Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte II - 36
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[265] Letteralmente “le lunghezze delle distanze e le larghezze di
esse;” ossia le distanze in dirittura dei meridiani e de’ paralelli.
E in vero, i pratici de’ luoghi non poteano dar che le distanze
secondo le vie conosciute e la direzione delle stesse vie secondo
la rosa de’ venti; e questo appunto è ciò che noi troviamo nella
geografia di Edrîsi; ma i gradi di longitudine e latitudine, si
doveano domandare agli astronomi antichi o a’ viventi. Montava poi di
verificare reciprocamente le tavole di longitudine e latitudine e le
distanze riferite da’ pratici: e questo è appunto ciò che Edrîsi dice
essere stato praticato quando il re fece riportare col compasso quelle
distanze sopra un planisfero graduato, e ricercare da qual parte fosse
l’errore, nel caso di discrepanza tra le tavole e gli itinerarii.
Pertanto non mi sembra precisa la traduzione francese, pag. xx:
“Ensuite il voulut savoir d’une manière positive les longitudes, les
latitudes” etc.
[266] “Planche à dessinner” mi pare espressione troppo vaga. Il testo
ha “tavola del _tarsîm_, o, diremmo noi dell’abozzo, dello schizzo o
simili.” Come ognun vede, non si trattava di un foglio _da disegno_,
ma di un foglio già delineato, una mappa, sia che fosse graduata
soltanto per costruirvi le figure geografiche, sia che vi fosser anco
delineati i contorni e segnati i punti principali, per verificarli,
confrontandoli con le distanze itinerarie.
[267] _Mofassel_ significa propriamente diviso in pezzi, o composto di
varii pezzi. Però mi discosto dall’opinione del mio dotto maestro Mr.
Reinaud, che credea meramente diviso in gradi il disco d’argento, nel
quale doveasi incidere il planisfero. Edrîsi stesso dà alla seconda
forma del verbo _fazel_ il significato di tagliare, adoperandola
nel descrivere il lavorio del corallo a Ceuta (Dozy et de Goeje,
_Description de l’Afrique_, etc., par _Edrîsi_, pag. 168 del testo,
201 della versione). D’altronde il planisfero d’un pezzo d’argento che
pesava 150 chilogrammi ed avea per diametro poco men che due metri, non
sarebbe stato punto maneggevole.
[268] Il peso chiamato _dirhem_, variò e varia tuttavia ne’ paesi
musulmani: la media tra i _dirhem_ odierni di Egitto, Aleppo, Algeri,
torna, evitando le frazioni troppo minute, a grammi 3,35; moltiplicato
il qual numero per 112, si avrebbe il _rotl rumi_, ossia libbra
italiana, poco oltre i grammi 375, cioè 13 grammi più della libbra di
Bologna e 26 più di quella di Roma e Firenze: e il peso del planisfero
monterebbe a 150 chilogrammi. Supponendolo grosso cinque millimetri e
ritenendo la qualità di argento data da Edrîsi, il diametro tornerebbe
a metro 1,90, secondo il calcolo che ha fatto a mia richiesta l’amico
senatore Brioschi.
[269] Credo risponda precisamente a questo, nel presente luogo, la
voce _Khalk_ del testo, “creazione” e cose create in generale, e “cosa
ordinata, disposta ec.,” in particolare; sì che talvolta si ristringe
agli esseri ragionevoli, secondo le idee musulmane, cioè gli uomini e i
_ginn_.
[270] La prefazione si legge intera ne’ codici ch’io ho designati
con le lettere A. C. (Introduzione, vol. I, pag. xliv, e _Bibl.
arabo-sicula_, testo, pagina 14, nota 1) e ne avanzano pochi righi nel
D. Traduco ora le tre lezioni:
A. “.... il vestire, la lingua. E ho dato a questo (libro) il titolo
di _Nozhat_, ec. Esso è stato messo insieme, coordinato, licenziato e
connesso (rilegato?) verso lo scorcio di scewâl del 548. Comincio or a
trattar, la prima cosa, della figura della Terra, ec.”
C. “.... il vestire, la lingua; e (continua a reggere comandò il re)
che fosse posto a questo libro il titolo di _Nozhat_, ec. Ed ecco
che io ubbidisco a così fatto comando, e compio questa prescrizione,
cominciando la prima cosa, a trattar della figura della Terra, ec.”
D. Vi manca, coi primi fogli tutta la prefazione innanzi la voce
“questo” della quale si scerne qualche vestigio, e segue _“K « t »
b_ (il titolo) di _kitâb_ (libro) del _Nozhat_, ec. E ciò è stato
ne’ primi dieci (giorni) di ianîr, corrispondente al mese di scewâl,
dell’anno 548. Ed ecco ch’io ubbidisco a così fatto comando e compio
questa prescrizione, cominciando, la prima cosa, a trattar della figura
della Terra, ec.”
Riman qui a spiegare il vocabolo arabico che ho notato con le sole tre
lettere della radice, mancandovi le vocali; il quale per omissione se
mia o del tipografo non so, fu saltato nel testo della _Biblioteca_,
linea 10 della pag. 19. Non potendo suppor cotesto vocabolo scritto
erroneamente, in sì bel codice e in luogo sì cospicuo del testo, invece
di _Kitâb_ (libro), la qual voce viene immediatamente dopo, mi par sia
da leggere _Katb_, “scritto” onde il passo intero tornerebbe “ed (ha
comandato il re) che si desse a questo scritto il titolo di libro del
_Nozhat_, ec.”
Or ognun vede che i codici D e C appartengono a ramo diverso dal codice
A; che il più vicino al ceppo, per continuare la mia similitudine, è
D dove si legge il mese di gennaio; che questo vocabolo non arabico e
però mal compreso fu soppresso dal copista di C; e che il copista di
A seguì un testo diverso, dato fuori com’egli è verosimile, quando il
compilatore, fuggito ne’ tumulti della Sicilia, rivendicò, o si arrogò
l’invenzione del titolo. Se mai si pubblicherà il testo compiuto del
_Nozhat_, vedran più chiara i dotti la distinzione de’ tre citati
codici ed anco di quello designato con la lettera B, nel quale non si
può decifrare la prefazione. Duolmi che, confrontando i due Mss. della
Bodlejana, io non abbia potuto, incalzato sì com’era dal tempo, notare
le varianti di tutta l’opera o almeno di più lunghi squarci. Il mese di
scewâl 548 corre dal 20 dicembre 1153 al 17 gennaio 1154.
[271] Il più importante lavoro scientifico che abbia trattato di questa
geografia, quello cioè del Lelewel, _Géographie du moyen-âge_, tomo
I, pag. 92 a 107, §§ 54 a 64, vi ammette l’influenza delle dottrine
geografiche dell’Occidente e la partecipazione diretta di Ruggiero.
[272] Gli Arabi del medio evo chiamavan così il tratto della costiera
settentrionale d’Affrica che corre da Tunis a Capo Spartel.
[273] Non credo che Sefedi abbia confusa la sfera armillare, da lui per
altro descritta precisamente, col planisfero di che dice Edrîsi nella
prefazione. Secondo il biografo, il re mandò a Edrîsi, per costruire
la sfera, dei pezzi di argento del peso di 400,000 dirhem; del qual
metallo fu adoperata una terza parte e due terzi avanzarono. Ruggiero
ne fece dono a Edrîsi; aggiunse altri centomila dirhem e poi una nave
carica di merci latine preziosissime proveniente da Barcellona.
[274] Testo nella _Bibl. ar. sicula_, pag. 657, 658. Si trova una buona
traduzione francese di questo squarcio, nell’opera di M^r. Reinaud,
_Géographie d’Aboulféda_, tomo I, Introduzione, pag. cxlv e cxv.
[275] Scehâb-ed-dîn-Omari, grande erudito del XIV secolo, ricordando
il Nozhat come il miglior trattato di geografia ch’ei conoscesse,
loda Ruggiero di profonda dottrina in filosofia antica e in geometria
e dell’avere speso molto tempo e danaro nella compilazione di quella
grande opera. Nella _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 152.
[276] Presso Muratori, _Rer. Italic._, tomo XII, pag. 283.
[277] Conferma l’accusa Goffredo da Viterbo (presso Caruso, _Bibl.
sicula_, pag. 947) dicendo: «Rogerius Paganus erat de more vocatus.»
[278] Annali, an. 539, testo nella _Bibl. ar. sicula_, pag. 288 e nella
edizione del Tornberg, tomo XI, pag. 66. Si vegga anco la traduzione
francese di M^r. Reinaud, negli _Extraits des auteurs arabes, etc.,
rélatifs aux Croisades_, pag. 77.
[279] Lascio come superflue le citazioni, fuorchè per questa briga con
l’Egitto. Si guardi ciò che io n’ho detto nel cap. II, del presente
libro, pag. 426, e i cenni che pria n’avea dati nei _Diplomi arabi del
reale Archivio fiorentino_, Introduzione, § XXX, diplomi II, III, IV
e V della seconda serie e note ai medesimi, dalla pag. 452 alla 458,
intorno le relazioni di Pisa con l’Egitto in questo tempo.
[280] Ibn-el-Athir, anno 547, nella _Bibl. ar. sicula_, testo, pag. 300.
[281] Limitando le citazioni com’ho fatto di sopra, le darò per
questa battaglia di Negroponto, le cui circostanze non sono state ben
determinate fin qui. Ne fanno parola Niceta Choniate e il Cinnamo,
presso Caruso, _Bibl. sicula_, pag. 1163, 1176; la Continuazione
di Sigeberto da Gembloux e Romualdo Salernitano, presso Pertz,
_Scriptores_, VI, 455 e XIX, 429; e il Marangone, nell’_Archivio
Storico italiano_, tom. VI, parte II, pag. 18. I Bizantini, al solito,
trascuran la data; Romualdo non la dà precisa; la Continuazione di
Sigeberto (che il Caruso, op. cit., pag. 951, attribuisce a Roberto del
Monte) la segna con l’anno 1154 e aggiugne una circostanza riferita
altresì dal Cinnamo, cioè che l’armata siciliana ritornava appunto
dall’Egitto, carica di preda. Or come noi sappiamo dal Makrizi la
scorreria d’Egitto dell’agosto 1155, così parrebbe a prima vista che
star si dovesse alla data della Continuazione, differendola bensì d’un
anno. Ma il Marangone, il quale pon la battaglia nel 1158 pisano, dà su
la guerra di Guglielmo I nell’Adriatico e su questa di Negroponto tanti
e sì precisi particolari, da mostrar che in quel tempo i Pisani teneano
ben gli occhi aperti su i movimenti del navilio siciliano. D’altronde
tutte le narrazioni portano a credere che la battaglia di Negroponto
sia succeduta, non al principio ma allo scorcio della guerra.
Ritengo io pertanto, col Marangone, la data del 1157 comune. Quella
coincidenza con le depredazioni in Egitto si spiega benissimo
ammettendo due o più scorrerie dell’armata siciliana, delle quali i
cronisti d’Egitto avessero notata una sola, la più strepitosa. E così
anche si spiegherebbe l’error di data della Continuazione, il cui
autore avrebbe per avventura risaputa la grande scorreria d’Egitto
del 1151 o 1155 e la gran vittoria navale sopra i Greci al ritorno
dall’Egitto, onde avrebbe creduta identica la data.
[282] Makrizi, _Mowa’iz_, testo di Bulak, tomo I, pag. 214. Oltre la
data dell’anno e del mese, il compilatore dice ch’era califo Fâiz e
vizir Telai’-ibn-Ruzaik, del quale si sa essere entrato in ufizio il 1º
giugno 1154. Si vegga anco la Continuazione di Sigeberto testè citata,
la quale sembra molto bene informata degli avvenimenti dell’Egitto
in questo tempo. Infine il dispaccio di quel vizir ai Pisani, che si
legge ne’ _Diplomi del regio Archivio fiorentino_, nº V, della seconda
serie, pag. 253, il quale pare dell’anno 1156, dice espressamente della
recente scorreria de’ Siciliani in Tennis.
[283] Continuazione di Sigeberto, l. c. Masmudi eran detti gli Almohadi
dal nome della tribù che tenne l’egemonia di quella setta religiosa.
Gli assalitori eran dicerto pirati spagnuoli o della costiera d’Affrica
a ponente di Bugia.
[284] _Gesta Friderici_, lib. II, cap. 22.
[285] Cap. ij di questo libro, pag. 419, 420. Il dotto baron De Slane,
nella versione d’Ibn-Khaldûn, _Hist. des Berbères_, Appendice del vol.
II, 587, ha letto Ghariani, dopo aver seguita nelle pag. 37-38 dello
stesso volume la lezione Feryani. Non ostante l’autorità di un erudito
di tanto nome, parmi stare alla lezione _Foriâni_ ch’è nei Mss. citati,
raddoppiandovi la seconda radicale, come si legge nel _Lobb-el-Lobâb_,
parte I, pag. 196 e nel _Merasid-el-Ittila’_. Quel nome etnico si
riferisce a Forriana, villaggio presso Sfax.
[286] Non aggiungo una parola del mio in tutto questo racconto.
[287] Si confrontino: Ibn-el-Athîr, anno 551; Tigiani e Ibn-Khaldûn,
nella _Bibl. ar. sicula_, testo, pag. 300 segg., 381 segg., 490, 503,
504.
[288] Ibn-el-Athîr, l. c. Si ricordi ciò che abbiam detto nel cap. ij
di questo libro, pag. 425, 426 del volume, intorno le condizioni in cui
fu lasciata l’isola delle Gerbe il 1153.
[289] Si vegga il cap. ij del presente libro, pag. 409 del volume.
[290] Si confrontino Tigiani e Ibn-Khaldûn, nella _Bibl. ar. sicula_,
testo pag. 389, 489, 504. Ibn-el-Athîr, l. c., fa menzione della
ribellione di Tripoli, senza data, nè altri particolari; se non ch’ei
la dice seguita dopo quella di Sfax e pria che quella di Kabes.
Ibn-Khaldûn scrive che que’ di Tripoli dando addosso a’ Cristiani “li
bruciarono col fuoco.” Credo sia stato qualche stratagemma come quel
delle funi e travi apparecchiate al chiaro della luna, piuttosto che un
_auto da fe_ dei prigioni. I costumi de’ Musulmani non portavano queste
crudeltà.
[291] Ibn-el-Athîr, l. c. Ibn-Khaldûn nella citata pag. 504.
[292] Ibn-el-Athîr, l. c., e pag. 304. Questo capitolo degli annali,
ancorchè posto nel 551, contiene fatti posteriori, come quello di
Tripoli, di cui altri scrittori segnan la data precisa.
[293] Ibn-el-Athîr, cap. cit, pag. 301.
[294] Si confrontino: Ibn-el-Athîr, l. c.; Ibn-Khaldûn, testo nella
_Bibl. ar. sicula_, pag. 504 e il _Baiân_ nella stessa raccolta,
pag. 374, il quale porta soltanto le date della sollevazione contro i
Cristiani in Mehdia e della ricuperazione di Zawila, le quali mancano
nel racconto d’Ibn-el-Athîr. Questi narra la sollevazione di Zawila
innanzi il supplizio del Forriâni; ma non è verosimile che Guglielmo
abbia differita quella vendetta per un anno e qualche mese.
[295] Presso Caruso, Bibl. sicula, pag. 951, con l’anno 1158 e presso
Pertz, _Scriptores_, VI, 506, con l’anno 1157. Nella prima di coteste
edizioni il nome dell’isola di cui si suppone capitale Sibilla (Zawila)
è scritto Gerx; nella seconda Gerp, la quale lezione credo sia stata
preferita come vicina a Gerbe, della qual isola parve al dotto editore
si trattasse. Io credo che per isola si debba qui intendere penisola
(gli Arabi hanno un sol vocabolo per l’una e per l’altra), e che sia
da preferire la lezione Gerx, come quella che più si avvicina a Scerik,
nome della penisola che separa i golfi di Tunis e di Hammamet, la quale
oggi si chiama El-Dakhel, ma gli Arabi del medio evo or la dissero di
_Scerik_, da un nome proprio d’uomo, or di _Bâsciu _(Basso?) nome della
città principale. Non è verosimile che i Siciliani avessero ripigliata
allora cotesta penisola, ma pare che Mehdia o Zawila fosse considerata
allora come capitale di un piccolo stato che prendesse il nome dalla
penisola vicina. A me par certo che sendo padroni di Mehdia e di Susa,
i Siciliani lo fosser anco di una parte della costiera, e in ispecie
della penisoletta di Monastir, appendice di Mehdia. Si vegga, su la
topografia di cotesti luoghi, l’Edrîsi nella edizione dei sigg. Dozy e
De Gœje, pag. 108, 109, del testo, e 126-8, della versione. Edrîsi dice
che i tre villaggi o castelli di Monastir erano abitati da religiosi,
come d’altronde si può supporre da quel vocabolo.
[296] In primo luogo non mi par dubbio che il re di Sicilia credesse
allor appartenere alla sua corona il diritto d’istituire sedi
vescovili, come l’esercitarono gli imperatori bizantini. Si noti la
fondazione del vescovado di Cefalù e il titolo di _Arcivescovo di
Sicilia_, dato a quel di Palermo in un diploma di re Ruggiero, presso
il Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 95, 96.
In secondo luogo è da ricordare che, per antica costumanza, il
metropolitano di Palermo, ricordando solennemente ogni anno i suoi
suffraganei, solea nominare tra quelli il vescovo di Tripoli d’Affrica,
su di che si vegga il Pirro, op. cit., pag. 21.
Si consideri inoltre che tra i diplomi della Cappella Palatina di
Palermo, nel Tabulario di essa, pag. 34, seg. nº XV, è l’inventario
della suppellettile della Chiesa d’Affrica, nel quale si legge che una
parte era stata fatta a spese dell’_Arcivescovo_. Mi par si alluda più
tosto a quello d’Affrica che a quel di Palermo. D’altronde il fatto di
trovarsi quell’inventario nella Cappella Palatina, può indicare che la
Chiesa d’Affrica si volesse far dipendere dal Cappellano Maggiore, o
che per lo meno la suppellettile si conservasse a cura dì questo, come
proveniente da una regia fortezza.
[297] Ibn-el-Athîr, anno 551, testo del Tornberg, vol. XI, pag. 139,
140. Si confronti il Kariâs versione del Tornberg stesso, tomo I, pag.
170 a 173; Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, traduzione del baron
De Slane, tomo I, 254 segg. e tomo II, 173, 190 segg.
[298] Il soggiorno d’Ibn-Sceddâd in Palermo l’anno 551 dell’egira, è
attestato dal Nowairi, in un luogo del quale diè la versione francese
M. Rosseeuw de Saint-Hilaire, _Histoire d’Espagne_, tomo III (Paris,
1838). _Pièces justificatives_, nº IV, par. 511. Questo squarcio,
tradotto da M. Vincent e tolto da un Ms. arabico di Parigi che non si
cita, contiene un aneddoto dì Abd-el-Mumen che il cronista riferiva
essergli stato raccontato da un mercatante musulmano di Mehdia, ch’egli
incontrò l’anno 551 nella capitale della Sicilia.
[299] Presso Tigiani, che abbiam citato di sopra, nel cap. ij, pag.
379, in nota. L’_Holâl-el-Mausciah_ dà il nome di Abd-Allah-ibn-Meimûn.
[300] Si confrontino: Ibn-Sahib-es-Selât; Ibn-el-Athîr, anno 554;
Marrekosci; Ibn-Khaldûn, nella _Bibl. ar. sicula_, testo pag. 197,
303-304, 319, 504. Non cito il Nowairi, perch’egli qui copia di parola
in parola Ibn-el-Athîr. Cotesti scrittori non son d’accordo sul tempo
della mossa da Marocco e si comprende benissimo.
[301] Secondo alcuni cominciò l’assedio il 18 regeb (5 agosto 1159).
Secondo altri tornerebbe al 12 luglio.
[302] Marrekosci.
[303] Ibn-el-Athir, Marrekosci, ec. dicono anche figliuoli di _Molûk_,
ch’è il plurale di _Mâlik_, re; ma diceasi anco de’ grandi feudatari,
come abbiamo avuta occasione di notare. Non mi par che meriti molta
attenzione un luogo di Marrekosci, compilatore del XIII secolo, nel
quale ei chiama i soldati del presidio “compagni del Duca.”
[304] L’autore anonimo dell’_Holâl-el-Mausciah_.
[305] Gli scrittori musulmani esprimono questo fatto al rovescio, cioè,
che la galea entrava nell’arsenale bella e armata senza mettere a terra
un sol uomo
[306] Macchine da lanciar sassi, più piccole che i mangani. Il Kartas,
in vero, ch’è qui il solo che faccia menzione di macchine oltre i
mangani, le chiama _ra’ade_, cioè “tonanti,” il qual nome fu dato alle
artiglierie. A me par che l’autore, il quale visse nel XIV secolo
e non conoscea per l’appunto quando fosse stato fatto il primo uso
della polvere nelle armi da gitto, abbia sostituito di capo suo quella
nota voce ad _’arrâde_ che al suo tempo e nel suo paese potea parere
antiquata. Forse fu errore dei copisti, e in ogni modo le lettere
radicali, che son le stesse, disposte sì in altro ordine, si prestavano
all’equivoco. Nello stesso modo va spiegato un luogo d’Ibn-Khaldûn,
autore anch’egli del XIV secolo, secondo il quale le “tonanti”
sarebbero state usate in Affrica nel XIII. Si vegga su questo dubbio il
bel trattato dei sigg. Reinaud et Favé, _Du feu grégeois_, Paris, 1845,
pag. 75 segg. e si confrontino: Dozy, _Historia Abbadidarum_, II, 202
e 264 e Ibn-Batuta, _Voyages_, Paris, 1853-58, tomo III, 148, 194, 238,
396.
[307] Ibn-el-Athîr, ec.
[308] Zerkesci.
[309] Questo fatto è riferito dal solo Marrekosci.
[310] Falcando.
[311] Secondo l’_Holâl-el-Mausciah_, sarebbero state una cinquantina,
poichè il numero totale delle navi si fa montare a dugento.
[312] Ibn-Sceddâd, presso il Tigiani.
[313] Si confrontino: Ibn-Sahib-es-Selât; Ibn-el-Athir; Marrekosci;
il _Baiân_; Tigiani; il _Kartâs_; Abulfeda; Ibn-Khaldûn; Zerkesci;
Ibn-abi-Dinâr, nella _Bibl. ar. sicula_, testo, pag. 197,
303-308, 319-320, 374, 401-402, 403-404, 417, 504-506, 523, 540,
e l’_Holâl-el-Mauscîah_ ec. (il Pallio variopinto che ricorda
gli avvenimenti di Marocco) compendio anonimo, scritto l’anno 783
dell’egira (1381-2) Ms. della Bibl. imp. di Parigi. _Ancien fonds_,
825, pag. 116. Non cito il Nowairi perch’egli copia letteralmente
Ibn-el-Athir in questi capitoli. Di cotesti scrittori ho notate
alcune differenze. L’_Holâl_ inoltre attribuisce agli ambasciatori
del presidio cristiano appo Abd-el-Mumen, l’adulazione di avergli
detto ch’egli era appunto il predestinato alla monarchia universale di
che parlavano i loro libri. Del racconto di Tigiani abbiam anco una
traduzione francese di M. Alph. Rousseau, nel _Journal Asiatique_ di
febbraio 1853, pag. 209 segg. I capitoli più importanti d’Ibn-el-Athir
sono stati tradotti in francese dal baron De Slane, nella _Histoire des
Berbères_ d’Ibn-Khaldûn, tomo II, Appendice, pag. 585 segg. Similmente
i luoghi d’Ibn-Khaldûn, che abbiam citati nel presente Capitolo, si
trovano nella citata versione di M. De Slane, tomo II, pag. 38, 39,
193. Il Conde, _Dominacion de los Arabes en España_, Parte III, cap.
xliv, narra distesamente questa impresa di Mehdia, con alcuni de’
particolari notati da noi ed altri che non troviamo ne’ nostri testi.
Ma la compilazione del Conde non può tener luogo de’ testi che ci
mancano.
Degli autori cristiani son da vedere il Falcando e Romualdo
Salernitano, sì discrepanti l’un dall’altro, il primo nel Caruso,
_Bibl. sicula_, pag. 420, 421, il secondo in Muratori, _Rer. Italic._,
VI, 199, e presso Pertz, _Scriptores_, XIX, 429.
[314] Si confrontino il Falcando e Romualdo Salernitano, presso Caruso,
Bibl. sicula, pag. 412 segg., 419, 421, 865, 866.
[315] Di questa sola ragione d’economia fa parola il Falcando, op.
cit., pag. 421.
[316] Questo rimprovero l’ho aggiunto io. Pietro era forse caduto in
disgrazia o tenuto com’oggi diremmo “in disponibilità.” Ma tornò ben in
favore a capo di due anni.
[317] Falcando, op. cit., pag. 135.
[318] Si confrontino sempre Falcando e Romualdo Salernitano.
[319] Si confrontino Falcando e Romualdo Salernitano, op. cit., pag.
434 segg., ed 866.
[320] Imâd-ed-dîn, nella _Kharida_, testo nella _Bibl. ar. sicula,_
pag. 599, dice che “l’ammazzarono i Franchi di Sicilia dopo l’anno
550 (1155-6) nella carnificina ch’ei fecero dei Musulmani.” Mi
pare da riferir questo caso alla sedizion di Palermo, piuttosto che
alla proscrizione che fecero non guari dopo i Lombardi nell’interno
dell’isola.
[321] Ibn-Bescrûn, citato da Reinaud, _Géographie d’Aboulfeda_,
Introduzione, pag. CXXI. Il titolo era: _Rudh-el-Uns wa
Nozhat-en-Nofs_, ossia “Giardini dell’Umanità e diletto dell’anima.”
[322] Si confrontino sempre il Falcando e Romualdo.
[323] Falcando, op. cit., pag. 440. Ne fa cenno appena Romualdo, op.
cit., pag. 868. Si ricordi ciò che abbiam detto di Ruggiero Schiavo e
delle popolazioni lombarde nel libro V, cap. viij, pag. 222 seg., 226
segg., di questo volume.
Si noti che Butera fu sempre feudale, e che Piazza era stata tenuta,
come qui dice il Falcando, dal padre di Ruggiero Schiavo, cioè il conte
Simone, figlio di Arrigo, dei marchesi Aleramidi.
[324] Falcando, op. cit., pag. 442.
[325] Op. cit., pag. 444-445.
[326] Nei principii del regno di Guglielmo il Buono, quand’egli arbitro
dello Stato se n’era fuggito in Affrica per paura de’ baroni nemici
suoi, il Conte di Gravina lo chiamò dinanzi la regina “servum saracenum
qui stolium dudum prodiderat.” Falcando, op. cit., pag. 454.
[327] Falcando, op. cit., pag. 448.
[328] Abd-el-Mumen fu dei più grandi uomini di Stato de’ suoi tempi;
dotto anco nelle scienze filosofiche e nelle matematiche, come
il prova una sua compilazione delle vere o supposte lezioni del
Mehedi, che fondò primo la potenza almohade; la quale opera si trova
manoscritta nella Biblioteca imperiale di Parigi, _Supplément arabe_,
n. 238. Abd-el-Mumen, presa Mehdia, fece fare un catasto dell’Affrica
settentrionale, misurar la superficie in parasanghe quadrate, dedurre
un terzo pei monti, i fiumi e le paludi, e impose, in ragione della
superficie rimanente, una tassa che le tribù dovean pagare in grano o
in moneta. Ei cominciò a tramutare in Spagna i feroci Arabi d’Affrica.
Fece allestire, dicono, 700 navi; fabbricare 10,000 quintali di saette
ogni dì; scrivere 500,000 uomini, ec. Su questi preparamenti si vegga
Ibn-el-Athîr, anni 555, 558, edizione del Tornberg, tomo XI, pag. 162
segg., 191 segg. del testo; Marrekosci, testo, pag. 168; _Kartâs_,
edizione del Tornberg, testo pag. 129, 131, 132, e versione, 174, 176,
177; e Ibn-Abi-Dinâr (El-Kairouani) versione francese, pag. 196.
[329] Si confrontino: il _Baiân_, anno 558, e Tigiani, entrambi nella
_Bibl. ar. sicula_, testo, pag. 374 e 378, 379.
Il primo pone la data, dice d’uno sbarco di Rûm in generale, del
novello “caso,” com’ei lo chiama, di Mehdia e dell’occupazione di Susa;
il secondo fa menzione del governatore che avean messo gli Almohadi
a Susa dopo che s’impadronirono di Mehdia, e poi accenna alle stragi,
rapine e cattività di que’ di Susa ed a’ prigioni riportati in Sicilia
dall’armata. Indi non è dubbia la identità del fatto.
[330] Falcando non dà il nome del palagio. Il testo di Romualdo ha
_Lisam_, nelle edizioni antiche; ma quella di Pertz, _Scriptores_,
XIX, 434, dà più correttamente _Sisam_, con l’avvertenza in nota
“Hodie Cisa,” la quale lezione rende forse la pronunzia all’orecchio
di qualche straniero, ma io non l’ho mai vista in alcuna scrittura
nostrale. Al contrario, i diplomi latini del XIII e XIV secolo
ed una cronaca anch’essa del XIV, hanno _Zisa_, e _Asisia_, ed un
diploma del 1238, presso Mongitore, _Sacrae domus Mansionis_....
Monumenta, contien la concessione d’un terreno _in regione Assisii_,
al mascolino. Finalmente avverto che l’aggettivo _El-’Azîz_, anche
al mascolino, poichè si sottintende _El-Kasr_ (il palagio), occorre
in fin della iscrizione arabica della sala terrena, pubblicata dal
Morso, _Palermo Antico_, 2ª edizione, pag. 184. Ma di ciò mi propongo
di trattar più lungamente nel Cap. xj del presente libro. Notisi
intanto che la lezione Sisa, risponde precisamente alla trascrizione
del nome Abd-el-’Azîz, il quale in un diploma del 1239, nel registro
dell’imperator Federigo II, ediz. del Carcani, pag. 398, è scritto
Abdellasis.
[331] Si confrontino sempre Falcando e Romualdo, nell’op. cit., pag.
448, 449 e 870, 871. Anche nelle piccole cose si dimostra la nimistà
dell’uno e lo studio cortigiano dell’altro. Falcando, per esempio,
si compiace a notare che Guglielmo non arrivò a veder finita l’opera
della Zisa; Romualdo la fa credere compiuta, e parla più largamente
delle acque e de’ giardini di quel sito reale, de’ mosaici aggiunti da
Guglielmo nella Cappella palatina, ec.
[332] Ho corretto il giorno della morte secondo la Cronica Cassinese
e il libro mortuario dello stesso monastero, presso Caruso, op. cit.,
pag. 512 e 522.
[333] La parte presa dalle donne, secondo il Falcando, nelle esequie di
Guglielmo I, somiglia perfettamente a quella che è attribuita loro nei
funerali di Malek Salih al Cairo (1249) in un luogo d’Abu-l-Mehasin,
del quale M. Quatremère ha dato testo e traduzione nella _Histoire des
Sultans Mamlouks_, tomo I, parte II, pag. 164. Per parecchi giorni le
schiave andavano per le strade battendo i cembali, e le gentil donne le
seguian senza velo, piangendo e picchiandosi il volto.
[334] Si veggano i fatti nel Falcando, presso Caruso, _Bibl. sic._,
pag. 451 a 453.
Non mi pare inverosimile che alcuno di cotesti provvedimenti sia stato
comandato nel testamento di Guglielmo I. Almeno un passo del Falcando,
op. cit., pag. 454, prova che l’eunuco Pietro era stato emancipato nel
testamento e che fu confermata la manomissione dai reggenti.
[335] Si vegga il cap. III di questo medesimo libro, pag. 432, 433, 439
del volume.
[336] I diplomi arabi e greci di Sicilia che stamperà il prof. Cusa
di Palermo, daranno larga materia ad osservazioni di questa natura.
Intanto io voglio notare un esempio, tolto dal diploma arabico di
Morreale del 1182, del quale mandommi copia il lodato professore, e la
traduzione latina si trova nel Lello (Michele del Giudice) _Descrizione
del real Tempio.... di Morreale_, Appendice dei _Privilegii e Bolle_,
pag. 8 e segg. In questo diploma la voce _hârik_, ordinariamente
usata in Sicilia col significato di collina, è tradotta “terterum”,
voce francese latinizzata; il nome di luogo _Descîsc_ è trascritto
“Dichichi”; _el-Andalusin_ (gli Spagnuoli) “Hendulcini”; _Giabkalîn_,
“Chapkalinos”, ec.
[337] Quello che or si dice dell’Albergaria.
esse;” ossia le distanze in dirittura dei meridiani e de’ paralelli.
E in vero, i pratici de’ luoghi non poteano dar che le distanze
secondo le vie conosciute e la direzione delle stesse vie secondo
la rosa de’ venti; e questo appunto è ciò che noi troviamo nella
geografia di Edrîsi; ma i gradi di longitudine e latitudine, si
doveano domandare agli astronomi antichi o a’ viventi. Montava poi di
verificare reciprocamente le tavole di longitudine e latitudine e le
distanze riferite da’ pratici: e questo è appunto ciò che Edrîsi dice
essere stato praticato quando il re fece riportare col compasso quelle
distanze sopra un planisfero graduato, e ricercare da qual parte fosse
l’errore, nel caso di discrepanza tra le tavole e gli itinerarii.
Pertanto non mi sembra precisa la traduzione francese, pag. xx:
“Ensuite il voulut savoir d’une manière positive les longitudes, les
latitudes” etc.
[266] “Planche à dessinner” mi pare espressione troppo vaga. Il testo
ha “tavola del _tarsîm_, o, diremmo noi dell’abozzo, dello schizzo o
simili.” Come ognun vede, non si trattava di un foglio _da disegno_,
ma di un foglio già delineato, una mappa, sia che fosse graduata
soltanto per costruirvi le figure geografiche, sia che vi fosser anco
delineati i contorni e segnati i punti principali, per verificarli,
confrontandoli con le distanze itinerarie.
[267] _Mofassel_ significa propriamente diviso in pezzi, o composto di
varii pezzi. Però mi discosto dall’opinione del mio dotto maestro Mr.
Reinaud, che credea meramente diviso in gradi il disco d’argento, nel
quale doveasi incidere il planisfero. Edrîsi stesso dà alla seconda
forma del verbo _fazel_ il significato di tagliare, adoperandola
nel descrivere il lavorio del corallo a Ceuta (Dozy et de Goeje,
_Description de l’Afrique_, etc., par _Edrîsi_, pag. 168 del testo,
201 della versione). D’altronde il planisfero d’un pezzo d’argento che
pesava 150 chilogrammi ed avea per diametro poco men che due metri, non
sarebbe stato punto maneggevole.
[268] Il peso chiamato _dirhem_, variò e varia tuttavia ne’ paesi
musulmani: la media tra i _dirhem_ odierni di Egitto, Aleppo, Algeri,
torna, evitando le frazioni troppo minute, a grammi 3,35; moltiplicato
il qual numero per 112, si avrebbe il _rotl rumi_, ossia libbra
italiana, poco oltre i grammi 375, cioè 13 grammi più della libbra di
Bologna e 26 più di quella di Roma e Firenze: e il peso del planisfero
monterebbe a 150 chilogrammi. Supponendolo grosso cinque millimetri e
ritenendo la qualità di argento data da Edrîsi, il diametro tornerebbe
a metro 1,90, secondo il calcolo che ha fatto a mia richiesta l’amico
senatore Brioschi.
[269] Credo risponda precisamente a questo, nel presente luogo, la
voce _Khalk_ del testo, “creazione” e cose create in generale, e “cosa
ordinata, disposta ec.,” in particolare; sì che talvolta si ristringe
agli esseri ragionevoli, secondo le idee musulmane, cioè gli uomini e i
_ginn_.
[270] La prefazione si legge intera ne’ codici ch’io ho designati
con le lettere A. C. (Introduzione, vol. I, pag. xliv, e _Bibl.
arabo-sicula_, testo, pagina 14, nota 1) e ne avanzano pochi righi nel
D. Traduco ora le tre lezioni:
A. “.... il vestire, la lingua. E ho dato a questo (libro) il titolo
di _Nozhat_, ec. Esso è stato messo insieme, coordinato, licenziato e
connesso (rilegato?) verso lo scorcio di scewâl del 548. Comincio or a
trattar, la prima cosa, della figura della Terra, ec.”
C. “.... il vestire, la lingua; e (continua a reggere comandò il re)
che fosse posto a questo libro il titolo di _Nozhat_, ec. Ed ecco
che io ubbidisco a così fatto comando, e compio questa prescrizione,
cominciando la prima cosa, a trattar della figura della Terra, ec.”
D. Vi manca, coi primi fogli tutta la prefazione innanzi la voce
“questo” della quale si scerne qualche vestigio, e segue _“K « t »
b_ (il titolo) di _kitâb_ (libro) del _Nozhat_, ec. E ciò è stato
ne’ primi dieci (giorni) di ianîr, corrispondente al mese di scewâl,
dell’anno 548. Ed ecco ch’io ubbidisco a così fatto comando e compio
questa prescrizione, cominciando, la prima cosa, a trattar della figura
della Terra, ec.”
Riman qui a spiegare il vocabolo arabico che ho notato con le sole tre
lettere della radice, mancandovi le vocali; il quale per omissione se
mia o del tipografo non so, fu saltato nel testo della _Biblioteca_,
linea 10 della pag. 19. Non potendo suppor cotesto vocabolo scritto
erroneamente, in sì bel codice e in luogo sì cospicuo del testo, invece
di _Kitâb_ (libro), la qual voce viene immediatamente dopo, mi par sia
da leggere _Katb_, “scritto” onde il passo intero tornerebbe “ed (ha
comandato il re) che si desse a questo scritto il titolo di libro del
_Nozhat_, ec.”
Or ognun vede che i codici D e C appartengono a ramo diverso dal codice
A; che il più vicino al ceppo, per continuare la mia similitudine, è
D dove si legge il mese di gennaio; che questo vocabolo non arabico e
però mal compreso fu soppresso dal copista di C; e che il copista di
A seguì un testo diverso, dato fuori com’egli è verosimile, quando il
compilatore, fuggito ne’ tumulti della Sicilia, rivendicò, o si arrogò
l’invenzione del titolo. Se mai si pubblicherà il testo compiuto del
_Nozhat_, vedran più chiara i dotti la distinzione de’ tre citati
codici ed anco di quello designato con la lettera B, nel quale non si
può decifrare la prefazione. Duolmi che, confrontando i due Mss. della
Bodlejana, io non abbia potuto, incalzato sì com’era dal tempo, notare
le varianti di tutta l’opera o almeno di più lunghi squarci. Il mese di
scewâl 548 corre dal 20 dicembre 1153 al 17 gennaio 1154.
[271] Il più importante lavoro scientifico che abbia trattato di questa
geografia, quello cioè del Lelewel, _Géographie du moyen-âge_, tomo
I, pag. 92 a 107, §§ 54 a 64, vi ammette l’influenza delle dottrine
geografiche dell’Occidente e la partecipazione diretta di Ruggiero.
[272] Gli Arabi del medio evo chiamavan così il tratto della costiera
settentrionale d’Affrica che corre da Tunis a Capo Spartel.
[273] Non credo che Sefedi abbia confusa la sfera armillare, da lui per
altro descritta precisamente, col planisfero di che dice Edrîsi nella
prefazione. Secondo il biografo, il re mandò a Edrîsi, per costruire
la sfera, dei pezzi di argento del peso di 400,000 dirhem; del qual
metallo fu adoperata una terza parte e due terzi avanzarono. Ruggiero
ne fece dono a Edrîsi; aggiunse altri centomila dirhem e poi una nave
carica di merci latine preziosissime proveniente da Barcellona.
[274] Testo nella _Bibl. ar. sicula_, pag. 657, 658. Si trova una buona
traduzione francese di questo squarcio, nell’opera di M^r. Reinaud,
_Géographie d’Aboulféda_, tomo I, Introduzione, pag. cxlv e cxv.
[275] Scehâb-ed-dîn-Omari, grande erudito del XIV secolo, ricordando
il Nozhat come il miglior trattato di geografia ch’ei conoscesse,
loda Ruggiero di profonda dottrina in filosofia antica e in geometria
e dell’avere speso molto tempo e danaro nella compilazione di quella
grande opera. Nella _Bibl. arabo-sicula_, testo, pag. 152.
[276] Presso Muratori, _Rer. Italic._, tomo XII, pag. 283.
[277] Conferma l’accusa Goffredo da Viterbo (presso Caruso, _Bibl.
sicula_, pag. 947) dicendo: «Rogerius Paganus erat de more vocatus.»
[278] Annali, an. 539, testo nella _Bibl. ar. sicula_, pag. 288 e nella
edizione del Tornberg, tomo XI, pag. 66. Si vegga anco la traduzione
francese di M^r. Reinaud, negli _Extraits des auteurs arabes, etc.,
rélatifs aux Croisades_, pag. 77.
[279] Lascio come superflue le citazioni, fuorchè per questa briga con
l’Egitto. Si guardi ciò che io n’ho detto nel cap. II, del presente
libro, pag. 426, e i cenni che pria n’avea dati nei _Diplomi arabi del
reale Archivio fiorentino_, Introduzione, § XXX, diplomi II, III, IV
e V della seconda serie e note ai medesimi, dalla pag. 452 alla 458,
intorno le relazioni di Pisa con l’Egitto in questo tempo.
[280] Ibn-el-Athir, anno 547, nella _Bibl. ar. sicula_, testo, pag. 300.
[281] Limitando le citazioni com’ho fatto di sopra, le darò per
questa battaglia di Negroponto, le cui circostanze non sono state ben
determinate fin qui. Ne fanno parola Niceta Choniate e il Cinnamo,
presso Caruso, _Bibl. sicula_, pag. 1163, 1176; la Continuazione
di Sigeberto da Gembloux e Romualdo Salernitano, presso Pertz,
_Scriptores_, VI, 455 e XIX, 429; e il Marangone, nell’_Archivio
Storico italiano_, tom. VI, parte II, pag. 18. I Bizantini, al solito,
trascuran la data; Romualdo non la dà precisa; la Continuazione di
Sigeberto (che il Caruso, op. cit., pag. 951, attribuisce a Roberto del
Monte) la segna con l’anno 1154 e aggiugne una circostanza riferita
altresì dal Cinnamo, cioè che l’armata siciliana ritornava appunto
dall’Egitto, carica di preda. Or come noi sappiamo dal Makrizi la
scorreria d’Egitto dell’agosto 1155, così parrebbe a prima vista che
star si dovesse alla data della Continuazione, differendola bensì d’un
anno. Ma il Marangone, il quale pon la battaglia nel 1158 pisano, dà su
la guerra di Guglielmo I nell’Adriatico e su questa di Negroponto tanti
e sì precisi particolari, da mostrar che in quel tempo i Pisani teneano
ben gli occhi aperti su i movimenti del navilio siciliano. D’altronde
tutte le narrazioni portano a credere che la battaglia di Negroponto
sia succeduta, non al principio ma allo scorcio della guerra.
Ritengo io pertanto, col Marangone, la data del 1157 comune. Quella
coincidenza con le depredazioni in Egitto si spiega benissimo
ammettendo due o più scorrerie dell’armata siciliana, delle quali i
cronisti d’Egitto avessero notata una sola, la più strepitosa. E così
anche si spiegherebbe l’error di data della Continuazione, il cui
autore avrebbe per avventura risaputa la grande scorreria d’Egitto
del 1151 o 1155 e la gran vittoria navale sopra i Greci al ritorno
dall’Egitto, onde avrebbe creduta identica la data.
[282] Makrizi, _Mowa’iz_, testo di Bulak, tomo I, pag. 214. Oltre la
data dell’anno e del mese, il compilatore dice ch’era califo Fâiz e
vizir Telai’-ibn-Ruzaik, del quale si sa essere entrato in ufizio il 1º
giugno 1154. Si vegga anco la Continuazione di Sigeberto testè citata,
la quale sembra molto bene informata degli avvenimenti dell’Egitto
in questo tempo. Infine il dispaccio di quel vizir ai Pisani, che si
legge ne’ _Diplomi del regio Archivio fiorentino_, nº V, della seconda
serie, pag. 253, il quale pare dell’anno 1156, dice espressamente della
recente scorreria de’ Siciliani in Tennis.
[283] Continuazione di Sigeberto, l. c. Masmudi eran detti gli Almohadi
dal nome della tribù che tenne l’egemonia di quella setta religiosa.
Gli assalitori eran dicerto pirati spagnuoli o della costiera d’Affrica
a ponente di Bugia.
[284] _Gesta Friderici_, lib. II, cap. 22.
[285] Cap. ij di questo libro, pag. 419, 420. Il dotto baron De Slane,
nella versione d’Ibn-Khaldûn, _Hist. des Berbères_, Appendice del vol.
II, 587, ha letto Ghariani, dopo aver seguita nelle pag. 37-38 dello
stesso volume la lezione Feryani. Non ostante l’autorità di un erudito
di tanto nome, parmi stare alla lezione _Foriâni_ ch’è nei Mss. citati,
raddoppiandovi la seconda radicale, come si legge nel _Lobb-el-Lobâb_,
parte I, pag. 196 e nel _Merasid-el-Ittila’_. Quel nome etnico si
riferisce a Forriana, villaggio presso Sfax.
[286] Non aggiungo una parola del mio in tutto questo racconto.
[287] Si confrontino: Ibn-el-Athîr, anno 551; Tigiani e Ibn-Khaldûn,
nella _Bibl. ar. sicula_, testo, pag. 300 segg., 381 segg., 490, 503,
504.
[288] Ibn-el-Athîr, l. c. Si ricordi ciò che abbiam detto nel cap. ij
di questo libro, pag. 425, 426 del volume, intorno le condizioni in cui
fu lasciata l’isola delle Gerbe il 1153.
[289] Si vegga il cap. ij del presente libro, pag. 409 del volume.
[290] Si confrontino Tigiani e Ibn-Khaldûn, nella _Bibl. ar. sicula_,
testo pag. 389, 489, 504. Ibn-el-Athîr, l. c., fa menzione della
ribellione di Tripoli, senza data, nè altri particolari; se non ch’ei
la dice seguita dopo quella di Sfax e pria che quella di Kabes.
Ibn-Khaldûn scrive che que’ di Tripoli dando addosso a’ Cristiani “li
bruciarono col fuoco.” Credo sia stato qualche stratagemma come quel
delle funi e travi apparecchiate al chiaro della luna, piuttosto che un
_auto da fe_ dei prigioni. I costumi de’ Musulmani non portavano queste
crudeltà.
[291] Ibn-el-Athîr, l. c. Ibn-Khaldûn nella citata pag. 504.
[292] Ibn-el-Athîr, l. c., e pag. 304. Questo capitolo degli annali,
ancorchè posto nel 551, contiene fatti posteriori, come quello di
Tripoli, di cui altri scrittori segnan la data precisa.
[293] Ibn-el-Athîr, cap. cit, pag. 301.
[294] Si confrontino: Ibn-el-Athîr, l. c.; Ibn-Khaldûn, testo nella
_Bibl. ar. sicula_, pag. 504 e il _Baiân_ nella stessa raccolta,
pag. 374, il quale porta soltanto le date della sollevazione contro i
Cristiani in Mehdia e della ricuperazione di Zawila, le quali mancano
nel racconto d’Ibn-el-Athîr. Questi narra la sollevazione di Zawila
innanzi il supplizio del Forriâni; ma non è verosimile che Guglielmo
abbia differita quella vendetta per un anno e qualche mese.
[295] Presso Caruso, Bibl. sicula, pag. 951, con l’anno 1158 e presso
Pertz, _Scriptores_, VI, 506, con l’anno 1157. Nella prima di coteste
edizioni il nome dell’isola di cui si suppone capitale Sibilla (Zawila)
è scritto Gerx; nella seconda Gerp, la quale lezione credo sia stata
preferita come vicina a Gerbe, della qual isola parve al dotto editore
si trattasse. Io credo che per isola si debba qui intendere penisola
(gli Arabi hanno un sol vocabolo per l’una e per l’altra), e che sia
da preferire la lezione Gerx, come quella che più si avvicina a Scerik,
nome della penisola che separa i golfi di Tunis e di Hammamet, la quale
oggi si chiama El-Dakhel, ma gli Arabi del medio evo or la dissero di
_Scerik_, da un nome proprio d’uomo, or di _Bâsciu _(Basso?) nome della
città principale. Non è verosimile che i Siciliani avessero ripigliata
allora cotesta penisola, ma pare che Mehdia o Zawila fosse considerata
allora come capitale di un piccolo stato che prendesse il nome dalla
penisola vicina. A me par certo che sendo padroni di Mehdia e di Susa,
i Siciliani lo fosser anco di una parte della costiera, e in ispecie
della penisoletta di Monastir, appendice di Mehdia. Si vegga, su la
topografia di cotesti luoghi, l’Edrîsi nella edizione dei sigg. Dozy e
De Gœje, pag. 108, 109, del testo, e 126-8, della versione. Edrîsi dice
che i tre villaggi o castelli di Monastir erano abitati da religiosi,
come d’altronde si può supporre da quel vocabolo.
[296] In primo luogo non mi par dubbio che il re di Sicilia credesse
allor appartenere alla sua corona il diritto d’istituire sedi
vescovili, come l’esercitarono gli imperatori bizantini. Si noti la
fondazione del vescovado di Cefalù e il titolo di _Arcivescovo di
Sicilia_, dato a quel di Palermo in un diploma di re Ruggiero, presso
il Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 95, 96.
In secondo luogo è da ricordare che, per antica costumanza, il
metropolitano di Palermo, ricordando solennemente ogni anno i suoi
suffraganei, solea nominare tra quelli il vescovo di Tripoli d’Affrica,
su di che si vegga il Pirro, op. cit., pag. 21.
Si consideri inoltre che tra i diplomi della Cappella Palatina di
Palermo, nel Tabulario di essa, pag. 34, seg. nº XV, è l’inventario
della suppellettile della Chiesa d’Affrica, nel quale si legge che una
parte era stata fatta a spese dell’_Arcivescovo_. Mi par si alluda più
tosto a quello d’Affrica che a quel di Palermo. D’altronde il fatto di
trovarsi quell’inventario nella Cappella Palatina, può indicare che la
Chiesa d’Affrica si volesse far dipendere dal Cappellano Maggiore, o
che per lo meno la suppellettile si conservasse a cura dì questo, come
proveniente da una regia fortezza.
[297] Ibn-el-Athîr, anno 551, testo del Tornberg, vol. XI, pag. 139,
140. Si confronti il Kariâs versione del Tornberg stesso, tomo I, pag.
170 a 173; Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, traduzione del baron
De Slane, tomo I, 254 segg. e tomo II, 173, 190 segg.
[298] Il soggiorno d’Ibn-Sceddâd in Palermo l’anno 551 dell’egira, è
attestato dal Nowairi, in un luogo del quale diè la versione francese
M. Rosseeuw de Saint-Hilaire, _Histoire d’Espagne_, tomo III (Paris,
1838). _Pièces justificatives_, nº IV, par. 511. Questo squarcio,
tradotto da M. Vincent e tolto da un Ms. arabico di Parigi che non si
cita, contiene un aneddoto dì Abd-el-Mumen che il cronista riferiva
essergli stato raccontato da un mercatante musulmano di Mehdia, ch’egli
incontrò l’anno 551 nella capitale della Sicilia.
[299] Presso Tigiani, che abbiam citato di sopra, nel cap. ij, pag.
379, in nota. L’_Holâl-el-Mausciah_ dà il nome di Abd-Allah-ibn-Meimûn.
[300] Si confrontino: Ibn-Sahib-es-Selât; Ibn-el-Athîr, anno 554;
Marrekosci; Ibn-Khaldûn, nella _Bibl. ar. sicula_, testo pag. 197,
303-304, 319, 504. Non cito il Nowairi, perch’egli qui copia di parola
in parola Ibn-el-Athîr. Cotesti scrittori non son d’accordo sul tempo
della mossa da Marocco e si comprende benissimo.
[301] Secondo alcuni cominciò l’assedio il 18 regeb (5 agosto 1159).
Secondo altri tornerebbe al 12 luglio.
[302] Marrekosci.
[303] Ibn-el-Athir, Marrekosci, ec. dicono anche figliuoli di _Molûk_,
ch’è il plurale di _Mâlik_, re; ma diceasi anco de’ grandi feudatari,
come abbiamo avuta occasione di notare. Non mi par che meriti molta
attenzione un luogo di Marrekosci, compilatore del XIII secolo, nel
quale ei chiama i soldati del presidio “compagni del Duca.”
[304] L’autore anonimo dell’_Holâl-el-Mausciah_.
[305] Gli scrittori musulmani esprimono questo fatto al rovescio, cioè,
che la galea entrava nell’arsenale bella e armata senza mettere a terra
un sol uomo
[306] Macchine da lanciar sassi, più piccole che i mangani. Il Kartas,
in vero, ch’è qui il solo che faccia menzione di macchine oltre i
mangani, le chiama _ra’ade_, cioè “tonanti,” il qual nome fu dato alle
artiglierie. A me par che l’autore, il quale visse nel XIV secolo
e non conoscea per l’appunto quando fosse stato fatto il primo uso
della polvere nelle armi da gitto, abbia sostituito di capo suo quella
nota voce ad _’arrâde_ che al suo tempo e nel suo paese potea parere
antiquata. Forse fu errore dei copisti, e in ogni modo le lettere
radicali, che son le stesse, disposte sì in altro ordine, si prestavano
all’equivoco. Nello stesso modo va spiegato un luogo d’Ibn-Khaldûn,
autore anch’egli del XIV secolo, secondo il quale le “tonanti”
sarebbero state usate in Affrica nel XIII. Si vegga su questo dubbio il
bel trattato dei sigg. Reinaud et Favé, _Du feu grégeois_, Paris, 1845,
pag. 75 segg. e si confrontino: Dozy, _Historia Abbadidarum_, II, 202
e 264 e Ibn-Batuta, _Voyages_, Paris, 1853-58, tomo III, 148, 194, 238,
396.
[307] Ibn-el-Athîr, ec.
[308] Zerkesci.
[309] Questo fatto è riferito dal solo Marrekosci.
[310] Falcando.
[311] Secondo l’_Holâl-el-Mausciah_, sarebbero state una cinquantina,
poichè il numero totale delle navi si fa montare a dugento.
[312] Ibn-Sceddâd, presso il Tigiani.
[313] Si confrontino: Ibn-Sahib-es-Selât; Ibn-el-Athir; Marrekosci;
il _Baiân_; Tigiani; il _Kartâs_; Abulfeda; Ibn-Khaldûn; Zerkesci;
Ibn-abi-Dinâr, nella _Bibl. ar. sicula_, testo, pag. 197,
303-308, 319-320, 374, 401-402, 403-404, 417, 504-506, 523, 540,
e l’_Holâl-el-Mauscîah_ ec. (il Pallio variopinto che ricorda
gli avvenimenti di Marocco) compendio anonimo, scritto l’anno 783
dell’egira (1381-2) Ms. della Bibl. imp. di Parigi. _Ancien fonds_,
825, pag. 116. Non cito il Nowairi perch’egli copia letteralmente
Ibn-el-Athir in questi capitoli. Di cotesti scrittori ho notate
alcune differenze. L’_Holâl_ inoltre attribuisce agli ambasciatori
del presidio cristiano appo Abd-el-Mumen, l’adulazione di avergli
detto ch’egli era appunto il predestinato alla monarchia universale di
che parlavano i loro libri. Del racconto di Tigiani abbiam anco una
traduzione francese di M. Alph. Rousseau, nel _Journal Asiatique_ di
febbraio 1853, pag. 209 segg. I capitoli più importanti d’Ibn-el-Athir
sono stati tradotti in francese dal baron De Slane, nella _Histoire des
Berbères_ d’Ibn-Khaldûn, tomo II, Appendice, pag. 585 segg. Similmente
i luoghi d’Ibn-Khaldûn, che abbiam citati nel presente Capitolo, si
trovano nella citata versione di M. De Slane, tomo II, pag. 38, 39,
193. Il Conde, _Dominacion de los Arabes en España_, Parte III, cap.
xliv, narra distesamente questa impresa di Mehdia, con alcuni de’
particolari notati da noi ed altri che non troviamo ne’ nostri testi.
Ma la compilazione del Conde non può tener luogo de’ testi che ci
mancano.
Degli autori cristiani son da vedere il Falcando e Romualdo
Salernitano, sì discrepanti l’un dall’altro, il primo nel Caruso,
_Bibl. sicula_, pag. 420, 421, il secondo in Muratori, _Rer. Italic._,
VI, 199, e presso Pertz, _Scriptores_, XIX, 429.
[314] Si confrontino il Falcando e Romualdo Salernitano, presso Caruso,
Bibl. sicula, pag. 412 segg., 419, 421, 865, 866.
[315] Di questa sola ragione d’economia fa parola il Falcando, op.
cit., pag. 421.
[316] Questo rimprovero l’ho aggiunto io. Pietro era forse caduto in
disgrazia o tenuto com’oggi diremmo “in disponibilità.” Ma tornò ben in
favore a capo di due anni.
[317] Falcando, op. cit., pag. 135.
[318] Si confrontino sempre Falcando e Romualdo Salernitano.
[319] Si confrontino Falcando e Romualdo Salernitano, op. cit., pag.
434 segg., ed 866.
[320] Imâd-ed-dîn, nella _Kharida_, testo nella _Bibl. ar. sicula,_
pag. 599, dice che “l’ammazzarono i Franchi di Sicilia dopo l’anno
550 (1155-6) nella carnificina ch’ei fecero dei Musulmani.” Mi
pare da riferir questo caso alla sedizion di Palermo, piuttosto che
alla proscrizione che fecero non guari dopo i Lombardi nell’interno
dell’isola.
[321] Ibn-Bescrûn, citato da Reinaud, _Géographie d’Aboulfeda_,
Introduzione, pag. CXXI. Il titolo era: _Rudh-el-Uns wa
Nozhat-en-Nofs_, ossia “Giardini dell’Umanità e diletto dell’anima.”
[322] Si confrontino sempre il Falcando e Romualdo.
[323] Falcando, op. cit., pag. 440. Ne fa cenno appena Romualdo, op.
cit., pag. 868. Si ricordi ciò che abbiam detto di Ruggiero Schiavo e
delle popolazioni lombarde nel libro V, cap. viij, pag. 222 seg., 226
segg., di questo volume.
Si noti che Butera fu sempre feudale, e che Piazza era stata tenuta,
come qui dice il Falcando, dal padre di Ruggiero Schiavo, cioè il conte
Simone, figlio di Arrigo, dei marchesi Aleramidi.
[324] Falcando, op. cit., pag. 442.
[325] Op. cit., pag. 444-445.
[326] Nei principii del regno di Guglielmo il Buono, quand’egli arbitro
dello Stato se n’era fuggito in Affrica per paura de’ baroni nemici
suoi, il Conte di Gravina lo chiamò dinanzi la regina “servum saracenum
qui stolium dudum prodiderat.” Falcando, op. cit., pag. 454.
[327] Falcando, op. cit., pag. 448.
[328] Abd-el-Mumen fu dei più grandi uomini di Stato de’ suoi tempi;
dotto anco nelle scienze filosofiche e nelle matematiche, come
il prova una sua compilazione delle vere o supposte lezioni del
Mehedi, che fondò primo la potenza almohade; la quale opera si trova
manoscritta nella Biblioteca imperiale di Parigi, _Supplément arabe_,
n. 238. Abd-el-Mumen, presa Mehdia, fece fare un catasto dell’Affrica
settentrionale, misurar la superficie in parasanghe quadrate, dedurre
un terzo pei monti, i fiumi e le paludi, e impose, in ragione della
superficie rimanente, una tassa che le tribù dovean pagare in grano o
in moneta. Ei cominciò a tramutare in Spagna i feroci Arabi d’Affrica.
Fece allestire, dicono, 700 navi; fabbricare 10,000 quintali di saette
ogni dì; scrivere 500,000 uomini, ec. Su questi preparamenti si vegga
Ibn-el-Athîr, anni 555, 558, edizione del Tornberg, tomo XI, pag. 162
segg., 191 segg. del testo; Marrekosci, testo, pag. 168; _Kartâs_,
edizione del Tornberg, testo pag. 129, 131, 132, e versione, 174, 176,
177; e Ibn-Abi-Dinâr (El-Kairouani) versione francese, pag. 196.
[329] Si confrontino: il _Baiân_, anno 558, e Tigiani, entrambi nella
_Bibl. ar. sicula_, testo, pag. 374 e 378, 379.
Il primo pone la data, dice d’uno sbarco di Rûm in generale, del
novello “caso,” com’ei lo chiama, di Mehdia e dell’occupazione di Susa;
il secondo fa menzione del governatore che avean messo gli Almohadi
a Susa dopo che s’impadronirono di Mehdia, e poi accenna alle stragi,
rapine e cattività di que’ di Susa ed a’ prigioni riportati in Sicilia
dall’armata. Indi non è dubbia la identità del fatto.
[330] Falcando non dà il nome del palagio. Il testo di Romualdo ha
_Lisam_, nelle edizioni antiche; ma quella di Pertz, _Scriptores_,
XIX, 434, dà più correttamente _Sisam_, con l’avvertenza in nota
“Hodie Cisa,” la quale lezione rende forse la pronunzia all’orecchio
di qualche straniero, ma io non l’ho mai vista in alcuna scrittura
nostrale. Al contrario, i diplomi latini del XIII e XIV secolo
ed una cronaca anch’essa del XIV, hanno _Zisa_, e _Asisia_, ed un
diploma del 1238, presso Mongitore, _Sacrae domus Mansionis_....
Monumenta, contien la concessione d’un terreno _in regione Assisii_,
al mascolino. Finalmente avverto che l’aggettivo _El-’Azîz_, anche
al mascolino, poichè si sottintende _El-Kasr_ (il palagio), occorre
in fin della iscrizione arabica della sala terrena, pubblicata dal
Morso, _Palermo Antico_, 2ª edizione, pag. 184. Ma di ciò mi propongo
di trattar più lungamente nel Cap. xj del presente libro. Notisi
intanto che la lezione Sisa, risponde precisamente alla trascrizione
del nome Abd-el-’Azîz, il quale in un diploma del 1239, nel registro
dell’imperator Federigo II, ediz. del Carcani, pag. 398, è scritto
Abdellasis.
[331] Si confrontino sempre Falcando e Romualdo, nell’op. cit., pag.
448, 449 e 870, 871. Anche nelle piccole cose si dimostra la nimistà
dell’uno e lo studio cortigiano dell’altro. Falcando, per esempio,
si compiace a notare che Guglielmo non arrivò a veder finita l’opera
della Zisa; Romualdo la fa credere compiuta, e parla più largamente
delle acque e de’ giardini di quel sito reale, de’ mosaici aggiunti da
Guglielmo nella Cappella palatina, ec.
[332] Ho corretto il giorno della morte secondo la Cronica Cassinese
e il libro mortuario dello stesso monastero, presso Caruso, op. cit.,
pag. 512 e 522.
[333] La parte presa dalle donne, secondo il Falcando, nelle esequie di
Guglielmo I, somiglia perfettamente a quella che è attribuita loro nei
funerali di Malek Salih al Cairo (1249) in un luogo d’Abu-l-Mehasin,
del quale M. Quatremère ha dato testo e traduzione nella _Histoire des
Sultans Mamlouks_, tomo I, parte II, pag. 164. Per parecchi giorni le
schiave andavano per le strade battendo i cembali, e le gentil donne le
seguian senza velo, piangendo e picchiandosi il volto.
[334] Si veggano i fatti nel Falcando, presso Caruso, _Bibl. sic._,
pag. 451 a 453.
Non mi pare inverosimile che alcuno di cotesti provvedimenti sia stato
comandato nel testamento di Guglielmo I. Almeno un passo del Falcando,
op. cit., pag. 454, prova che l’eunuco Pietro era stato emancipato nel
testamento e che fu confermata la manomissione dai reggenti.
[335] Si vegga il cap. III di questo medesimo libro, pag. 432, 433, 439
del volume.
[336] I diplomi arabi e greci di Sicilia che stamperà il prof. Cusa
di Palermo, daranno larga materia ad osservazioni di questa natura.
Intanto io voglio notare un esempio, tolto dal diploma arabico di
Morreale del 1182, del quale mandommi copia il lodato professore, e la
traduzione latina si trova nel Lello (Michele del Giudice) _Descrizione
del real Tempio.... di Morreale_, Appendice dei _Privilegii e Bolle_,
pag. 8 e segg. In questo diploma la voce _hârik_, ordinariamente
usata in Sicilia col significato di collina, è tradotta “terterum”,
voce francese latinizzata; il nome di luogo _Descîsc_ è trascritto
“Dichichi”; _el-Andalusin_ (gli Spagnuoli) “Hendulcini”; _Giabkalîn_,
“Chapkalinos”, ec.
[337] Quello che or si dice dell’Albergaria.
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