Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 05 (of 16) - 07

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[143] _Gio. Villani l. X, c. 18. — Chron. Veron. t. VIII, p. 644. —
An. Mediol. t. XVI, c. 99, p. 704. — Olenschlager Geschichte § 74,
p. 182._
Dacchè Galeazzo Visconti, signore di Milano, aveva vinto Raimondo di
Cardone in una grande battaglia e fattolo prigioniere, poco più temeva
gli attacchi de' Guelfi. La sua potenza li teneva lontani da' suoi
stati, ed altronde manteneva una segreta corrispondenza colla corte di
Roma, cui faceva sperare che, abbandonato il partito dell'imperatore,
riconoscerebbe dalla chiesa la sua autorità. Ma Galeazzo aveva trovati
nuovi nemici nella propria famiglia. Quel Lodrisio Visconti, suo
parente, che lo aveva scacciato da Milano, poi richiamato del 1322, non
sapeva nè sottomettersi al governo dispotico di Galeazzo, nè
acconsentire al trattato che gli vedeva stringere col papa. Pretendeva
Marco Visconti, fratello di Galeazzo, di dividere con lui la sovranità
rassodata col suo valore e colle sue vittorie; e la gelosia tra i due
fratelli era poc'a poco declinata in aperto odio. I nobili milanesi
credevansi avviliti dall'innalzamento di una famiglia poc'anzi loro
eguale, il popolo non aveva dimenticata l'antica libertà, e per ultimo
gli altri capi ghibellini di Lombardia, Cane Passerino e Franchino
Rusca, tiranno di Como, eransi alienati da Galeazzo, dopo che i suoi
trattati colla corte pontificia avevano risvegliata la loro diffidenza.
Luigi di Baviera nell'adunanza di Trento, poi a Como ed a Milano, era
stato richiesto da tutti coloro che lo circondavano di privare Galeazzo
del principato[144].
[144] _Georg. Merulæ Hist. Mediol. l. II. — Albert. Mussati Lud.
Bavar. p. 771. — Boninc. Morigiæ Chron. Modoet. t. XII, c. 35 e 36.
— Pet. Azarii Chron. t. XVI, c. 7. — Georgii Stellæ Ann. Genuens. t.
XVII, p. 1056. — Pauli Jovii Galeaz. p. 288._
Finchè Luigi di Baviera guerreggiò in Germania per farsi riconoscere re
de' Romani, la sua condotta era stata libera, leale, onorata, e talvolta
generosa. In Italia, per lo contrario, fu quasi sempre perfida e venale.
Pare che supponesse l'Italia, in certo modo, abbandonata al saccheggio:
vedevasi circondato da tiranni che non conoscevano scrupoli, e si
credeva anch'esso libero da ogni dovere. È cosa notabile che siasi quasi
sempre fatto uso contro gl'Italiani di quella perfida politica che viene
loro rimproverata, ed i loro nemici accrebbero fede a questa ingiusta
riputazione di falsità per essere liberi da qualunque dovere verso gli
accusati di mala fede. Luigi di Baviera doveva riconoscere in Galeazzo
Visconti il più antico ed intrepido campione del partito ghibellino,
pure non lasciò di tradirlo mentre da lui riceveva una generosa
ospitalità: sedusse i contestabili delle truppe tedesche al di lui
servizio, ed il 6 di luglio in una pubblica assemblea, dopo avergli
aspramente rinfacciato di non avere ancora pagata la promessa
contribuzione, lo fece arrestare unitamente a suo figlio e a due
fratelli. Gli strappò di mano, col timore del supplicio, le chiavi di
tutte le sue fortezze, indi lo mandò colla sua famiglia nelle terribili
prigioni ch'egli medesimo aveva fatto fare a Monza[145].
[145] _Gio. Villani l. X, c. 30. — Galv. Flam. Man. Flor. c. 365. —
Chron. Modoet. c. 37. — Georg. Merulæ Hist. Mediol. l. II, p. 104. —
Olenschlager Geschichte § 76, p. 186._
Dopo ciò, Luigi ristabilì in Milano un simulacro di repubblica, facendo
scegliere dalle ventiquattro tribù della città un consiglio di
ventiquattro membri, cui diede per presidente Guglielmo di Monforte,
governatore imperiale. Ma le grandi contribuzioni imposte per ordine del
monarca fecero bastantemente comprendere ai cittadini, che non avevano
altrimenti ricuperato il diritto di governarsi da sè stessi.
Così solenne tradimento poteva per altro avere per l'imperatore la
triste conseguenza di staccare dal suo partito i capi ghibellini ai
quali appoggiavasi tutta la sua fortuna, onde trovò necessario di
giustificarsi in una dieta, adunata a quest'oggetto ad Orci nel
territorio bresciano. Accusò Galeazzo d'aver voluto tradire la causa dei
Ghibellini per favorire la chiesa, e produsse innanzi all'assemblea
alcune carte che provavano le di lui negoziazioni col papa. Risvegliò
l'animosità e la gelosia degli uditori contro il capo della casa
Visconti, e si scolpò facilmente in su gli occhi di coloro che bramavano
di trovarlo innocente. Chiese in appresso ed ottenne sussidj di danaro e
di soldati; e, chiusa la dieta, s'incamminò verso la Toscana con mille
cinquecento cavalieri tedeschi, la maggior parte de' quali erano stati
al servizio di Galeazzo, e con cinquecento cavalieri somministrati dai
tre signori ghibellini di Lombardia[146]. Passò il Po il 23 di agosto, e
giunse a Pontremoli il primo di settembre, senza che il cardinale
legato, che aveva più di tre mila cavalli nello stato di Parma, osasse
opporsi alla sua marcia.
[146] _Gio. Villani l. X, c. 32._
Castruccio era stato uno de' primi ad affrettare la discesa in Italia di
Luigi di Baviera, e questi faceva grandissimo capitale de' consigli, del
valore e de' soldati di così riputato capitano. Castruccio desiderava
ardentemente l'arrivo dell'imperatore. Era stato a vicenda tribolato
dagl'intrighi e dalle armi del potente suo vicino il duca di Calabria,
signore di Fiorenza; aveva più che mai bisogno degli esterni ajuti per
difendersi contro la maggioranza delle forze che l'unione dei Napoletani
dava ai Guelfi di Toscana. Una delle più potenti case di Lucca, i
Quartigiani, che, sebbene originariamente Guelfi, avevano contribuito
all'innalzamento di Castruccio, avevano preso parte contro di lui in una
trama ordita dal duca di Calabria. Nuovi progetti di ambizione, o
fors'anco il desiderio di tornare in libertà la loro patria gli aveva
alienati dal signore di Lucca, il quale, scoperta la loro congiura, ne
condannò venti ad orribile supplicio, facendoli sotterrar vivi col capo
allo in giù. Altri cento furono esiliati, e qui si fermarono le indagini
di Castruccio per timore di scoprire più colpevoli che non avrebbe
voluto[147].
[147] _Beverini Ann. Lucens. l. VI, p. 821._
Dall'altro canto un'armata guelfa di due mila cinquecento cavalli e
dodici mila fanti aveva conquistati santa Maria a Monte ed Artiminio, e
minacciava i territorj di Lucca e di Pistoja, quando, avuto avviso
dell'avvicinamento dell'imperatore, si ritirò bruscamente verso
Fiorenza[148]. Liberato Castruccio da tanto pericolo, corse incontro a
Luigi, facendogli portare a Pontremoli magnifici regali. Gli aprì le
porte del castello di Pietra santa, di dove, lasciata Lucca a sinistra,
gli fece prendere la strada di Pisa.
[148] _Gio. Villani l. X, c. 28 e 29. — Leon. Aret. l. V. — Beverini
Annales Lucens, l. VI, p. 825._
I Pisani più non conservavano quel primo caldo attaccamento al partito
ghibellino, di cui avevano date in addietro così luminose prove. Erano
spossati dalla guerra sarda, durante la quale erano stati abbandonati
dagli antichi alleati e traditi da Castruccio, onde desideravano di
tenersi amici i Fiorentini coi quali eransi di fresco rappacificati.
Temevano inoltre la collera del papa, da cui erano stati per lo stesso
motivo altre volte scomunicati; per le quali cagioni gli ambasciatori
mandati al congresso di Trento, invece d'invitare l'imperatore nella
loro città, gli avevano offerti sessanta mila fiorini per prezzo della
loro neutralità ed indipendenza. La condotta tenuta da Luigi verso
Galeazzo Visconti accresceva la diffidenza dei Pisani, i quali per non
essere, come il signore di Milano, traditi dai Tedeschi che tenevano al
loro soldo, li privarono dei loro cavalli e delle armi. Pure, così
consigliati da Guido dei Tarlati, vescovo d'Arezzo e loro alleato,
mandarono a Ripafratta, posta al confine dello stato lucchese, tre nuovi
ambasciatori a Luigi[149].
[149] Cioè Lemuno Guinicello dei Sismondi, Albizzo da Vico e Giacomo
da Calci. _Gio. Villani l. X, c. 23. — Marangoni Cronica di Pisa p.
657._
Castruccio, che non aveva rinunciato al progetto d'assoggettarsi Pisa,
consigliò l'imperatore a non accogliere i deputati di quella repubblica,
rifiutando il loro danaro e le loro offerte: e mentre i deputati
tornavano a Pisa, li fece arrestare al passaggio del Serchio,
protestando che li tratterebbe come ostaggi e li farebbe morire, se la
patria loro non apriva le porte al re de' Romani[150]. Il vescovo
d'Arezzo che aveva impegnata la sua fede per la loro sicurezza, chiese a
Luigi che fossero posti in libertà. Con siffatta violazione del diritto
delle genti, diceva egli, veniva compromessa la sua parola, sagrificato
l'onore del monarca, e tutti gli antichi Ghibellini, spaventati da
questa mancanza di fede, abbandonerebbero la causa del capo dell'Impero,
invece di esporsi per la medesima. Tali dovevano essere per Luigi IV le
conseguenze de' consigli di Castruccio, cui ciecamente si abbandonava.
Il capo dell'Impero, soggiugneva il vescovo d'Arezzo, avrebbe dovuto
ricordarsi che la sua politica niente aver doveva di comune con quella
d'un usurpatore, che tutto sagrificava all'interesse personale ed al
bisogno presente, d'un tiranno pel quale il ben pubblico, l'onore, la
probità, la riconoscenza e la speranza non erano che nomi vuoti di
senso. Castruccio irritato rispose con violenza che non s'aspettava ad
un vile il dirigere i guerrieri, nè ad un traditore il predicare la
virtù: che il vescovo d'Arezzo colle sue pratiche coi Fiorentini era
bastantemente convinto di mala fede o di piccolo cuore, e che s'egli
avesse voluto attaccare Fiorenza dalla banda delle montagne, mentre
Castruccio la stringeva dalla parte del piano, il partito guelfo sarebbe
in Toscana affatto spento. In questa calda disputa Luigi si decise per
Castruccio[151]. Guido dei Tarlati abbandonò all'istante il campo
imperiale e la causa di Luigi; ma col cuore ulcerato dall'indegnità del
trattamento fattogli, dall'ingratitudine de' suoi amici e dai rimorsi di
avere portate le armi contro la chiesa, fu sorpreso da grave malattia
che lo condusse a morte in capo a pochi giorni mentre trovavasi a
Montenero. Gli Aretini che erano stati felici sotto il di lui governo,
affidarono la carica di capitano della loro città ad uno de' suoi
nipoti, Pietro Saccone Tarlati, signore di Pietramala, il più valoroso
de' gentiluomini che conservavano tuttavia inviolata la loro
indipendenza nelle montagne[152].
[150] _Cron. Sanese d'And. Dei, t. XV, p. 78._ Tale minaccia non fu
eseguita: gli ambasciatori furono liberati il 10 ottobre, dopo presa
la città.
[151] _Leon. Aret. l. V. — Beverini Annales Lucenses l. VI, p. 827._
[152] _Gio. Villani l. X, c. 34. — Cronica di ser Gorello d'Arezzo,
c. 4, t. XV, p. 827._
Mentre i Pisani stavano aspettando i loro ambasciatori, Luigi di Baviera
e Castruccio alla testa dell'armata ghibellina si presentarono alle
porte della loro città. La signoria le fece subito chiudere,
rifiutandosi di ricevere l'imperatore; il quale, risoluto
d'intraprenderne l'assedio, si accampò alla sinistra dell'Arno.
Castruccio occupò la riva destra; e due ponti di barche, uno sopra
l'altro al di sotto della città, univano i due campi e terminavano la
linea che chiudeva Pisa, mentre i distaccamenti di cavalleria
approfittavano dell'inclinazione del popolo per la parte ghibellina,
onde soggiogare tutti i castelli della repubblica. Frattanto la signoria
era forzata a praticare certi ritegni che distruggevano le sue risorse;
non osava chiedere soccorso di truppe al duca di Calabria per non
rinunciare con tal passo al partito ghibellino; e non si attentava di
levare nuove contribuzioni, e di prendere le energiche misure che
potevano metter fine agl'intrighi de' suoi interni nemici. Dopo aver
sostenuto un mese d'assedio, quando Luigi incominciava a scoraggiarsi il
governo fu forzato a domandare la pace dalle grida della plebaglia,
ammutinata dai capi del partito democratico per vendicarsi dell'essere
stati da sett'anni in qua esclusi dall'amministrazione.
Onorevoli furono le condizioni accordate da Luigi ai Pisani; promise
loro che nè Castruccio nè gli esiliati entrerebbero in città, ch'egli
medesimo non promoverebbe verun cambiamento nel governo, e che la
contribuzione pagabile da Pisa, siccome da tutte le città imperiali pel
suo felice arrivo, sarebbe fissata in sessanta mila fiorini, che gli
erano stati fin da principio offerti. A tali condizioni e dopo aver
posti in libertà gli ambasciatori trattenuti da Castruccio, entrò
pacificamente in Pisa il 10 ottobre facendo osservare alla sua armata la
più severa disciplina. Ma que' medesimi cittadini che avevano costretta
la signoria a far la pace, il conte Tazio, figliuolo di Gerardo di
Donoratico, e Vanni, figliuolo di Banduccio Bonconti, che volevano pur
vedere rovesciato il presente governo, adunarono tumultuariamente un
parlamento, che annullò la capitolazione accordata dall'imperatore,
richiamò gli esiliati, e permise a Castruccio l'ingresso in città. Il
primo atto di sovranità esercitato da Luigi di Baviera sopra la
repubblica fu una contribuzione di cento cinquanta mila fiorini[153].
[153] _Gio. Villani l. X, c. 33. — Istor. Pistol. p. 444. —
Olenschlager Geschichte § 77._
Luigi visitò in appresso Lucca e Pistoja; e per ricompensare lo zelo e
la fedeltà di Castruccio, eresse in suo favore un ducato in Toscana,
formato delle città di Lucca, Pistoja, Volterra e della Lunigiana. Diede
l'investitura di questo nuovo ducato a Castruccio, il giorno di san
Martino, accordandogli in pari tempo d'inquartare i suoi stemmi con
quelli della Baviera[154].
[154] _Istor. Pistol. p. 448. — Beverini Annales Lucens. l. VI, p.
830._
La vicinanza dell'imperatore teneva Fiorenza inquieta assai, non
dubitandosi che non fosse per manifestare il suo sdegno contro una
repubblica, che tanto apertamente erasi dichiarata pel partito de' suoi
nemici: pure non furonvi ostilità tra lui e il duca di Calabria. I due
nemici di quasi eguali forze si guardavano con rispetto, e non cercavano
occasioni di fare sperimento della propria forza. Luigi in sul finire di
dicembre prese a traverso le Maremme la strada di Roma; mentre il duca,
per avvicinarsi in pari tempo che l'imperatore a Roma ed a Napoli,
seguiva la strada superiore di Siena, Perugia e Rieti. La piena dei
fiumi ritardò la marcia dell'armata tedesca, e gli cagionò grandissime
difficoltà, ma il duca non osò approfittarne. Il 2 gennajo 1328
finalmente Luigi arrivò a Viterbo, ove fu cordialmente accolto da
Salvestro de' Gatti, signore ghibellino di questa città. Intanto il duca
rientrò per la via dell'Aquila nel regno di Napoli, avendo lasciati in
Fiorenza mille cavalli sotto gli ordini di Filippo da Sanguineto suo
luogotenente[155].
[155] _Gio. Villani l. X, c. 49._
Poichè Roma fu abbandonata dai papi, il suo governo degenerò in una
irregolare oligarchia. Talvolta i ministri del papa o del re di Napoli
vi esercitavano molta autorità; altra volta si disputavano il supremo
potere le potenti famiglie dei Colonna, de' Savelli, degli Orsini. Per
altro la costituzione della città avrebbe potuto risguardarsi come
repubblicana e democratica: un magistrato forestiere che aveva il nome
di senatore, era incaricato dell'amministrazione della giustizia; un
consiglio di cinquantadue membri eletti dai rispettivi quartieri
trovavasi alla testa dell'amministrazione, ed erano presieduti dal
prefetto di Roma; finalmente veniva frequentemente consultata
l'assemblea del popolo; ed il senatore, siccome i due capitani del
popolo che lo ajutavano, venivano eletti dalla nazione. Tra i nobili, i
Savelli erano ghibellini, guelfi gli Orsini, e dei due fratelli Colonna
Stefano e Sciarra, il primo seguiva le parti del papa, l'altro quelle
dell'imperatore. Quando seppesi in Roma la discesa di Luigi di Baviera
in Italia, un movimento popolare aveva obbligato Napoleone Orsini e
Stefano Colonna a ripararsi colle loro famiglie in Avignone, mentre
Sciarra Colonna e Giacomo Savelli erano stati nominati capitani del
popolo dai Ghibellini vittoriosi[156].
[156] _Gio. Villani l. X, c. 19._
I deputati del senato romano si fecero incontro all'imperatore fino a
Viterbo per istabilire le condizioni del suo ingresso in Roma: ma Luigi
che si era assicurato l'appoggio dei capi del governo, e che non voleva
nè scontentare il senato, nè legarsi con anticipate convenzioni, fece
onestamente trattenere gli ambasciatori, e giunse egli stesso alle porte
della città il giorno 7 gennajo del 1328, prima che fossero tornati: fu
accolto dai Romani con infinito giubilo ed alloggiato in Vaticano. Il
quinto giorno, fatto adunare tutto il popolo avanti al Campidoglio,
commise al vescovo d'Aleria in Corsica di ringraziare in suo nome i
Romani dell'attaccamento che gli mostravano. Questi promise che Luigi
farebbe prosperare l'eterna città, ridonandole l'antica sua gloria. In
appresso, di consentimento del popolo, stabilì che la ceremonia della
sua incoronazione si farebbe la seguente domenica 27 di gennajo[157].
[157] _Gio. Villani l. X, c. 23. — Cron. Sanese di And. Dei, p. 79._
Nel giorno destinato Luigi partì da santa Maria Maggiore colla sua
consorte Margarita di Hainault per recarsi in san Pietro di Vaticano. I
capitani del popolo, i consiglieri e tutti i baroni di Roma, vestiti di
drappi d'oro, aprivano il corteggio; venivano dietro al monarca
quattromila cavalli che aveva seco condotti; e le strade che
attraversava, erano addobbate di ricchissimi tappeti. Un legista seguiva
l'imperatore, affinchè tutte le ceremonie si eseguissero conformemente
alle leggi. Castruccio nominato cavaliere e conte del palazzo di
Laterano per questa solennità, portava la spada dell'impero, ch'egli
stesso doveva cingere al monarca. Era il capitano coperto di un abito di
seta chermisì, con due brevi a grandi lettere d'oro sul petto e sulle
spalle che ascrivevano a Dio la sua grandezza, e ne lasciavano
l'avvenire alla provvidenza[158]. Giacomo Alberti, vescovo di Venezia o
Castello, e Gerardo Orlandini, vescovo d'Aleria, l'uno e l'altro dal
papa scomunicati e deposti, stavano aspettando Luigi a san Pietro per
consacrarlo. Dopo questa cerimonia, Sciarra Colonna pose sulla di lui
testa la corona dell'impero, e Luigi, quasi per prendere possesso della
nuova dignità, fece leggere tre decreti, in forza dei quali prometteva
di mantenere la purità della fede cattolica, di rispettare i preti e di
conservare i diritti delle vedove e dei pupilli. Dopo ciò, tutto il
corteggio tornò in Campidoglio. Aveva il popolo conferita al monarca per
acclamazione la dignità di senatore di Roma, e questi la trasmise a
Castruccio affinchè l'esercitasse in suo nome[159].
[158] Stava scritto sul petto: _Egli è come Dio vuole_: e sopra le
spalle: _E sì sarà quello che Dio vorrà_. _Gio. Villani l. X, c.
58._
[159] _Gio. Villani l. X, c. 55. — Beverini Annales Lucens. l. VI,
p. 833._
Immediatamente dopo la consacrazione, Luigi avrebbe dovuto marciare
contro Napoli colle imponenti forze ch'egli comandava, e schiacciare il
suo principale avversario, che non era in istato di resistergli
lungamente: ma egli sentiva che la sua coronazione era di niun valore
per l'aperta opposizione del papa. Diffidava de' proprj diritti, e
cercava di assodarli ora con ridicole e talvolta scandalose formalità:
intentò un processo contro il papa, additato col nome di prete, Giacomo
di Cahors, lo citò al suo tribunale, e come colpevole d'eresia e di lesa
maestà, lo condannò alla deposizione ed in seguito alla pena di
morte[160]. Gli diede per successore un frate Minore, chiamato Pietro di
Corvaria, che fece eleggere dal popolo e consacrare sotto nome di Nicolò
V[161]. Ma mentre lasciava inutilmente passare, stando in Roma, la
stagione di agire, Castruccio, il suo più fermo appoggio, era richiamato
in Toscana da una rivoluzione che minacciavalo di rapirgli i suoi stati.
[160] _Gio. Villani l. X, c. 68. — Olenschlager Geschichte des
Romisch Kayserthum § 82._
[161] _Gio. Villani l. X, c. 71. — Albertini Mussati Lodovicus
Bavarus p. 772. — Vita Joan. XXII ex Amalrico Augerio t. III, p. II.
— Raynald. Annal. Eccles. § 8, t. XV._
Il luogotenente del duca di Calabria a Fiorenza, Filippo da Sangineto,
aveva la notte del 28 gennajo sorpresa Pistoja. Due emigrati guelfi di
questa città gli avevano date le misure delle fosse e delle mura; i
Guelfi di Pistoja avevano prese le armi ed aperta una breccia per far
entrare la cavalleria fiorentina; e la guarnigione di Castruccio, non
avendo potuto sostenersi nella fortezza, erasi ritirata a Serravalle. Ma
l'armata di Sangineto, quasi tutta composta di Borgognoni, aveva
crudelmente abusato della sua vittoria, saccheggiando dieci giorni
continui la città senza risparmiare piuttosto i Guelfi che i Ghibellini:
ed aveva tanto ben consumate tutte le sue munizioni ed i suoi magazzini,
che si era spogliata di tutti i mezzi di difesa ove fosse stata
attaccata dai nemici[162].
[162] _Ist. Pist. Anon. t. XI, p. 445. — Gio. Villani l. X, c. 57. —
Leonard. Aret. l. V. — Beverini Ann. Lucens. l. VI, p. 835._
Non ebbe appena ricevuto l'avviso della perdita di Pistoja, che
Castruccio partì alla volta della Toscana con mille cavalli e mille
arcieri che aveva condotti a Roma per onorare l'imperatore. Giunto a
Pisa, si appropriò il prodotto delle gabelle, ed impose nuove
contribuzioni[163]. Aveva Luigi data all'imperatrice la sovranità di
Pisa; ma quando un suo luogotenente si presentò per prendere possesso
della signoria, Castruccio lo costrinse a ritirarsi, e corse la città
alla testa della sua cavalleria, per sottometterla alla sua
autorità[164]. Frattanto disponevasi ad assediare Pistoja; ed il 13
maggio mandò mille cavalli ed un grosso corpo d'infanteria con ordine di
occupare le comunicazioni della piazza, ed in seguito fece avanzare la
milizia di Pisa, indi passò egli stesso al campo col rimanente delle sue
forze.
[163] _Gio. Villani l. X, c. 58._
[164] _Gio. Villani l. X, c. 81. — Olenschlager Geschichte, § 85._
I Fiorentini irritati dalle vessazioni di Filippo da Sangineto, dal
saccheggio di Pistoja, e dal vedere che la sovranità di quella terra
veniva riservata al duca di Calabria, avevano rifiutato di
approvisionarla a loro spese. Pure quando videro Castruccio disposto ad
intraprenderne l'assedio, pentiti della loro ostinazione, adunarono una
forte armata per vittovagliare Pistoja, difesa da trecento cavalieri e
da mille fanti al loro soldo, sussidiati dai Guelfi della città[165]. Il
13 luglio l'armata Fiorentina composta di due mila seicento cavalli, e
secondo alcuni di circa trenta mila pedoni[166], s'avvicinò alla città
assediata, mandando a sfidare Castruccio a battaglia. Il signore di
Lucca accettò garbatamente il guanto della sfida, e fissò il giorno ed
il luogo della battaglia; ma perchè egli non aveva da opporre all'armata
nemica che mille seicento cavalieri, invece di prepararsi alla
battaglia, approfittò dell'indugio per fortificarsi nel suo campo,
rendendone l'attacco quasi impossibile. Quando i Fiorentini nel giorno
convenuto ebbero aspettato alcun tempo l'armata lucchese nel piano, e
s'accorsero d'essere stati beffati, tentarono di forzarla ne' suoi
trincieramenti, ma ne furono respinti con qualche perdita. Pensarono
allora di obbligare Castruccio a levare l'assedio per venire a difendere
i suoi stati trasportando improvvisamente la guerra nello stato di Pisa
che mise a fuoco e sangue. Ma sapendo Castruccio che Pistoja non aveva
vittovaglia che per pochi giorni, lasciò guastare le campagne e non
abbandonò la sua posizione. In fatti gli assediati scoraggiati dalla
partenza dell'armata guelfa, capitolarono, ed aprirono le porte della
città al signore di Lucca il 3 agosto del 1328[167].
[165] _Istorie Pistolesi, p. 447. — Giovanni Villani l. X, c. 83. —
Leonardo Aretino l. V. — Beverini Annales Lucenses l. VI, p. 843._
[166] _Beverini Annales Lucenses l. VI, p. 845._
[167] _Istor. Pistolesi p. 450. — Gio. Villani l. X, c. 84. — And.
Dei Cron. Sanese t. XV, p. 81. — Beverini Ann. Lucenses l. VI, p.
848._
«Quando Castruccio, dice il Villani, ebbe riacquistata Pistoja per suo
grande senno e studio e prodezza,... tornò alla città di Lucca con
grande trionfo e gloria, e trovossi in sul colmo d'essere temuto e
ridottato e bene avventuroso di sue imprese più che fosse stato nullo
signore o tiranno italiano, passati molti anni; e con questo signore
della città di Pisa e di Lucca e di Pistoja e di Lunigiana e di gran
parte della Riviera di Genova di levante, e trovossi signore di più di
trecento castella murate. Ma come a Dio piacque il quale per debito di
natura ragguaglia il grande col piccolo, e 'l ricco col povero, per
soperchio di disordinata fatica prese nell'oste a Pistoja, stando
armato, andando a cavallo e talora a piè a sollecitare le guardie o a'
ripari della sua oste, facendo fare fortezze e tagliate, e talora
cominciava colle sue mani, acciò che ciascuno lavorasse al caldo del
sole Leone, sì li prese una febre continua, onde cadde forte malato. E
per simile modo molta buona gente di Castruccio ammalarono.»
Il più ragguardevole personaggio che perì vittima di quest'epidemia
sotto gli occhi di Castruccio, fu Galeazzo Visconti, già signore di
Milano. L'imperatore lo aveva, ad istanza del signore di Lucca, posto in
libertà il 25 marzo unitamente alla sua famiglia, e Galeazzo in allora
militava sotto le insegne del suo protettore[168]. Fu sorpreso
dall'epidemia nella rocca di Pescia, ove quest'uomo, ch'era stato
signore di Milano e di altre sette grandi città, cioè Pavia, Lodi,
Cremona, Como, Bergamo, Novara e Vercelli, ridotto alla condizione di
povero soldato, morì in pochi giorni miserabilmente e scomunicato.
[168] _Bonincontri Morigiae Chr. Med. c. 37. — Georgii Merulae Hist.
Mediol. l. II._
Frattanto la malattia di Castruccio facevasi pericolosa in modo, ch'egli
stesso, conoscendo vicino il termine de' suoi giorni, dispose de' suoi
beni, lasciando ad Enrico, suo maggior figliuolo, il ducato di Lucca nel
modo che lo aveva istituito l'imperatore[169]. Ordinò che subito morto,
questo suo figlio passasse a Pisa con un corpo di cavalleria per
mettersene al possesso, e non prendesse il corrotto finchè non avesse
assodata la sua sovranità. Dopo aver date tali disposizioni rese l'anima
il sabato 3 settembre 1328.
[169] Castruccio lasciava tre figli legittimi in minor età, Enrico,
Valerano e Giovanni, sotto la tutela di Pina sua consorte. Aveva
pure un bastardo chiamato Ortino. _Beverini Annales Lucens. l. VI._
Era Castruccio assai destro della persona, di grande e svelta statura,
di aggradevole aspetto, ma sparuto e quasi bianco; aveva i capelli
diritti e biondi e dolce la fisonomia; morì di quarantasette anni. Fra i
tiranni ebbe nome di valoroso e magnanimo[170], saggio, accorto, pronto
nel risolvere, instancabile nella fatica, valoroso nelle armi,
antiveggente, felice nelle sue imprese, da tutti temuto. Ma nel corso di
quindici anni in cui tenne il governo di Lucca, diede diverse prove
della crudeltà del suo carattere. Diede in preda ad orribili torture i
sospetti, e condannò ad atroci supplicj i suoi nemici. Sempre vago
d'avere nuovi servitori e nuovi amici, non era riconoscente de' ricevuti
beneficj; anzi pareva incrudelire maggiormente contro coloro che lo
avevano ajutato ne' suoi bisogni, quasi volesse scaricarsi in tal modo
di quanto loro doveva. Andava debitore ai Quartigiani del suo primo
ingrandimento, ed abbiamo veduto che li condannò a crudele supplicio. I
Poggi, altra famiglia lucchese, lo avevano tolto dalle mani di Neri
della Faggiuola, e gli avevano aperta la strada alla sovranità; ed egli
approfittò dell'opportunità di una privata quistione in cui ebbero
parte, per far tagliare la testa a due di loro[171].
[170] _Et quidem is erat Castrucius, ut quoniam ita ferebant
tempora, nullius manu libertas honestius periret._ _Beverini Ann.
Lucens. l. VI._
[171] _Ibidem._
La morte di Castruccio fu a seconda de' suoi ordini tenuta nascosta fino
al giorno 10 di settembre, nel qual tempo il suo maggior figliuolo corse
colla cavalleria le città di Lucca e di Pisa, rompendo i Pisani ovunque
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