Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 05 (of 16) - 06

Total number of words is 4198
Total number of unique words is 1537
38.6 of words are in the 2000 most common words
54.4 of words are in the 5000 most common words
63.5 of words are in the 8000 most common words
Each bar represents the percentage of words per 1000 most common words.
manifestò una crudele epidemia. La signoria proibì in tale occasione
gl'inviti ai funerali per non occupare la città con sì triste dovere,
che avrebbe dovuto rinnovarsi ogni ora, e per non ispaventare gli
ammalati facendo loro sapere quanti ne perivano ogni giorno[112].
[111] _Gio. Villani l. IX, c. 210. — Istorie Pistol. p. 428._
[112] _Gio. Villani l. IX, c. 316._
Dopo avere saccheggiato tutto il piano di Fiorenza ed il territorio di
Prato, come pure una parte di Val di Marina dall'altra parte dell'Arno,
Castruccio fortificò Signa, ove lasciò guarnigione, e condusse a Lucca i
suoi prigionieri con un ricchissimo bottino. Scelse pel suo trionfale
ingresso in Lucca il giorno di san Martino, patrono della cattedrale di
quella città, e diede a quest'ingresso la magnificenza di un trionfo.
Conducevasi tuttavia il carroccio dalle armate, sebbene più non si
facesse dipendere l'onore o la sorte delle battaglie dalla conservazione
di questo sacro carro, dopo che non veniva più difeso dalla migliore
infanteria. Il carroccio di Fiorenza preso nella battaglia d'Altopascio
precedeva la comitiva. I buoi che vi stavano aggiogati, erano coperti di
rami d'ulivo e di tappeti collo stemma di Fiorenza, ma questi stemmi
erano capo volti come ancora quelli che ornavano il carro. La campana
_Martinella_[113] che doveva suonar sempre in tempo della battaglia,
suonava ancora in tempo di questa marcia umiliante: veniva dietro al
carro Raimondo di Cardone coi principali prigionieri fiorentini i quali
portavano de' torchi, che deposero avanti all'altare di san Martino.
Frattanto le dame lucchesi erano uscite incontro a Castruccio,
felicitando il vincitore colle loro acclamazioni. I prigionieri che
ornarono il trionfo, furono obbligati a riscattarsi dalla loro
prigionia, lo che produsse al signore di Lucca la somma di quasi cento
mila fiorini, che gli furono utili per continuare la guerra[114].
[113] Una campana sospesa all'antenna del carroccio.
[114] _Gio. Villani l. IX, c. 319. — Vita Castrucci Antelminelli a
Nicolao Tegrimo t. XI, p. 1339. — Beverini Ann. Lucens. l. VI, p.
800._


CAPITOLO XXXI.
_La Sardegna tolta ai Pisani dal re d'Arragona. — Il duca di
Calabria, signore di Fiorenza. — Spedizione in Italia
dell'imperatore Luigi di Baviera. — Grandezza e morte di
Castruccio Castracani._
1324 = 1328.

L'attaccamento che i Pisani avevano mostrato pel partito ghibellino, il
loro zelo per Federico II, Corrado, Manfredi e Corradino, ed i sagrificj
fatti per Enrico VII gli avevano chiamati a figurare eminentemente nella
politica continentale dell'Italia. Erano essi stati lungo tempo capi
della fazione ghibellina in Toscana, e gli sforzi fatti per questa causa
avevano pienamente pareggiata, e talvolta superata la loro possanza e la
loro ricchezza: perciò, mentre s'indebolivano nelle guerre del
continente, avevano dovuto sempre più abbandonare il commercio e
l'impero del mare, da cui riconoscevano la loro grandezza. Dopo la
battaglia della Meloria avevano rinunciato alla guerra coi Genovesi, e
l'antica rivalità dei due popoli era spenta in tal modo, che i Pisani
non approfittarono delle guerre civili che desolarono Genova per
ricuperare la perduta superiorità. A poco a poco i più lontani
possedimenti della repubblica furono abbandonati; cessarono d'essere i
più ricchi commercianti di Costantinopoli e dell'Arcipelago;
rinunciarono ai loro banchi della Siria, sentendosi incapaci di
proteggere i loro stabilimenti contro i Musulmani, e la navigazione
contro i corsari; si astennero dal commerciare col regno di Napoli dove,
in odio del nome ghibellino, non erano sofferti dalla regnante famiglia
d'Angiò; nè poterono vantaggiosamente sostenere in Sicilia la
concorrenza coi Siciliani medesimi protetti da' Catalani. L'Africa
soltanto restava loro aperta colle isole di Sardegna e di Corsica che
avevano altra volta conquistate; ma nell'istante in cui Castruccio, dopo
averli impegnati in una guerra contro i Guelfi, aveva cercato di
sorprendere la loro città, la Sardegna veniva attaccata da un potente
monarca, che fino a quel tempo avevano risguardato come loro alleato.
Nel 1295, Bonifacio VIII aveva accordato a Giacomo, re d'Arragona,
l'investitura della Sardegna, per allettare questo monarca ad
abbandonare suo fratello Federico di Sicilia. Ma questa ingiusta mercede
d'un vergognoso contratto non gli si era poi data, ed i soccorsi dalla
repubblica di Pisa sempre somministrati ai principi arragonesi di
Sicilia, avevano fatto scordare questo progetto d'usurpazione, allorchè
alcuni feudatarj dei Pisani in Sardegna istigarono Alfonso d'Arragona,
figlio del re Giacomo, ad intraprendere la conquista della loro isola.
La Sardegna non era per i Pisani che una colonia di commercio; al quale
oggetto avevano fortificate alcune città marittime e specialmente Città
di Chiesa e Castro di Cagliari ove tenevano guarnigioni per difesa dei
loro banchi. Il rimanente dell'isola era posseduto da feudatarj
investiti dalla repubblica, i quali per altro si mostravano poco ben
affetti alla metropoli, della quale erano molti di loro originarj; meno
poi ubbidivano alle sue leggi. I più potenti feudatarj erano il giudice
d'Arborea che possedeva ancora Oristagni, e teneva sotto di lui il terzo
della Sardegna. Quello che allora regnava era Ugo Bassi dei
Visconti[115]; e perchè questi era un bastardo di quell'illustre
famiglia, la repubblica gli aveva fatti pagare per l'investitura del
feudo dieci mila fiorini[116]. Costui, tenendosi offeso di questo
procedere del governo pisano, offrì agli Arragonesi la Sardegna ed
impegnò segretamente nella loro alleanza i marchesi Malespina ed i Doria
possessori di vasti feudi nell'isola. Quando Alfonso ebbe fatti i
necessarj apparecchi, fu il primo a darne avviso alla repubblica,
chiedendole soccorsi; ma distribuì i soldati mandati dai Pisani ne' suoi
castelli; ed il giorno 11 d'aprile del 1323, quando ebbe notizia
dell'avvicinamento d'Alfonso, fece massacrare tutti i Pisani soldati e
mercanti che abitavano ne' suoi stati, ed aprì i porti alla flotta
arragonese[117].
[115] _Zurita indices rerum ab Aragon. Regib. Gestar. Hisp. illust.
t. III, p. 165._
[116] _Gio. Villani l. IX, c. 196._
[117] _Ibid. — Georg. Stellæ Ann. Genuenses t. XVII, p. 1052._
Il re Alfonso aveva chiesti soccorsi al papa per far l'impresa della
Sardegna, quasi che si trattasse di una guerra sacra; ma Giovanni XXII
erasi limitato ad invitare l'Arragonese a far valere le sue ragioni
innanzi ai tribunali ecclesiastici[118]. Il re era entrato in
negoziazioni con un conte di Donoratico che aveva molti possedimenti in
Sardegna; aveva sedotti due Visconti del ramo di Roccabertino,
finalmente aveva aggiunti tutti i mezzi di seduzione e di tradimento ad
una forza superiore. Il 30 di maggio aveva abbandonate le coste
dell'Arragona con sessanta navi da guerra, venti palandre per la
cavalleria, e trecento navi di trasporto. Conduceva su questa flotta
mille cinquecento cavalieri e più di dodici mila pedoni. Il terzo della
Sardegna fu ceduta agli Arragonesi dal giudice d'Arborea e da Doria; ma
le città di Cagliari, Castro e città di Chiesa si prepararono ad una
vigorosa difesa, come pure Terra nuova, Acqua fredda e Giojosa-Guardia;
ed i Sismondi d'Oleastro armarono i loro vassalli per secondare le
truppe della repubblica[119].
[118] _Zurita indices rerum ab Aragon. Regib. Gestar. p. 165._
[119] _Gio. Villani l. IX, c. 209. — Zurita Indices l. II, p. 166. —
B. Marangoni Cronica di Pisa, p. 649. — Cron. Anon. di Pisa t. XV,
p. 998._
I Pisani, minacciati dalla lega guelfa di Toscana e da Castruccio, il
solo Ghibellino di questa contrada; traditi dai loro vassalli ed
attaccati dalla potente casa d'Arragona, senz'essere in pace colla casa
rivale di Napoli, non disperarono però di difendere la Sardegna.
Armarono trentadue galere che mandarono nel golfo di Cagliari; ma
l'ammiraglio della repubblica, trovandolo occupato dalla flotta catalana
assai più numerosa della sua, si credette abbastanza fortunato d'essersi
sottratto ad un attacco dopo avere sbarcato Manfredi, figlio del conte
Nieri della Gherardesca, con trecento cavalli tedeschi e duecento
arcieri, che si gettarono in Cagliari[120].
[120] _Zurita Ind. R. l. II, p. 166._
L'armata arragonese aveva contemporaneamente intrapreso l'assedio di
Cagliari e di Città di Chiesa, che si difesero ostinatamente otto mesi:
l'eccessivo calore, le acque e l'aere corrotti cagionarono tra gli
assedianti terribili malattie, che distrussero dodici mila uomini[121].
Finalmente Città di Chiesa capitolò il 7 febbrajo del 1324; e la
guarnigione uscì cogli onori di guerra e si unì a quella di Cagliari per
continuare la difesa di questa seconda piazza.
[121] _Gio. Villani l. IX, c. 209._
Intanto Manfredi della Gherardesca, ch'erasi portato a Pisa per avere
nuovi soccorsi, ricomparve il giorno 25 di febbrajo nel golfo di
Cagliari con una flotta di cinquantadue vascelli che aveva a bordo,
cinquecento cavalli e due mila arcieri. Sbarcò senza trovar resistenza
la sua gente, e marciò verso Castro di Cagliari per costringere gli
Arragonesi a levare l'assedio. Di fatti Alfonso abbandonò i suoi
trincieramenti e si fece incontro ai Pisani fino a Luco Cisterna. Colà
le due armate vennero alle mani il 28 febbrajo, e, dopo una lunga
ostinata battaglia, gli Arragonesi, superiori di forze, rimasero
finalmente vittoriosi. Manfredi, sebbene ferito, potè entrare in Castro
con circa cinquecento soldati, ed il rimanente della sua armata fu
dispersa. Le navi da trasporto della sua flotta caddero in potere degli
Arragonesi, i quali attaccarono i feudatarj fedeli ai Pisani e ne
occuparono le province. A quest'epoca molti di costoro furono spogliati
delle piccole sovranità che possedevano fin dall'epoca in cui la
Sardegna era stata tolta ai Saraceni: ma perchè in un paese mezzo
barbaro il potere de' signori ereditarj è il solo che venga rispettato,
gli Arragonesi credettero più utile consiglio il fare la pace con questi
capitani indipendenti, che lo spogliarli de' loro dominj, onde trovansi
ancora per molti anni ne' fasti della Sardegna i nomi delle famiglie
pisane[122].
[122] _Gio. Villani l. IX, c. 236. — Zurita Ind. l. II, p. 167._ —
Pare che a quest'epoca i Sismondi fossero spogliati del principato
d'Oleastro, posseduto da loro duecento settantaquattro anni. Per
altro un antico storico di Lucca riferisce, sotto l'anno 1404, la
morte di un Sismondi e di suo figlio Dragonetto, giudici e signori
d'Arborea. _Cronica di Lucca di Giov. Ser Cambi t. XVIII, p. 838._
Appena terminata la battaglia di Luco Cisterna, Alfonso riprese
l'assedio di Castro di Cagliari, di cui Manfredi, poichè fu guarito
delle sue ferite, prese il comando. Egli tentò di sturbare con una
vigorosa sortita le operazioni degli assedianti, sorprese il loro campo
e vi sparse il disordine, ma le vecchie bande de' Catalani non tardarono
a circondarlo da ogni parte. Di cinquecento cavalli ch'egli comandava,
trecento perirono sul campo di battaglia; ed egli stesso, mortalmente
ferito, ricondusse gli avanzi della sua gente in Castro, ove morì dopo
pochi giorni. Gli assediati, perduta ogni speranza di soccorso,
domandarono di capitolare[123].
[123] _Zurita Indices rer. ab. Arag. Reg. Gest. l. II, p. 167. —
Gio. Villani l. IX, c. 250._
Alfonso, che aveva di già perduti quindici mila uomini e che sperava di
consolidare colla pace la sua conquista, accordò agli assediati
onoratissime condizioni. Castro di Cagliari dovea rimanere alla
repubblica pisana a titolo di feudo dipendente dal re, e le private
possessioni possedute dai Pisani nell'isola doveano rimaner pure in
piena loro proprietà: ma la repubblica dovea riconoscere Alfonso come re
di Sardegna. Queste condizioni essendo state accettate dalla signoria,
fu ben tosto fatta la pace; ma Alfonso ne approfittò per fortificare
all'ingresso del porto di Cagliari un castello ch'egli intitolò Bonaria,
o Aragonetta, il quale signoreggiava talmente l'ingresso di Castro, che
i vascelli, le vittovaglie e le mercanzie non potevano giugnere ai
Pisani senza il permesso degli Arragonesi.
La guarnigione di Bonaria non tardò ad abusare arrogantemente del
vantaggio della sua posizione. L'anno seguente s'impadronì di alcune
navi che i Pisani mandavano a Cagliari[124], onde la repubblica fu
forzata a ricominciare la guerra per vendicare questa fresca ingiuria.
Spossata affatto dalle precedenti disfatte, riclamò l'assistenza de'
Ghibellini genovesi, che, rifuggiati a Savona, sussistevano colla
professione delle armi. Col loro soccorso i Pisani equipaggiarono una
flotta di trentatre galere e ne affidarono il comando a Gasparo Doria.
Questa flotta incontrò il giorno 29 dicembre gli Arragonesi nel mare
Sardo, e la fortuna fu ancora per l'ultima volta contraria ai Pisani.
Furono prese otto galere, e le altre si ritirarono assai danneggiate
dopo aver perduti molti soldati e marinai. I Genovesi guelfi e
ghibellini furono egualmente sensibili all'affronto fatto alla bandiera
della nazione, e poco mancò che il desiderio d'umiliare i Catalani non
riconciliasse le due fazioni, spegnendo quell'odio che da tanto tempo le
armava l'una contro l'altra[125]. Ma i Pisani non furono in istato di
aspettare questa tarda riconciliazione. Il castello di Castro, ultimo
possedimento della repubblica in Sardegna, venne ceduto agli Arragonesi,
e nel susseguente anno fu, colla mediazione del papa, conchiusa la pace.
La repubblica di Pisa abbandonò la Sardegna al re d'Arragona, e furono
rilasciati reciprocamente i prigionieri senza taglia[126].
[124] _Gio. Villani l. IX, c. 307._
[125] _Georgius Stella Annal. Gen. p. 1054._
[126] _Cron. Anon. Pisa t. XV, p. 998. — B. Marangoni Cron. di Pisa
p. 665. — Gio. Villani l. IX, c. 326. — Zurita Ind. rer. l. II, p.
169. — Mariana Istoria de las Españas l. XV, c. 18. — La pace
pubblicossi in Pisa il 10 giugno 1326._
Una piccola parte della Toscana riacquistava con questo trattato di pace
la tranquillità. Tutti gli altri stati di questa provincia erano in
allora scossi dall'ambizione di Castruccio; e la parte guelfa, abbattuta
per la disfatta dei Fiorentini ad Altopascio, ebbe poche settimane dopo,
mentre cercava di rifarsi, un nuovo infortunio nello stato di Bologna.
La lega de' signori ghibellini di Lombardia attaccava Bologna con un
accanimento eguale a quello di Castruccio contro i Fiorentini. Romeo de'
Pepoli era morto in esiglio, ma i di lui figliuoli non erano stati
abbandonati dai signori di Lombardia; Passerino Bonacossi, Cane della
Scala, ed il marchese d'Este erano entrambi nel Bolognese con un'armata,
cui si congiunse Azzo Visconti che ritornava da Lucca. I Ghibellini
avevano due mila ottocento cavalli, ai quali i Bolognesi non potevano
opporre che due mila duecento; ma la loro infanteria di oltre trentamila
uomini sopravanzava d'assai quella de' loro nemici. La disfatta avuta
dai Fiorentini ad Altopascio mosse i Bolognesi, persuasi d'essere loro
riservato l'onore di vendicare la parte guelfa, ad affrettare la
battaglia. Malgrado le calde istanze de' Fiorentini che loro mandavano
molte truppe, il 15 novembre offrirono la battaglia ai Ghibellini alle
falde del Monteveglio, e furono rotti. Perirono o furono fatti
prigionieri cinquecento cavalieri e mille cinquecento fanti; e tra i
prigionieri contaronsi Malatestino da Rimini loro generale e podestà, ed
i più ragguardevoli cittadini. I principi lombardi dopo la loro vittoria
cinsero Bologna d'assedio, ma non tardarono ad accorgersi che le loro
forze non bastavano contro una città così potente, e si ritirarono con
un ricchissimo bottino[127].
[127] _Mathæi de Griffonibus Memor. Histor. de reb. Bonon. t. XVIII,
p. 142. — Cronica Miscel. di Bologna p. 338. — Chron. Esten. t. XV,
p. 386. — Chronicon Mutin. Joh. de Bazano t. XV. — Gio. Villani l.
IX, c. 321. — Istorie Pistolesi, p. 428._
L'antico capo della lega guelfa in Italia solo non prendeva parte alla
guerra generale ed alle disfatte della sua parte. Roberto, re di Napoli,
poi ch'ebbe lasciata Genova l'anno 1319, erasi trattenuto parecchi anni
in Provenza, per sottomettere alle sue pratiche la corte d'Avignone ed
assicurare la sua influenza sopra il papa. Era partito finalmente alla
volta di Napoli in aprile del 1324 con una flotta di 45 vascelli, e,
passando per Genova, erasi fatto riconfermare per altri sei anni la
signoria di quella città[128].
[128] _Georg. Stellae Annales Genuens. t. XVII, p. 1053._
Un'ambascieria della repubblica fiorentina giunse a Napoli ed espose al
re i gravissimi pericoli de' suoi alleati i Guelfi di Toscana. Gli
esposero quali fossero le forze e l'ambizione di Castruccio, l'unione
ch'egli aveva stabilita nella sua fazione, e quali ajuti aveva ottenuti
dai Ghibellini di Lombardia. Gli ricordarono i servigi che i Fiorentini
avevano resi alla casa d'Angiò, quando i dominj del re erano stati
minacciati in Piemonte, e quando non avevano temuto di provocare
Castruccio per allontanarlo da Genova, ove Roberto trovavasi assediato.
Finalmente gli domandarono, in virtù de' trattati che essi avevano
sempre fedelmente osservati, i soccorsi da lui dovuti alla lega guelfa.
Ma il re di Napoli sapeva egualmente approfittare dei disastri e delle
prosperità de' suoi alleati. Attribuì il suo raffreddamento e le perdite
de' Fiorentini alla mancanza loro che avevano lasciata spirare nel 1321
la sua signoria: soggiugneva d'essere sempre disposto a difenderli, ma
che la sua real dignità e lo stesso vantaggio della fazione non gli
permettevano di prender parte alla guerra che in qualità di capo. Chiese
in somma ch'egli, o suo figlio il duca di Calabria, fossero investiti
dalla repubblica di assoluti poteri. I consigli di Fiorenza, costretti
di comperare l'ajuto dei loro alleati a così caro prezzo, scelsero di
preferenza per loro signore il duca di Calabria, Carlo, unico figlio del
re, e cercarono nelle loro convenzioni d'allontanare ogni arbitrio
dall'autorità che gli confidavano, e di conservare intatta la libertà
della repubblica. Chiesero che mantenesse al suo soldo mille cavalieri
d'oltremonti finchè durerebbe la guerra; e che in tempo di pace
lasciasse in città quattrocento cavalieri sotto gli ordini del suo
luogotenente. Gli furono assegnati duecento mila fiorini nel primo
periodo e cento mila nel secondo. La signoria del duca di Calabria
doveva durare dieci anni, cominciando il 13 gennajo del 1326, giorno in
cui fu firmato il trattato[129].
[129] _Gio. Villani l. IX, c. 318. — Istor. Pistolesi p. 430. —
Leon. Aret. l. V._
Un luogotenente del duca di Calabria venne prima di lui in Toscana per
prendere possesso della signoria di Fiorenza. Era questi Gualtieri di
Brienne, duca titolare d'Atene, e figlio di quello ch'era stato ucciso
del 1311 nella grande battaglia di Cefiso, quando i Catalani
conquistarono il suo ducato[130]. Venne accompagnato da quattrocento
cavalieri francesi; ed i Fiorentini gli giurarono fedeltà, e gli
permisero di nominare, a nome del duca Carlo, una nuova signoria[131].
[130] Vedasi nel tomo IV il capitolo 26.
[131] _Gio. Villani l. IX, c. 346._
Il duca di Calabria giunse in Toscana verso la metà dell'estate con
intenzione di unire tutte le comuni guelfe sotto una sola direzione.
Approfittò del suo viaggio a Siena per chiedere la signoria di quella
città, che gli fu accordata solamente per cinque anni e sotto più gravi
condizioni che quelle imposte da' Fiorentini[132]. Il 30 luglio entrò
solennemente in Fiorenza accompagnato dai più grandi signori del regno
delle due Sicilie, e da duecento cavalieri dello speron d'oro. Aveva
sotto i suoi ordini mille cinquecento cavalli, che aggiunse a quelli
condotti pochi mesi prima dal duca d'Atene[133].
[132] _Cron. Sen. di And. Dei t. XV, p. 74. — Orlando Malavolti
Stor. di Siena p. II, l. V, p. 84._
[133] _Gio. Villani l. X, c. 1._
Questa bella armata, che fu ben tosto ingrossata dalle truppe ausiliarie
di tutti i Guelfi toscani, avrebbe potuto tentare qualche fatto
d'importanza, approfittando della presente malattia di Castruccio; ma il
duca si ristrinse a far ribellare due castelli della montagna pistojese,
che furono ben tosto ritolti; ed a impegnare Spinetta Malaspina in un
tentativo sopra la Lunigiana ove fu respinto con perdita[134]. Frattanto
Carlo di Calabria faceva sopra i suoi alleati le conquiste che far non
sapeva sui nemici dello stato. Ridusse molte città soggette ai
Fiorentini, Prato, san Gemignano, Samminiato e Colle, a darsi a lui
direttamente[135]. Impose nuovi tributi, e costò alla repubblica
quattrocento cinquanta mila fiorini all'anno, invece dei duecento mila,
che gli erano stati accordati; spogliò i priori di quasi tutte
l'autorità costituzionali; abolì le leggi _sontuarie_ intorno al lusso
delle donne; finalmente si rese tanto più odioso che non compensò tante
vessazioni con alcuna vantaggiosa impresa contro Castruccio[136].
[134] _Gio. Villani l. X, c. 6. — Ist. Pist. p. 431. — Beverini An.
Lucens. l. VI, p. 813._
[135] _Gio. Villani l. X, c. 13._
[136] _Ivi c. 9._
La città di Bologna seguì, dopo alcuni mesi, l'esempio datole dai
Fiorentini, e cercò di assicurarsi una potente protezione,
assoggettandosi alla signoria di uno dei capi di parte guelfa; e chiamò
in suo ajuto il cardinale Bertrando del Poggetto, legato del papa in
Italia. Questi dal 1322 in poi era stato potentemente secondato da
Vergusio Landi, una volta capo de' Ghibellini di Piacenza, ma ch'era
passato alla parte guelfa per vendicarsi di Galeazzo Visconti, seduttore
di sua moglie. Tortona, Alessandria, Piacenza, Parma, Reggio e Modena
eransi successivamente date alla chiesa per tutto il tempo che l'impero
rimarrebbe vacante. Bologna anch'essa aprì le sue porte al cardinale
legato, conferendogli, il giorno 8 febbrajo del 1327, la signoria della
città e del territorio[137].
[137] _Matthæi de Griffonibus Memor. Histor. p. 143. — Cron. Miscel.
di Bolog. t. XVIII, p. 343. — Chron. Mutin. Bonifazii de Morano t.
XI, p. 113. — Ghirard. Stor. di Bologna t. II, l. XX, p. 75._
Ma in questo medesimo tempo andava condensandosi all'estremità della
Lombardia una tempesta che poteva ruinare tutto il partito guelfo. Era
giunto a Trento Luigi di Baviera, l'imperatore eletto in febbrajo del
1327, ove aveva presieduta un'adunanza de' principali Ghibellini
d'Italia. Marco Visconti, Passerino Bonacossi, Obizzo marchese d'Este,
Guido Tarlati, vescovo d'Arezzo, e Cane della Scala eransi recati presso
l'imperatore, come pure gli ambasciatori di Federico re di Sicilia, di
Castruccio e de' Pisani. Luigi aveva promesso di venire a Roma a
prendere la corona imperiale, ed i Ghibellini gli avevano promesso un
dono di cento cinquanta mila fiorini per ispesare la sua truppa[138].
[138] _Gio. Villani l. X, c. 15. — Albert. Mussatus Ludovicus Bavar.
t. X, p. 770. — Istorie Pistolesi p. 442. — Cortusior. Hist. l. III,
c. 10, t. XII, p. 839. — Chron. Esten. t. XV, p. 388. — Georg.
Merulae Histor. Mediol. l. II, p. 101, t. XXV. — Leon. Aretini l. V,
p. 173._
Luigi di Baviera sembrava allora in istato d'intraprendere esterne
guerre, e di vendicarsi del papa che lo aveva tanto crudelmente
oltraggiato. Il suo rivale, Federico d'Austria, dopo una lunga prigionia
a Trausnitz, erasi finalmente stancato della sua schiavitù. Luigi lo
aveva visitato nella sua prigione l'anno 1325, avevagli offerta la
libertà, non domandando altra ricompensa che la sua amicizia ed
alleanza. Una condotta così generosa toccò il cuore di Federico, che
riconobbe Luigi per suo imperatore, obbligandosi a difenderlo verso
tutti e contro di tutti, _anche contro quello_, diceva egli, _che si dà
il titolo di papa_. Molti de' suoi baroni eransi fatti garanti delle sue
promesse, e la sua figlia aveva sposato il figlio di Luigi[139]. Invano
Giovanni XXII annullò questo trattato; invano Leopoldo, fratello del
duca d'Austria, continuò la guerra; che Federico fu fedele alle sue
promesse: i due rivali diventati amici sinceri ebbero comuni la tavola
ed il letto, e furono in procinto di dividere tra di loro la dignità
imperiale[140].
[139] _Olenschlager Geschichte des Rom. Kays. § 63. — Schmidt, Hist.
des Allemands l. VII, c. 5._
[140] _Olenschlager Geschichte § 67._
Ne' cinque anni, ch'erano corsi dopo la battaglia di Muhldorf, Luigi
aveva sforzati gli altri principi della casa d'Austria a fare la pace,
ed aveva sventati gl'intrighi del papa in Germania. Era chiamato in
Italia non meno dal desiderio della vendetta, che da quello di
sanzionare i suoi diritti all'Impero, facendosi coronare a Roma. Vero è
che, indebolito da lunghe guerre, era povero di gente e di danaro; ma il
paese che visitava, era una ricca miniera, onde sperava che la cupidigia
più che l'ubbidienza avrebbe strascinato in folla i Tedeschi in quelle
ricche contrade, per dividerne le spoglie.
L'imperatore eletto apparecchiandosi ad attaccare il papa, il suo più
implacabile nemico, lo aveva già indicato nell'assemblea di Trento come
prete sacrilego ed eretico, usurpatore del supremo pontificato, che i
Cristiani dovevano rifiutare. Un partito numeroso erasi nella chiesa
rivoltato contro Giovanni XXII, nè l'accusa d'eresia era nuova. Questo
papa, ambizioso e cupido troppo più che non si conveniva a principe
cristiano, aveva non pertanto molto zelo per la fede; ma egli credeva di
esserne l'oracolo, e le opinioni da lui adottate erano spesse volte in
aperta opposizione con quelle de' suoi dottori. Così trovavasi in allora
impegnato in una disputa coi Francescani, o frati Minori, intorno alla
povertà di Gesù Cristo. Questi monaci, che in forza dei loro voti
abiuravano ogni proprietà, pretendevano che gli alimenti che mangiavano,
non fossero una loro proprietà, nè pure nell'istante in cui li
mangiavano, e che Gesù Cristo aveva loro dato l'esempio di questa
suprema povertà. Per lo contrario il papa sosteneva che Gesù Cristo
aveva avute alcune proprietà sia personali, sia comuni coi suoi
Apostoli, e che i Francescani non potevano schivare che le cose
appropriate al loro uso non fossero altresì loro proprietà. I Domenicani
erano per l'opinione del papa, ma molti fedeli inclinavano a credere che
negando a Cristo una suprema povertà si attentasse alla sua gloria; onde
i Francescani, ostinandosi nella propria credenza, avevano condannato il
papa come eretico e scomunicato. Giovanni XXII, che attaccava una
crudele importanza a questa disputa di parole, fece bruciare i più
ostinati tra questi frati e spogliò l'ordine di tutti i suoi beni per
ridurlo a quella evangelica povertà, di cui tanto si gloriava[141].
[141] _Raynald. An. Eccles. t. XV, ad an. 1322 § 53 ec. — Ann.
Coesenatenses t. XIV, p. 1148._ In questi Annali, opera d'un
Francescano, viene riportata una lunga lettera del generale de'
frati Minori intorno a questa controversia.
Indipendentemente dai frati Minori, ancora altri teologi prendevano le
parti di Luigi di Baviera. E questi erano coloro che, stomacati dalle
usurpazioni della santa sede, sostenevano l'indipendenza delle autorità
secolari, ed anche la loro superiorità sul papa. Scrissero con molta
energia e molta eleganza intorno a quest'argomento Marsilio di Padova,
medico di Luigi, e Giovanni Gianduno o di Gand, suo consigliere; ma le
loro opinioni furono condannate come eretiche dalla corte romana[142].
[142] _Olenschlager Geschichte § 53. — Tiraboschi Stor. della
Letter. Ital. t. V, l. II, c. 1, § 27._
Incoraggiato dalle esortazioni de' suoi teologi e de' frati Minori, e
sicuro degli ajuti de' Ghibellini, Luigi di Baviera entrò in Italia
senza danaro e col seguito di soli seicento cavalli. Ma Cane della
Scala, signore di Verona, Passerino de' Bonacossi, signore di Mantova,
ed il marchese d'Este, signore di Ferrara, gli vennero incontro colla
loro cavalleria, e presero assieme la strada di Milano, ove il re de'
Romani ricevette il 30 maggio la corona di ferro nella basilica di
sant'Ambrogio dalle mani dei vescovi d'Arezzo e di Brescia, dal papa già
deposti e scomunicati[143].
You have read 1 text from Italian literature.
Next - Storia delle repubbliche italiane dei secoli di mezzo, v. 05 (of 16) - 07