Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte II - 45

“Ve’ l’accinto, che tien la croce appesa al collo e s’avvolge
l’evangelo attorno il farsetto!
Ei spegne il fuoco a notte inoltrata e in vece di candela adopra la
fragranza del fiasco.
Il suo bicchiere comparisce al viaggiatore notturno come stella che lo
conduce infino all’aurora.”
Ho tradotto “accinto” l’aggettivo _mozanner_, ossia “cinto di zonar,”
cioè quella cintura che, secondo le leggi musulmane, dovean portare gli
“_dsimmi_” ossia Cristiani, Giudei e Sabii, per distinguersi dal popolo
dominante. Qui vuol dir meramente, cristiano. Non so se i Cristiani
di Palermo nel XII secolo usassero una fascia al cinto; ma dicerto non
v’erano obbligati.
Ho reso “farsetto” la voce _wisciâh_, della quale si è detto poc’anzi.
Il poeta, senza dubbio, adopera la voce vangelo per significare
qualche preghiera cristiana scritta su striscia di pergamena, qualche
“Postiglione di San Francesco di Paola” usato in quei tempi.
Il secondo verso allude evidentemente al notissimo statuto normanno del
coprifuoco.
[979] Si vegga la _Rivista sicula_ di novembre 1869, pag. 378 segg.
[980] _Bibl. arabo-sicula_, pag. 581. I versi nel Ms. di Parigi, fog. 6
verso.
“Costei che t’ammalia con gli occhi e sembra una huri fuggita dal
Paradiso,
Sorridendo ti fa vedere perle e gragnuola, sparse in mezzo all’acceso
color della corniola.
La sua bellezza ecclissa la luna del Cielo; e quando tu affisi le sue
pupille, ti senti inebriare.
Il viso splende com’oro al par del Sole; il petto e il grembo sono un
mucchio di gioielli.
Io le dissi, fuor di me pel dolore, accecato ch’io era da’ raggi della
sua luce,
O superba, tu mi respingi perchè ne gioisca il mio detrattore!
Ed ella a me: Io ho un cuor duro, da far malo augurio allo spasimante
che prende a gioco l’amore.
E andò via, come la luna nella sua altezza, con superbo incesso, senza
voltarsi.”
[981] Ms. citato, fog. 7 recto.
“Io ti racconto, o signor mio, cose che uomo non ha mai patite;
Calamità che m’erano scritte su la divisa dei capelli, con le quali or
compio il mio destino.
Fui preso, ahimè, e (lo giuro) per la tua vita, io non me ne accorsi:
La vidi che stava sopra un _talmik_ (?) come se il ramo avesse portata
(per frutto) la luna.
Ed avventommisi addosso fieramente. Che opera così l’uom generoso
quand’ei può?”
[982] _Bibl. arabo-sicula_, pag. 582. I versi leggonsi nel Ms. di
Parigi, fog. 7 verso, seg. Lasciando la proposta e risposta, alla quale
ho accennato, tradurrò alcuni altri di simile argomento.
“Smettono le ingiurie e scansano la collera. Capisco e lor concedo
favori,
E perdono il mal che mi han fatto; (perdono) di tutto cuore, pienamente.
Volentieri sentirei, e valuterei molto, una parola di rincrescimento:
essa porterebbe via, tondo, ogni mal fatto.
Mi seppe salmastra l’acqua del vostro affetto e pure la bevvi, e volli
mescere (in cambio) dell’acqua dolce!”
[983] Come Aghlabita egli apparteneva alla tribù di Sa’d. Tuttavia
questo nome etnico si potrebbe riferire al Kasr-Sa’d presso Palermo,
di cui Ibn-Giobair, nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 88 e nel _Journal
Asiatique_ di gennaio 1864, pag. 75, 76.
[984] I versi e il cenno biografico si leggono nel Fewât-el-Wafiâl,
di Mohammed-ibn-Sciakir-el-Kotobi, stampato al Cairo il 1283 (1866),
pagina 354 segg.
Troviamo a pag. 355:
“Bianche (donzelle) con uno sguardo sfoderano spade affilate, le (cui)
guaine sono le palpebre.
E (indi nelle nostre) gote le lagrime scavano solchi e gli occhi
abbondano come fonti.”
[985] “Hai neglette le faccende tutte quante, senza adoprarti perchè
andasser bene, nè affliggerti (del contrario).
Pur l’uno e l’altro, ancorchè contrarii, tornano allo stesso effetto,
cioè far andare a male ogni cosa.
Ecco che noi si scrive questo, si ordina quest’altro, e poi si ritorna
com’eravam prima.”
[986] “Ed io con ogni aura gli mandava un saluto, per tutto il tempo
che soffiavan l’aure, mattina e sera!”
[987] _Bibl. arabo-sicula_, pag. 599. Si vegga il capitolo iv di questo
libro, pag. 485 del volume.
[988] Cap. v di questo libro, pag. 541.
[989] _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 107, 109, 111, 112, 124, 126,
con le varianti date nella mia Prefazione, pag. 42.
[990] _Bibl. arabo-sicula_, pag. 152, 153. La tribù dei Beni-Rowaha
stanziava ne’ dintorni di Barka.
[991] Secondo alcuni Panaria è l’Evonymos degli antichi e secondo
altri l’Hicesia; ed altri dà il primo o il secondo di cotesti antichi
nomi ad altra delle isole Eolie. Non è facile decidere simili dubbii,
essendo le Eolie vicinissime tra loro, ed alcune sì piccole, che nella
descrizione talvolta si trascurano come scogli. Pure le latitudini e
longitudini delle varie isole Eolie, secondo Tolomeo, aggiungon fede
alla opinione che identifica Hicesia con Panaria.
[992] _Bibl_., testo, pag. 22, 23.
[993] Op. cit., pag. 24. M. Jaubert ha tradotto poco esattamente questo
luogo nel vol. II, pag. 73, lin. 2, 3.
[994] Op. cit., pag. 24. Traduco “antilope” il vocabolo _zabia, tzabia,
dhabia, thabia_, ec., che gli Arabi forse apposer vagamente a novella
specie del genere _cervus_, o del genere _capra_, forse il camoscio o
il capriolo, quando la videro per la prima volta ne’ paesi occidentali.
Il _Vocabulista in arabico_ dà i due significati diversissimi di
“capra” e “damma.”
[995] Amico, _Dizionario topografico della Sicilia_, nel capitolo di
Favignana.
[996] Lib. IV, cap. xiij, pag. 443 del II volume.
[997] _Bibl._, pag. 36. Il testo ha precisamente _merkeb_; voce
generica, usata per le navi con ponte.
[998] Op. cit., pag. 38.
[999] Op. cit., pag. 40, 41. L’autore si serve dei vocabolo _merkeb_
nel primo caso, e di _kârib_ nel secondo. Credo che i _merkeb_ siano
stati, in generale, più grandi che i “lautelli” e altri legnetti ai
quali or dà ricovero quel porto.
[1000] Op. cit., pag. 35, 39.
[1001] Op. cit., pag. 41.
[1002] Op. cit., pag. 36.
[1003] Op. cit., pag. 38. Il nome arabico, or corrotto in quella strana
forma, è _’Ain-el-aukât_. “La fonte (che sgorga) a momenti.”
[1004] _Bibl._, pag. 35.
[1005] Op. cit., capitolo VII, sotto i nomi citati.
[1006] Ho toccato quest’argomento nel libro II, cap, vj, xij; lib. IV,
cap. iv; lib. V, cap. x: vol. 1, pag. 326 segg., 465 segg.; vol. II,
pag. 275 segg.; vol. III, pag. 309 segg. Tre volte par di afferrare il
bandolo nella descrizione d’Edrîsi, e subito lo si perde. L’_iklim_
di Demona non può rispondere al _valle_, perchè ve n’ha tanti e
tanti altri nell’isola; e non può significar territorio di comune,
perchè Edrîsi non descrive Demona, nè la nomina in altro luogo che
questo. Sembra poco appresso di trovare il riscontro in _’aml_, che
vuol dir governo e territorio sul quale si estende; tanto più che
questo vocabolo occorre in Noto (pag. 37 dei testo), la quale ha “un
_’aml_ di larga superficie ed un _iklim_ di eccellente condizione:”
e il dubbio par divenga certezza in Castrogiovanni, col suo “_’aml_
di larga superficie e i suoi _iklîm_ di larghe condizioni;” il qual
bisticcio mostrerebbe almeno che un _’aml_ potea contenere parecchi
_iklîm_. Ma ecco l’_’aml_ e lo _iklîm_, al singolare, anche in Marsala;
i vasti _iklîm_ di Mazara e di Trapani, alle quali non si dà _’aml_
(pag. 40); e gli _iklîm_ di Cefalù, Calatamauro, Calatubo e Licata, e
Sciacca, ch’era «come la città capitale degli _iklîm_ e degli _’aml_
dei dintorni.» Da ciò si potrebbe conchiudere che que’ due vocaboli non
avessero significato tecnico in Sicilia, come l’avevano in Egitto (cf.
vol. II, 275, nota 4), o che Edrîsi li adoperasse a capriccio, o infine
che gli _iklîm_ fossero due soli nella Sicilia orientale, e assai
numerosi nella regione a ponente di Castrogiovanni.
A quest’ultimo supposto mi par che conduca l’ordine seguìto da Edrîsi
nella descrizione de’ paesi posti dentro terra. Ciò ch’io dico, si
capirà meglio quando si legga la descrizione di Edrîsi con una carta
alle mani, e si pongano su i paesi de’ segni di colore diverso,
cambiandolo ogni volta che l’autore torna addietro. Così il Valdemone,
ch’è l’ultimo nella descrizione, si vedrebbe ben distinto dal Val
di Noto, ch’è il penultimo. Ma a ponente del Salso e di Fiume Torto
i colori si moltiplicherebbero. Quivi l’autore si va aggirando con
uno scopo, che non mi par quello di seguire le vie di comunicazione.
Perocchè movendo da Palermo, com’ei dice, alla volta di Castrogiovanni,
cioè dell’E.S.E., s’arresta quivi ad un terzo del cammino su la sponda
sinistra del fiume Torto, donde salta a Giato, una cinquantina di
chilometri a ponente, nè ripiglia la via di Castrogiovanni pria d’avere
percorso in varie direzioni la più parte del Val di Mazara. Ma nemmeno
ei compie la descrizione di tutti i paesi e de’ fiumi che appartennero
a quello nella nota tripartizione dell’isola. Dico sempre dei paesi
dentro terra; poichè quei della marina sono descritti in fila, movendo
da Palermo per levante e ritornando dal lato opposto, senz’altro
cenno d’_iklîm_ che quel di Demona, il quale d’altronde si dice dove
principii, ma non dove finisca.
Ora l’ordine de’ paesi dentro terra dà indizio che la descrizione
sia stata fatta su carte parziali, ovvero relazioni parziali, le
quali non sappiamo con quale ragione fossero state distese. L’antica
divisione de’ due Imera, rinnovata dall’imperator Federigo, non fu
osservata di certo al tempo di re Ruggiero; poichè l’autore si ferma
la prima volta al fiume Torto, non già al fiume Grande, ossia Imera
settentrionale. Egli poi passa e ripassa l’Imera meridionale, ossia
fiume Salso, in guisa da far credere che pria del Val di Noto voglia
descrivere quel che veggiamo al principio del secolo XV col titolo Val
di Girgenti e di Castrogiovanni, o piuttosto che percorra l’una dopo
l’altra le due province riunite sotto tale denominazione nel XV secolo.
La circoscrizione in quattro valli, cioè i tre notissimi e quello di
Girgenti e Castrogiovanni, si scorge dal censo del 1408, pubblicato dal
Gregorio nella Biblioteca aragonese, II, pag. 490 segg.
[1007] Ritraggo dal mio dotto amico Isidoro La Lumìa, direttore
dell’Archivio Regio di Sicilia, che, tra i documenti trovati infino al
settembre 1871, il primo che portasse la circoscrizione dei tre valli
torna al 1477.
[1008] Palermo, Termini, Cefalù, San Marco, Oliveri, Catania, Siracusa,
Mazara, Marsala, Carini, Adernò.
[1009] Il testo ha qui il plurale della voce _hanût_, ma la spiega
meglio con quel che segue. Ho tradotto _magazzini_ per avvicinarmi
al significato nostro attuale, ancorchè questa voce, araba anch’essa,
abbia in origine un significato diverso.
[1010] Si ha ad intendere i magazzini e alberghi de’ mercatanti
stranieri, grandi stabilimenti come que’ de’ Pisani, Genovesi e
Veneziani ne’ paesi musulmani. Ognun sa che la voce italiana _fondaco_
viene da quella, ma non ha lo stesso significato. All’incontro in
Sicilia, come in Tunis, denota adesso gli alberghi d’infima classe per
gli uomini e per le bestie da soma.
[1011] Sono questi in Oriente gli alberghi pei viaggiatori di carovana.
Mi par che Edrîsi adoperi un po’ a capriccio le denominazioni delle
varie specie di alberghi e botteghe.
[1012] Edrîsi nella descrizione di quelle città.
[1013] _Bibl._, pag. 23.
[1014] Op. cit., pag. 22 a 25.
[1015] Op. cit., pag. 42.
[1016] Op. cit., pag. 93.
[1017] Op. cit., pag. 45. Il testo ha “prigione _motabbak_,” cioè
coperta. Coperta senza dubbio di vòlta e probabilmente sotterranea.
[1018] Op. cit., pag. 40.
[1019] Op. cit., pag. 63.
[1020] Mancano oggidì in provincia di Palermo: Burkâd (Broccato
castello), Sakhrat-el-Harîr (Roccella, ossia Campofelice, presso
Cefalù), Khazân, Pitirrana, Giato, Calatrasi, Kala’t-et-Tarîk,
Raia, Margana, Khassu, Menzil-Sindi, Calatamauro, Harraka, Makara,
Rekka-Basili, che fan 15; in provincia di Trapani, El-Asnâm (ossia
gli Idoli, Selinunte), Kalatubi, Rahl-el-Mara, Miragia, Rahl-el-Kaid,
Rahl-el-Armel, Kasr-ibn-Menkud, che son 7; in provincia di Girgenti,
Platano, Gardsuta, Kerkudi, 3; in provincia di Caltanissetta, Tavi,
1; in provincia di Catania, Sceliata, Kala’t-el-Fâr e Melgia-Khallî,
3; in provincia di Siracusa, Cassibari, 1: e in provincia di Messina
Kaisi, Maniaci, Mengiaba e Mikosc, 4. Ma quest’ultimo torna forse a
Mandanici o Fiumedinisi, e Mengiaba a Floresta o Tortorici. Similmente
a Kerkudi sembra sostituita Sommatino; Partanna a Gardsuta; Castelbuono
o Santo Mauro a Rekka-Basili; e nel sito di Kassn, o non lungi, è sorta
Ciminna. Il numero dunque si può ridurre da 34 a 28, cioè 22 in val di
Mazara e 6 nella Sicilia orientale.
[1021] Si vegga la Introduzione alla mia _Carte comparée de la Sicile_,
Paris, 1859, pag. 21 segg., ed a pag. 27 segg., l’Indice topografico
cavato dagli scrittori e da’ diplomi. Mi son venuti poi alle mani
molti altri nomi di luoghi abitati nel medio evo; e un grandissimo
numero se ne dee tenere perduto o non ancora scoperto. Se ne può già
raccogliere buon numero ne’ pochi lavori usciti alla luce dopo quel
mio scritto; tra i quali citerò solo le _Mem. stor. Agrigentine_
del sig. avvocato Giuseppe Picone, 1866-1870, e la bellissima carta
della Sicilia, pubblicata non è guari dal nostro Stato Maggiore. In
questa, non ostante i molti errori che son corsi nella trascrizione
de’ nomi topografici, si riconoscono bene quei dell’età musulmana,
dati evidentemente a casali, villaggi o castella, essendo costruiti coi
vocaboli _rahl, menzil, kala’t_. Da un’altra mano, il numero de’ comuni
e villaggi moderni si cava da notizie officiali, nelle quali sarà forse
qualche errore; ma di unità, non già di diecine. Al principio di questo
secolo la Sicilia avea da 354 tra città, terre e casali, come si legge
nella Prefazione al _Nuovo dizionario geografico_, ec. della Sicilia,
per Giuseppe Emmanuele Ortolani, Palermo, 1819, in-8º. Lo _Stato
generale delle Poste_, Palermo, 1839, correttivi i raddoppiamenti di
nomi e gli errori di villaggi segnati come comuni, ha 357 comuni e
204 villaggi. Secondo il censimento del 1861, il numero de’ comuni era
di 361: ed ora se ne contano 359, per la solita vicenda della piccole
popolazioni che si uniscono a’ comuni maggiori o se ne spiccano.
[1022] I comuni odierni son questi: Borgetto, secolo XIV; Parco, XVI
(?), Santa Cristina, XVII; Godrano, XIV; Corleone; Campofiorito, XVII;
Contessa, XV; Roccamena, XIX; Camporeale, XVIII; San Giuseppe Jato (o
dei Mortilli), XVIII; Piana de’ Greci, XV; Valguarnera, XVI. I tempi
della istituzione in comuni o villaggi son tolti dal _Dizionario
topografico_ dell’Amico, con le aggiunte del traduttore signor Di
Marzo.
Su la misura del territorio si vegga, nell’errata, la correzione alla
pag. 536 del presente volume.
[1023] Si potrebbe dir per avventura che se 3 de’ 130 grossi paesi
del XII secolo suddivideansi in 50 luoghi minori abitati, questi
ultimi doveano tornare in tutta l’isola a 2166; e se il territorio
di 42 comuni odierni contenea nel XII secolo 50 di que’ luoghi
minori, il territorio de’ 361 comuni del 1861 doveva essere, nel XII
secolo, occupato da più di 1500 luoghi. Io non intendo già applicare
la regola del tre alla topografia comparata; ma ognun vede come le
proporzioni confermano il numero dedotto dalla lista dei nomi che ci è
venuto fatto di raccogliere. Aggiungo che il divario delle condizioni
etnografiche e topografiche, il quale esclude nel presente caso ogni
rigor di proporzione, porta anco de’ compensi. Per esempio, le terre,
la più parte frumentarie, dei tre paesi nominati, non ammetteano
tanti agricoltori quanto i giardini presso le grandi città; e da
un’altra mano, quelle colline coltivate da Musulmani erano suscettive
di maggiori spostamenti di popolazione, che le montagne boschive del
Valdemone, abitate sempre da Cristiani. Perciò gli elementi del calcolo
tornano meno fallaci, che non parrebbe a prima giunta.
[1024] _Bibl._, pag. 34.
[1025] Op. cit., pag. 41.
[1026] Op. cit., pag. 42. Edrîsi distingue due sorte di pietra molare;
l’una delle quali detta da acqua, e l’altra _fârisi_, ossia _persiana_.
Non trovo cotesta varietà nel Kazwini. Il mio dotto amico, il professor
G. G. Gemmellaro, benemerito per importanti ricerche geologiche su la
Sicilia, ha osservata nelle vicinanze di Calatubo, Alcamo e Calatafimi,
una estesa formazione di arenaria, che in certi punti diviene
eccellente pietra molare.
[1027] Si vegga il libro IV, cap. xiij, pag. 442, 443, del II volume.
[1028] Nessuna memoria ci attesta che i Normanni di Sicilia abbiano
adoperato il fuoco greco. Tuttavia si potrebbe supporre senza tanta
inverosimiglianza, quando si sa che l’armata degli Ziriti di Mehdia
conosceva quel segreto, e v’ha ragion di credere che non lo avessero
ignorato i Musulmani di Siracusa. Si vegga il nostro libro V, cap. vj,
e il libro VI, cap. j, e pag. 165 e 367 del presente volume.
[1029] Si vegga il cap. x di questo libro, pag. 669 del volume, con la
correzione fatta nell’errata.
[1030] Questi ragguagli, dati largamente da Ibn-Scebbât e
in poche parole da Kazwini, sono attribuiti dal primo ad
Abu-l-Hokm-ibn-Ghalanda, e dal secondo ad Ahmed-ibn-Omar. Di questi
due autori noi non abbiamo opere nè notizie biografiche, se non che
Ibn-Scebbât annunzia il suo Abu-l-Hokm come continuatore del Bekri, e
dichiara darne estratti compendiati; e che Edrîsi novera il secondo
tra gli autori delle opere geografiche studiate da re Ruggiero.
All’incontro la notizia su la estrazione del petrolio è più compiuta
ed anche più corretta in Kazwini, il quale dà sempre i passi di
Ahmed, senza dir ch’ei li scorci. Dalla identità de’ fatti e di molte
parole argomento che il testo sia un solo. E poichè d’Ibn-Ghalanda non
sappiamo quante generazioni sia vissuto dopo il Bekri, ma di Ahmed egli
è certo che abbia scritto avanti il 1154, dobbiamo attribuire a lui
le due descrizioni, finchè non ci occorra prova in contrario. Così il
fatto narrato risale alla prima metà del duodecimo secolo.
[1031] Questo mese siriaco risponde al febbraio.
[1032] Si confrontino le due compilazioni nella _Bibl._, pag. 142 e
210. Secondo il Kazwini, che dà il testo di Ahmed-ibn-Omar, il petrolio
si separava in vasi chiamati _iggiana_ e si riponeva nelle _kârûra._
Ibn-Ghalanda, o il suo compendiatore, usa, per indicare i primi, un
vocabolo che par s’abbia a leggere, col Fleischer, _kasa’h_.
[1033] _Bibl._, pag. 210.
[1034] Op. cit., pag. 12. Sorgeva allora presso i bagni un castello
che prendeva da quelli il nome di _Kala’t-el-Hamma_, trascritto
Calathammeth in un diploma del 1100.
[1035] Op. cit., pag. 30.
[1036] _Bibl_., pag. 35. Parmi che, allora com’oggi, varii paesi delle
falde orientali dell’Etna portassero il nome di Aci, poichè il paese è
designato nel testo arabico con le lettere _Liâg_, che par bell’e buono
Aci, preceduto dal nostro articolo maschile plurale. Si confronti il
libro III, cap. iv, nel II vol., pag. 85, nota 4.
[1037] Op. cit., pag. 32, 49, 59, 62. Si confronti il lib. IV, cap.
xiij, a pag. 445, del II vol.
[1038] Op. cit., pag. 24. Certamente la Sicilia non producea molto olio
nel medio evo. Si vegga il cenno che abbiam fatto di questa vicenda
economica, nel libro II, cap. x, pag. 415, del I volume; si riscontri
il libro IV, capitolo xiij, pag. 443, del II volume, e si ricordi
particolarmente il diploma del 1134, presso Pirro, _Sicilia Sacra_,
pag. 975, nel quale è conceduto al Monastero del Salvatore in Messina
di esportare per l’Affrica 200 salme di frumento “ad emendum oleum et
reliqua necessaria eis, quae in Africa sunt.” In un diploma del 1249,
presso Mongitore, _Sacrae Domus Mansionis.... monumenta_, è nominato
l’uliveto di San Giovanni de’ Leprosi, presso Palermo, contiguo alla
piantagione delle palme.
[1039] Presso Caruso, _Bibl. sicula_, pag. 408.
[1040] Presso Caruso, loc. cit.
[1041] Ibidem. Negli orti i cetriuoli, i cocomeri, i poponi; ne’
giardini melegrane, arance, cedrati, lime, noci, mandorle, fichi,
carrube.
[1042] _Bibl._, pag. 43.
[1043] Op. cit., pag. 32.
[1044] Op. cit., pag. 33.
[1045] Op. cit., pag. 65.
[1046] Diploma di Silvestro conte di Marsico, dato del 1140, presso De
Grossis, _Decacordum_, Catania, 1642, I, pag. 77.
[1047] _Bibl._, pag. 43. Gli Arabi chiamano _katniah_, al plurale
_katâni_, le piante leguminose; come si conferma con Lane, _Lexicon_,
lib. I, pag. 440, colonna 2ª, alla voce _giullugiân_, e col
_Vocabulista in arabico_, pag. 523, al vocabolo _vicia_. Il Ms. arabico
di Parigi, _Ancien Fonds_, 78, fog. 696 verso, chiama anche così i
legumi di che si cibavano ne’ giorni di magro i frati del monistero del
Monte Negro, presso Antiochia. Si vegga infine il _Riadh-en-Nofûs_, Ms.
di Parigi, _Ancien Fonds_, num. 752, fog. 50 recto.
[1048] Diploma del 1140, che abbiam citato nel libro IV, cap. xiij,
a pag. 448 del II volume, nota 2. Il cotone era coltivato in Puglia e
in Sicilia ne’ principii del XIV secolo, come attesta Marino Sanuto,
_Secreta Fidelium Crucis_, lib. I, parte I, cap. 2.
[1049] Diploma del 15 dicembre 1249, presso Bréholles, _Hist. Diplom.
Friderici II_, tom. V, pag. 571 segg.
[1050] Falcando, presso Caruso, op. cit., pag. 408.
[1051] Diploma del 1249, citato poc’anzi.
[1052] Niccolò Speciale, libro VII, cap. ix, ed _Anonymi Chronicon
Siculum_, cap. lxxxvj, nella Biblioteca aragonese del Gregorio, tomo
I, pag. 475, e tomo II, pag. 207. Del dattileto della Favara si fa
menzione in parecchi diplomi della Commenda della Magione dal 1258
al 1267, delle cui date ci informa il Mortillaro nell’_Elenco delle
pergamene della Magione_, pag. 37 segg., 41, 42 segg., 53, 54, 57. Si
noti che sono concessioni di terreno nel dattileto, fatte la più parte
a fine di piantar vigne. Un altro diploma del 1316, pubblicato nello
stesso volume, pag. 214, 216, fa menzione dello stesso dattileto che
arrivava al Ponte detto dell’Ammiraglio.
[1053] La conghiettura ch’io già feci nel libro IV, cap. xiij, pag.
445 del secondo volume, nota 3, è confermata da un aneddoto che si
legge nel _Riadh-en-Nofûs_, Ms. di Parigi, _Ancien Fond_s, n. 752;
il qual luogo, sfuggitomi quand’io percorsi quel prezioso codice, mi
è stato non è guari trascritto dal dotto amico il professor Dozy.
Un Abu-l-Fadhl, celebre tra’ giuristi ortodossi del Kairewân che
aborrivano sì forte dalla novella dominazione fatemita, ricusò un pezzo
di torta mandatogli in dono da un amico, perch’egli supponea fatta la
torta con lo zucchero di Sicilia, il quale, cavandosi da poderi che
avea conceduti l’usurpatore, i più scrupolosi lo teneano derrata di
origine illegale, da non potersi comperare nè accettare in dono.
[1054] Presso Caruso, _Bibl. sicula_, pag. 408.
[1055] Diploma dell’agosto 1176, presso Pirro, _Sicilia Sacra_, pag.
453.
[1056] Diplomi del 28 novembre e 15 dicembre 1239, citati in questo
libro, cap. viij, pag. 618, del volume.
[1057] Il Gregorio trattò quest’argomento in un opuscolo ristampato
a pag. 753 segg. della edizione del 1853, dal quale si vede che la
coltivazione dello zucchero si mantenne importante in Sicilia fino allo
scorcio del XV secolo; decadde nel XVI, quando passava nel Nuovo Mondo
la cannamela, trapiantata, come si dice, dalla Sicilia nelle Canarie;
ed era al tutto mancata nei principii del nostro secolo. La produzione
dello zucchero in Sicilia ne’ principii del XVI secolo è attestata da
Marino Sanuto, _Secreta Fidelium Crucis_, lib. I, parte I, cap. 2. Più
ampii ragguagli si trovano in Bartolomeo De Pasi, _Tariffa de’ pesi
e misure_, ec., Venezia, 1540, fog. 60 verso, 152 verso, 187 recto et
passim, e nella _Pratica della Mercatura_ di Niccolò da Uzano (1442),
presso Pagnini, _Della Decima_, ec., volume IV, pag. 162, 195. Queste
due preziose opere sul commercio dell’Italia, le quali provano la parte
che vi prese la Sicilia, rimasero ignote, come parmi, al Gregorio.
[1058] _Bibl._, pag. 57.
[1059] Op. cit., pag. 35.
[1060] Op. cit., pag. 64.
[1061] Op. cit., pag. 32.
[1062] Zohri e Ibn-Said, nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 159, 134. Il
primo di questi autori attesta che si esportavano dalla Sicilia per
l’Affrica noci e castagne, e inoltre per varii paesi molto cotone,
storace e corallo. Coteste notizie vanno riferite al XII secolo,
ritraendosi dal manoscritto di Zohri, fog. 45 verso e 46 recto, che
l’autore si trovava presso Granata il 532 dell’egira (1137). E pertanto
si corregga la notizia ch’io dètti su lo Zohri nella Introduzione, a
pag. LIV, del primo volume.
[1063] Si vegga il Capitolo precedente a pag. 757 di questo volume, e
il libro IV. cap. xiij, a pag. 445 del secondo volume.
[1064] _Bibl._, pag. 24.
[1065] Op. cit., pag. 46. Secondo le distanze che leggiamo in Edrîsi,
questa terra, or distrutta, giacea di mezzo a’ due moderni comuni di
Vita e Roccamena, nel centro del Val di Mazara.
[1066] Op. cit., pag. 57.
[1067] _Bibl_., pag. 63.
[1068] Op. cit., pag. 65. Si vegga la nota 1, a pag. 776 del presente
capitolo, su questa terra che forse non ha mutato se non che il nome.
[1069] Op. cit., pag. 65.
[1070] Diploma del 25 dicembre 1239, già citato nel cap. viij di questo
libro, a pag. 611 del volume, nota 2. Si vegga presso Bréholles,
_Historia Diplomatica_, ec., tomo V, 504, un’altra lettera del 17
novembre 1239, su le greggi del demanio date in fitto a’ Saraceni.
[1071] Si vegga la citazione di Pietro d’Eboli, nel cap. vj di questo
libro, pag. 552 del volume, nota 4.
[1072] Si vegga il libro IV, cap. 13, a pag. 446 del II volume, nota
1-2.
[1073] Diploma del 17 novembre 1239, presso Bréholles, Hist.
Diplomatica, ec., tomo V, 524. Questa lettera è indirizzata a un
Paolino da Malta, il quale, per ordine dell’imperatore, avea mandati
otto cameli in Capitanata e ne ritenea tre in Malta per continuare la
razza.
[1074] _Bibl_., pag. 24, 55, 65.
[1075] _Bibl._, pag. 44.
[1076] Op. cit., pag. 42.
[1077] Op. cit., pag. 33.
[1078] Loc. cit.
[1079] Op. cit., pag. 32, 65.
[1080] Op. cit., pag. 30. Il testo, dopo la descrizione di Trabìa,
ch’era _mehall_, o diremo noi “borgo,” conservandogli il genere
mascolino, nota che si pescava il tonno nel porto “di essa;” onde
si dovrebbe riferire a Termini, di cui ha trattato poco prima,
chiamandola, al femminile, _kala’t_, ossia “rocca”. Ma il tonno si
pesca in oggi a Trabìa e non a Termini, ond’è da supporre piuttosto
sbagliato nel testo il genere d’un pronome, che mutato il passaggio di
quei pesci.
[1081] Op. cit., pag. 30. M. De Sacy, nella traduzione d’Abdallatif,
pag. 285 segg., ha fatta una lunghissima nota sul rei d’Egitto,
dalla quale si può conchiudere che questo non somiglia ad alcun pesce
de’ fiumi d’Europa. E M. Geoffroi De Saint-Hilaire, nella _Histoire
naturelle des poissons de l’Egypte_ (Description de l’Egypte, Hist.
Naturelle, I, 50), non gli dà nè anco nome europeo. Se poi il signor
De Goeje, nella traduzione del capitolo di Edrîsi su l’Affrica, lo
traduce _saumon_, citando anche il passo qui dianzi notato della
_Bibl. arabo-sicula_, s’ha a intendere del genere e non della specie:
dico il genere _salmo_, ch’è sì vasto nel sistema di Linneo ed anco
in quel di Cuvier; non già la specie _salmo vulgaris_, ec. notissima
in Europa co’ nomi di salmone, o sermone, saumon, salmon, lachs, ec.
Qui si tratta forse di qualche specie di trota, non rara nei fiumi di
Sicilia. È da notar che il vocabolo _Salmûn_, col quale è designato il
salmone in Egitto (v. Bochtor alla voce “saumon” e il _Dizionario arabo
e italiano_, Bulâk, 1822, pag. 171 e 213), si trova per l’appunto in
Edrîsi, qual nome del fiume or chiamato Gavarrello, che scende da Menfi
di Sicilia e mette foce a levante di Porto Palo (_Bibl. arabo-sicula_,
pag. 51).
[1082] _Bibl._, pag. 35.
[1083] Op. cit., pag. 36. Edrîsi dice espressamente nel fiume e non fa
mai menzione del lago; il quale allora forse non esistea, e di certo