
quale, stando ai loro calcoli, ammontava a ottanta mila fiorini. Per
tale prezzo offrirono Lucca ai Fiorentini, i quali rifiutarono
l'offerta; o perchè i priori della repubblica non volessero arricchire
coi proprj tesori i loro nemici, Marco Visconti ed il figliuolo di
Castruccio[197]; o perchè una vicendevole diffidenza impedisse ai
Fiorentini ed ai Tedeschi di mandare ad effetto il trattato, negando gli
uni di dare il danaro prima che fosse loro aperta la città; ne volendo
gli altri aprirla avanti di riceverlo[198]; o pure, come vogliono
alcuni, che vi si opponesse una segreta gelosia contro il primo
negoziatore incaricato di questo trattato dalla signoria[199].
[195] _Gio. Villani l. X, c. 129._
[196] _Beverini Ann. Lucens. l. VII, p. 861._
[197] _Leon. Aret. Stor. Fior. l. VI. — Machiav. Stor. Fior. l. II._
[198] _Andrea Dei Cron. Sanese t. XV, p. 86. — Beverini Ann. Lucens.
l. VII, p. 863._
[199] _Gio. Villani l. X, c. 129._
Intanto scoppiava in Pisa una seconda congiura diretta da Marco
Visconti. Questa città, sì lungo tempo fedele agl'imperatori, e che
tanti enormi sacrificj sostenne per cagion loro, aveva esperimentata,
come gli altri stati ghibellini, l'ingratitudine di Luigi di Baviera. Il
diritto delle genti era stato violato nei suoi ambasciatori, la città
assediata, la capitolazione violata, e la signoria affidata
successivamente all'imperatrice, a Castruccio, a Tarlatino di Pietra
Mala; finalmente insopportabili contribuzioni erano state imposte agli
abitanti, le quali avevano fatto succedere la miseria all'antica
opulenza. Marco Visconti concertò il modo di liberare Pisa col conte
Fazio, o Bonifazio della Gherardesca, capo della fazione plebea; gli
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