Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte II - 39

[490] Giuseppe La Farina, mancato immaturamente alla patria e alle
lettere, dimostrò questo fatto contro Hurler, negli _Studii sul secolo
XIII_, Firenze, 1842, p. 786. Riscontrando gli avvenimenti di tutto
il periodo della reggenza, dei quali io non posso far che un cenno, si
vedrà che nel corso di quegli otto anni, gli uomini del papa non ebbero
adito appo Federigo che per cinque o sei mesi e che non comandarono mai
nella reggia e molto meno nel paese. D’altronde il medesimo Innocenzo
confessa questo fatto tanto nelle epistole con che ei si lagna del
cancelliere (1200-1202), quanto in quella del 29 gennaio 1207 per la
quale ei si rallegra col pupillo della sua liberazione e lo conforta
a seguire i consigli di “coloro che la madre avea deputati a educarlo
e de’ succeduti _in loco eorum qui ex ipsis decesserant_,” presso
Breholles, op. cit, I, 124. Or in quel tempo stava allato al giovanetto
il cancelliere Gualtiero, riconciliato col papa, il quale nel 1210
scrivendo a Federigo, come abbiam accennato nella nota precedente,
affinchè lo reintregrasse nell’ufizio dal quale avevalo rimosso, dice
chiaramente che questa era una ragazzata e un atto d’ingratitudine
contro colui che lo avea fin allora custodito e nutrito ed avea durato
molte fatiche e sollecitudini e strette di danari per difendere lui e
il reame. Presso Breholles, op. cit., I, 170. Dunque è stata esagerata
stranamente la parte ch’ebbero i cardinali di Sant’Adriano e di San
Teodoro nella educazione di Federigo. Si veggano anco le epistole del
papa date in novembre 1200 e luglio 1201, presso Breholles, op. cit.,
I, 60, 82.
[491] Questa donazione, che va riferita al 1198, è ricordata in un
atto di aprile 1209, per lo quale il cancelliere Gualtiero de Palearia
ridonava il giardino al Capitolo della cattedrale. Presso Amato, _De
principe templo panormitano_, p. 127.
[492] Diploma di settembre 1200, pubblicato dal signor Mortillaro nel
_Catalogo del.... Tabulario della cattedrale di Palermo_, pag. 49,
ristampato dal Breholles, op. cit., I, 54.
È da avvertire che l’altra metà del podere apparteneva attualmente ad
un Ibrahim, figliuolo del notaio.
[493] L’imperatore o la imperatrice donò alla chiesa di Palermo Rakal
Stephani nel territorio di Vicari e tutto il tenimento di Platani
e di Captedi; la quale concessione è citata nel diploma del 1211,
che la confermò, presso Breholles, op. cit., I, 194. Torniamo dunque
al 1195-97, ovvero al 1198 ed ai territorii dove arse la ribellione
musulmana.
Per un altro diploma di aprile 1200, citato dal Pirro, _Sicilia
Sacra_, p. 703, la reggenza concedette al vescovo di Girgenti i casali
di Minsciar e Minzeclo; onde non ci discostiamo dal tempo, nè dalla
regione.
[494] La commissione di bandire la Crociata in Sicilia fu data
al vescovo di Siracusa e ad un abate di Sambucino dell’ordine de’
Cisterciensi, quello stesso cioè del ricco monastero di Morreale che
possedea tante terre e persone di Musulmani. Si veggano le epistole
d’Innocenzo nella edizione di Baluzio, lib. I, n. 302, 343, 358,
508: dall’ultima delle quali, data il 5 gennaio 1199, si ritrae che
in Sicilia alcuni laici avean presa la croce, altri avean profferto
contribuzioni di vittuaglie o arnesi, ma che gli arcivescovi, i vescovi
e gli altri ecclesiastici non voleano dar nulla. Indi i due commissarii
proposero e il papa assentì, di prendere per la Crociata tutte le
entrate ecclesiastiche, fuorchè le somme strettamente bisognevoli al
mantenimento ed al culto; e di gittar anco la mano su le entrate delle
sedi vacanti e sul danaro de’ monaci che vivessero fuor dal chiostro.
Ci possiamo immaginare lo scompiglio che portò questo provvedimento in
Sicilia, dove tanta parte della proprietà fondiaria, forse un terzo o
più, era posseduta dalle Chiese. I titolari necessariamente mugneano
i vassalli e i villani. E nelle cento miglia quadrate coltivate da’
Musulmani per conto del monastero di Morreale, possiam supporre venuto
proprio il finimondo. Que’ “monaci che viveano fuor del chiostro”
eran forse i fattori del monastero: e ch’e’ prendessero tutto per sè
e parteggiassero contro l’arcivescovo e contro il papa, lo sappiamo da
una terribile epistola d’Innocenzo, data il 17 giugno 1203 che citeremo
più innanzi.
[495] Epistola n. 509, del libro I, nell’edizione di Baluzio.
[496] La fuga de’ villani e il guasto delle ville si confermano coi
diplomi seguenti:
1201. Federigo, nel mese di aprile, concede al monastero di donne,
detto di S. Michele in Mazara, le terre del distrutto casale Ramella,
nel territorio di Salemi. E ciò per avere sofferti molti danni,
_intervasionis tempore_, e avere perdute tutte le entrate. Ms. della
Bibl. comunale di Palermo, Q. q. r. 171.
1202. Nel territorio di Carini, casale di Zarchante, una Sorbina
possedea già sei villani per sentenze del giustiziere e del cadì dei
Saraceni; ed erano andati via come tutti gli altri villani, Gregorio,
_Considerazioni_, lib. II, cap. vij, nota 7.
Verso lo stesso tempo si erano liberati i villani della chiesa di
Cefalù, ibid.
1205 aprile. Federigo conferma agli Spedalieri le concessioni
precedenti, alle quali egli aggiugne due poderetti in Palermo e tutti i
villani del casale di Polizzi, _ubicumque sunt_. Presso Breholles, op.
cit., I, 113.
[497] Il luogo dello sbarco, riferito dal solo Anonimo che ha
pubblicato il Breholles, op. cit., I, 893, si adatta benissimo a tutti
gli altri ragguagli che abbiamo di questa impresa.
Oltrechè una schiera di Pisani combattè per Marcualdo nella battaglia
di Morreale (1200), essi continuarono a dargli aiuti. Si vegga
l’epistola 4 del libro V, data di Laterano il 4 marzo 1202, per la
quale Innocenzo sollecita il Potestà e il Comune di Pisa a richiamare
dalla Sicilia i cittadini loro, partigiani di Marcualdo.
[498] Presso Breholles, op. cit., I, 34.
[499] Op. cit., I, 37.
[500] Si vegga il capitolo precedente, pag. 554, del volume.
[501] Il Caruso, _Bibl. sicula_, 647, ha “Magadeo.” Io seguo più
volentieri la lezione del Breholles, op. cit., I, 48, la quale
rappresenta il noto vocabolo Mogêhid, ch’è talvolta nome proprio e
talvolta soprannome. Si vegga il libro V, cap. 1, pag. 4 segg. di
questo volume. Un Ibn-Mogêhid possedeva una casa in Palermo, secondo il
diploma arabico del 1190, del quale il Gregorio ha dato uno squarcio.
_De supputandis_, etc. pag. 40.
[502] Questa battaglia è raccontata da Anselmo arcivescovo di Napoli
testimonio oculare, nella epistola ch’ei scrisse a Innocenzo, com’e’
pare, il giorno appresso; la quale si legge in tutte le edizioni delle
_Gesta Innocentii III_, cap. xxvj. Fa cenno della vittoria, l’Anonimo
pubblicato dal Breholles, op. cit., I, 893 e Riccardo di San Germano.
L’occupazione di Morreale pria dell’assedio di Palermo è attestata,
inoltre, da una epistola d’Innocenzo, libro III, n. 23, edizione di
Bréquigny, II, 27 e Raynaldi Annales, 1200, § 3, 8.
Anselmo, scrivendo al papa, vuol dare tutto il merito della giornata
a Jacopo congiunto di quello e maresciallo di Santa Chiesa, e lascia
addietro quant’ei può il conte Gentile, fratello del cancelliere,
ch’era sì poco gradito al papa fin da que’ primi tempi. Ma la verità
trapela nell’epistola stessa, là dove si dice che fin dal principio
della battaglia. Gentile e Malgerio alla testa de’ fanti, “potenter
ascenderunt, transcenderunt et obtinuerunt montana, et omnes fere
quot ibi inventi sunt in ore gladii posuerunt.” Or se Gentile fin
dal mattino avea rotta sì fieramente la sinistra di Marcualdo, egli
ebbe, per lo meno, tanto merito nella vittoria, quanto il maresciallo
“qui in extremo locatus, castellum tenebat, immo ipse castellum erat
exercitus.” Anzi l’è verosimile che, verso le tre, quando fu preso il
campo nemico, i fanti scendendo da Morreale sul fianco sinistro o alle
spalle del nemico, cooperassero efficacemente alla vittoria. Aggiungasi
che l’Anonimo or citato dice rotto Marcualdo in Morreale; onde parrebbe
che lì fossero state decise le sorti della battaglia.
Il castello del quale fa menzione Anselmo nel passo or or trascritto,
non può esser altro che la Cuba, se pur non si voglia supporre un
altro castello o palagio vicino, del quale non fosse rimasa vestigia
nè memoria. Marcualdo conduceva un grosso di cavalli ed appoggiavasi
co’ fanti a Morreale. Quale fianco appoggiava egli dunque? Il sinistro
di certo; perchè delle due valli che sboccano nella pianura d’ambo
i lati di Morreale, quella dell’Oreto è piana ed aperta; quella di
Boccadifalco stretta e tortuosa; l’una è continuazione delle falde
di Morreale, l’altra è disgiunta da quel luogo per gli aspri gioghi
del Caputo. Però mi sembra non resti alcun dubbio sul campo della
battaglia, nè su la posizione de’ due eserciti.
Il testo di Riccardo di San Germano, del quale d’altronde non si ricava
alcun particolare, è evidentemente guasto in questo luogo, come notò il
Muratori negli Annali. Si vegga nel Caruso, op. cit., p. 556, dal quale
non si allontana qui l’ottima e recente edizione del Pertz.
[503] Questo fatto è riferito dal solo Anonimo, presso Breholles, op.
cit., I, 893.
[504] L’Anonimo, op. cit., I, 893, il quale dice di Marcualdo vinto due
volte: “Et nihilominus omnes Siculi a sua fidelitate non discedebant.”
[505] Un diploma, presso Breholles, op. cit., I, 53, prova che Federigo
era di nuovo in Palermo nel mese di agosto.
[506] Si veggano presso Breholles, op. cit., i diplomi a favor di città
o Chiese di Sicilia negli anni 1200, 1201, 1207, 1209, 1210, 1211, vol.
I, 45 segg., 85 segg., 128, 913, 180, 182 segg. e specialmente a p.
194.
[507] Questi due importanti fatti sono narrati nella continuazione di
Guglielmo di Tiro, lib. XXIV, cap. 59, 60, presso Martene e Durand,
_Amplissima collectio_, V, 676, 677.
[508] Nelle _Gesta Innocentii III_, presso Caruso, op. cit., pag.
649 e presso Bréholles, op. cit., I, 57, è una epistola senza data,
indirizzata, com’e’ pare, ai reggenti, da riferirsi di certo a’ primi
tempi dopo la sconfitta di Marcualdo, nella quale il papa replica il
divieto di far pace con costui; ma permette di perdonare a’ Saraceni,
quantevolte dessero sicurtà. Innocenzo conchiudea con la solita
minaccia di mandare contro essi e gli altri traditori, i principi
cristiani già bell’e armati per la Crociata. E nel 1202, Innocenzo,
scrivendo all’arcivescovo eletto di Palermo per raccomandargli Brienne,
ch’egli allora volea far passare in Sicilia, significa al suo fidato
di avere indirizzate a’ Saraceni le lettere ch’ei gli aveva chieste.
Presso Bréquigny, _Diplomata_, etc. tomo II, p. 98, ep. 39 del libro V.
[509] Epistola del 17 giugno 1203, presso Bréholles, op. cit., I, 102.
Tra le altre cose, il papa rinfaccia a que’ monaci di avere propalato
un segreto ch’essi dovean celare gelosamente; ond’erano nati tanti mali
in Palermo e per tutta la Sicilia. Li accusa poi di appropriazione
delle entrate, violazione di sepolture, sevizie agli uomini del loro
arcivescovo, assalto contro quel prelato e corruzione del Capparrone;
al quale avean dato danaro, ed alla sua moglie de’ grandi nappi
d’argento ed una dalmatica de hulla (è voce arabica) che valea più di
mille tarì.
Si noti bene che la epistola del settembre 1206, è indirizzata, tra
gli altri, ai capi musulmani di Giato, della quale fortezza il papa
avea chiamati occupatori, tre anni innanzi, i monaci di Morreale. Or
egli è evidente che i Musulmani non avean data di certo a que’ frati
la principale fortezza loro; onde la così detta occupazione non poteva
essere che il soggiorno in qualche fattoria sotto la protezione del
Capparrone, il quale col titolo di capitano generale teneva Palermo e
rappresentava la legittima autorità.
Egli è probabile che, dopo l’accordo del cancelliere con Marcualdo,
fosse ritornato qualche musulmano in Palermo. Noi veggiamo in un
diploma del 1202, presso Mongitore _Sacrae Domus mansionis.... Panormi
Monumenta historica_, cap. IV, la soscrizione d’un _’Amineddal_,
olim magister regii stabuli.” È manifestamente il titolo onorifico
di _Amîn-ed-daula_ (il fidato della dinastia) dato a qualche gaito
de’ primarii della corte. Del resto non si può supporre allontanati
assolutamente di Palermo tutti i Musulmani, convertiti o no; nè è
inverosimile che quel vecchio servitore di corte, come parecchi altri
non sospetti o dimenticati, fossero anco rimasi in città nel principio
del 1200, quando la popolazione cristiana doveva essere più concitata
contro gli altri Musulmani.
[510] Epistola di settembre 1206, presso Bréholles, op. cit., I, 148.
[511] Presso Caruso, op. cit., p. 658. Si vegga anco un diploma di
Federigo, dato di luglio 1208, per lo quale fu approvato un accordo tra
i monaci di Morreale e l’arcivescovo, partigiani i primi di Diopoldo, e
l’altro di papa Innocenzo. Presso Bréholles, op. cit., I, 135.
[512] Diploma d’ottobre 1211, presso Bréholles, op. cit., pag. 191
segg. Conferma questo mio supposto il diploma del 15 gennaio del
medesimo anno, citato nella stessa opera p. 184, per lo quale Federigo
die’ all’arcivescovo di Morreale autorità di prendere i beni e le
persone dei Saraceni che non adempissero gli obblighi loro verso quella
Chiesa.
[513] Quest’ultimo fatto si legge negli _Annales Colon. Maximi_, presso
Pertz, XVII, 825.
È da avvertire qui uno sbaglio nel quale cadde il Tychsen e dietro lui
il Gregorio. Aperto nel 1781 il sepolcro di Federigo in Palermo, si
trovò ricamata nelle maniche della sua veste una iscrizione arabica,
della quale fu mandato un disegno al Tychsen. Questi credette leggervi
il nome di Ottone; onde il Gregorio lo lesse anco, e stampò nel _Rerum
Arabicarum_, pag. 179, segg., una dotta dissertazione per dimostrare
come i Musulmani di Sicilia avessero ricamata quella veste per farne
dono ad Ottone, e come questo, con altri vestimenti imperiali, fosse
venuto in potere di Federigo. Nè sol quivi, ma in parecchi vasi
di bronzo, il Gregorio credè trovare il nome di Ottone (op. cit.,
p. 183-185). Sventuratamente, altro non v’ha che la voce _sultan_,
la quale fu letta in quel modo, per poca pratica della calligrafia
arabica: onde casca tutto lo edifizio de’ doni inviati da’ Musulmani di
Sicilia all’imperatore guelfo. Notò primo quello errore il De Fraehn,
indi il Lanci, ed anch’io ne ho detta qualche parola nella _Rivista
Sicula, fasc. 2º _(Palermo, febbraio 1869), in un Discorso preliminare
su le epigrafi arabiche di Sicilia.
[514] Albertus Bohemus, citato dal Bréholles, _Historia Diplomatica_,
etc. Introduction, pag. XCLXXXI.
[515] Quest’ultimo soprannome si legge nella _Continuatio Bergensis_,
presso Pertz, _Scriptores_, VI, 440.
[516] Si veggano i capitoli iij, v, viij di questo libro, pag. 439
segg., 534 segg., 573 segg. Quantunque l’antagonismo nazionale e
religioso sia trascorso talvolta al sangue nel regno di Guglielmo I,
come si legge nel Cap. iv, pag. 485, 488 e nel Cap. vi, pag. 543, pure
que’ tumulti non sembrano opera immediata del clero, nè effetto di
passioni religiose, ma piuttosto di rapacità e ferocia.
[517] Cap. viij, pag. 573 segg.
[518] Presso Bréholles, op. cit., I, 800.
[519] Op. cit., II, 150, 152.
[520] Diplomi di aprile 1206 e febbraio 1219, presso Mongitore, _Sacrae
domus mansionis.... Panormi, Monumenta_. Dalle annotazioni si scorge
che Miserella giacea presso Misilmeri, e Hartilgidia fuor delle mura di
Palermo. L’ultimo di questi diplomi si vegga anco presso Brébolles, op.
cit., I, 586. Una parte dei beni era stata già conceduta in dicembre
1202, vol. cit., pag. 96.
[521] Diploma del 15 agosto 1221, citato dal Fazzello, Deca I, cap.
1, e indi dal Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 1359. Temo che questa, con
le altre pergamene del monastero della Martorana, sia stata trafugata
nell’infausto mese di settembre 1866, quando si mandò ad effetto lo
sgombero di quel monastero, senza guardare ciò che portavan seco le
suore e i preti.
[522] Diploma di novembre 1221, presso Pirro, op. cit. pag. 703,
ristampato dal Bréholles, op. cit., II, 222.
Evidentemente cotesti due casali sono gli stessi ch’erano stati
conceduti al vescovo di Girgenti nell’aprile del 1200, secondo un
altro luogo del Pirro (pag. 703, prima colonna) citato da noi nel
capitolo precedente, pag. 573. Ma s’intende bene che in quei tempi la
concessione era rimasta nella pergamena. In questo diploma del 1221
l’atto è formulato con le parole _concedimus.... et perpetuo robore
confirmamus_.
[523] Si vegga il capitolo precedente, pag. 587.
[524] Diplomi di febbraio 1219 ed aprile 1221, presso Mongitore _Sacrae
Domus mansionis_ etc. e il secondo anche presso Bréholles, op. cit.,
II, 197.
[525] Cotesti particolari si ricavano da un atto del 20 giugno 1250
(correggasi 1255), IIIª indizione, secondo anno del regno di Manfredi,
del quale serbasi una copia tra’ Mss. della Biblioteca comunale di
Palermo, Q. q. H. 6, donde l’ha ricopiato, non è guari, per farmi cosa
grata, il sig. Isidoro Carini, addetto all’Archivio regio di Palermo,
giovane conosciuto per ottimi studii su la Storia di Sicilia. E spero
ch’egli possa un giorno pubblicare questo curioso documento, e che anco
se ne trovi l’originale nel prezioso e negletto tabulario della Chiesa
agrigentina.
L’atto, rogato in Palermo da un giudice regio, ad istanza di un
procuratore del vescovo di Girgenti, racchiude la risposta di
quarantacinque testimoni interrogati intorno il possedimento della
chiesa di Santa Maria di Rifesi, che la Chiesa agrigentina volea
rivendicare sopra l’abate di San Giovanni degli Eremiti di Palermo,
fondandosi sopra un titolo di concessione, che era stato perduto
al tempo delle guerre. Alcuni testimoni affermavano dei fatti di
sessant’anni addietro, altri di 50 altri di 40 e via scendendo. Il
decimoterzo tra i testimoni uditi, si chiamava Luciano de Bonaparte.
Lasciando gli avvenimenti che non fanno al nostro subbietto, vi si
legge che il vescovo Orso era stato cacciato dalla sede ben tre volte:
la prima da Arrigo VI che lo supponea figliuolo di re Tancredi; la
seconda da Guglielmo Capparone, mentre ei signoreggiava Girgenti,
al quale il vescovo Orso non volle prestare giuramento di fedeltà;
la terza al tempo dell’imperatore Federigo. Questa fiata egli _fuit
captus a Saracenis et detenctus in Castro Guastanelle per XIV menses_;
ed allora la Chiesa perdè i suoi privilegii e i beni, et _Saraceni
etiam tenebant ecclesiam, campanile, et domos ecclesie_, etc. Un altro
testimonio, contadino, ricordando cose avvenute da sessanta anni,
diceva essere stata, dopo la morte di re Guglielmo, mossa guerra in Val
di Mazara, da Cristiani e da Saraceni; sì che _non audebant homines de
contrata exire de terris in quibus habitabant, usque ad labores_ (i
seminati fin oggi si chiamano lavori in Sicilia) _vel vineas eorum_,
per timor de’ Saraceni e di alcuni Cristiani; e che Orso non sarebbe
stato liberato in Guastanella, _nisi se ipsum per pecuniam redimisset_.
Un altro narrava che, dopo la morte di Guglielmo, Orso era stato
cacciato, e la Chiesa occupata da’ Saraceni e dalla moglie del conte
Bernardino. Un altro finalmente attestava aver militato nell’esercito,
col quale il vescovo eletto Raimondo, o altro, dovea muovere contro la
detta contessa.
Ognun vede ch’è questo appunto il supposto diploma di Manfredi, del
quale il Gregorio pubblicò un estratto, _Considerazioni_, lib. III,
cap. 1º, nota 5, ec. Il Pirro avea letto quel documento e forse qualche
altro, poichè cita i medesimi fatti a pag. 704 ed aggiugne che Orso era
stato riscattato dalle mani de’ Saraceni per cinquemila tarì.
La distrutta rôcca di Guastanella, sorgea non lungi da Raffadali, ad
una diecina di miglia a settentrione di Girgenti.
[526] Diplomi di dicembre 1224 e 28 ottobre 1238. presso Bréholles, op.
cit., II. 918 segg. e V, 251; nel primo de’ quali si tratta soltanto
de’ richiami della corte di Roma per torti fatti al vescovo di Cefalù,
e il secondo risguarda Cefalù, Morreale, Catania.
Per Morreale si ritrasse che i Saraceni aveano fatte prede fino alle
mura della Chiesa e cacciati tutti i Cristiani da’ luoghi vicini. Ma
alle lagnanze l’imperatore rispondea che que’ Saraceni non ubbidivano
lui nè il papa, e ch’egli avea durati tanti travagli e tante spese per
costringerli, e gli era venuto fatto.
[527] Alla metà del XII secolo, il vescovo di Cefalù possedea molti
villani musulmani, come si scorge dalla platea che noi abbiam citata
nel libro V, cap. viij, pag 205, 211 del presente volume.
[528] Si vegga il lib. V, pag. 546 di questo volume.
[529] Giovanni Villani, lib. VI, cap. 14.
[530] Riccardo da San Germano, presso Caruso, op. cit., pag. 613.
[531] L’inquisizione riferita nel diploma del 28 ottobre 1238, presso
Bréholles, op. cit., V, 251, ci fa sapere che “al tempo della guerra”
molti uomini del demanio s’erano rifuggiti ne’ possedimenti del vescovo
di Catania, allettati dal “luogo sicuro e fertile,” e che il demanio,
secondo il diritto de’ tempi, li avea richiamati alle loro sedi. In
vero non si dice che fossero stati musulmani.
[532] Le citazioni si vedranno nel seguito del racconto.
[533] Appunto è l’Appendice al cronista Malaterra, il quale raccontava
tanti fatti di Benavert, presso Caruso, op. cit., pagina 250.
[534] Si vegga il cap. primo del presente libro, pag. 374 del volume.
[535] Nella _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 491 segg. e nella
_Histoire des Berbères_, traduzione del baron De Slane, II, 335; il
quale, avendo seguita una lezione che lasciava in bianco il nome del
luogo, e non ricordandosi di Lucera, ha supplito tra parentesi Melfi.
L’errore del nome proprio sarebbe stato facilissimo, se Riccardo da
San Germano avesse scritto “Mirabs”, ed il copista avesse supposta
un’abbreviatura nelle ultime sillabe.
L’anacronismo d’Ibn-Khaldûn non dee far maraviglia. Oltre ch’egli
scrivea di memoria, la tendenza sistematica del suo ingegno lo portava
ad accomodare almeno le date alle cagioni da lui supposte. Fors’anco
furono estese per errore alla Sicilia, da lui o dagli autori de’
ricordi ch’egli usava, quelle condizioni che il governo hafsita avea
pattuite con Federigo per l’isola di Pantellaria, delle quali noi
tratteremo nel capitolo seguente.
[536] Bekri, _Description de l’Afrique_, testo arabico pag. 45
e versione di Quatremère, nelle _Notices et Extraits_, tomo XII,
pag. 499-500, afferma che la penisola di Scerîk prese il nome da
Scerîk-Ibn-’Abs, che fu uno dei governatori musulmani. Chiunque sappia
l’importanza del legame di tribù nei primi secoli dell’islamismo, terrà
molto verosimile il soggiorno della tribù in que’ luoghi. Non è meno
probabile il passaggio loro in Sicilia, poichè questa famiglia era
stata una delle ribelli a Ibrahim-ibn-Aghleb; e dopo quel tempo occorse
più volte di prendere da quel territorio le milizie che si mandavano in
Sicilia. Di questa penisola abbiamo trattato più distesamente nel cap.
iv, di questo libro, pag. 474.
[537] Il testo d’Ibn-Khaldûn ha _thâir_, che vuol dir vendicatore e
può significar anco sollevatore, demagogo, capo-banda, ec. Il baron de
Slane, con felice infedeltà, ha tradotto “aventurier.”
Egli è da ricordare che l’Affrica propria, negli ultimi venticinque
anni del XII secolo e ne’ primi del XIII, era stata agitata dalla
reazione degli Arabi e de’ Berberi almoravidi contro la dominazione
almohade; onde l’assalto dell’almoravide Ibn-Ghania, una lunga guerra
guerreggiata e infine la fondazione del principato Hafsita di Tunis.
[538] Riccardo da San Germano, presso Caruso, op. cit., pag. 169. Le
leggi promulgate, al dir del cronista, in questo parlamento, son di
quelle che or chiamiamo regolamenti di polizia municipale.
[539] I diplomi pubblicati dal Bréholles, op. cit., II. 181 a
224, provano che Federigo in questo tempo fu a Messina, Catania,
Caltagirone, Palermo, Trapani, Palermo di nuovo, Girgenti e Catania.
La data di Girgenti non mi par tanto certa: e le parole del Bréholles,
op. cit., II, 223, nota 1, mi fanno credere che ne abbia dubitato egli
stesso.
[540] De’ diplomi di questo periodo risguardanti la Sicilia, un solo
è notevole, cioè la conferma de’ privilegi singolari che erano stati
conceduti alla città di Palermo il 1200 e 1210, nella infanzia di
Federigo, o piuttosto, durante l’anarchia.
[541] Riccardo da San Germano, op. cit., pag. 571.
[542] Si veggano i diplomi dati “in castris in obsidione Jati,” dal 17
luglio al 18 agosto 1222, presso Bréholles, op. cit., II, 255 a 265.
[543] Si confrontino Riccardo da San Germano, loc. cit. e l’Appendice
al Malaterra, presso Caruso, op. cit., pag. 250. Del quali il primo dà
soltanto il nome di Mirabetto; la seconda lo sbaglia, ma il nome del
luogo che vi si aggiugne (erroneamente stampato _Jacis_), non lascia
dubbio su l’identità della persona.
L’Anonimo pubblicato dal Bréholles, op, cit., I, 895, nota in questo
tempo che Federigo vinse tutti i ribelli, fuorchè qualche castello dei
Saraceni, posto in _arridis montibus_.
Dicono brevemente l’esito di tutte le guerre di Federigo contro i
Saraceni di Sicilia l’Anonimo Vaticano (Niccolò de Jamsilla), il
Monaco Padovano, e l’Abate di Usperga, ossia Corrado de Liechtenaw,
presso Caruso, op. cit., pag. 677, 939, 971, e l’Anonimo Sassone, negli
_Scriptores Rer. Germ._ Lipsia, 1730, tomo III, 121.
L’episodio de’ rubati fanciulli è riferito nella cronica d’Alberico
Trium fontium, Hannover 1698, pag. 459, 460, nella quale quel
tradimento è apposto “come diceasi” ad Ugo Fer e Guglielmo Porco,
mercatanti marsigliesi. Tolto il caso di una coincidenza di nome che
sembra assai poco verosimile, noi possiamo correggere ciò che la voce
pubblica, ripetuta dal cronista tedesco, dicea di Guglielmo Porco.
Questo valente uom di mare, di nobile famiglia genovese, nel 1205 vinse
prima i Pisani in un combattimento navale; e poi insieme con Arrigo
conte di Malta, liberò Siracusa, stretta dall’armata pisana. Nel 1211
ei prese e menò in Sicilia due navi marsigliesi. (_Annali Genovesi_,
presso Muratori, _Rer. Italic._, VI, 391, 401.)
Nel 1216 egli accompagnò di Sicilia in Germania la imperatrice
Costanza col figliuolo Arrigo, come si argomenta da due diplomi presso
Bréholles, op. cit., I, 485, 489; nel primo dei quali si accenna
a lui con le parole “ammiraglio di Messina”, e nel secondo egli è
soscritto da testimonio, tra i grandi della corte imperiale, col titolo
d’ammiraglio del regno. Ma nel 1221, voltosi Federigo contro i Genovesi
che teneano Siracusa e godeano possessioni e privilegi in tutto il
reame, comandò, tra le altre cose, di catturare costui, ond’ei salvossi
con la fuga. (_Annali Genovesi_, presso Muratori, vol. cit., pag.
423.) Or egli è molto verosimile che Guglielmo Porco, il quale, come
tutti gli uomini di mare in quel tempo, doveva essere un po’ corsaro
se non pirata, abbia cercato di favorire i ribelli di Sicilia e siasi
unito senza scrupolo con quel ribaldo venditore dei fanciulli. Bastava
ciò perchè i Ghibellini lo spacciassero complice di quel misfatto,
come riferisce il cronista Alberico; nel qual caso non sappiam se lo
calunniasse o s’apponesse al vero. Del resto io credo che Guglielmo
Porco sia stato in Sicilia ammiraglio, ma non grande ammiraglio, la
quale dignità sembra tenuta in quel tempo da Arrigo conte di Malta. Si
confrontino il Bréholles, op. cit. _Introduction_, pag. cxliij, e il
sig. Ed. Winkelman, _De Regni Siculi administratione_, etc. Berlino,
1859, pag. 40 e 41, i quali non si accordan tra loro.
[544] Riccardo da San Germano, presso Caruso, op. cit., pag. 572.
Gli Annali Di San Rudberto di Saltzburg, presso Pertz, _Scriptores_,
IX, pag. 782, attestano che l’imperatore, trattenuto da affari in
Sicilia, non potè andare alla mostra di baroni tedeschi e italiani,
bandita in Verona pel dì di San Martino del 1222.
[545] Ancorchè il Muratori, negli _Annali_, porti la emigrazione a
Lucera il 1224, parmi sia da riferire all’anno precedente.
Si confrontino a questo proposito: Riccardo di San Germano, presso
Caruso, op. cit., pag. 572, dove si aggiunga la data del 1223; e i
cronisti citati nell’ultimo paragrafo della nota 3 della pag. 600.