Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte II - 37

[338] Presso Caruso, _Bibl. sicula_, pag. 454 e 872. L’arcivescovo,
ch’era partigiano dell’eunuco, confessa che costui insieme con
altri, fuggì “et ad regem de Maroccho veniens, multam secum pecuniam
transportavit.” Si vede dal Falcando che l’accusavan anco di aver
portato seco le insegne reali, ma la regina affermò non essere stato
tocco il tesoro regio.
[339] Ibn-Khaldûn, _Prolegomeni_, testo arabico di Parigi, parte II,
pag. 37, 38 e nella _Bibl. arabo-sicula_, pag. 462, e versione francese
del baron De Slane, parte II, pag. 43. Lo stesso autore, nella Storia
dei Berberi, testo arabico di Algeri, tom. I, pag. 326 e versione del
baron De Slane, II, 208, dice che il 581 (1185-6) il califo almohade
Jakûb, sapendo la mossa d’Ibn-Ghania sopra Costantina, mandò contro di
lui l’armata capitanata da Mohammed-ibn-Abi-Ishak-ibn-Giâmi’, insieme
con Abu-Mohammed-ibn-’Atusc, e con Ahmed-Sikilli, e che quest’ultimo
_kaid_, con la sua squadra prese Bugia.
[340] Applicato il diritto de’ tempi al racconto d’Ibn-Khaldûn, ognun
vede che il giovanetto Ahmed era venuto schiavo in Sicilia. Ora il
Falcando attesta precisamente ch’egli fosse tenuto tale a corte,
dicendo che il conte di Gravina, saputa la sua fuga, rimproverò
alla regina vedova la stoltezza d’avere innalzato a tanta potenza un
servo saraceno che aveva già tradita l’armata; ed aggiunse esser anzi
maraviglia ch’ei non avesse fatti entrare occultamente i Masmudi nella
reggia, per portar via il re con tutto il tesoro. Il conte di Molise
partigiano di Pietro, negava che costui fosse servo, quando Guglielmo
I l’aveva emancipato nel testamento e il nuovo re e la regina aveano
confermata l’emancipazione. Presso Caruso, _Bibl. sic._, pag. 454.
[341] Si vegga su questa nobile famiglia, Gilles Bry, _Histoire du pays
et comté du Perche_, Paris, 1620, in-4. Il territorio della contea di
Perche rispondea quasi a quello degli odierni dipartimenti di Orne ed
Eure et Loir.
[342] Si leggano: Petri Blesensis _Epistolæ_;, n^i 10, 46, 66, 90, 93,
alcune delle quali ristampò il Caruso, op. cit., pag. 489, 501; Thomæ
Canterburiensis _Epistolæ_, lib. I, ep. 56, 57, 58, della edizione
di Bruxelles, 1682; Epistole di Giovanni da Salisbury, dal Codice
Vaticano, lib. II, epistola 61 e lib. III, ep. 80, presso Baronio,
Annales, anno 1168, §62, e si confronti anno 1169, §2; Epistola nº 2
di Lodovico VII di Francia a Guglielmo II di Sicilia, anno 1169, nella
_Collection de Documents inédits sur l’histoire de France_, Série 1.
_Lettres des Rois_, etc., tomo I, Paris, 1839, pag. 3. Questa lettera
fu mandata alla corte di Palermo per un Teobaldo priore di Crépy,
_procuratore_ del _monistero di Cluny_, al quale dovea servire di
credenziale presso Guglielmo II.
[343] «Panormitani.... multos apud eum accusaverunt apostates de
Christianis Saracenos effectos, qui sub eunuchorum protectione diu
latuerant.» Così il Falcando, op. cit., pag. 461. Mi par si debba
intendere de’ Musulmani già fatti Cristiani, non già di Cristiani
nati, dei quali se alcuno mai si fece musulmano, il caso doveva essere
rarissimo in quel tempo.
[344] Op. cit., pag. 463.
[345] _Gaytum Sedictum_, nelle edizioni del Falcando. I buoni mss.
della Biblioteca imperiale di Parigi, _Mss. latins_, 5150 e 6262, e
_Saint-Victor_, 164, hanno “Se dictum.” Mi sembra migliore la prima
lezione che si avvicinerebbe ai nomi di _Siddik_ ovvero _Sadâka_, non
venendomi alla memoria alcuno che si potesse pronunziare _Se_.
[346] La via Marmorea è quasi la stessa ch’or si chiama il Cassaro; ma
nel XII secolo la parte più alta di quella tornava al tratto che corre
dal Collegio Nuovo all’odierno palagio arcivescovile, poichè la Piazza
della reggia era allora in gran parte occupata dall’_Halka_, della
quale si è detto nel lib. V, cap. V, pag. 136, 137, di questo volume.
La Via Coperta, che conducea dall’antica reggia all’antico duomo,
rispondeva alla contrada che or giace sotto il piano del Papireto.
[347] I fatti si ritraggono confrontando il Falcando, partigiano, non
cieco però, di Stefano, e Romualdo Salernitano che fu de’ congiurati.
Si vegga anco Guglielmo di Tiro, lib. XX, cap. 3.
[348] Op. cit., pag. 486.
[349] Romualdo Salernitano, presso Caruso, op. cit., pag. 898-899.
[350] Abu-Sciama-el-Mokaddesi, nella _Biblioteca arabo-sicula_, testo,
pag. 336. Si riscontri Reinaud, _Extraits.... relatifs aux Croisades_,
pag. 184, secondo il quale la epistola fu scritta il 1182.
[351] Confrontisi: Ibn-el-Athîr, anno 565, testo del Tornberg, tomo XI,
pag. 231 e Makrizi, _Mowa’iz_, testo di Bulâk, tomo I, pagina 214-215.
Compendiò entrambi il Reinaud, _Extraits.... relatifs aux Croisades_,
pag. 143-144.
[352] Questa impresa del Jemen è narrata da Ibn-el-Athîr, anno 569,
testo del Tornberg, XI, 260 segg.
[353] Si confrontino: Ibn-el-Athîr, anno 569, testo, nella _Biblioteca
arabo-sicula_, pag. 308 segg. e nell’edizione del Tornberg, tomo XI,
292; Ibn-Khaldûn, op. cit., pag. 506 segg.; Ibn-Khallikân nella vita di
questo Omâra, versione inglese del baron De Slane, tomo II, pag. 367.
M. Reinaud, negli _Extraits.... relatifs aux Croisades_, pag. 172, dà
la traduzione francese di uno squarcio d’Ibn-el-Athîr.
[354] Si vegga, per questa data, la nota che ponghiamo in fine del
racconto.
[355] Questa particolarità è aggiunta da Ibn-el-Athîr. Secondo Ducange,
quel vocabolo, composto del nome etnico e di ποῦλος che in greco de’
bassi tempi significò “figlio”, par abbia designato in origine i figli
de’ mercenarii turchi dell’impero bizantino. Poi si addimandarono così
i soldati palatini di Alessio Comneno; e i Cristiani di Siria dettero
tal nome a’ cavalleggieri. L’appellazione pareva appropriata, per tutti
i versi, a’ Musulmani che militavano sotto le bandiere della Sicilia.
[356] Lo stato delle forze si ritrae dalla lettera di Saladino.
Ibn-el-Athîr quasi la copia; Ibn-Khaldûn accresce i cavalli a 2500;
Makrizi dice le galee 260; il qual numero io accetto, per la grande
accuratezza di quello scrittore nelle cose dell’Egitto e perchè meglio
corrisponde ai 50.000 uomini.
[357] Behâ-ed-din, narrando l’assedio di San Giovanni d’Acri per
Barbarossa, descrive la _debbâba_ de’ Cristiani: grande struttura di
legno, vestita di lamine di ferro, mobile su ruote, montata da molti
combattenti, armata di una trave che terminava in un collo con capo
di ferro, e chiamavasi “montone”, la quale, mossa da molti uomini,
percotea le mura. Dice egli anco d’una macchina simile che consisteva
in una tettoia, sotto la quale gli uomini moveano una trave armata d’un
ferro in forma d’aratro; e questa chiamavasi “gatto.” _Vita Saladini_,
pag. 141, 143.
_Debbâba_ è traduzione di “testuggine.”
Si vegga anco Reinaud, _Extraits_, etc., pag. 291-292. Nell’impresa de’
Siciliani sopra Alessandria occorrono simili denominazioni. La somma
della lettera di Saladino, distinguendo i varii corpi dell’esercito
siciliano, nomina “gli artefici delle torri e delle _debbâba_.” Poi
nella narrazione dell’assedio leggiamo: “e rizzarono tre _debbâba_
coi loro _kebasc_ (che vuol dir “montone”).... le quali _debbâba_
somigliavano a torri, sì grosso era il legname, sì maravigliosa
l’altezza e la larghezza, e sì grande il numero degli uomini che le
montavano.”
[358] Nella somma della lettera di Saladino che ci dà
Abu-Sciama-el-Mokaddesi, leggiamo d’un Ibn-el-Bessâr ucciso nel primo
assalto da un dardo di _gerkh_. Op. cit., pag. 333-334. Nella vita di
Saladino occorre il plurale _giurûkh_.
[359] Ai tempi di Edrîsi, il faro sorgeva a un miglio dalla città per
mare e tre per terra. Versione de’ signori Dozy e De Goeje, pag. 166.
[360] La saldezza delle mura di Alessandria è attestata da Edrîsi, l. c.
[361] Le lasciaron chiuse, dice il sunto della lettera di Saladino, coi
_kosciûr_. Il singolare _kiscr_ significa “scorza, corteccia” e però ho
messo il significalo di “imposte” che non trovo ne’ dizionarii. Par che
abbiano alzate quelle che noi diciamo saracinesche, le quali si poneano
a varie distanze dentro la lunga volta d’una porta di città o fortezza,
ed abbian lasciata socchiusa la porta esteriore.
[362] Dalla somma della lettera di Saladino parrebbe ciò avvenuto
il secondo giorno di combattimento; ma di certo v’ha errore, poichè
nello stesso squarcio si dice che lo spaccio _era arrivato_ a Saladino
il _martedì_ che fu il _terzo_ giorno dello sbarco (e secondo di
combattimento) e il corriere di Saladino ad Alessandria il _quarto_
dello sbarco (e terzo di combattimento) che fu il _mercoledì_.
Ibn-el-Athîr dice espressamente fatta la sortita il terzo giorno di
combattimento.
[363] Ibn-el-Athîr, dal quale sappiamo la spedizione di questo
corriere, dice che arrivò “lo stesso giorno della partenza.”
Fâkûs giace sull’estremo braccio del Nilo verso levante, ai confini del
deserto di Suez, poco lungi dal lago Menzaleh.
[364] Si confrontino: Ibn-el-Athîr, anno 570, nella _Biblioteca
arabo-sicula_, testo, pag. 310 segg. e nella edizione del Tornberg,
XI, 272 seg.; Abu-Sciama-el-Mokaddesi, nella stessa _Biblioteca_, pag.
332 segg., il quale dà la somma di una lettera scritta da Saladino ad
un suo emir in Siria; Ibn-Khaldûn, op. cit., pag. 508; Makrizi nella
stessa _Biblioteca_, pag. 518 dove la prima data si corregga 569. Nel
_Mesciâri-el-Ascwâk_, ediz. di Bulâk 1242 (1826-7) pag. 196, 197, è un
compendio dello stesso racconto di Abu-Sciama e d’Ibn-el-Athîr. Ne fa
anche parola un contemporaneo, nell’opera geografica posseduta dalla
_Bibl._ imperiale di Parigi, _Suppl. Arabe_, 966 bis, foglio 47 verso.
Behâ-ed-din, _Vita Saladini_, edizione di Schultens, cap. XII, pag.
41, dà un cenno di questa impresa de’ Franchi, senza dir ch’e’ fossero
que’ di Sicilia. Aggiunge ch’essi ritiraronsi dopo tre giorni con gravi
perdite; dà loro 600 legni e trasporta la data al mese di sefer 570
(settembre 1174). Oltre le teride e le galee, l’autore qui nomina le
_botse_, ch’è alterazione della nostra voce “buzzo.”
Per lieve che sia, non è da passare sotto silenzio uno sbaglio di
cronologia de’ compilatori musulmani. Abu-Sciama, il quale trascrive il
testo perduto di ’Imâd-ed-din, dice in principio sbarcati i Siciliani
la domenica, 26 dsu-l-higgia 569 e rotti il 1º di moharrem 570. Lo
stesso scrive Ibn-el-Athîr; di modo che gli assedianti, escluso il
giorno dello sbarco, sarebbero stati sotto le mura di Alessandria per
cinque giorni interi, poichè, sendo il 569 dell’egira quel che noi
diremmo anno bisestile, il mese di dsu-l-higgia ebbe allora 30 giorni
invece di 29. Da un’altra mano, sendo incominciato quell’anno di
domenica e il mese di dsu-l-higgia, di mercoledì, il giorno 26 cadde in
sabato e non in domenica.
Ma la somma della lettera di Saladino come l’abbiamo da Abu-Sciama,
nota i soli giorni della settimana: cioè, sbarco la domenica, assalti
il lunedì e il martedì, sortita e rotta il mercoledì, ritirata
dell’armata il giovedì. Il giovedì appunto, 1º agosto 1174, principiò
il mese di moharrem e l’anno 570 secondo il conto astronomico
dell’egira, che muove dal mezzodì del 15 luglio 622, anzichè dal 16
come lo si conta più comunemente, comprendendovi la notte che precede.
Onde si vede che il giorno assegnato dai compilatori alla _sconfitta_
de’ Cristiani, fu quello in cui l’armata si allontanò d’Alessandria,
non quello dell’ultima battaglia, e ch’essi per errore posero lo
sbarco il 26 invece del 27. Gli imperfetti metodi di cronologia usati
in Oriente e la superstizione di contare il primo del mese quando
proprio si vede la luna, spiegano cotesti errori. Le giornate di quella
infelice impresa van così notate:
Domenica 27 dsu-l-higgia 569 28 luglio 1174, sbarco
28 29 » » 29 30 » assalti
30 » » 31 » sortita; rotta
de’ Siciliani
Giovedì 1º moharrem 570 1º agosto 1174 ritirata
dell’armata.
— Strage dei
300 cavalieri.
M. Reinaud ha dati alcuni squarci de’ citati autori arabi, ne’ suoi
_Extraits, etc._, pag. 173. Debbo avvertire che la nota n. 1, del mio
dotto maestro non è esatta. I Veneziani, i Pisani e i Genovesi, non
sono già nominati nel testo come ausiliari di Guglielmo II in questa
impresa, ma soltanto noverati tra i Cristiani che soleano molestar
l’Egitto.
Degli autori cristiani, Marangone, nell’_Archivio storico italiano_,
tomo VII, parte 2ª, pag. 71, sotto l’anno pisano 1175, dice partita
l’armata siciliana il 1º luglio; forte di 150 galee e 50 dromoni
pei cavalli, con 1000 cavalieri, molti arcieri e balestrieri e molte
macchine (_ædificia_) e che l’armata, appena arrivata in Alessandria,
prese una nave pisana proveniente da Venezia: e qui finisce il racconto
e la cronica. Veggansi inoltre: Guglielmo di Tiro, lib. XXI, cap. 3;
la _Chronica pisana_, presso Muratori, _Rer. Italic._, VII, 191, la
quale qui copia il Marangone; infine la _Cronica anonima nella Historia
diplomatica Friderici II_, dell’Huillard-Bréholles, tomo I, pag. 890.
È da notare che il Caruso, _Memorie storiche_, parte II, vol. I, pag.
186, 192, suppose due spedizioni d’Alessandria, nel 1174, cioè e nel
1178, togliendo l’una da Guglielmo di Tiro e l’altra dalla cronica
Pisana.
[365] Palmieri, _Somma della Storia di Sicilia_, vol. II, pag. 285.
Il buon Di Biasi suppone che que’ tesori fossero stati spesi nella
fabbrica del Duomo di Morreale. Merita tanta maggior lode, dopo ciò,
il mio amico Isidoro La Lumia, il quale, invaghito com’ei sembra di
Guglielmo II, ha riconosciuto, pag. 146-147, l’errore del Caruso e
degli altri, e dato un cenno di questo fatto di Alessandria, secondo
gli scrittori contemporanei cristiani e le poche notizie de’ musulmani
che gli fornisce il compendio del Renaudot, _Hist. Patr. Alexandriæ_,
Parigi, 1713 in-4, pag. 540.
[366] Makrizi, _Mowa’iz_, testo di Bulâk, tomo I, pag. 180. A
coteste frequenti molestie si allude nello squarcio anzi citato della
relazione di Saladino al califo di Bagdad, dove leggiamo (_Biblioteca
arabo-sicula_, testo, pag. 336), “che del navilio del re di Sicilia si
era parlato sovente e del suo esercito non si ignoravano i casi.”
[367] _Baiân-el-Moghrib_, testo, nella _Biblioteca arabo-sicula_, pag.
374. Si veggano i capitoli ij e iv del presente libro, pag. 418 e 490
del volume.
[368] A rigore si potrebbero supporre anco due imprese estive nello
stesso anno 573, che cominciò in fine di giugno 1177 e terminò il 18
giugno 1178.
[369] Ibn-el-Athîr, anni 568 e 576, testo, nella edizione del Tornberg,
tomo XI, pag. 256, 309.
L’epistola di Saladino al califo di Bagdad, inserita nell’opera di
Abu-Sciama-el-Mokaddesi, della quale ho dati alcuni squarci nella
_Biblioteca arabo-sicula_, dice occupate a nome del Sultano, Barca,
Kafsa, Kastilia e Tauzer, ms. arabo della Biblioteca imperiale di
Parigi, _Ancien Fonds_, 707 A, fog. 128 verso.
[370] Ibn-el-Athîr, anno 576, loc. cit. Si confronti il _Kârtas_,
edizione del Tornberg, testo, pag. 139 e traduzione pag. 186; e
Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, traduzione, di M. De Slane, II,
34, 203.
[371] Anno 1180, presso Pertz, _Script._, VII, 528. M. De Mas-Latrie,
nella Introduzione ai _Traités de Paix_, ec., pag. 51, accetta ed
amplifica il racconto dell’abate Roberto e dà alla restituzione delle
due città il significato plausibile, che il principe almohade abbia
permesso ai Siciliani di tenervi loro fondachi. E accomoda anco la
differenza della data tra Roberto e l’anonimo Cassinese, affermando che
le negoziazioni furono cominciate il 1180 e terminate in agosto 1181.
[372] Marrekosci, nella edizione del Dozy, pag. 181 e nella _Biblioteca
arabo-sicula_, pag. 320. Si corregga in questo modo la traduzione
del Marrekosci, ch’io detti già in nota a Ibn-Giobair, nel _Journal
Asiatique_ di marzo 1846, pag. 234 e nello _Archivio storico italiano_,
appendice nº 16, pag. 71.
[373] Si confronti Ibn-el-Athîr, loc. cit. con l’anonimo Cassinese,
presso Caruso, _Biblioteca sicula_, pag. 543. L’uno dice che Kafsa fu
presa il primo giorno del 576 (28 maggio 1180) e che Abu-Iakûb dopo
ciò andò a Mehdia, dove trovò gli ambasciatori e fermata la tregua se
ne tornò _in fretta_ a Marocco; l’altro che Guglielmo fece la tregua
in Palermo d’agosto 1181. Indi suppongo la stipulazione a Mehdia e
la ratificazione a Palermo. Ma quanto all’anno, sto alla data de’
cronisti arabi i quali non sogliono scrivere i numeri in cifre e
sono in generale molto più esatti. Non mi par verosimile poi che la
ratificazione sia stata differita per più di un anno fino all’agosto
1181.
[374] Si vegga qui appresso la nota 1, alla pag. 521.
[375] Ibn-el-Athîr, l. c. Si direbbe quasi ch’egli accennasse al
motivo, continuando, immediatamente dopo aver fatta menzione della
tregua: “L’Ifrikia era straziata allora, ec.”
[376] Testo del Dozy, pag. 193 segg. Si confronti Ibn-Khaldûn,
_Histoire des Berbères_, versione del baron De Slane, II, 188, 207, il
quale differisce in alcuni fatti secondarii.
[377] Presso Muratori, _Rerum Italic._, VI, 355-356. Vi si legge
l’anno della natività 1181, indizione XIII, la quale all’uso di Genova
risponde alla XIV del conto più comune, e però l’anno torna appunto al
1181 del calendario romano.
[378] Par che Pisa in questo tempo rinnovasse ogni dieci anni la tregua
con Majorca; poichè abbiamo notizie delle pratiche del 1161 e del 1173,
dal Marangone, nell’_Archivio storico italiano_, tomo VI, parte 2ª,
pag. 25 e 68. Il trattato originale del giugno 1184 è stato pubblicato
da me ne’ _Diplomi Arabi del Regio Archivio fiorentino_, parte I,
n. IV, pag. 14, seg. nella quale opera, Introduzione, pag. XXXVI, è
da correggere la citazione del Caffaro e la data della spedizione di
Guglielmo II, della quale ci ragguaglia la cronica anonima, pubblicata
nella _Historia Diplomatica Friderici II_, etc.
[379] Testo arabico del regio Archivio di Torino, pubblicato dal Sacy,
nelle _Notices et extraits des mss._, XI, 7, segg.
[380] Si confrontino: Guglielmo di Tiro, lib. XXII, cap. viij, nel
_Recueil des Historiens des Croisades, Historiens Occidentaux_, tomo I,
parte I, p. 1076, e la cronaca anonima del XIII secolo, pubblicata da
M. Huillard-Bréholles nella _Historia Diplomatica Friderici secundi_,
etc., tomo I, pag. 890. Questa non mette data e dice che Guglielmo II
abbia voluto ajutare un principe musulmano scacciato da Majorca; il
qual fatto ci condurrebbe al 1183, ed agli anni seguenti. Guglielmo di
Tiro, dal Cap. v. al vij dello stesso libro, dice di avvenimenti del
1180 e della state del 1181, e incomincia il cap. viij con la morte
di Malek-Sciah figliuolo di Norandino, la quale sappiamo d’altronde
che avvenne di novembre 1181. Per questo dobbiam supporre il naufragio
seguito nell’inverno 1181-1182 e non già nella prima spedizione, della
quale abbiamo la data precisa dal Caffaro.
[381] Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, versione del baron De
Slane, II, 208 a 210.
[382] Di queste orribili condizioni dell’Affrica propria troviamo il
racconto in Ibn-el-Athîr, anni 580 e 581, nella edizione del Tornberg,
tomo XI, p. 334, 342 segg.
[383] Ibn-Giobair, testo e traduzione francese, nel _Journal Asiatique_
di dicembre 1845, pag. 526 segg. e di gennaio 1846, p. 88 segg.
Il testo si legge anco nella edizione del Wright e nella _Bibl.
arabo-sicula_; e la versione italiana, nell’_Archivio storico_,
Appendice n. 16, pag. 35 segg.
[384] Fan cenno di questa impresa Niceta Coniate, Guglielmo di Tiro,
Sicardi vescovo di Cremona ed altri cronisti del tempo; ma quei che più
largamente la narra, anzi con infiniti particolari e troppa rettorica,
è un testimonio oculare che soffrì i disagi dell’assedio e tutte le
onte della occupazione straniera: l’arcivescovo di Tessalonica stessa,
Eustazio, dotto commentator di Omero. Il suo testo su l’eccidio di
Tessalonica, fu pubblicato per la prima volta a Francoforte il 1832, e
ristampato con versione latina, nella collezione bizantina di Bonn, il
1842. Isidoro La Lumia è tra gli scrittori italiani il primo che abbia
fatto uso del testo di Eustazio nella sua Storia di Guglielmo il Buono.
L’anonimo dianzi citato (_Historia Diplomatica Friderici secundi_, tomo
I, parte 2, p. 890) dice anch’esso di questa infelicissima impresa; e
il contemporaneo Rodolfo De Diceto, decano di San Paolo in Londra, la
riferisce con grande esagerazione delle forze siciliane, nientedimeno
che 85,000 fanti e 30,000 cavalli! Nell’_Historiæ Anglic. Scriptores_,
Londra, 1652, pag. 628.
[385] Conradi a Liechtenaw, _Chronicon_, Argentorati, 1609, in fol.
pag. 228.
[386] Epistola di Saladino al califo di Bagdad. Non ostante
l’ampollosità dello stile, questo documento è importantissimo. Saladino
volea mostrare all’universale de’ Musulmani, più tosto che al povero
e negletto pontefice, come la usurpazione sua, anzi lo spogliamento di
tanti piccoli usurpatori, non escludendo que’ della casa di Norandino,
fosse necessario a ristorare l’impero musulmano e cacciare gli Infedeli
dal territorio. Questa epistola fu mandata verso il principio del 1182.
Si vegga Reinaud, _Extraits.... des Croisades_, pag. 184. Io ho dato
nella _Biblioteca arabo-sicula_, pag. 336-7 il testo dello squarcio
dove si dice del re di Sicilia e delle repubbliche di Venezia, Pisa e
Genova.
[387] Si confrontino: l’anonima _Historia Hierosolimitana_, presso
Bongars _Gesta Dei_, ec., vol. I, pag. 1155 segg.; Marino Sanudo, lib.
III, parte ix, cap. 9, op. cit. tomo II, pag. 194; Sicardi vescovo
di Cremona, presso Muratori, _Rer. Italic._, VII, 530; Francesco
Pipino, _Chronicon_, lib. I, cap. xij, op. cit., IX; Bernardi
Thesaur. cap. clxix, clxx, op. cit., VII; _Chronica Anonima _presso
Huillard-Breholles, _Hist. Diplom. Friderici secundi_, ec., tom. I,
pag. 890, 894; _Continuazione francese di Guglielmo di Tiro_, lib.
XXIV, cap 5, 7, 11, nel _Reçueil des Historiens des Croisades —
Historiens Occidentaux_, tomo II, pag. 114, 115, 119 e segg.
Le prime imprese di Margarito fecero tanto romore in Levante, che gli
ambasciatori di Filippo Augusto a Costantinopoli, ragguagliando il re
delle notizie della guerra, diceano presa Giaffa da Margarito, uccisivi
500 Turchi, fatti prigioni otto emiri e presa anco Gebala e trucidati
quanti uomini vi si trovarono. Questa lettera è trascritta da Rodolfo
De Diceto, op. cit., pag. 641 ed anco dall’autore della _Gesta regis
Henrici II_, attribuita a Benedetto abate di Petersborough, ediz.
Stubbs, Londra, 1867, vol. II, pag. 51. Pipino e Bernardo accrescono
infino a 200 il numero delle galee siciliane; Sanudo dice 70 galee, 500
uomini d’arme e 300 turcopoli.
[388] Gli Arabi musulmani chiamano _taghiat_ indistintamente i principi
stranieri. Quella voce significa in origine, violento, ingiusto,
prevaricatore, ec.
[389] Traduzione litterale del bisticcio arabo _kala’t_ e _tala’t._
[390] ’Imâd-ed-dîn, nella _Biblioteca arabo-sicula_, testo, pag. 206,
207. Si confronti Abu-Sciamâ, nella stessa raccolta, pag. 337.
[391] _Secreta Crucis_, presso Bongars, Gesta Dei, ec., II, 194.
[392] Niceta Choniate, _De Isaaco Angelo_, lib. I, § 5, pag. 483, 484;
Sicardi presso Muratori, Rer. Italic., VII, 615; Conradi a Liechtenaw,
pag. 232, dell’edizione citata; _Continuatio Cremifanentis_, presso
Pertz, _Scriptores_, IX, 548; _S. Rudberti Salisburgensis Chron._, vol.
cit. pag. 778. Continuazione di Otone di Frisingen, op. cit., XX, 325;
_Annales Aquenses_, op. cit, XVI, 687; _Contin. Weingart._, op. cit,
XXI, 474 e molti altri cronisti tedeschi. Margarito stesso confessava
i tristi principii della sua vita, nel 1194 quand’egli, grande
Ammiraglio di Sicilia, conte di Malta, ricchissimo e potentissimo,
donava all’Archimandrita di Messina un suo casale “per espiazione dei
suoi misfatti.” Chi non ne avea su le spalle di grossi e conosciuti, li
solea chiamar peccati. Si vegga presso il Pirro, Sicilia Sacra, pag.
980, questo diploma il quale attesta la patria dell’Ammiraglio: “Nos
Margaritus de Brundusio, etc.”
[393] Si confrontino Niceta Choniate, _De Isaaco_, lib. I, § 5, e la
cronica intitolata _Magni Presbyteri_, presso Pertz, _Scriptores_,
XVII, 511, la quale inserisce una relazione contemporanea.
[394] _Gesta regis Henrici II_, attribuite a Benedetto abate di
Petersborough, edizione di Stubbs, Londra, 1867, tomo II, p. 199. Si
vegga la pag. xlvij della Prefazione, nella quale il dotto editore
dimostra che questa parte fu scritta verso il 1192. Lo squarcio era
stato pubblicato prima, sotto il nome di Brompton, nell’_Historiæ
Anglic. Script._, Londra, 1652, I, 1218.
[395] Eustazio di Tessalonica, Opuscula, Francoforte, 1832, pag. 292,
294, e nella edizione di Bonn, 1842, pag. 457, 464, 466.
[396] Nel testo d’Imâd-ed-dîn leggiamo “che i Cristiani messero su le
gerkh” e “spianarono le _zambûrek_.” Della prima di coteste armi si
è fatta menzione nell’assedio di Alessandria. La seconda è citata da
Behâ-ed-dîn, edizione di Schultens, pag. 150 e da Reinaud, _Extraits_,
etc. pag. 416.
[397] Paolo Santini da Duccio, nel bel ms. della Biblioteca imperiale
di Parigi, pubblicato in parte da MM. Reinaud et Favé (_Du feu
gregeois_, etc., Paris 1849 in -8) dà la figura del _mantellectus_ del
XIV secolo, un asse cioè, inclinata a 45° e sostenuta da due fiancate
triangolari, in forma di leggìo, dietro la quale riparavasi il soldato.
Traduco mantelletti la voce _giafati_ che si legge in Imâd-ed-dîn e con
lieve variante in Ibn-el-Athîr. Questi nomina inoltre le _târakîa_, che
M. Reinaud, con l’approvazione di M. De Sacy (_Chréstomathie Arabe_,
tomo I, pag. 273, della 2ª edizione) credette analogo a θώραξ. Ma qui
evidentemente non si tratta di corazze, e se pure quel vocabolo greco
diè origine all’arabico, variò in questo il significato, vedendosi nel
_Vocabulista Arabico_ della Riccardiana resa “scutum” la voce _Derak_
o _Tarak_. Credo sia appunto la nostra “targa”, ossia scudo grande del
medio evo. E questo si adatta molto meglio che corazza, nel luogo di
Makrizi, citato da M. De Sacy. Si riscontri Quatremère, _Histoire des
Mongols de la Perse_, tomo I, pag. 289. Imâd-ed-dîn, in luogo di questa
voce, ne mette due, cioè _tirds_ “scudi” e _satâir_, che mi par usato
genericamente per significare “ripari”.
[398] Si confrontino: ’Imâd-ed-dîn da Ispahan e il suo compendiatore
Abu-Sciama-el-Mokaddesi, nella _Biblioteca arabo-sicula_, testo, pag.
205 segg. 337 segg. e Ibn-el-Athîr, anno 584, op. cit., pag. 312 segg.
e nella ediz. del Tornberg, tomo, XII, pag. 2 segg. M. Reinaud ha
dato un cenno di cotesto racconto ne’ suoi _Extraits.... relatifs aux
Croisades_, pag. 226-227.
[399] _Gesta regis_, etc. attribuita a Benedetto di Petersborough,
dianzi citata, tomo II, pag. 175, 180. Si confronti quel testo con
Ruggiero de Hoveden.
[400] Si confrontino: la continuazione francese di Guglielmo di
Tiro, lib. XXIV, cap. 7, nel _Recueil des historiens des Crosaides_,
_Historiens Occidentaux_, tomo II, pag. 114-115 e la citata _Gesta
regis Henrici II_, attribuita a Benedetto abate di Petersborough,
tomo II, pag. 133, alla quale corrisponde Ruggiero de Hoveden, presso
Caruso,_ Bib. Sic._, pag. 960.
[401] _Gesta regis Henrici II_, or or citata, II, 54. Come si ritrae
dalla prefazione dello Stubbs, l’autore anonimo era informatissimo
degli affari della corte inglese, negli ultimi tempi di Arrigo II e
ne’ primi di Riccardo. Il qual principe avendo passato l’inverno del
1190-1 in Messina, dove ei conobbe Margarito, e la state seguente
all’assedio d’Acri, i suoi intimi doveano sapere benissimo que’ fatti
recenti dell’armata siciliana ne’ mari di Palestina. Ecco le parole del
cronista: “Eodem vero anno, quidam vir potens et terra et mari, natione
Sigulus (siculus), nomine Margaritus, per auxilium domini sui Willelmi
regis Siciliæ, profectus cum quingentis galeis bene munitis, et viris
bellicosis et victu et armis, in auxilium Cristianorum, et vias maris