Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte II - 43
Germania_, tomo XXIV, parte III (1870), p. 387. Probabilmente i “Sette
Savii” divennero “Nove Giudici” pel doppio significato della voce
arabica _hakim_ e il facilissimo scambio de’ vocaboli sette e nove
nella scrittura neskhi.
[795] Salimbeni, _Chronica_, Parma, 1857, p. 168, 169.
[796] Si vegga Perles, _Rabbi Salomo_, etc. Breslau, 1863, citato dallo
Steinschneider, _Hebräische Bibliogr._, n. 39, pag. 64.
[797] Si vegga il capitolo precedente, pag. 641 di questo volume. Il
Bréholles, op. cit. Introduction, pag. CXCIII, segg. dà i particolari:
gli animali messi in mostra a Ravenna il 1234, in Alsazia il 1235;
l’elefante donato alla città di Cremona etc.
[798] Op. cit. Introduzione, pag. DXXIV, e tomo IV, 384 seg., dove si
citano i Mss. di Bruges e di Pommersfeld. Si aggiunga quello della
Laurenziana, Plut. XIII, sin., cod. 9, proveniente dalla Bibl. di
Santa Croce (catalogo del Baudini, IV, pag. 109). Questo bel codice
di pergamena, in foglio, è intitolato: “Aristotelis de Animalibus,
interprete Michaele Scoto” e si compone di tre opere diverse:
1. “De animalibus” tradotto dall’arabico in latino per maestro Michele
(Scoto) in _Tellecto_, del quale fu finita la copia il 24 sett. 1266
(fol. 56, recto).
2. Lo stesso, col nome intero di Michele Scoto, principia: “Frederice
domine mundi” etc. come nel catalogo del Bandini e in fine vi si legge
“expletus est per magistr. Henrigum colloniensem etc. apud _Messinam
civitatem Apulee_, ubi dominus Imperator eidem magistro hunc librum
premissum _commendavit_ anno 1232,” finita la copia il 14 novembre 1266
(fol. 38, recto).
3. “De partibus animalium” tradotta anche da Michele Scoto. Secondo il
catalogo, la traduzione sarebbe stata fatta sul testo greco; ma ciò non
si legge nel codice, il quale è scritto della stessa mano, con maggior
fretta che nelle due prime parti. È da accettare per cagione della
data, la correzione del Bréholles, che sostituisce Melfi a Messina.
Michele Scoto fu celebre in Italia per tutto il secolo XIII, come si
scorge dal Salimbeni, _Chronica_, pag. 169.
[799] Si vegga Steinschneider, _Hebräische Bibliographie_, n. 39,
(maggio 1864) pag. 65, nota 7.
[800] Bréholles, op. cit., pag. DXXV.
[801] Op. cit., pag. DXXXVI.
[802] Op. cit., pag. DXXXVII.
[803] Wolf, tom. IV, p. 861, citato dallo Steinschneider, nell’opuscolo
di cui si è detto poc’anzi.
[804] Codice della Biblioteca di Modena, citato dal Tiraboschi, tomo
IV, parte II, pag. 342. La versione italiana manoscritta (XV secolo)
che possiede la Biblioteca nazionale di Firenze, non ha nome d’autore,
nè di traduttore.
[805] Su la parte ch’ebbero i Giudei in questo celebre insegnamento,
si vegga il Carmoly, _Histoire des Médecins juifs_, Bruxelles, 1844,
in 8º, tomo I, § XXIII, e il De Renzi, _Collectio Salernitana_, Napoli,
1852, tomo I, pag. 106, 119, et passim ed anco ne’ tomi II, III, IV.
[806] De Renzi, op. cit., III, 328.
[807] Ibn-Giobair, da noi citato nel cap. v, di questo libro, pag. 534
del volume.
[808] Mi riferisco pei particolari e per le citazioni, al Bréholles,
op. cit., Introduction, pag. DXXXVIII, DXXXIX.
[809] Articolo di M^r Cherbonneau, nel Journal asiatique di maggio
1856, pag. 489, nel quale si dà ragguaglio d’una raccolta di biografie
musulmane del XIII secolo, per Ahmed-Gabrini. L’Autore dice che
Taki-ed-dîn fu benaccolto da _El-ibratur_, re cristiano dell’isola; la
qual voce va corretta di certo _imbiratûr_, e forse designa Manfredi,
come pensa l’erudito Mr De Freméry, l. c.
[810] Mss. Latins, 6912. Ho cavate le notizie su l’origine di questa
versione, dall’opera stessa, vol. I, fog. 1, 2, e vol. V, fog. 189
verso, e n’ho dato ragguaglio nella mia _Guerra del Vespro Siciliano_,
edizione del 1866, I, 81, 82, in nota. Il codice fu copiato in Napoli
(vol. V, ult. pag.) da Angelo de Marchla.
[811] La tavola delle malattie e de’ membri del corpo umano, tomo
V, fog. 86, segg. è scritta a due colonne, col titolo di _Sinonimum_
nell’una, e di _Expositum_ nell’altra; nella prima delle quali colonne
si legge il vocabolo tecnico arabico o greco, nella seconda il latino.
La _Tabula medicinarum_ corre dal fog. 90 verso al 134 del medesimo
volume, anco a due colonne: per esempio “Alebros = Agnus castus;”
Alhon = Rosa fetens etc,” ma alcuni quaderni mal rilegati guastan qui
l’ordine alfabetico. Poi v’ha, dal fog. 190 recto, una descrizione de’
semplici, condotta anco nell’ordine dell’alfabeto arabico, della quale
parmi bene dare il seguente articolo, che piacerà forse ai botanici.
RUBEA TINCTORIS. Arabice appellatur _fuatelsabg_ (Fuwwat-es-sabgh,
a nostro modo di trascrivere) et est quedam herba, cujus radix est
rubea, qua utuntur tinctores ad tingendum rubeum; et ideo dicitur rubea
tinctoris: et ista herba expanditur et suspenditur cum arboribus; et
virgulta ejus sunt quadrata, alba et subtilia, nodulosa et in quolibet
nodulo sunt octofolia aut sex, aut quatuor, aspera, parva, similia
foliis ysopi montani. Capud (_sic_) ipsorum est acutum et in ipsis
nodulis est flos parvus, citrinus, declinans ad albedinem et in loco
floris egreditur granus similis coriandro; et radice ejus est utendum
(vol. V, fog. 207).
Hadoshaon, hadoydodayon, Rubea tinctoris (fog. 100, recto).
[812] Cap. iij di questo libro, pag. 441, nota 1.
[813] Cap. citato, pag. 453.
[814] _Arrighetto, ovvero Trattato contro all’avversità della Fortuna_,
Firenze, 1730. Quivi (lib. IV, pag. 38) è posto in bocca della
filosofia questo distico:
_Et mihi sicaneos, ubi nostra palatia, muros,_
_Sic stat propositum mentis, adire libet._
Ma gli antichi traduttori italiani pensaron bene di scrivere Parigi in
luogo di Sicilia; come si vede nella edizione citata, pag. 76 e nella
variante di un codice della Riccardiana, che ha data il Milanesi nella
edizione del 1864 (_Il Boezio e l’Arrighetto_), pag. 341.
Il Mebus, nella vita di Ambrogio Traversali, _Epistolæ_ etc., Firenze,
1759, in foglio, sostiene con ottime ragioni che il carme di Arrigo da
Settimello fu scritto nel 1193.
[815] Ibn-el-Giuzi, da noi citato nel capitolo precedente, pag. 615.
[816] Si vegga la cronica del Salimbeni, il quale lo chiama (pag.
3) “pestifer et maledictus, schismaticus, haereticus et epicureus,
corrumpens universam terram”; e altrove (p. 168) gli attribuisce
come bestemmia lo scherzo: che Dio non avrebbe lodata tanto la Terra
Promessa, s’egli avesse vista Terra Di Lavoro, Calabria, Sicilia e
Puglia. Il tedesco frate Alberico (_Chronicon_, Hannover 1868), gli
appone il detto che “Tres _Baratores_ seu _guittatores_ fuerunt in
mundo”, cioè Moisè, Cristo e Maometto. Racconta poi che Federico,
vedendo un Sacerdote portare l’eucaristia, sclamò “Heu me, quamdiu
durabit _truffa_ ista!” La sentenza dei tre “trufatores” è citata anco
nella vita di Gregorio IX, presso Muratori, _Rerum Italic._, tomo III,
parte I, 585. E questa frase ha dato origine al supposto che Federigo
abbia scritto il famoso e incertissimo libro “De tribus impostoribus.”
[817] Ms. della Bodlejana, Hunt, 534, n. cccclxvj del Catalogo arabico,
dove è sbagliato il nome del principe, autore de’ quesiti. Io ho dato
un esteso ragguaglio di questo opuscolo, nel _Journal asiatique_ del
1853, février-mars, pag. 240, segg. ed ho ristampati alcuni brani
del testo nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 573, segg. Mi riferisco al
lavoro del _Journ. asiat._ per le prove e pe’ riscontri delle date e
de’ nomi.
Secondo gli autori citati, Ibn-Sab’în nacque a Murcia il 614 (1217-18)
e morì alla Mecca il 660 (1271). Il califo almohade Rascîd, regnò dal
1232 al 1242.
[818] La biografia di questo filosofo musulmano si ricava da
Ibn-Khaldûn, Makkari, ed Abu-l-Mehâsin, da me citati nel _Journ.
Asiat._ Ibn-el-Khatib, citato dal Makkari, fa menzione di cotesti
Quesiti Siciliani, che i dotti _Rûm_ aveano mandati per confondere i
Musulmani e che furono sì felicemente risoluti dal giovane Ibn-Sab’în.
Dopo la pubblicazione dell’articolo, l’erudito M. Charbonneau,
professore ad Algeri, mandommi un’altra biografia d’Ibn-Sab’în,
estratta dal libro di Gabrini (si vegga qui innanzi a pag. 698, nota
2) suo contemporaneo, la quale non contiene nulla di nuovo per noi,
essendo stata copiata negli scritti degli autori più moderni che mi
eran prima venuti alle mani.
[819] Makkari, edizione di Leyda, I, 594; e nella _Bibl. arabo-sicula_,
testo, pag. 574 in nota. Si veggano gli Schiarimenti che io dètti a
questo proposito nel citato articolo del _Journal asiatique_.
[820] Il nostro professore Fausto Lasinio, notò questo passo in
un codice ebraico alla Laurenziana e ne mandò copia al dottore
Steinschneider; il quale l’ha pubblicato, con eruditi comenti, nella
_Hebräische Bibliographie_, n. 39 (maggio 1864), pag. 62, segg.; ed
ha aggiunto nel n. 42 (novembre 1864), pag. 136, un passo di altro ms.
ebraico, nel quale si fa parola di un abboccamento ch’ebbe Federigo con
Samuele-ibn-Tibbon, traduttore ebraico della “Guida.”
[821] Steinschneider, op. cit., n. 39, pag. 65.
[822] _Anonymi_, etc. (Niccolò de Jamsilla) presso Caruso, _Bibl.
Sicula_, pag. 678.
[823] Mi basti citare per l’unico testo delle due epistole, l’_Historia
Diplomatica_ etc. del Bréholles, IV, 383, segg. dove si leggono le
varianti delle edizioni fattene un tempo nelle Epistole di Pietro
della Vigna e nella collezione del Martène. La data della epistola di
Federigo torna a un dipresso al 1230. L’argomento degli opuscoli è
spiegato nel testo, con le parole _in sermonialibus et mathematicis
disciplinis_, delle quali ho resa la seconda _cosmografia_, poichè
trattasi, secondo l’opinione del Jourdain, de’ libri della Fisica e
delle Meteore d’Aristotile e fors’anco dell’Almagesto di Tolomeo. Si
confronti il Bréholles, op. cit., IV, 384, nota e Introduzione, pagina
DXXVI.
[824] Bréholles, l. c.
[825] Il codice del convento di Santa Croce di Firenze, passato alla
Laurenziana e segnato Plut., XXVII, dext. n. 9, contiene, tra gli
altri opuscoli, uno intitolato (fog. 476 o piuttosto 353) “Incipit
liber magnorum ethicorum aristotelis, translatus de greco in latinum
a magistro bartholomeo de Messini, in curia illustrissimi maynfridi,
serenissimi regis sicilie, scientie amatoris, de mandato suo.” Si vegga
anco il catalogo del Bandini, IV, 689, nel quale è notato che la stessa
versione, mutila però e senza nome, si trova nell’altro codice di
Santa Croce Plut. XIII, sin., cod. VI, n. 6, notato in catalogo a pag.
106, del medesimo volume. Il qual codice è composto tutto di opuscoli
d’Aristotile; ma non me n’è occorso alcuno che si riferisca al tempo e
al paese di cui trattiamo.
Il Tiraboschi, _Storia della Letteratura Italiana_, tomo IV, parte
II, lib. III, cap. 1, § 1, p. 341, oltre il primo de’ suddetti mss. di
Santa Croce, ne cita uno della Biblioteca di san Salvatore a Bologna.
[826] Renan, _Averroès_, partie II, chap. II, § 3.
[827] Carmoly, _Histoire des médecins Juifs_ etc., Bruxelles 1841, §
lx; Steinschneider, _Hebräische Bibliographie_, n. 39, (1864) pag.
63, 64; Renan, _Averroès_, partie II, chap. 4, § iv. Si confronti
Bréholles, op. cit., Introduction, pag. DXXVI.
[828] Wolf, De Rossi, e Krafft, citati dal Bréholles, nella stessa
Introduzione, pag. DXXVII.
[829] Si confronti il Bréholles, op. cit. Introduz., pag. DXXXIX.
Sul testo greco delle Costituzioni di Federigo, si vegga la medesima
opera, IV, 1, 2.
[830] Bréholles, op. cit. Introd., p. DXLI, DXLII.
[831] Il Salimbeni, _Chronicon_, pag. 166, dice in generale ch’ei parlò
molte e varie lingue; Ricordano Malespini, cap. 170 scrive: “E seppe la
nostra lingua latina e il nostro volgare e tedesco, francesco, e greco
e saracinesco; e di tutte vertudi copioso, largo e cortese, ec.”
[832] Bréholles, op. cit. Introd., pag. DXL, DXLI.
[833] Salimbeni, op. cit., pag. 166.
[834] Salimbeni, loc. cit., fa vedere chiaramente quanta ammirazione ei
sentì conversando con quest’empio. Si confronti ciò ch’ei dice a pag.
170.
[835] Su i monumenti, si vegga il Bréholles, op. cit. Introd., pag.
CXLVI, segg.
[836] Non occorre citazione pe’ fatti di Giovanni il Moro. Le
concessioni papali a suo favore, si veggano nel Registro d’Innocenzo
IV, lib. XII, n. 284, 327, citato da M. De Cherrier, _Histoire de la
lutte des papes_, etc., vol. III, 19, della seconda edizione.
[837] Squarcio d’una epistola del 1229, dato da Matteo Paris, presso
Bréholles, op. cit., III, 140, in nota.
[838] Matteo Paris, citato da Bréholles, op. cit. Introduct., pag.
CXCII, CXCIII. A pag. DXLV, si cita un diploma, nel quale l’imperatore
ordina di scritturare per la corte un valente ballerino saraceno, a
quel ch’e’ pare, di Spagna.
[839] Epistole del 17 luglio 1245 e 23 maggio 1246, presso Bréholles,
op. cit., VI, 325, 427. Si veggano le memorie contemporanee, citate
dallo stesso autore. Introd., pag. CLXXXIX.
[840] Le citazioni son date dal Bréholles, op. cit. Introd., pag. CXC,
CXCI. La prima, ch’è cavata dalla _Historia Diplomatica_, V, 486, prova
che quelle donne vestivano alla musulmana.
[841] Si vegga la citazione nel Capitolo precedente a pag. 641 di
questo volume, nota 8.
[842] Diploma del 28 novembre 1239, presso Bréholles, op. cit., V, 535.
[843] Presso Gregorio, _Rerum Arabicar_., pag. 178.
Si vegga intorno a cotesta iscrizione il cap. vij del presente libro,
pag. 589, nota 1.
[844] ’Imâd-ed-dîn, nella _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 603;
Ibn-Khallikân, op. cit., pag. 630 e nella edizione del baron De Slane,
I, 724 e III, 106 della versione inglese; Abulfeda, _Annali_, op. cit.,
pag. 418 e III, 628 della edizione di Reiske; Taki-ed-dîn-el-Fasi, op.
cit., pag. 659; Makrizi, op. cit., 665; Soiuti, op. cit., 671.
Si confrontino coi testi le notizie ch’io, prima di stamparli, avea
date nella versione italiana del _Solwân-el-Motâ’_, Firenze, 1851,
Introduzione, pag. XVIII segg. e nella versione inglese, Londra, 1852,
vol. I, 20 segg.
[845] Imâd-ed-dîn lo chiama Abu-Abd-Allah, e il Soiuti, Abu-Gia’far.
Non giova notare le varianti de’ titoli onorifici, che son molte.
Io non ho argomenti da credere che il disparere su la patria sia nato
dalla diversità di coteste appellazioni secondarie, anzi tengo fuor di
dubbio che l’autore di tutte le opere sia stato un solo. E ciò si vedrà
chiaramente nel seguito del presente capitolo.
[846] Si vegga il Capitolo precedente, pag. 665 di questo volume.
[847] Codice arabico, n. MDXXX, del British Museum, nel catalogo di
M. Riew, pag. 695. II Ms. porta la data del 759 dell’egira (1358),
appartiene alla prima edizione e contiene il catalogo delle opere
dell’autore.
[848] _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 660, 661.
[849] _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 692. Lascio in dubbio la
città, perchè non ho trovato il nome di questo Sefi-ed-dîn nelle
biografie degli uomini notevoli di Aleppo, il _Kheir-el-biscer_ è stato
autografato al Cairo dal Castelli, con la data del primo dell’anno 1280
(18 giugno 1863). Il testo, comunicato dall’autore il 566 ad un primo
_rawi_, comparisce trasmesso da questi il 588. Vi manca affatto la
dedica a Sefi-ed-dîn.
[850] Chiamano gli Arabi così la più oscura stella dell’Orsa Maggiore.
[851] _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 688.
[852] _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 671. Il Soiuti dice
positivamente che Ibn-Zafer compose il contento in quella medresa.
L’autore lo chiama: “Il primo e più eccellente de’ suoi libri.”
[853] Op. cit., pag. 686, segg. Si confronti la versione italiana del
Solwân, pag. 216, 217 e l’inglese, I, 115, segg.
[854] Valga per tutte le autorità Ibn-el-Athîr, anno 549, ediz.
Tornberg, XI, 130, segg.
[855] Si vegga il testo nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 681, segg.
e nella edizione di Tunisi, pag. 1, segg. Si riscontri la versione
italiana, pag. 1, segg.
L’anno della dedica ad Abu-l-Kâsim è notato da Ibn-Khallikân.
[856] Testo di Tunis, pag. 2, linea 7.
[857] Nelle biblioteche d’Europa, per quanto io ne abbia ritratto,
abbiamo cinque codici della prima e circa diciassette della seconda
edizione, ed anco in uno di quei cinque, il principio, supplito d’altra
mano, appartiene alla seconda edizione.
Il Makrizi, _Bibl_., pag. 667, fa menzione d’una copia del Solwân
legata dall’autore stesso al ribât del califo alla Mecca, la quale,
dalla descrizione che se ne fa, apparteneva alla prima edizione. Par
che v’accenni anco Hagi-Khalfa, là dove ei dice che l’autore aggiunse
poi due quaderni al Solwân. Io credo, al contrario, ch’ei ne tolse
nella seconda edizione, la cui prefazione è molto più breve; talchè il
bibliografo ha scambiato il posto delle due edizioni.
[858] Nel testo d’Ibn-Khallikân seguito dal Wüstenfeld, e in Makrizi,
in vece di “nè bello in viso,” si legge “se non che era bello in viso.”
[859] Così l’autore, _Bibl. arabo-sicula_, pag. 688.
[860] Soiuti, pag. 671, lo chiama Gran Comento, senza il titolo
speciale di Sorgente. Così anco Hagi-Khalfa, pag. 701, della _Bibl.
arabo-sicula_.
[861] Questo codice è serbato nella Biblioteca di Parigi, _Ancien
Fonds_, 248. È il secondo volume dell’opera, e corre dalla sura III,
v. 86, alla fine della sura VI. Il comento non è fatto a verso a verso,
ma prende un tratto del testo e indica le varianti; spiega poi le voci
o modi di dire che lo richieggano. Seguono le osservazioni filologiche
e grammaticali; indi la erudizione storica, tolta dalle tradizioni del
Profeta e dalle leggende degli antichi Arabi, e infine i corollarii
legali, ove occorrono.
[862] _Bibl_., pag. 688 e più correttamente secondo il Makrizi, nella
pag. 668, linea 3.
[863] _Bibl_., pag. 684, 666, 671.
[864] _Bibl_., pag. 666, 671.
[865] _Bibl_., pag. 666.
[866] Taki-ed-dîn, _Bibl_., pag. 659, 660 e Makrizi, pag. 667.
[867] Così nel catalogo autentico, _Bibl_., pag. 689, 666. Si confronti
coll’altro _Mosanni_, notato nella prefazione alla seconda edizione del
Solwân, _Bibl_., pag. 684. Ma avvertasi che i primi due vocaboli del
titolo son diversi in alcuni Mss. ed anco nella edizione tunisina del
Solwân, pag. 3, ultima linea.
Il titolo confronta in entrambe al par che il subbietto. Si vegga
la mia versione italiana, _Introduzione_, pag. XXXIV, XXXVI e 3, 4.
Correggendo gli or citati luoghi della Introduzione, io ritengo unica
Opera le due quivi notate ai n^i 3 e 21 del catalogo. La _Ma’ona_,
citata a pag. 684 del testo e 3, 4, della versione, è senza dubbio la
compilazione di dritto malekita del celebre dottore, il cadi ’Jiâdh,
notata nella continuazione di Hagi-Khalfa, edizione Fluegel, tomo VI,
pag. 651, n. 149, e più correttamente nell’abbozzo di catalogo de’
Mss. arabi della Lucchesiana di Girgenti, ch’io detti in litografia
nel 1869, n. XV. Circa l’_Iscraf_, io credo che tra le varie opere
designate con questo titolo da Hagi-Khalfa, Ibn-Zafer volle dir di
quella d’Ibn-Mondsir-en-Nisaburi, edizione Fluegel, I, 318, n. 783.
[868] _Bibl_., pag. 690, 671.
[869] Questa notizia è riferita da Katifi, pag. 660. Il Fasi a pag. 661
dice parergli verosimile che sia accaduto qualche scambio di nome.
[870] _Bibl_., pag 689, dove si vegga una variante ed a pag. 666, dov’è
l’altra che ho preferita.
[871] _Bibl_., pag. 689.
[872] _Bibl_., pag. 689, 671, 705 e soprattutto a pag. 666, dov’è il
testo di Makrizi.
[873] _Bibl._, pag. 690 e 666, dove è da trasporre nella linea 17 i
cinque vocaboli intermedii della linea 15.
[874] _Bibl._, pag. 666.
[875] _Bibl._, pag. 690, 666.
[876] _Bibl._, pag. 690, 666.
[877] _Bibl._, pag. 690, 666.
[878] _Bibl._, pag. 690, e meglio a pag. 666. Quest’opera manca nel
catalogo autentico del Ms. 1530 del British Museum, come si legge nel
catalogo di M. Riew, pag. 695.
[879] _Bibl._, pag. 689, 630, 666, 671, 701; ed a pag. 692 il principio
del testo, secondo il Ms. di Parigi, _Suppl. arab._, 586, del codice
del 724 dell’egira. Si vegga anco la nota del baron De Slane, nella
versione inglese d’Ibn-Khallikân, tomo III, pag. 107, nota 2.
[880] Mi sovviene, tra le altre, una citazione d’Ibn-Abi-Dinâr.
[881] Citata qui innanzi a pag. 718, nota 1.
[882] _Bibl._, pag. 700.
[883] _Bibl._, pag. 630, 666, 671, 700, 706; ed a pag. 690, il
principio del libro secondo i due Mss. di Parigi. _Suppl. Arabe_, n^i
678, 679.
Si vegga anco la citata versione inglese d’Ibn-Khallikân, pel baron De
Slane, tomo III, pag. 107, nota 3.
[884] _Bibl._, pag. 680, 605. Si vegga anche Casiri, _Bibl.
arabo-hisp._, II, pag. 156, n. 1697. La biblioteca di Gotha ha un
esemplare del _Dorer-el-Karer_, come ha letto il dott. Moeller, nel
catalogo, pag. 14, n. 72, traducendo il titolo: _Margaritæ Frigidæ_.
[885] _Bibl._, pag. 690, 666, 671.
[886] Ibn-Khallikân e Makrizi, ne’ luoghi citati.
[887] _Bibl._, pag. 667.
[888] _Bibl._, pag. 666. Hagi-Khalfa, edizione Fluegel, I, 307, n. 760,
attribuisce ad altri un libro che porta il medesimo titolo.
[889] Libro IV, cap. xiv, a pag. 495 del secondo volume.
[890] _Bibl._, pag. 689.
[891] Ibid. ed a pag. 666. Il Soiuti, pag. 671, scrive il titolo
_Et-tankib_, che vale lo stesso e dà col titolo di _El-Mitwal_ (Le
redini) un altro comento che tornerebbe al precedente. Si legge anche
_Et-tankib_ in Hagi-Khalfa, pag. 706. Ibn-Khallikân fa menzione di un
“Comento delle Tornate” e di glose marginali della _Dorret-el-Ghawwâs_,
i quali due libri, al suo dire, compongono due Comenti, grande e
piccolo. Accenna anco a due comenti il Makrizi. Qual che sia la forma,
il comento d’Ibn-Zafer fu adoperato dallo Scerisci, come si legge nella
prefazione di M. De Sacy, Hariri, seconda edizione, Parigi, 1847, tomo
I, pag. 5.
[892] _Bibl._, pag. 689, 630, 666, 671, 702. Il testo della _Dorret_ è
stato pubblicato dal sig. Thorbecke, Lipsia, 1871.
[893] _Bibl._, pag. 689, 666, 671.
[894] _Bibl._, pag. 666, 671, 699.
[895] Freytag, _Proverbia Arabum_, vol. III, parte 2ª, pag. 188, n. 26,
dove si corregga il nome dell’autore.
[896] Nel cap. IV, § ix, del Solwân. È la novella del Mugnaio e
l’Asino, Notti 387, 388, nella edizione di Bulak, I, 569, 570, e nella
versione inglese del Lane, 1ª edizione, II, 582.
[897] Si veggano le due prefazioni nella _Bibl. arabo-sicula_, a pag.
681, segg., e 686, segg. e nelle versioni italiana ed inglese, II ec.
[898] _Kitâb-el-Fihrist_, testo, Lipsia, 1871, pag. 304.
[899] Hagi-Khalfa, nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 703, e nella
edizione di Fluegel, III, 611, n. 7227, cita la parafrasi in versi che
ne compilò nel XIV secolo Tag-ed-dîn-Abu-Abd-Allah-es-Singiâri; e dice
esserne state fatte varie traduzioni, delle quali poi cita soltanto una
molto libera in persiano, intitolata “Giardini dei re” ec. Nella copia
stampata dal Fluegel si aggiugne una traduzione turca di Khalil-Zadeh,
scritta nella prima metà del XVIII secolo.
La bibliografia de’ Mss. che abbiamo in Europa, si vegga nella versione
italiana, Introduzione, pag. LXV, segg. e nell’inglese, I, 93, segg.
Si aggiungano: il Ms. parigino, _Ancien Fonds_, 374, che parmi del XVI
o XVII secolo ed appartiene alla prima edizione; il Ms. di Monaco, n.
608, del catalogo del sig. Aumer, pag. 266; e i due Mss. del British
Museum, n^i 1444 e 1330, del catalogo di M. Riew, che son l’uno della
seconda e l’altro della prima edizione.
[900] Si vegga la raccolta di Mohammed-ibn-Ali, Ms. MC del British
Museum, nel catalogo di M. Riew, pag. 302.
[901] Tra gli altri, l’autore del _Giâmi’-el-Fonûn_, compilazione
enciclopedica, Ms. di Parigi, _Ancien Fonds_, pag. 377.
[902] _Bibl._, pag. 605.
[903] Ossia “figliuolo di quel da Begia.” Si ricordano cinque luoghi di
tal nome, due de’ quali in Affrica ed un altro in Portogallo (Beja).
[904] Dsehebi, Ms. di Parigi, _Ancien Fonds_, 753, fog. 100 verso.
[905] Soiuti, nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 623.
[906] Si confronti Dsehebi, op. cit., fog. 171 recto, con Hagi-Khalfa,
nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 702 e nella edizione di Fluegel, III,
498, n. 6633, dove il nome è intervertito: Abu-Iehia-Zakaria.
[907] Biografia di tradizionisti, per
Iehia-ibn-Ahmed-en-Nefzi-el-Himiari, detto Es-serrâg, Ms. della
Biblioteca di Parigi, _Ancien Fonds_, 382, fog. 77 verso, nella vita
di Omar-el-’Abderi, che nacque il 694. Stanno due tradizionisti tra
lui e il siciliano, e però par che questi sia vivuto al principio del
decimoterzo secolo.
[908] Makrizi, nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 663.
[909] Makrizi, op. cit., pag. 668.
[910] Makrizi, loc. cit.
[911] Makrizi, op. cit., pag. 665. Nel Dizionario di Hagi-Khalfa,
edizione Fluegel, II, 440, n. 3655, e conseguentemente nella
_Bibl. arabo-sicula_, pag. 701, la parte del nome che si legge
Ibn-Mohammed-es-Sikilli va corretta, Ibn-es-Sikilli, secondo il Ms. di
Parigi, _Ancien Fonds_, 875.
[912] Dsehebi, _Anbâ-en-nohat_, nell’op. cit., pag 645.
[913] Non voglio tradurre “in quinta rima,” perchè il confronto di
cotesti nuovi metri degli Arabi occidentali con que’ delle lingue
neo-latine e soprattutto della nostra, va fatto con lungo studio e
sopra moltissimi esempii dell’una e dell’altra parte. Avverto intanto
che la voce _wazn_, “peso, modo,” trattandosi di versificazione,
è usata col significato di “misura;” il quale credo relativamente
moderno, e forse nato in Spagna insieme con cotesti novelli metri.
Le cinque “misure” invero non si trovano, per diritto nè per rovescio,
in questo componimento, dove le rime son tre; i versi di otto sillabe
ciascuno, a modo nostro di scandere, e a modo dei grammatici arabi, di
due piedi o di sei, se vogliasi considerare come verso l’intera stanza;
e le stanze, infine, son sei. Potrebbero forse contarsi in ciascun
verso cinque di quelle misure elementari che gli Arabi chiamarono
“corde, piuoli e tramezzi” (si vegga Sacy, _Grammaire arabe_, 2ª ediz.,
II, pag. 619) come parti del verso, il quale appellano _beit_, ossia
“tenda, casa” e in generale _stanza_. Ma coteste misure elementari
non so che siano state mai dette _wazn_. Ho ragione piuttosto di
credere che nelle nuove poesie il metro più comune sia stato di
stanze da cinque versi e che perciò Imâd-ed-dîn, facendo un fascio
di tutti i metri occidentali, li abbia battezzati “Quinte rime.” Si
badi bene ch’ei non dice che questo componimento abbia cinque _wazn_,
ma “che sia di que’ che recitansi con cinque _wazn_.” Mi conferma,
nel mio supposto, il codice della Riccardiana di Firenze segnato
col n. 194 e intitolato _Megmû’-Kâmil_, ossia “Raccolta compiuta”
di Abu-l-Abbâs-el-Bekri. Tra le poesie della nuova maniera che il
raccoglitore trascrive, scompartite per generi e specie, occorrono
non pochi componimenti in cui le stanze, distinte sempre col titolo
di _beit_ ad inchiostro rosso e caratteri grandi, si compongono di
cinque versi ciascuna. Lo stesso codice Riccardiano ha varii esempii
di _tekhmis_ o diremmo noi “quintuplicazione” di poesie altrui, che
facevasi aggiugnendo quattro altri versi a ciascuno del testo; ma
questo uso notissimo non ha che fare nel caso nostro.
Debbo avvertire infine che lo squarcio di poesia trascritto nella
_Kharida_, mi sembra mutilato e mutatovi l’ordine de’ versi. In fatti
il primo verso della terza stanza esce di rima, e la metafora obbligata
della luna piena che spunti sopra un sottile tralcio di _ben_, vuol
che segua immediatamente a quello il primo verso della quarta stanza.
Similmente il senso richiederebbe che l’ultimo verso della seconda
stanza seguisse immediatamente all’ultimo della prima. Si capisce bene
che i copisti orientali del XII e XIII secolo si doveano imbrogliare
spesso, avendo dinanzi agli occhi quell’insolito intreccio di rime e
di versi, scritti con altre divisioni che non son quelle degli antichi
emistichii.
Aggiungo che, anche in Ponente, i letterati teneano in non cale le
_mowascehe_. Abd-el-Wahid da Marocco (testo del Dozy, pag. 63) che
scrivea nel 1224 dell’èra cristiana, si vergogna di far parola delle
Savii” divennero “Nove Giudici” pel doppio significato della voce
arabica _hakim_ e il facilissimo scambio de’ vocaboli sette e nove
nella scrittura neskhi.
[795] Salimbeni, _Chronica_, Parma, 1857, p. 168, 169.
[796] Si vegga Perles, _Rabbi Salomo_, etc. Breslau, 1863, citato dallo
Steinschneider, _Hebräische Bibliogr._, n. 39, pag. 64.
[797] Si vegga il capitolo precedente, pag. 641 di questo volume. Il
Bréholles, op. cit. Introduction, pag. CXCIII, segg. dà i particolari:
gli animali messi in mostra a Ravenna il 1234, in Alsazia il 1235;
l’elefante donato alla città di Cremona etc.
[798] Op. cit. Introduzione, pag. DXXIV, e tomo IV, 384 seg., dove si
citano i Mss. di Bruges e di Pommersfeld. Si aggiunga quello della
Laurenziana, Plut. XIII, sin., cod. 9, proveniente dalla Bibl. di
Santa Croce (catalogo del Baudini, IV, pag. 109). Questo bel codice
di pergamena, in foglio, è intitolato: “Aristotelis de Animalibus,
interprete Michaele Scoto” e si compone di tre opere diverse:
1. “De animalibus” tradotto dall’arabico in latino per maestro Michele
(Scoto) in _Tellecto_, del quale fu finita la copia il 24 sett. 1266
(fol. 56, recto).
2. Lo stesso, col nome intero di Michele Scoto, principia: “Frederice
domine mundi” etc. come nel catalogo del Bandini e in fine vi si legge
“expletus est per magistr. Henrigum colloniensem etc. apud _Messinam
civitatem Apulee_, ubi dominus Imperator eidem magistro hunc librum
premissum _commendavit_ anno 1232,” finita la copia il 14 novembre 1266
(fol. 38, recto).
3. “De partibus animalium” tradotta anche da Michele Scoto. Secondo il
catalogo, la traduzione sarebbe stata fatta sul testo greco; ma ciò non
si legge nel codice, il quale è scritto della stessa mano, con maggior
fretta che nelle due prime parti. È da accettare per cagione della
data, la correzione del Bréholles, che sostituisce Melfi a Messina.
Michele Scoto fu celebre in Italia per tutto il secolo XIII, come si
scorge dal Salimbeni, _Chronica_, pag. 169.
[799] Si vegga Steinschneider, _Hebräische Bibliographie_, n. 39,
(maggio 1864) pag. 65, nota 7.
[800] Bréholles, op. cit., pag. DXXV.
[801] Op. cit., pag. DXXXVI.
[802] Op. cit., pag. DXXXVII.
[803] Wolf, tom. IV, p. 861, citato dallo Steinschneider, nell’opuscolo
di cui si è detto poc’anzi.
[804] Codice della Biblioteca di Modena, citato dal Tiraboschi, tomo
IV, parte II, pag. 342. La versione italiana manoscritta (XV secolo)
che possiede la Biblioteca nazionale di Firenze, non ha nome d’autore,
nè di traduttore.
[805] Su la parte ch’ebbero i Giudei in questo celebre insegnamento,
si vegga il Carmoly, _Histoire des Médecins juifs_, Bruxelles, 1844,
in 8º, tomo I, § XXIII, e il De Renzi, _Collectio Salernitana_, Napoli,
1852, tomo I, pag. 106, 119, et passim ed anco ne’ tomi II, III, IV.
[806] De Renzi, op. cit., III, 328.
[807] Ibn-Giobair, da noi citato nel cap. v, di questo libro, pag. 534
del volume.
[808] Mi riferisco pei particolari e per le citazioni, al Bréholles,
op. cit., Introduction, pag. DXXXVIII, DXXXIX.
[809] Articolo di M^r Cherbonneau, nel Journal asiatique di maggio
1856, pag. 489, nel quale si dà ragguaglio d’una raccolta di biografie
musulmane del XIII secolo, per Ahmed-Gabrini. L’Autore dice che
Taki-ed-dîn fu benaccolto da _El-ibratur_, re cristiano dell’isola; la
qual voce va corretta di certo _imbiratûr_, e forse designa Manfredi,
come pensa l’erudito Mr De Freméry, l. c.
[810] Mss. Latins, 6912. Ho cavate le notizie su l’origine di questa
versione, dall’opera stessa, vol. I, fog. 1, 2, e vol. V, fog. 189
verso, e n’ho dato ragguaglio nella mia _Guerra del Vespro Siciliano_,
edizione del 1866, I, 81, 82, in nota. Il codice fu copiato in Napoli
(vol. V, ult. pag.) da Angelo de Marchla.
[811] La tavola delle malattie e de’ membri del corpo umano, tomo
V, fog. 86, segg. è scritta a due colonne, col titolo di _Sinonimum_
nell’una, e di _Expositum_ nell’altra; nella prima delle quali colonne
si legge il vocabolo tecnico arabico o greco, nella seconda il latino.
La _Tabula medicinarum_ corre dal fog. 90 verso al 134 del medesimo
volume, anco a due colonne: per esempio “Alebros = Agnus castus;”
Alhon = Rosa fetens etc,” ma alcuni quaderni mal rilegati guastan qui
l’ordine alfabetico. Poi v’ha, dal fog. 190 recto, una descrizione de’
semplici, condotta anco nell’ordine dell’alfabeto arabico, della quale
parmi bene dare il seguente articolo, che piacerà forse ai botanici.
RUBEA TINCTORIS. Arabice appellatur _fuatelsabg_ (Fuwwat-es-sabgh,
a nostro modo di trascrivere) et est quedam herba, cujus radix est
rubea, qua utuntur tinctores ad tingendum rubeum; et ideo dicitur rubea
tinctoris: et ista herba expanditur et suspenditur cum arboribus; et
virgulta ejus sunt quadrata, alba et subtilia, nodulosa et in quolibet
nodulo sunt octofolia aut sex, aut quatuor, aspera, parva, similia
foliis ysopi montani. Capud (_sic_) ipsorum est acutum et in ipsis
nodulis est flos parvus, citrinus, declinans ad albedinem et in loco
floris egreditur granus similis coriandro; et radice ejus est utendum
(vol. V, fog. 207).
Hadoshaon, hadoydodayon, Rubea tinctoris (fog. 100, recto).
[812] Cap. iij di questo libro, pag. 441, nota 1.
[813] Cap. citato, pag. 453.
[814] _Arrighetto, ovvero Trattato contro all’avversità della Fortuna_,
Firenze, 1730. Quivi (lib. IV, pag. 38) è posto in bocca della
filosofia questo distico:
_Et mihi sicaneos, ubi nostra palatia, muros,_
_Sic stat propositum mentis, adire libet._
Ma gli antichi traduttori italiani pensaron bene di scrivere Parigi in
luogo di Sicilia; come si vede nella edizione citata, pag. 76 e nella
variante di un codice della Riccardiana, che ha data il Milanesi nella
edizione del 1864 (_Il Boezio e l’Arrighetto_), pag. 341.
Il Mebus, nella vita di Ambrogio Traversali, _Epistolæ_ etc., Firenze,
1759, in foglio, sostiene con ottime ragioni che il carme di Arrigo da
Settimello fu scritto nel 1193.
[815] Ibn-el-Giuzi, da noi citato nel capitolo precedente, pag. 615.
[816] Si vegga la cronica del Salimbeni, il quale lo chiama (pag.
3) “pestifer et maledictus, schismaticus, haereticus et epicureus,
corrumpens universam terram”; e altrove (p. 168) gli attribuisce
come bestemmia lo scherzo: che Dio non avrebbe lodata tanto la Terra
Promessa, s’egli avesse vista Terra Di Lavoro, Calabria, Sicilia e
Puglia. Il tedesco frate Alberico (_Chronicon_, Hannover 1868), gli
appone il detto che “Tres _Baratores_ seu _guittatores_ fuerunt in
mundo”, cioè Moisè, Cristo e Maometto. Racconta poi che Federico,
vedendo un Sacerdote portare l’eucaristia, sclamò “Heu me, quamdiu
durabit _truffa_ ista!” La sentenza dei tre “trufatores” è citata anco
nella vita di Gregorio IX, presso Muratori, _Rerum Italic._, tomo III,
parte I, 585. E questa frase ha dato origine al supposto che Federigo
abbia scritto il famoso e incertissimo libro “De tribus impostoribus.”
[817] Ms. della Bodlejana, Hunt, 534, n. cccclxvj del Catalogo arabico,
dove è sbagliato il nome del principe, autore de’ quesiti. Io ho dato
un esteso ragguaglio di questo opuscolo, nel _Journal asiatique_ del
1853, février-mars, pag. 240, segg. ed ho ristampati alcuni brani
del testo nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 573, segg. Mi riferisco al
lavoro del _Journ. asiat._ per le prove e pe’ riscontri delle date e
de’ nomi.
Secondo gli autori citati, Ibn-Sab’în nacque a Murcia il 614 (1217-18)
e morì alla Mecca il 660 (1271). Il califo almohade Rascîd, regnò dal
1232 al 1242.
[818] La biografia di questo filosofo musulmano si ricava da
Ibn-Khaldûn, Makkari, ed Abu-l-Mehâsin, da me citati nel _Journ.
Asiat._ Ibn-el-Khatib, citato dal Makkari, fa menzione di cotesti
Quesiti Siciliani, che i dotti _Rûm_ aveano mandati per confondere i
Musulmani e che furono sì felicemente risoluti dal giovane Ibn-Sab’în.
Dopo la pubblicazione dell’articolo, l’erudito M. Charbonneau,
professore ad Algeri, mandommi un’altra biografia d’Ibn-Sab’în,
estratta dal libro di Gabrini (si vegga qui innanzi a pag. 698, nota
2) suo contemporaneo, la quale non contiene nulla di nuovo per noi,
essendo stata copiata negli scritti degli autori più moderni che mi
eran prima venuti alle mani.
[819] Makkari, edizione di Leyda, I, 594; e nella _Bibl. arabo-sicula_,
testo, pag. 574 in nota. Si veggano gli Schiarimenti che io dètti a
questo proposito nel citato articolo del _Journal asiatique_.
[820] Il nostro professore Fausto Lasinio, notò questo passo in
un codice ebraico alla Laurenziana e ne mandò copia al dottore
Steinschneider; il quale l’ha pubblicato, con eruditi comenti, nella
_Hebräische Bibliographie_, n. 39 (maggio 1864), pag. 62, segg.; ed
ha aggiunto nel n. 42 (novembre 1864), pag. 136, un passo di altro ms.
ebraico, nel quale si fa parola di un abboccamento ch’ebbe Federigo con
Samuele-ibn-Tibbon, traduttore ebraico della “Guida.”
[821] Steinschneider, op. cit., n. 39, pag. 65.
[822] _Anonymi_, etc. (Niccolò de Jamsilla) presso Caruso, _Bibl.
Sicula_, pag. 678.
[823] Mi basti citare per l’unico testo delle due epistole, l’_Historia
Diplomatica_ etc. del Bréholles, IV, 383, segg. dove si leggono le
varianti delle edizioni fattene un tempo nelle Epistole di Pietro
della Vigna e nella collezione del Martène. La data della epistola di
Federigo torna a un dipresso al 1230. L’argomento degli opuscoli è
spiegato nel testo, con le parole _in sermonialibus et mathematicis
disciplinis_, delle quali ho resa la seconda _cosmografia_, poichè
trattasi, secondo l’opinione del Jourdain, de’ libri della Fisica e
delle Meteore d’Aristotile e fors’anco dell’Almagesto di Tolomeo. Si
confronti il Bréholles, op. cit., IV, 384, nota e Introduzione, pagina
DXXVI.
[824] Bréholles, l. c.
[825] Il codice del convento di Santa Croce di Firenze, passato alla
Laurenziana e segnato Plut., XXVII, dext. n. 9, contiene, tra gli
altri opuscoli, uno intitolato (fog. 476 o piuttosto 353) “Incipit
liber magnorum ethicorum aristotelis, translatus de greco in latinum
a magistro bartholomeo de Messini, in curia illustrissimi maynfridi,
serenissimi regis sicilie, scientie amatoris, de mandato suo.” Si vegga
anco il catalogo del Bandini, IV, 689, nel quale è notato che la stessa
versione, mutila però e senza nome, si trova nell’altro codice di
Santa Croce Plut. XIII, sin., cod. VI, n. 6, notato in catalogo a pag.
106, del medesimo volume. Il qual codice è composto tutto di opuscoli
d’Aristotile; ma non me n’è occorso alcuno che si riferisca al tempo e
al paese di cui trattiamo.
Il Tiraboschi, _Storia della Letteratura Italiana_, tomo IV, parte
II, lib. III, cap. 1, § 1, p. 341, oltre il primo de’ suddetti mss. di
Santa Croce, ne cita uno della Biblioteca di san Salvatore a Bologna.
[826] Renan, _Averroès_, partie II, chap. II, § 3.
[827] Carmoly, _Histoire des médecins Juifs_ etc., Bruxelles 1841, §
lx; Steinschneider, _Hebräische Bibliographie_, n. 39, (1864) pag.
63, 64; Renan, _Averroès_, partie II, chap. 4, § iv. Si confronti
Bréholles, op. cit., Introduction, pag. DXXVI.
[828] Wolf, De Rossi, e Krafft, citati dal Bréholles, nella stessa
Introduzione, pag. DXXVII.
[829] Si confronti il Bréholles, op. cit. Introduz., pag. DXXXIX.
Sul testo greco delle Costituzioni di Federigo, si vegga la medesima
opera, IV, 1, 2.
[830] Bréholles, op. cit. Introd., p. DXLI, DXLII.
[831] Il Salimbeni, _Chronicon_, pag. 166, dice in generale ch’ei parlò
molte e varie lingue; Ricordano Malespini, cap. 170 scrive: “E seppe la
nostra lingua latina e il nostro volgare e tedesco, francesco, e greco
e saracinesco; e di tutte vertudi copioso, largo e cortese, ec.”
[832] Bréholles, op. cit. Introd., pag. DXL, DXLI.
[833] Salimbeni, op. cit., pag. 166.
[834] Salimbeni, loc. cit., fa vedere chiaramente quanta ammirazione ei
sentì conversando con quest’empio. Si confronti ciò ch’ei dice a pag.
170.
[835] Su i monumenti, si vegga il Bréholles, op. cit. Introd., pag.
CXLVI, segg.
[836] Non occorre citazione pe’ fatti di Giovanni il Moro. Le
concessioni papali a suo favore, si veggano nel Registro d’Innocenzo
IV, lib. XII, n. 284, 327, citato da M. De Cherrier, _Histoire de la
lutte des papes_, etc., vol. III, 19, della seconda edizione.
[837] Squarcio d’una epistola del 1229, dato da Matteo Paris, presso
Bréholles, op. cit., III, 140, in nota.
[838] Matteo Paris, citato da Bréholles, op. cit. Introduct., pag.
CXCII, CXCIII. A pag. DXLV, si cita un diploma, nel quale l’imperatore
ordina di scritturare per la corte un valente ballerino saraceno, a
quel ch’e’ pare, di Spagna.
[839] Epistole del 17 luglio 1245 e 23 maggio 1246, presso Bréholles,
op. cit., VI, 325, 427. Si veggano le memorie contemporanee, citate
dallo stesso autore. Introd., pag. CLXXXIX.
[840] Le citazioni son date dal Bréholles, op. cit. Introd., pag. CXC,
CXCI. La prima, ch’è cavata dalla _Historia Diplomatica_, V, 486, prova
che quelle donne vestivano alla musulmana.
[841] Si vegga la citazione nel Capitolo precedente a pag. 641 di
questo volume, nota 8.
[842] Diploma del 28 novembre 1239, presso Bréholles, op. cit., V, 535.
[843] Presso Gregorio, _Rerum Arabicar_., pag. 178.
Si vegga intorno a cotesta iscrizione il cap. vij del presente libro,
pag. 589, nota 1.
[844] ’Imâd-ed-dîn, nella _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 603;
Ibn-Khallikân, op. cit., pag. 630 e nella edizione del baron De Slane,
I, 724 e III, 106 della versione inglese; Abulfeda, _Annali_, op. cit.,
pag. 418 e III, 628 della edizione di Reiske; Taki-ed-dîn-el-Fasi, op.
cit., pag. 659; Makrizi, op. cit., 665; Soiuti, op. cit., 671.
Si confrontino coi testi le notizie ch’io, prima di stamparli, avea
date nella versione italiana del _Solwân-el-Motâ’_, Firenze, 1851,
Introduzione, pag. XVIII segg. e nella versione inglese, Londra, 1852,
vol. I, 20 segg.
[845] Imâd-ed-dîn lo chiama Abu-Abd-Allah, e il Soiuti, Abu-Gia’far.
Non giova notare le varianti de’ titoli onorifici, che son molte.
Io non ho argomenti da credere che il disparere su la patria sia nato
dalla diversità di coteste appellazioni secondarie, anzi tengo fuor di
dubbio che l’autore di tutte le opere sia stato un solo. E ciò si vedrà
chiaramente nel seguito del presente capitolo.
[846] Si vegga il Capitolo precedente, pag. 665 di questo volume.
[847] Codice arabico, n. MDXXX, del British Museum, nel catalogo di
M. Riew, pag. 695. II Ms. porta la data del 759 dell’egira (1358),
appartiene alla prima edizione e contiene il catalogo delle opere
dell’autore.
[848] _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 660, 661.
[849] _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 692. Lascio in dubbio la
città, perchè non ho trovato il nome di questo Sefi-ed-dîn nelle
biografie degli uomini notevoli di Aleppo, il _Kheir-el-biscer_ è stato
autografato al Cairo dal Castelli, con la data del primo dell’anno 1280
(18 giugno 1863). Il testo, comunicato dall’autore il 566 ad un primo
_rawi_, comparisce trasmesso da questi il 588. Vi manca affatto la
dedica a Sefi-ed-dîn.
[850] Chiamano gli Arabi così la più oscura stella dell’Orsa Maggiore.
[851] _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 688.
[852] _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 671. Il Soiuti dice
positivamente che Ibn-Zafer compose il contento in quella medresa.
L’autore lo chiama: “Il primo e più eccellente de’ suoi libri.”
[853] Op. cit., pag. 686, segg. Si confronti la versione italiana del
Solwân, pag. 216, 217 e l’inglese, I, 115, segg.
[854] Valga per tutte le autorità Ibn-el-Athîr, anno 549, ediz.
Tornberg, XI, 130, segg.
[855] Si vegga il testo nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 681, segg.
e nella edizione di Tunisi, pag. 1, segg. Si riscontri la versione
italiana, pag. 1, segg.
L’anno della dedica ad Abu-l-Kâsim è notato da Ibn-Khallikân.
[856] Testo di Tunis, pag. 2, linea 7.
[857] Nelle biblioteche d’Europa, per quanto io ne abbia ritratto,
abbiamo cinque codici della prima e circa diciassette della seconda
edizione, ed anco in uno di quei cinque, il principio, supplito d’altra
mano, appartiene alla seconda edizione.
Il Makrizi, _Bibl_., pag. 667, fa menzione d’una copia del Solwân
legata dall’autore stesso al ribât del califo alla Mecca, la quale,
dalla descrizione che se ne fa, apparteneva alla prima edizione. Par
che v’accenni anco Hagi-Khalfa, là dove ei dice che l’autore aggiunse
poi due quaderni al Solwân. Io credo, al contrario, ch’ei ne tolse
nella seconda edizione, la cui prefazione è molto più breve; talchè il
bibliografo ha scambiato il posto delle due edizioni.
[858] Nel testo d’Ibn-Khallikân seguito dal Wüstenfeld, e in Makrizi,
in vece di “nè bello in viso,” si legge “se non che era bello in viso.”
[859] Così l’autore, _Bibl. arabo-sicula_, pag. 688.
[860] Soiuti, pag. 671, lo chiama Gran Comento, senza il titolo
speciale di Sorgente. Così anco Hagi-Khalfa, pag. 701, della _Bibl.
arabo-sicula_.
[861] Questo codice è serbato nella Biblioteca di Parigi, _Ancien
Fonds_, 248. È il secondo volume dell’opera, e corre dalla sura III,
v. 86, alla fine della sura VI. Il comento non è fatto a verso a verso,
ma prende un tratto del testo e indica le varianti; spiega poi le voci
o modi di dire che lo richieggano. Seguono le osservazioni filologiche
e grammaticali; indi la erudizione storica, tolta dalle tradizioni del
Profeta e dalle leggende degli antichi Arabi, e infine i corollarii
legali, ove occorrono.
[862] _Bibl_., pag. 688 e più correttamente secondo il Makrizi, nella
pag. 668, linea 3.
[863] _Bibl_., pag. 684, 666, 671.
[864] _Bibl_., pag. 666, 671.
[865] _Bibl_., pag. 666.
[866] Taki-ed-dîn, _Bibl_., pag. 659, 660 e Makrizi, pag. 667.
[867] Così nel catalogo autentico, _Bibl_., pag. 689, 666. Si confronti
coll’altro _Mosanni_, notato nella prefazione alla seconda edizione del
Solwân, _Bibl_., pag. 684. Ma avvertasi che i primi due vocaboli del
titolo son diversi in alcuni Mss. ed anco nella edizione tunisina del
Solwân, pag. 3, ultima linea.
Il titolo confronta in entrambe al par che il subbietto. Si vegga
la mia versione italiana, _Introduzione_, pag. XXXIV, XXXVI e 3, 4.
Correggendo gli or citati luoghi della Introduzione, io ritengo unica
Opera le due quivi notate ai n^i 3 e 21 del catalogo. La _Ma’ona_,
citata a pag. 684 del testo e 3, 4, della versione, è senza dubbio la
compilazione di dritto malekita del celebre dottore, il cadi ’Jiâdh,
notata nella continuazione di Hagi-Khalfa, edizione Fluegel, tomo VI,
pag. 651, n. 149, e più correttamente nell’abbozzo di catalogo de’
Mss. arabi della Lucchesiana di Girgenti, ch’io detti in litografia
nel 1869, n. XV. Circa l’_Iscraf_, io credo che tra le varie opere
designate con questo titolo da Hagi-Khalfa, Ibn-Zafer volle dir di
quella d’Ibn-Mondsir-en-Nisaburi, edizione Fluegel, I, 318, n. 783.
[868] _Bibl_., pag. 690, 671.
[869] Questa notizia è riferita da Katifi, pag. 660. Il Fasi a pag. 661
dice parergli verosimile che sia accaduto qualche scambio di nome.
[870] _Bibl_., pag 689, dove si vegga una variante ed a pag. 666, dov’è
l’altra che ho preferita.
[871] _Bibl_., pag. 689.
[872] _Bibl_., pag. 689, 671, 705 e soprattutto a pag. 666, dov’è il
testo di Makrizi.
[873] _Bibl._, pag. 690 e 666, dove è da trasporre nella linea 17 i
cinque vocaboli intermedii della linea 15.
[874] _Bibl._, pag. 666.
[875] _Bibl._, pag. 690, 666.
[876] _Bibl._, pag. 690, 666.
[877] _Bibl._, pag. 690, 666.
[878] _Bibl._, pag. 690, e meglio a pag. 666. Quest’opera manca nel
catalogo autentico del Ms. 1530 del British Museum, come si legge nel
catalogo di M. Riew, pag. 695.
[879] _Bibl._, pag. 689, 630, 666, 671, 701; ed a pag. 692 il principio
del testo, secondo il Ms. di Parigi, _Suppl. arab._, 586, del codice
del 724 dell’egira. Si vegga anco la nota del baron De Slane, nella
versione inglese d’Ibn-Khallikân, tomo III, pag. 107, nota 2.
[880] Mi sovviene, tra le altre, una citazione d’Ibn-Abi-Dinâr.
[881] Citata qui innanzi a pag. 718, nota 1.
[882] _Bibl._, pag. 700.
[883] _Bibl._, pag. 630, 666, 671, 700, 706; ed a pag. 690, il
principio del libro secondo i due Mss. di Parigi. _Suppl. Arabe_, n^i
678, 679.
Si vegga anco la citata versione inglese d’Ibn-Khallikân, pel baron De
Slane, tomo III, pag. 107, nota 3.
[884] _Bibl._, pag. 680, 605. Si vegga anche Casiri, _Bibl.
arabo-hisp._, II, pag. 156, n. 1697. La biblioteca di Gotha ha un
esemplare del _Dorer-el-Karer_, come ha letto il dott. Moeller, nel
catalogo, pag. 14, n. 72, traducendo il titolo: _Margaritæ Frigidæ_.
[885] _Bibl._, pag. 690, 666, 671.
[886] Ibn-Khallikân e Makrizi, ne’ luoghi citati.
[887] _Bibl._, pag. 667.
[888] _Bibl._, pag. 666. Hagi-Khalfa, edizione Fluegel, I, 307, n. 760,
attribuisce ad altri un libro che porta il medesimo titolo.
[889] Libro IV, cap. xiv, a pag. 495 del secondo volume.
[890] _Bibl._, pag. 689.
[891] Ibid. ed a pag. 666. Il Soiuti, pag. 671, scrive il titolo
_Et-tankib_, che vale lo stesso e dà col titolo di _El-Mitwal_ (Le
redini) un altro comento che tornerebbe al precedente. Si legge anche
_Et-tankib_ in Hagi-Khalfa, pag. 706. Ibn-Khallikân fa menzione di un
“Comento delle Tornate” e di glose marginali della _Dorret-el-Ghawwâs_,
i quali due libri, al suo dire, compongono due Comenti, grande e
piccolo. Accenna anco a due comenti il Makrizi. Qual che sia la forma,
il comento d’Ibn-Zafer fu adoperato dallo Scerisci, come si legge nella
prefazione di M. De Sacy, Hariri, seconda edizione, Parigi, 1847, tomo
I, pag. 5.
[892] _Bibl._, pag. 689, 630, 666, 671, 702. Il testo della _Dorret_ è
stato pubblicato dal sig. Thorbecke, Lipsia, 1871.
[893] _Bibl._, pag. 689, 666, 671.
[894] _Bibl._, pag. 666, 671, 699.
[895] Freytag, _Proverbia Arabum_, vol. III, parte 2ª, pag. 188, n. 26,
dove si corregga il nome dell’autore.
[896] Nel cap. IV, § ix, del Solwân. È la novella del Mugnaio e
l’Asino, Notti 387, 388, nella edizione di Bulak, I, 569, 570, e nella
versione inglese del Lane, 1ª edizione, II, 582.
[897] Si veggano le due prefazioni nella _Bibl. arabo-sicula_, a pag.
681, segg., e 686, segg. e nelle versioni italiana ed inglese, II ec.
[898] _Kitâb-el-Fihrist_, testo, Lipsia, 1871, pag. 304.
[899] Hagi-Khalfa, nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 703, e nella
edizione di Fluegel, III, 611, n. 7227, cita la parafrasi in versi che
ne compilò nel XIV secolo Tag-ed-dîn-Abu-Abd-Allah-es-Singiâri; e dice
esserne state fatte varie traduzioni, delle quali poi cita soltanto una
molto libera in persiano, intitolata “Giardini dei re” ec. Nella copia
stampata dal Fluegel si aggiugne una traduzione turca di Khalil-Zadeh,
scritta nella prima metà del XVIII secolo.
La bibliografia de’ Mss. che abbiamo in Europa, si vegga nella versione
italiana, Introduzione, pag. LXV, segg. e nell’inglese, I, 93, segg.
Si aggiungano: il Ms. parigino, _Ancien Fonds_, 374, che parmi del XVI
o XVII secolo ed appartiene alla prima edizione; il Ms. di Monaco, n.
608, del catalogo del sig. Aumer, pag. 266; e i due Mss. del British
Museum, n^i 1444 e 1330, del catalogo di M. Riew, che son l’uno della
seconda e l’altro della prima edizione.
[900] Si vegga la raccolta di Mohammed-ibn-Ali, Ms. MC del British
Museum, nel catalogo di M. Riew, pag. 302.
[901] Tra gli altri, l’autore del _Giâmi’-el-Fonûn_, compilazione
enciclopedica, Ms. di Parigi, _Ancien Fonds_, pag. 377.
[902] _Bibl._, pag. 605.
[903] Ossia “figliuolo di quel da Begia.” Si ricordano cinque luoghi di
tal nome, due de’ quali in Affrica ed un altro in Portogallo (Beja).
[904] Dsehebi, Ms. di Parigi, _Ancien Fonds_, 753, fog. 100 verso.
[905] Soiuti, nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 623.
[906] Si confronti Dsehebi, op. cit., fog. 171 recto, con Hagi-Khalfa,
nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 702 e nella edizione di Fluegel, III,
498, n. 6633, dove il nome è intervertito: Abu-Iehia-Zakaria.
[907] Biografia di tradizionisti, per
Iehia-ibn-Ahmed-en-Nefzi-el-Himiari, detto Es-serrâg, Ms. della
Biblioteca di Parigi, _Ancien Fonds_, 382, fog. 77 verso, nella vita
di Omar-el-’Abderi, che nacque il 694. Stanno due tradizionisti tra
lui e il siciliano, e però par che questi sia vivuto al principio del
decimoterzo secolo.
[908] Makrizi, nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 663.
[909] Makrizi, op. cit., pag. 668.
[910] Makrizi, loc. cit.
[911] Makrizi, op. cit., pag. 665. Nel Dizionario di Hagi-Khalfa,
edizione Fluegel, II, 440, n. 3655, e conseguentemente nella
_Bibl. arabo-sicula_, pag. 701, la parte del nome che si legge
Ibn-Mohammed-es-Sikilli va corretta, Ibn-es-Sikilli, secondo il Ms. di
Parigi, _Ancien Fonds_, 875.
[912] Dsehebi, _Anbâ-en-nohat_, nell’op. cit., pag 645.
[913] Non voglio tradurre “in quinta rima,” perchè il confronto di
cotesti nuovi metri degli Arabi occidentali con que’ delle lingue
neo-latine e soprattutto della nostra, va fatto con lungo studio e
sopra moltissimi esempii dell’una e dell’altra parte. Avverto intanto
che la voce _wazn_, “peso, modo,” trattandosi di versificazione,
è usata col significato di “misura;” il quale credo relativamente
moderno, e forse nato in Spagna insieme con cotesti novelli metri.
Le cinque “misure” invero non si trovano, per diritto nè per rovescio,
in questo componimento, dove le rime son tre; i versi di otto sillabe
ciascuno, a modo nostro di scandere, e a modo dei grammatici arabi, di
due piedi o di sei, se vogliasi considerare come verso l’intera stanza;
e le stanze, infine, son sei. Potrebbero forse contarsi in ciascun
verso cinque di quelle misure elementari che gli Arabi chiamarono
“corde, piuoli e tramezzi” (si vegga Sacy, _Grammaire arabe_, 2ª ediz.,
II, pag. 619) come parti del verso, il quale appellano _beit_, ossia
“tenda, casa” e in generale _stanza_. Ma coteste misure elementari
non so che siano state mai dette _wazn_. Ho ragione piuttosto di
credere che nelle nuove poesie il metro più comune sia stato di
stanze da cinque versi e che perciò Imâd-ed-dîn, facendo un fascio
di tutti i metri occidentali, li abbia battezzati “Quinte rime.” Si
badi bene ch’ei non dice che questo componimento abbia cinque _wazn_,
ma “che sia di que’ che recitansi con cinque _wazn_.” Mi conferma,
nel mio supposto, il codice della Riccardiana di Firenze segnato
col n. 194 e intitolato _Megmû’-Kâmil_, ossia “Raccolta compiuta”
di Abu-l-Abbâs-el-Bekri. Tra le poesie della nuova maniera che il
raccoglitore trascrive, scompartite per generi e specie, occorrono
non pochi componimenti in cui le stanze, distinte sempre col titolo
di _beit_ ad inchiostro rosso e caratteri grandi, si compongono di
cinque versi ciascuna. Lo stesso codice Riccardiano ha varii esempii
di _tekhmis_ o diremmo noi “quintuplicazione” di poesie altrui, che
facevasi aggiugnendo quattro altri versi a ciascuno del testo; ma
questo uso notissimo non ha che fare nel caso nostro.
Debbo avvertire infine che lo squarcio di poesia trascritto nella
_Kharida_, mi sembra mutilato e mutatovi l’ordine de’ versi. In fatti
il primo verso della terza stanza esce di rima, e la metafora obbligata
della luna piena che spunti sopra un sottile tralcio di _ben_, vuol
che segua immediatamente a quello il primo verso della quarta stanza.
Similmente il senso richiederebbe che l’ultimo verso della seconda
stanza seguisse immediatamente all’ultimo della prima. Si capisce bene
che i copisti orientali del XII e XIII secolo si doveano imbrogliare
spesso, avendo dinanzi agli occhi quell’insolito intreccio di rime e
di versi, scritti con altre divisioni che non son quelle degli antichi
emistichii.
Aggiungo che, anche in Ponente, i letterati teneano in non cale le
_mowascehe_. Abd-el-Wahid da Marocco (testo del Dozy, pag. 63) che
scrivea nel 1224 dell’èra cristiana, si vergogna di far parola delle
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