Storia della Guerra della Independenza degli Stati Uniti di America, vol. 1 - 09

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pressochè inusitata. Aggiungevano gli addomandatori, si movesse il
Parlamento in soccorso loro, e salvassegli da un'imminente rovina;
prevenisse, che una moltitudine innumerabile di manifattori, non fosse
ridotta alla necessità di andare a cercar il vitto in un'estera contrada
con perdita inestimabile della patria loro; preservasse intiera la forza
della nazione, la floridezza del suo commercio, l'abbondanza delle sue
rendite, la potenza del suo navilio, la frequenza e la ricchezza della
sua navigazione, essendo queste la gloria vera, ed il baluardo più forte
del Regno; mantenesse finalmente le colonie per amore, per debito, per
interesse alla comune madre legate ed affezionate.
L'agente della Giamaica medesimamente presentò una sua petizione, colla
quale raccontò i cattivi frutti partoriti in quell'isola da una
provvisione della marca, fatta già dall'assemblea de' suoi
rappresentanti. Un'altra ne fu porta dagli agenti della Virginia e della
Giorgia. Quest'erano maneggi dei ministri. Quelle del Congresso della
Nuova-Jork non furono udite, perchè esso non era dagli ordini della
costituzione autorizzato. Nè contenti a queste cose i ministri, siccome
quelli, che erano infiammatissimi nel desiderio della rivocazione,
vollero a questo fine adoperare il nome e l'autorità di Beniamino
Franklin, uomo sopra tutti di grandissima estimazione a quei tempi.
Perlocchè, mentre stava pendente l'oggetto della marca, ei fu in
cospetto della Camera dei Comuni esaminato. La fama della persona, il
candore dell'animo suo colla ricordanza delle cose da lui fatte, tanto
nelle materie dello Stato in prò della patria, quanto nelle fisiche a
vantaggio dell'umano genere tenevano sospesi gli animi di ognuno; ed in
quel dì era la Camera frequentissima di spettatori cupidi tutti di
udirlo favellare intorno un affare di tanto momento. Rispose con molta
gravità, e con maggior acume d'ingegno. Disse, che pagavano già gli
Americani imposizioni sopra tutti i beni reali e personali, una tassa
sopra le teste, un balzello sopra tutti gli uffizj, professioni,
traffichi, ed esercizj di qualunque sorta in proporzione del lucro loro;
come ancora sul vino, sul rum e sopra altri liquori spiritosi, ed un
dazio di dieci lire per testa su tutti i Neri introdotti nelle colonie,
ed alcune altre gabelle; che le imposizioni sopra i beni reali e
personali importavan diciotto pensi per lira, e quelle sopra gli
esercizj una mezza corona per lira; che in nissun modo potrebbero le
colonie pagare la marca; che non esisteva tant'oro e tanto argento in
quelle da poterla pagare solo un anno; che i Tedeschi, i quali abitavano
la Pensilvania, erano di vantaggio contro la marca indisposti, che i
nativi stessi; che molto avevano gli Americani rimesso dell'antica
affezione loro, e ciò a motivo delle nuove leggi, verso la
Gran-Brettagna, e del rispetto loro verso il Parlamento; che passava una
grandissima differenza fra le tasse esterne e le interne; perciocchè
quelle siano gabelle poste sulle grasce e merci introdotte, le quali
altro effetto non fanno, che accrescere il prezzo in sul mercato
americano di esse grasce e merci, e formano perciò una parte di questo
prezzo; ma che sta in facoltà degli abitanti di comperarle o di non
comperarle, e perciò pagare, o no la tassa, secondo che più loro
aggrada; che molto diversa è la natura di una tassa interna, perchè
questa, volere, o no, forza è che si paghi; e stando nell'esempio della
marca, che non possono gli Americani nè mutar la proprietà loro, nè
accettare, nè prestare, ne quitare, nè in qualunque modo piatire, nè
testare senza esser costretti di pagare tali, e tali somme per la marca;
e peggio ancora incontrar loro, se non le pagano per le ingorde multe,
alle quali andrebbono soggetti; che i coloni dell'America possono in
poco tempo diventare abili a bastare a sè stessi colle manifatture loro;
e che la rivocazione dell'atto della marca acqueterebbe affatto gli
animi, e le cose nella pristina tranquillità restituirebbe. Così parlò
Franklin, e furono le parole di lui grande appoggio ai ministri. Ma gli
avvocati della marca non si restavano, ed ogni opera facevano per
isturbare la rivocazione.
Finalmente dopochè le disquisizioni e le contese erano state molte tra
l'una parte e l'altra, e già presso che due mesi durate, volgendosi la
cosa al suo fine, Giorgio Grenville, quell'istesso che, essendo primo
ministro aveva la provvisione della marca proposta la prima volta in
Parlamento, uomo di gran seguito e dependenza, alzandosi, parlò nella
seguente sentenza.
«Se io credessi, senatori e cittadini eccellentissimi, che l'ambizione
nelle proprie opinioni, o l'amor delle parti, o l'affezione che l'uomo
porta per l'ordinario alle cose da lui fatte potessero gli occhj della
mente in tal modo abbacinarmi, od i sensi dell'animo occupare, che
quello che manifesto è, vedere e distinguere non potessi, io certo nella
presente occorrenza mi sarei nel silenzio contenuto, ed acquistatomi il
nome se non di zelante magistrato e cittadino, certo almeno quello di
discreto e prudente. Ma siccome questa stessa bisogna fu molto bene da
me, e già da molto tempo indietro, e ponderata, e considerata per ogni
verso, quando eran tutt'ora le cose raffredde, e lontani i presenti
scandali, e che da un altro canto e' pare che per un volere della
fortuna, il quale però modestamente io ricevo, all'onore ed alla
riputazione mia sia congiunto l'onore e la dignità di questo nobilissimo
Regno, potrebbe per avventura da taluno la discrezione abbandono, e la
prudenza freddezza giustamente riputarsi. Ma qual'è quell'uomo pubblico,
quale quel privato il quale, quantunque di moderato animo sia, ai
presenti pericoli che sì da vicino alla patria nostra sovrastano, non si
risenta, e quel poco ch'ei può del suo senno, non arrechi in mezzo per
preservarnela? E chi non si commoverebbe, od anche sinistro augurio non
piglierebbe, contemplando i nuovi consiglj, e la tardità dei presenti
servitori della Corona? Certamente non nissuno. È stata una solenne
legge vinta in Parlamento, già un anno fa; era, ed è ancora debito dei
ministri il farla eseguire; abbiamo nella scritta dei diritti, che il
sospendere una legge o l'esecuzione di essa da parte dell'autorità
reale, e senza il consenso del Parlamento, è fellonia. Ciò non ostante
quella si soprattiene; a quella si resiste apertamente. Ma che dico si
resiste? Si insultano le persone, si spoglian le case, si fa forza ai
vostri maestrati, si vanno a far le scede, come per provocare la
pazienza vostra, per fino sotto le bocche delle vostre artiglierie; e si
protesta per ogni dove, che non si può, che non si vuole, che non si
deve prestare alla vostra legge obbedienza. Forse altri ministri più
fatti all'antica avrebber creduto in questo caso di dar forza alla
legge, mantenendo la dignità della Corona e la sicurezza delle
deliberazioni vostre. Ma questi giovanetti che sull'altro canto seggono
e non si sa come, portano opinione, esser queste anticate massime dei
nostri dolcissimi vecchj, dan buona passata alle riotte, alle ingiurie
ed all'ostinata resistenza. Raccomandan con una esemplare pazienza ai
governatori la moderazione e la temperanza; lor mandan la facoltà di far
venire in ajuto tre o quattro soldati, o barche dal generale Gage e dal
lord Calvil; e gli lodano che non abbian, per far la legge eseguire,
tutti quegl'istromenti adoperati, che erano nelle mani loro posti. State
a vedere che i sediziosi han ragione, e che noi abbiamo il torto. Certo
se lo pensano i ministri. Ma che dico se lo pensano? Eglino ve l'hanno
detto, e diconlo tutt'ora; e' pare che per maladetta forza abbian le
insolenze e le enormità americane alla fin fine al Parlamento
communicate; perciocchè elleno incominciarono in luglio, ed or siamo
molt'oltre in gennajo. Esse eran da principio mali umori, poi divennero
disturbanze; poi tumulti e riotte; or certo si avvicinano, se già non
sono, alla ribellione; e se le dottrine di questi nuovi uomini sono
confermate, temo, non abbiano a pigliar tosto il nome di rivoluzione. Il
ciel benedica l'ammirabile sopportazione dei nostri ministri; ma temo
ben io, che ne abbiamo a raccogliere molti amari frutti; che l'occasione
è fugace, il pericolo grande; ed intanto quel popolo indisciplinabile,
sì gran diletto e sì dolce cura loro, s'affratellano, s'allegano,
s'apparecchiano a resistere ai comandamenti del Re e del Parlamento.
Continuate pure, o uomini pazientissimi, nella via che avete intrapresa;
fate anzi rivocar la legge, che ne troverete poi molti uffiziali od
agenti vostri, i quali per fare eseguir le leggi del reame, per trar
l'entrate a sollievo dei vostri popoli siano a fare il debito loro
inclinati; ne troverete ancora di molti ministri, i quali pel pubblico
servizio siano per opporre un generoso e forte petto contro le
perniziose combriccole, contro le combinazioni potenti dei privati e
particolari interessi, contro i clamori della moltitudine, contro la
malvagità delle fazioni. Se volete tagliare i nervi del governo,
rivocate pure la legge. Odo dire per ogni dove da questi difensori dei
coloni, non poter essi venir tassati dall'autorità del Parlamento,
perchè ivi rappresentati non sono. Ma se così è, e perchè, e con quale
autorità fate voi leggi per loro oltre di quelle della tassazione? Se
essi sono rappresentati, eglino debbono ad ogni qualunque legge del
Parlamento obbedire, o sia di tassa o di qualsivoglia altra natura. Se
non lo sono, e' non debbono non solo alle leggi delle tasse, ma neanco a
qualunque altra conformarsi. E se credete che i coloni non debban andare
alle tasse soggetti per autorità del Parlamento, perchè in questo
rappresentati non sono, come manterrete voi, che tanti uomini inglesi,
avendo noi i nove decimi degli abitanti di questo regno, i quali meglio
che i coloni, rappresentati non sono, abbiano alle tassazioni vostre ad
obbedire? E come non temete voi, che un dì ad un bel bisogno vi dicano
anch'essi coll'esempio dei coloni, che non vogliono pagare le tasse,
perchè rappresentati non sono? Sonsi gli Americani in una condizione
ostile posti contro la comune madre, e voi volete non solamente perdonar
loro gli errori, rimetter le ingiurie, allontanare le dovute pene, ma
ancora fare il volere loro, e dar loro in ogni modo vinta la causa? Se
ciò sia un impedire, un prevenire le popolari commozioni, i tumulti, le
ribellioni, oppure un fomentarle, un accarezzarle, un preparar nuova
esca al fuoco, ogni uomo libero dall'amor delle parti il può facilmente
giudicare. Darei io volentieri la mano ai consiglj mansueti, consentirei
alla rivocazione della legge, se, coi civili modi procedendo, avessero
ciò gli Americani da noi richiesto. Ma i modi loro sono le ingiurie, le
vie di fatto, le derisioni, i saccheggi, i furti, le armi ed una aperta
resistenza alla volontà del governo. Cosa in vero incomportabile e
affatto nuova, che ad ogni tratto che lor pigli la fantasia, o non sia
del grado loro una legge qualsivoglia, tosto corrano ad affamare i
nostri manifattori, e ricusino di pagare i debiti verso gli uomini della
Gran-Brettagna. Dimandarono iteratamente gli uffiziali della Corona in
America, e ricercarono dai ministri i mezzi opportuni per far la legge
eseguire. Ma questi le instanze loro trasandarono, e per la loro
trascuraggine crebbero in questo termine, che vediamo, i tumulti
americani. Ed ora abbiamo noi da sopportare che gli effetti della
negligenza dei ministri siano da essi medesimi allegati, per indurci a
sacrificare ad un male cresciuto sì, ma non irreparabile, quando si
voglia mostrar il volto alla gente impazzata, i reali e stabili
interessi del regno, la maestà, la potenza e la riputazione del governo?
Di nuovo, se i coloni in virtù delle costituzioni loro alle tasse
parlamentari sottoposti essere non debbono, siccome per alcuni atti del
Parlamento, sono state proibite o ristrette le leve dei marinaj in
America, così ne seguirebbe, che non debbono essi nè uomini fornire per
la difesa della comune patria, nè moneta per pagargli, e sola
l'Inghilterra dover il peso portare del mantenimento e della protezione
di questi suoi ingrati figliuoli. Se ciò fosse, e sopportassesi una sì
evidente parzialità, dipopolerebbesi questo reame, scioglierebbesi
l'egualità, e romperebbesi quell'original patto, sul quale tutte le
umane società fondate sono. Abbenchè odo questi dottori sottili andar
fantasticando una distinzione tra le tasse interne ed esterne, come se
le une e le altre non fossero, quanto all'effetto, le stesse, cioè di
ritrar moneta dai sudditi pel pubblico servizio. Che cosa voglion
significare adunque questi nuovi consiglj? Quando per la prima volta in
questa Camera medesima io proposi di tassar l'America, addimandai
iterativamente, se alcuno qualche dubitazione avesse intorno al diritto;
nissuno imprese a contraddire. Di grazia, quando è stata l'America
emancipata? E' vengono pur qui gli Americani ai tempi delle angustie
loro a domandarci soccorso, del quale è stata in ogni tempo ed
occorrenza la Gran-Brettagna liberalissima; e gli Americani ricusano di
contribuire del loro obolo per sollevarci! E non v'ingannate, o Signori,
sulla gravità della tassa. Ella non basta tampoco alle spese che sono
alla soldatesca vostra, che stanzia in America, necessarie. Ma è meglio
un picciolo, un nonnulla in segno del diritto, che cento milioni senza
di questo. Eppure nonostante la tenuità della tassa e la gravità del
caso nostro, questi Americani si ristanno, e in vece di concorrere alle
spese da noi fatte in loro prò e per causa loro, disprezzano l'autorità
vostra, insultano ai vostri maestrati e corrono a manifesta ribellione.
Così non avrebbono eglino in altri tempi proceduto. Ma ora novelli
ministri più americani che inglesi gli sostentano. Ora per opera di
questi garzoni vanno attorno le petizioni infiammative contro di noi ed
in favor loro. In questa Camera istessa, in questo santuario delle leggi
la sedizione ha trovato i suoi difensori. Qui si loda la resistenza alla
legge, qui si esalta la disubbidienza, qui s'incoraggia l'ostinazione,
qui si chiama la ribellione virtù. Ah! inconsideratezza piucchè
giovanile! Ah! cieca ambizione delle umane menti! Ma voi ponete un mal
esempio, voi stessi avrete un dì a pentirvi dell'opera vostra. E tu,
ingrato popolo americano, così rispondi alle cure ed alla bontà della
tua antica madre? Quand'io aveva l'onore di servir la Corona, quando
eravate voi stessi da un enorme debito oppressati, voi avete un merito
concesso sulle canape loro, sul ferro e sopra molti altri capi di
commercio; voi vi siete scostati in favor loro dall'atto di navigazione,
da quel salutare palladio del commercio britannico. Eppure si stampò nei
diarj pubblici, che io era al commercio americano inimico; e che aveva
ordini ed istruzioni dato per impedir il traffico spagnuolo. Io non
cercai di impedire altro traffico fuori di quello che era dalle leggi
del Parlamento proibito. Ma si vuole l'uomo prima calunniare, e poi
l'opera sua disfare. Di me non dirò altro, e venendo a quello che io di
questo fatto intendo e conosco, dico, che si conservi la legge, e dati
siano ai governatori delle province americane i mezzi opportuni, perchè,
raffrenati i tumulti ed i disordini compressi, possa quella essere ed
abbastanza protetta e ad effetto recata».
Ma all'incontro parlò Guglielmo Pitt, uomo venerabile per l'età, e per
gli egregi fatti in prò della patria.
«Io non so, onorandi cittadini, nobilissimi signori, se più debba meco
stesso rallegrarmi, che la mala valetudine mia, la quale da sì lungo
tempo affligge, e travaglia questo mio corpo già da molti anni stanco e
quasi caduco, rimettendo testè un poco della solita sua ferocia, m'abbia
in questo della facoltà concessa di veder queste mura, ed in mezzo a
questo venerabil consesso comparire per potervi di una cosa
importantissima, ed alla salute della patria nostra tanto vicina
favellare; ovvero della necessità dei fati dolermi, perciocchè essa
patria a tanto splendore e maestà in quest'ultimi tempi pervenuta, e
potentissima e formidabil fatta a tutto l'universo, ora da interno male
occupata, e vinta, e dalle civili discordie in varie parti lacerata e
distratta corra imminente pericolo di esser colle proprie mani a quel
termine condotta, al quale trarla non han potuto tutte le più potenti
nazioni dell'Europa, che a' suoi danni s'erano congiurate. Ed avesse
voluto Dio, che la mia infermità allora medesimamente m'avesse di qua
recarmi permesso, quando dapprima si parlò dell'americana tassazione;
che se la mia debil voce abile non fosse stata di volgere altrove il
corso delle presenti calamità, e la tempesta, che sì dappresso ci
minaccia, distornare, almeno avrei contro di quella il mio testimonio
arrecato. Ma ora ella è una legge vinta; e, se seguendo il mio costume,
io son per parlare modestamente di quella, siami lecito almeno di
favellarne con libertà. Certamente nissun soggetto mai venne
all'attenzion vostra sottoposto, che più di questo importante fosse, se
si eccettui quel solo, che, havvi ora un secolo, fu con tanta contesa ed
ardenza d'animi agitato, cioè se voi stessi aveste ad esser liberi, o
servi. Questi, che con tanta passione fece le parole prima di me,
mantiene, che si dee vincere la prova, perchè così all'onor nostro
importa. La qual cosa, se non m'inganno, vuol dire, che, ragione o torto
che si abbia, si deve tirar avanti nell'incominciata impresa, e seguire
un'ombra vana, che alla perdizione vi può per la diritta via condurre.
Ma può stare il puntiglio d'onore contro il giusto, contro il
ragionevole, contro il diritto? O dove può meglio consistere l'onore,
che nell'esercizio delle cose ragionevoli? Questo reame non ha il
diritto di tassare le colonie, quantunque esso abbia, e ciò dico colla
più grande asseverazione, l'autorità suprema e sovrana in ogni altra
occorrenza di governo, e di legislazione qualsivoglia sopra di quelle.
Sono i coloni sudditi di questo regno, son dotati, quanto voi stessi
siete, di tutti i naturali diritti al genere umano appartenenti, e dei
peculiari privilegj, i quali spettano agli uomini inglesi; del pari
obbligati dalle sue leggi, del pari partecipi della costituzione di
questa libera contrada. Gli Americani sono i figliuoli, non i bastardi
dell'Inghilterra. La tassazione non è parte dell'autorità che governa, o
di quella che fa le leggi, essendo le tasse doni volontarj, concessioni
gratuite, che solo dai Comuni possono procedere. Nella legislazione
concorrono tutte e tre le supreme potestà del regno; ma in riguardo alle
tasse, il concorso dei Pari e della Corona non è necessario per altro,
se non per l'autenticazione degli atti, che le impongono, cioè per dare
a questi la forma prestabilita dalla legge. Ma il dono e la concessione
ai soli Comuni appartengono; e questa Camera rappresenta quei Comuni, ed
essi il rimanente degli abitanti virtualmente rappresentano. E perciò,
quando noi in questa Camera qualche cosa doniamo e concediamo, ciò
doniamo e concediamo, che è nostro. Ma, nell'americana tassa che cosa
fate voi? Noi i Comuni della Gran-Brettagna di Vostra Maestà diamo, e
concediamo, che? La roba nostra? No; noi diamo e concediamo alla Maestà
Vostra la roba dei Comuni vostri dell'America. Della qual cosa niuna più
assurda immaginar si potrebbe. Fu testè affermato, non esservi niuna
differenza tra le tasse interne ed esterne, ed esser la tassazione una
parte essenziale della legislazione. Ma, di grazia, la Corona, i Pari
non sono, e l'una e gli altri egualmente che i Comuni, della potestà
legislativa investiti? Certo che sì; la Corona ed i Pari hanno la
potestà di tassare? Mai no; e ciò nissun pretende. Or dite su, o Giorgio
Grenville, se queste due posizioni son vere, come sono verissime, e voi
il concedete, non ne segue di necessità, che la tassazione non fa parte
della semplice legislazione, e ch'ella è una qualche cosa da essa
diversa? E' si dice, che gli Americani sono qui virtualmente
rappresentati. Ma di grazia, da qual provincia mai, o da qual contado,
da qual città, da qual borgata sono essi rappresentati? Certamente da
quella provincia, o contado, o città, o borgata, che eglino nè gli
antenati loro non hanno mai nè veduto nè conosciuto, nè mai saranno per
vedere nè per conoscere. I Comuni dell'America, o sia le assemblee loro,
quelli sono i rappresentanti loro, quegli hanno avuto ed esercitato
sempre, quelli hanno ed esercitano tuttora il diritto di tassare i
coloni. E' sarebbero schiavi stati, se un tal diritto posseduto non
avessero. Io non sono venuto qua armato di tutto punto, nè ho
diligentemente rivilicato i vecchj libri dei nostri statuti, come il mio
valente avversario ha fatto. Ma questo so, che se si voglia far accurata
considerazione delle cose antiche, e' diventerà manifesto, che niuno
mai, anche nei regni i più arbitrarj fu tassato, se non era
rappresentato, ed a' tempi nostri, anche quei, che non mandano deputati
al Parlamento, sono tutti abitanti della Gran-Brettagna, e, o possono,
quando vogliano, rendere il partito nell'elezione di quelli, o con
coloro, che il rendono, hanno o congiunzione, o autorità: e piacesse
pure al cielo, che tutti meglio fossero rappresentati, che eglino non
sono; perciocchè questo è il vizio della costituzione nostra, e forse
avverrà, e mi giova sperare, che un dì la bisogna della
rappresentazione, parte sì essenziale de' nostri primitivi ordini, e la
principal salvaguardia delle libertà nostre, sarà a quella perfezione
condotta, che ogni buon Inglese deve desiderare. Si dimanda, quando, e
come sia stata l'America emancipata? Ed io dal canto mio dimando,
quando, e come ella sia schiava stata? Si dice qui in questa Camera
esser rizzato il segnale della resistenza, l'insegna della ribellione, e
così d'infame nota si tassa la più bella prerogativa dei senatori
inglesi, quella di dir ciò che sentono, e delle cose, che alla patria
appartengono, sinceramente e liberamente favellare. Eglino hanno di
questa malavventurosa legge con libertà parlato, ed i minacciati
pericoli presentiti e presagiti; e questa libertà è loro a delitto
riputata. Molto mi duole, che la libertà del discorso sia in questa
Camera a delitto attribuita, e ciò mi pare le tristissime cose annunziar
per l'avvenire, se le nostre lingue, se li nostri petti, se le mani
nostre alla disegnata tirannide con animi fortissimi non opponiamo. Odo
dire, che l'America è ostinata, ch'essa corre alla ribellione. Io son
ben contento, e mi rallegro, che l'America abbia resistito. Tre milioni
d'uomini così dimentichi di ogni senso di libertà, che volontariamente,
e di queto fossersi a diventare schiavi sottomessi, sarebbero opportuni
stromenti stati a farci schiavi noi stessi. Ei dice ancora, imperciocchè
d'invettive e di male parole non ha difetto, che l'America è ingrata, e
vanta a cielo la sua bontà verso di quella. Ma queste bontà non eran
forse in ultimo al benefizio di questo reame dirette? E come è vero,
esser l'America ingrata? Non dà forse ella buona corrispondenza di sè
medesima? Certo al sì. I profitti che la Gran-Brettagna ritrae dal
commercio dell'America, sono di due milioni di sterlini all'anno. Questo
è il fondo stato, che vi ha fatti andar trionfanti per ogni dove a'
tempi dell'ultima guerra. Le terre, le quali settant'anni addietro
davano una rendita di duemila lire all'anno, ora ne danno di tremila, e
ciò si debbe all'America riferire. Questo è il prezzo, ch'ella vi paga
per la protezione vostra. E passo sotto silenzio l'incremento della
popolazione nelle colonie, l'avvento colà di nuovi abitatori da tutte le
parti dell'Europa, e l'ulterior progresso del commercio americano, se ei
verrà con savie leggi regolato. Ciò non ostante noi abbiamo ad udir qui
un pubblicano venir fuori vantandosi di voler tenere per segno di un
diritto, che non si ha, il picciolo, il nonnulla nel tesoro reale! Ei si
duole di essere stato malconcio nei pubblici diarj. Del che altro non
saprei dire, se non se che questa è una comune sventura a tutti coloro,
che nella repubblica tengon grado, od esercitano i maestrati. Ei dice
ancora, quando ei per la prima volta propose la tassa, nissuno alzato
essersi per contraddire. Ma chi non sa, quanto grande sia la modestia di
questa Camera, quando si tratta di contraddire ad un ministro? Della
quale se non si spoglieranno una volta questi onorandi gentiluomini,
credo bene, che i popoli rimetteranno molto di quel rispetto e fede, che
in loro han collocati. Si parla molto fra la gente e più che dicevol non
saria, della potenza, e della forza dell'America. Ma in una giusta
causa, ma nella difesa di un buon diritto l'Inghilterra ha, molto più
che non bisogna, per ridurre l'America a divozione. Ma quando si tratta
di queste tasse, quando si vuole un'evidente ingiustizia proseguire, io
sono il primo a render il partito contro, ad alzar le mie mani e la mia
voce, perchè non sia. In tal caso la felicità dell'evento sarebbe
deplorabile, la vittoria pericolosa. Se avesse l'America a cadere, ella
cadrebbe come l'uomo forte; ella abbraccierebbe, e scrollerebbe le
colonne dello Stato, e seco trarrebbe a rovina la costituzione stessa. È
questa la vostra vantata pace? Cacciar la spada non nel fodero, ma sì
nelle viscere dei vostri concittadini! Volete voi correre alle discordie
civili, ora, che tutta la Casa di Borbone s'è alleata contro di voi?
Ora, che la Francia disturba le vostre pescagioni in sulla Terra-Nuova;
ora, che impiglia il vostro commercio degli schiavi in Africa; ora, che
soprattiene le robe dei vostri sudditi del Canadà impromesse dai
trattati; ora, che la Spagna denega il riscatto delle Manilie, ed il
loro prode conquistatore vien chiamato un vil marrano, un detestabile
saccheggiatore? Certamente gli Americani han misfatto, e scostati sonsi
dalla prudenza e dalla temperanza. Ma voi con l'ingiustizia vostra gli
avete tratti ad impazzare. Vi darà il cuore di punirgli a cagion di
quella mattezza, ch'è opera vostra? Mai no; sia piuttosto l'Inghilterra,
siccome quella che è la più forte, e siccome alla madre meglio
s'appartiene, la prima ad usare la benignità e la moderazione. Compatite
i loro errori, siate cortesi alle loro virtù. Adunque per concludere una
volta io dico, che giudico alla dignità nostra più consentaneo, ed alla
libertà più utile, ed in tutto al nostro regno più sicuro, che la
provvisione della marca sia assolutamente, totalmente ed immediatamente
rivocata; e con ciò io sento ancora, che nell'istesso tempo si dichiari
e si affermi, l'autorità di questa contrada sopra le colonie essere
sovrana, e potersi ad ogni capo qualsivoglia di legislazione estendere.
Si statuisca, che noi possiamo il commercio loro regolare, confinar le
manifatture, ed ogni poter qualsivoglia esercitare, fuori di quello di
trar dalle mani loro la pecunia senza il loro consentimento».
Queste parole gravemente, e con grande asseverazione dette da un uomo di
tanta autorità ebbero molta forza negli animi degli ascoltanti. Vi
rimaneva però ancora molta ruggine per cagione delle enormità, alle
quali erano gli Americani trascorsi; e forse non si sarebbe vinta la
rivocazione, se nel medesimo tempo i ministri non l'avessero
accompagnata coll'atto declaratorio, del quale si parlerà poco sotto.
Alcuni portano anche opinione, che la cosa sia stata molto ajutata colla
promessa, che si sarebbe tosto introdotta la rivocazione del dazio posto
sui melichini; la quale veramente fu poscia deliberata, e vinta nel mese
d'aprile. I Deputati dei contadi, dove si fa il melichino, altrimenti
detto _sidro_, tutti rendettero il partito per la rivocazion della
marca. Quale di questo sia la verità, messo e raccolto il partito nel
giorno ventidue di febbrajo, la provvisione per la rivocazione dell'atto
della marca fu vinta, non senza però un gran numero di voti contrarj. I
sì arrivarono a dugento sessantacinque, ed i no a cento sessantasette.
Essa fu approvata nella Camera dei Pari con cento cinquantacinque voti
favorevoli e settantauno contrarj. Nel medesimo tempo si vinse l'atto
declaratorio, il quale statuì, che il Parlamento della Gran-Brettagna
aveva il diritto di far leggi e statuti di sufficiente forza e valore
per obbligar le colonie in tutti i casi qualsivogliano. Il dì diciannove
marzo il Re recatosi alla Camera dei Pari, diè la sua approvazione
all'atto della rivocazione, ed a quello della dependenza delle colonie
verso la Corona della Gran-Brettagna. In questa occasione i mercatanti,
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