Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte II - 20

bella semplicità.[1226] Contuttociò non fu abbandonato l’arco aguzzo,
se non che comparisce insieme con esso qualche arco tondo o trilobato;
ma non si mutò essenzialmente lo stile, nè si può dir che sia succeduta
a’ be’ tempi del Nilometro e della moschea tolunida una età barocca,
come quella che ingombrò l’Europa nel decimosettimo secolo. Anzi e’
parmi che dopo le Crociate l’arte arabica d’Egitto siasi ritemprata
nell’antica severità. I monumenti di Kelaûn, di Berkûk, di Kaitbai,
surti nel decimoterzo, decimoquarto e decimoquinto secolo, ci danno
argomento di meraviglia e di riflessione, per la somiglianza loro con
gli squisiti edifizii fiorentini di quelle medesime età.
Da un’altra mano ci rimarrem noi dall’esame dell’arte arabica in
altri paesi; poichè a levante dell’istmo di Suez i monumenti musulmani
anteriori al duodecimo secolo, per quel po’ che se n’è studiato, non
mostrano forme diverse da quelle d’Egitto; e se guardiamo a ponente
di Barka, non troviamo nell’Affrica propria altri edifizii di quella
età che la inesplorata moschea del Kairewân. Lasciam anco da parte
la Spagna, dove gli Arabi esordirono seguendo da presso l’arte romana
dell’Europa occidentale e di Bizanzio, e poi continuarono con lo stile,
bene o mal chiamato, moresco: ma nè questo nè il primo rassomiglian
allo stile siciliano del duodecimo secolo, se non che nell’ornato.
Limitandoci dunque all’Egitto, noi chiameremo col Coste architettura
arabica pura quella che vi si ammira ne’ monumenti del nono e del
decimo secolo:[1227] e conchiuderemo che cotesta forma d’arte nacque
su le due sponde del Tigri, e fu esercitata per lungo tempo dalle
schiatte de’ vinti. Nel qual giudizio ci conferma l’esempio d’un’arte
affine, quando sappiamo che, devastata la Mecca da una inondazione,
il califo Abd-el-Melik, l’anno ottanta (700), mandava un ingegnere
cristiano a costruire gli argini che difendessero in avvenire la
città e il tempio; il qual cristiano aveva appresa l’arte, com’egli è
verosimile, nelle irrigate pianure della Mesopotamia.[1228] Non dico io
già che l’arte arabica sia stata creata dal nulla. Si formò al certo di
antiche tradizioni della Mesopotamia, della Media e della Persia e di
tradizioni bizantine, miste a lor volta di stile romano e d’orientale
e pervenute nel centro del novello impero arabico per doppia via;
cioè a dirittura dalle province che ubbidivano a Costantinopoli, e,
di rimbalzo, dall’abbattuto reame sassanida, il quale aveva apprese
tante arti e scienze dalla Grecia e dalla nuova Roma. E sì che questa
gran sede di civiltà sparse luce al paro su l’Europa e su l’Asia: e
in Santa Sofia diè splendido esempio delle cupole e delle iscrizioni
cubitali messe a ricordo e insieme ad ornamento; le quali furon poi
sì largamente usate da’ Musulmani di ogni regione. Ma con tutta la
parentela e la rassomiglianza di molte parti, non si può al certo
chiamare bizantino lo stile arabico, nel quale nessuno negherà lo
elemento persiano. La storia ci dice l’origine dei primi architetti dei
Musulmani; i monumenti sassanidi son lì ancora, con lor vòlte ovoidi
per ogni luogo, e con l’arco ellittico del Taki-Kesra, per attestare
che nel quinto e sesto secolo dell’èra nostra[1229] le curve descritte
da unico centro non bastavano più al gusto orientale, ancorchè i
Bizantini non le avessero barattate giammai.[1230]
Dove e quando sia stato per la prima volta appuntato l’arco dello stile
arabico, non si ritrae da quei pochi studii che gli Europei han fatti
fin qui nelle regioni adiacenti al Tigri ed all’Eufrate. Mi s’affaccia
l’ipotesi che sia avvenuto nell’ottavo secolo alla Mecca. Noi sappiamo
che i Musulmani, quando fabbricavan di pianta le moschee, copiavano
il disegno di quella che cinge la Kaaba.[1231] Sappiam che questo
santuario dell’islam era circondato di case; in modo che, ingrandito
il ricinto, avvenne che da varie parti rimanessero tra l’una e l’altra
angusti passaggi per aprire novelle porte al tempio. Abbiam anco, da
un autore meccano del nono secolo, il numero delle porte, ciascuna
delle quali era costruita ad uno, due, o parecchi archi, e sappiamo la
dimensione di ciascun arco,[1232] la quale il più delle volte si adatta
meglio che al tondo, al sesto acuto, che realmente si osserva oggidì
nelle nuove strutture di quel tempio.[1233] Verosimile egli è dunque
che cotesta forma d’arco, la quale si sparse rapidamente per tutto
l’impero musulmano, eccetto l’estremo Occidente, siasi vista assai per
tempo alla Mecca. L’arco ellittico della Persia ne dava il principio;
lo spazio angusto consigliò forse di ravvicinare i due rami della curva
sì che si tagliarono; o forse l’idea venne dall’intersezione di due
o tre archi tondi nelle porte divise da quattro o cinque colonne. Ed
ho messo nell’ipotesi l’ottavo secolo, perchè nel corso di quello la
moschea della Kaaba fu ingrandita tre volte, e perchè l’arco aguzzo,
non per anco sviluppato nelle fabbriche della moschea di ’Amr che
vanno riferite a Walîd (714), si vede già bello e compiuto nel tempio
d’Ibn-Tulûn (879).
Ignoriam noi come e quando siasi cominciato in Sicilia a smettere
lo stile romano o bizantino. Le nuove costruzioni cominciarono di
certo nel nono secolo, allorchè gli emiri aghlabiti ristoravano e
ingrandivano Palermo;[1234] al qual tempo è da riferire la prima
origine della strada maggiore del Cassaro, copiata forse dal mercato
centrale di Kairewân, ch’era lungo quasi due miglia.[1235] Può darsi
ancora che l’impulso fosse venuto da Mehdia, allorchè i Fatemiti,
venti anni appresso lor nuova capitale, fabbricarono la Khâlesa (937)
nella capitale della Sicilia;[1236] ovvero a capo di trent’anni, nel
rinnovamento degli ordini pubblici intrapreso da’ Kelbiti,[1237]
del qual periodo abbiamo i frammenti dell’iscrizione monumentale
di Termini[1238] e sì, in rozzi disegni, gli avanzi di quella che
coronava Bab-el-Bahr,[1239] com’or veggiamo nella Zisa e nella Cuba;
oltrechè Ibn-Haukal fa menzione d’altre fabbriche nuove ch’ei notò
(872).[1240] Un secolo appresso viene il conte Ruggiero ad affermarci
lo splendore degli edifizii ch’avea trovati e distruttane gran
parte:[1241] e di que’ che rimanevano in piè nella prima metà del
duodecimo secolo ci fa fede il libro di re Ruggiero, o di Edrîsi.
Questi accenna, tra gli altri, all’antico tempio di Palermo, sacro
al culto cristiano, poi fatto moschea e infine cattedrale cristiana
di nuovo, nella quale si ammiravano “sì peregrini lavori ed opere di
dipintura, doratura e calligrafia, sì eleganti ed originali da vincere
ogni immaginativa.”[1242] In ogni modo egli è certo che prima del
conquisto normanno l’architettura fioriva in Palermo e in altre città
della Sicilia; nè men certo che continuò a fiorire. Lo stesso Edrîsi
descrive la cittadella normanna, della quale or non rimane che la
cappella palatina e parte d’una gran torre. “S’erge, dice egli, nel più
elevato luogo del Cassaro la nuova cittadella del gran re Ruggiero,
edificata con ciottoloni[1243] e massi di pietra da taglio: fortezza
ben complessa, munita d’alte torri, di saldi minaretti e robusti
propugnacoli che difendono i palagi e le sale.”[1244] Si confronti
cotesto ragguaglio con que’ d’Ibn-Giobair, di Romualdo Salernitano e di
Ugo Falcando, i quali non occorre replicar qui; ricordinsi gli edifizii
suburbani, de’ quali abbiam detto in principio di questo capitolo; vi
si aggiungano le molte chiese e monasteri e gli edifizii privati di
che veggiam qualche avanzo, o ne fanno menzione le antiche scritture,
e si comprenderà quanto e quale sia stato il lusso architettonico della
Sicilia nel duodecimo secolo.
Ma lo stile degli edifizii che rimangono di quel tempo torna
all’arabico dell’Egitto. Ecco gli archi, moderatamente acuti, delle
chiese in Palermo, in Cefalù, in Morreale; que’ della Badiazza
presso Messina,[1245] del monastero di Maniaci,[1246] del ponte dello
Ammiraglio, di Maredolce, della Zisa, della Cuba, simili, diciamo con
rigore geometrico, a que’ del Nilometro e della Moschea d’Ibn-Tulûn!
Ecco nelle fabbriche esteriori della Martorana, del chiostro di
Morreale e in un muro anco di quel Duomo gli spigoli delle vòlte e
varii membri degli ornati alternarsi bianchi e neri come nell’Azhar del
Cairo! Ecco le cupole di San Giovanni degli Eremiti, della Cappella
Palatina, della Martorana, di San Cataldo, di San Giovanni de’
Lebbrosi, e quella che copre la loggetta del giardino di casa Napoli
presso la Cuba, e l’altra più piccina, vera _sebîl_ che disseta ancora
i viandanti nello stradale tra Villabate e Misilmeri![1247] Tornan
tutte queste cupole ad una sezione di sfera, sostenuta sopra spazio
quadrilatero con bel congegno di archetti pensili che s’aggruppano
a ciascun angolo in forma di pina scavata, e tutte discostansi
dalla costruzione delle cupole bizantine, in guisa da doversi
riferire piuttosto a quella che par sia passata dalla Mesopotamia
in Egitto[1248] e in Affrica. Cotesti riscontri notansi nelle parti
essenziali della struttura, con tanti altri che gli uomini dell’arte
hanno descritti più particolarmente.[1249]
Nè il comune legnaggio arabico apparisce men chiaramente negli ornati,
ancorch’essi appartengano ad arte accessoria, capricciosa per natura e
per vezzo particolare degli Arabi, e derivata anch’essa dalle province
bizantine. Un fino conoscitore nota la somiglianza degli ornati
siciliani con que’ de’ monumenti musulmani più antichi, per esempio
della cattedrale di Cordova.[1250] Il palco di legno della moschea
di Cordova, come cel descrive Edrîsi, era compagno di quel ch’ora
veggiamo nella Cappella Palatina di Palermo, se non che i cassettoni,
o canestri che voglian chiamarsi, erano parte circolari e parte
esagoni a Cordova[1251] e in Palermo han figura di ottagono inscritto
in una stella. A chi guardi il fregio di mosaico che corona le tavole
di marmo bianco della Cappella Palatina di Palermo e del Duomo di
Morreale, par che l’abbiano disegnato le stesse mani che fecero il
modello de’ merli e de’ parapetti straforati delle moschee d’Ibn-Tulûn,
di Hâkem, di Hasan o di quella detta l’Azhar. Gli arabeschi che
ammiransi ne’ pulpiti di quelle moschee sembran originali o copie di
quei che rendon sì vaghi i pavimenti e i troni regii della Palatina
o di Morreale.[1252] E perchè nulla manchi al paragone, l’iscrizione
arabica cristiana, che si è scoperta non è guari dentro la cupola
della Martorana, è dipinta su assi, appunto come quelle del Cairo. Da
un’altra mano lo stile di Maredolce, della Zisa e della Cuba, ch’è
pur manifesto nelle rovine del palagio di re Ruggiero all’Altarello
di Baida, s’accompagna quivi ad un altro elemento, offrendo ne’ pochi
avanzi della gran sala terrena una reminiscenza dell’arte sassanida:
una nicchia grande, o piccola abside che voglia dirsi, la quale
s’innalza da un’area rettangolare e chiudesi al vertice in sezione
ellittica con l’asse maggiore perpendicolare, in guisa da ritrarre uno
spaccato di cupola ovoide.[1253] Ritornano in campo per tal modo negli
edifizii siciliani del duodecimo secolo alcune delle prime fattezze
dell’arte arabica ch’erano rimase latenti negli anelli intermedii della
catena, sì come avviene nella generazione degli animali per quella
legge che i naturalisti or chiamano atavismo. Non reca minor maraviglia
il vedere in alcuni capitelli dei monumenti sassanidi la medesima
forma di quelli, de’ quali abbiam tanta copia ne’ monumenti normanni di
Sicilia.[1254]
Va notata altresì la rassomiglianza de’ giardini di sollazzo. A legger
quelle pagine che si direbbero tolte da’ racconti arabi, nelle quali
il prosaico e diligente Makrizi, su la fede di autori più antichi,
descrive i palagi suburbani, le peschiere, i canali, le loggette,
i verzieri degli emiri tolunidi e de’ califi fatemiti,[1255] ci
par di vedere, un poco più particolareggiati, i medesimi ragguagli
che danno gli scrittori del duodecimo secolo, cristiani, musulmani
ed ebrei, intorno le delizie dei re normanni di Sicilia. Come
il Cairo, Palermo ebbe quella che Ibn-Giobair chiama collana di
ville regie:[1256] la Zisa, Menâni, la Cuba e Maredolce, le quali
giravano quasi a semicerchio intorno la città da ponente a libeccio e
scirocco. Non traviarono dal gusto orientale i fondatori della Zisa,
quando la gran sala terrena, splendidamente ornata come una Ka’ah
moderna d’Egitto,[1257] ha in fondo una fonte ed è tagliata in mezzo
dall’aperto canale di marmo, pel quale l’acqua va a raccogliersi fuori
il castello in una gran vasca, nel cui centro surse elegante loggetta
fino allo scorcio del decimosesto secolo.[1258] Nella Cuba, la base
del prospetto rivestita di cemento idraulico, la porta più alta del
suolo, e gli avanzi degli argini, attestano che il castello rispondea
sopra un laghetto artificiale;[1259] e le vestigie del medesimo cemento
si scorgono nelle rovine di Menâni.[1260] Più lunga la cronica di
Maredolce, o Favara che vogliam dire. Sappiamo che fu villa regia
di sollazzo fino al principio del secolo decimoquarto;[1261] che
Arrigo imperatore, allo scorcio del duodecimo, dimorò nel castello
e trovò il parco pien di cacciagione.[1262] Pochi anni innanzi,
Beniamino da Tudela, o il viaggiatore copiato da lui, faceva andare a
diporto sul lago il re normanno con le sue femmine;[1263] del quale
lago, disseccato in oggi, possiam noi misurare il circuito lungo la
radice del monte e gli avanzi degli argini; e l’altezza si scorge
dall’intonaco idraulico ond’è rivestito in alcune parti il muro
del castello.[1264] I poeti di re Ruggiero, nella prima metà del
secolo stesso, aveano descritti i nove canali scavati alle acque,
e i pesci, gli uccelli, i boschetti di aranci e le due palme che
s’innalzavan come vessillo su que’ giardini d’Armida.[1265] I quali
già nel secolo precedente avean mosso a maraviglia il conte Ruggiero,
quand’egli irruppe (1071) nella pianura di Palermo;[1266] ed erano
stati acconci forse in sul principio del secolo, poichè il castello,
fino al tempo d’Ibn-Giobair (1184), si addimandò Kasr-Gia’far;[1267]
dond’egli è verosimile che l’abbia edificato l’emir Kelbita di
quel nome (998-1019). L’attiguo bosco di palme, che stendeasi fino
all’Oreto,[1268] va noverato forse tra i luoghi di sollazzo che
Ibn-Haukal avea visti in riva al fiume, verso la metà del decimo
secolo[1269] e che i Pisani aveano depredati il millesessantatrè.[1270]
Dobbiamo far menzione ancora della vasta bandita che, al dire di
Romualdo Salernitano, avea creata re Ruggiero in alcuni boschi e monti
presso Palermo, circondatili a quest’effetto d’un muro di pietra,
piantatovi nuovi alberi, e messavi gran copia di daini, caprioli e
cinghiali; il qual parco dalla reggia stendeasi per parecchie miglia a
libeccio oltre i gioghi de’ monti e chiamavasi, com’io credo, Menâni,
col nome stesso del castello.[1271] Romualdo aggiugne che il re passava
l’inverno alla Favara e l’estate a cacciare ne’ boschi del Parco. La
loggetta sormontata di cupola che rimane intatta tra Menâni e la Cuba,
torna sempre, qual che fosse l’età sua, al gusto dei giardini regii
dell’Egitto.[1272]
Se i principi normanni seguirono gli usi dei Kelbiti, questi a lor
volta aveano imitati i califi del Cairo. E la storia ce ne mostra
il perchè. La casa kelbita dei Beni-abi-Hosein, mandata da Moezz a
mettere, se possibil fosse, un morso in bocca a’ riottosi Musulmani di
Sicilia, avea gran seguito a corte di quel califo. Sotto i degeneri
successori di Moezz crebbe la possanza de’ Kelbiti, al segno ch’e’
prevalsero ne’ consigli del Cairo più facilmente che lor non avvenisse
di comandare nella capitale della Sicilia.[1273] Dalla intima relazione
delle due corti, seguì naturalmente maggiore frequenza di commerci
tra’ due paesi: il qual fatto, se occorre nelle memorie del duodecimo
secolo, del decimoterzo e fino al decimoquarto,[1274] era nato al certo
avanti le Crociate e avanti il conquisto normanno dell’isola.
Dopo il detto fin qui, noi possiamo senza ambagi chiamare
arabica l’architettura siciliana del duodecimo secolo; e possiamo
conchiudere che quest’arte seguì il corso di ogni altra appartenente
all’incivilimento esteriore che rimase in Sicilia fino alla caduta
della dinastia normanna. Quello che alcuni eruditi supponeano stile
ibride, nato al contatto de’ nuovi con gli antichi abitatori del
paese, mi sembra mera specie dello stile arabico d’Oriente; poichè io
non veggo nel siciliano quel profondo divario che porta a far genere
novello. Anzi, parendomi che i confini tra il genere e la specie non
sieno meno incerti in architettura che in zoologia, mi rimarrei da una
quistione di parole, se non pensassi che l’altrui giudizio è fondato
sopra erronei dati storici intorno i tempi e i luoghi. Io credo che
altri abbia errato, considerando l’arte arabica più tosto nel tramonto
del medio evo, che nel pien meriggio dell’incivilimento musulmano;
più tosto a Granata, che al Cairo. Parmi altresì che quella influenza
bizantina, che tutti i maestri dell’arte hanno notata negli edifizii
siciliani del duodecimo secolo, non sia mica peculiare del paese nè
del tempo, ma si scorga medesimamente in ogni stile architettonico
del medio evo; nell’arabico di Egitto, come in quello di Spagna;
nel sassanida, come nel lombardo e in tutt’altro che prevalse fino
a’ principii del decimoterzo secolo nella Terraferma d’Italia ed
oltremonti, non esclusa la Spagna dei Visigoti. Anzi ne’ monumenti
sassanidi occorrono più frequenti e più schiette le linee bizantine.
L’arte siciliana le ereditò dall’arabica. E ne sia prova il gran
divario di stile che corse nel duodecimo secolo tra la Sicilia e
l’Italia meridionale, soggette entrambe a’ principi normanni: delle
quali regioni la prima contava tre secoli di dominazione arabica,
la seconda era uscita da poco di man de’ Bizantini e, se ripugnava
alla dominazione, seguiva la civiltà loro e talvolta chiamava artisti
da Costantinopoli.[1275] Or l’arco acuto usato ordinariamente, anzi
esclusivamente, in Sicilia, non passò lo stretto di Messina pria della
metà del decimoterzo secolo. Una sola eccezione che ve n’ha conferma la
regola: ed è da maravigliare che non se ne trovino assai più all’entrar
del duodecimo secolo, quando i principi non solo, ma anco molti baroni
d’ambo i lati dello Stretto discendeano dalle stesse famiglie.[1276]
Io non ho fatto parola d’arte normanna, parendomi non si possa
mettere in campo ne’ primi principii del secolo, quando i Normanni,
sia di Francia, sia d’Inghilterra, usavano ancora lo stile dell’uno o
dell’altro paese, il quale non somiglia per nulla a quello della Bassa
Italia, nè della Sicilia, signoreggiate, nol dimentichiamo giammai,
da guerrieri di ventura di tante nazioni, ai quali fu dato il nome di
Normanni, perch’era questa la gente che primeggiò tra loro.
È da avvertire che ci limitiamo nel giudizio nostro all’arte
predominante in Sicilia nel duodecimo secolo, quella, cioè, che si
ritrae da’ monumenti delle regioni occidentali e da quelli che furono
innalzati nelle orientali da’ principi normanni. Noi non supponghiamo
già che si fosse dileguata al tutto in Valdemone un’arte indigena
più antica, sorella dell’arte dell’Italia meridionale e molto
vicina a quella di Costantinopoli; ma pochi monumenti ne avanzano
nella Sicilia orientale, e tutti poco più o poco meno alterati da
successive costruzioni. Pertanto noi non ragioneremo di quest’arte
che non appartiene propriamente alla Sicilia musulmana, e in ogni
modo non se ne vede grande effetto nell’architettura del duodecimo
secolo; e sol possiamo supporre che nel decimo e nell’undecimo abbia
dato in prestito qualche accessorio agli architetti musulmani della
Sicilia. La ragione è che entrati i Greci di Sicilia e di Calabria
nella corte normanna di Palermo, insieme coi vincitori Oltramontani
o italiani di Terraferma, tutte quelle genti cristiane cominciarono
a dar nuovo indirizzo alle lettere, alle scienze morali e ad alcuna
delle arti figurative: ma l’opera fu lenta al par che l’aumento della
popolazione cristiana.[1277] Avvertiamo ancora che, chiamando arabica
l’architettura siciliana, intendiamo dire delle fattezze principali;
non potendosi tenere diversità di stile que’ lievi mutamenti che
richiede or il subietto dell’edifizio, ora il comodo o il capriccio
del padrone. L’arte arabica, sì ricca e versatile, potea soddisfar
appieno a coteste modificazioni senza necessità di trasnaturarsi.
Basta osservare la pianta delle principali chiese normanne di Sicilia
che han forma di basilica (diversa bensì da quella della Terraferma
d’Italia, al par che dalla chiesa bizantina e dalla moschea),[1278] e
ve n’ha alcuna costruita precisamente a croce greca; onde ognun vede
che gli architetti seguivano i dettami de’ prelati e de’ principi
fondatori, a un dipresso come i due architetti persiani abbozzarono
successivamente il disegno della _giâmi’_ di Cufa secondo i cenni di
Omar e di Ziad, e come l’architetto cristiano d’Ibn-Tulûn delineò la
moschea senza colonne. E mi sembra che gli architetti musulmani di
Palermo ben serbassero l’integrità dell’arte loro, dando alle chiese,
ch’e’ fabbricavano, talvolta una forma di mezzo tra l’occidentale e
l’orientale e talvolta la forma greca a dirittura. Si può ammettere
similmente che artisti siciliani abbian delineato qua e là, per voler
dei principi e de’ baroni, il fregio ad angoli salienti e rientranti
usato in Francia e in Inghilterra col nome di _chevron_ o _zigzag_,
e lo stesso diciamo di alcun’altra parte accessoria; ma nessuno
ne inferirà che l’arte arabica rimanesse alterata per questo, nè
tributaria delle arti settentrionali. Credo anch’io che re Ruggiero,
vago delle matematiche applicate e capace d’altissimi concetti, abbia
dato indirizzo agli artisti che gli fabbricarono San Giovanni degli
Eremiti, la Cappella Palatina, il Duomo di Cefalù, i palagi e le ville:
e pur non dirassi ch’egli abbia rinnovata con ciò l’arte arabica in
Sicilia.
La quale par sia stata allora esercitata quasi esclusivamente da’
Siciliani, sia di schiatta arabica o berbera, sia di schiatte indigene,
fatti musulmani e alcun di loro già riconvertito al Cristianesimo,
da senno o per gabbo. E veramente la moda d’intagliare iscrizioni
arabiche negli edifizii de’ principi normanni, come alla Cuba, alla
Zisa, e perfino nella torre della distrutta chiesa di San Giacomo
la Màzara,[1279] fa necessariamente supporre artisti la più parte
di linguaggio arabico. Il qual uso d’intagliare le iscrizioni nelle
mura esteriori de’ monumenti accettò anco le due altre lingue che si
parlavano in Palermo, la greca cioè nella chiesa della Martorana,[1280]
e la latina in quella contigua detta di San Cataldo; ma l’arabico
non cedè il luogo ne’ castelli della Cuba e della Zisa, ancorchè più
moderni.[1281] L’arabico entrò ne’ santuarii cristiani, come ognun
vede nel palco della Cappella Palatina e nella chiesa della Martorana,
nella quale, astrazion fatta delle due colonne con iscrizioni, tolte
evidentemente da moschee, la cupola di mosaico con epigrafi greche
è fasciata alla base, com’abbiamo testè accennato, d’una iscrizione
che comincia col simbolo greco bizantino e continua sino alla fine
in arabico, con formole cristiane tradotte da inni antichissimi della
Chiesa orientale.[1282] Convien dire anzi che gli architetti fossero
rimasi, se non musulmani, per lo meno arabizzanti fino alla seconda
metà del duodecimo secolo, poichè nel soffitto della chiesa della
Magione, che fu edificata in quel torno, si veggono ancora, su le
correnti del comignolo, le voci Vittoria, Salute, Possanza, Contentezza
ed altri augurii scritti in arabico, or a caratteri neri su fondo
bianco, or il contrario, ed ora in rosso con fili gialli su fondo
nero; e coteste correnti alternansi tra loro e con altre che portan
figure, le une di pesci e le altre di uccelli.[1283] Era capriccio
degli artefici, o piuttosto superstizione d’astrologia; ma pur sempre
la lingua pura e i caratteri netti e franchi provan la nazione degli
autori principali di quell’opera.
Spero io che questa definizione della architettura siciliana del
duodecimo secolo, messa innanzi dall’Hittorf, confortata da’ lavori
del Coste e, se mal non mi avviso, anche dal dotto giudizio dello
Springer e corredata delle notizie ch’io ho aggiunte qui, sia decisa
inappellabilmente, quando lo studio di nuovi testi arabi e di altri
monumenti della Siria e della Mesopotamia designerà precisamente il
tipo ch’ebbe l’architettura arabica orientale dall’ottavo all’undecimo
secolo. Coi quali studii troncherassi fors’anco quell’altra lite
su l’origine dell’architettura, impropriamente detta gotica, del
Settentrione. Uno de’ più eletti ingegni del secol nostro[1284] ha
trattato questo argomento, sostenendo, con molta erudizione e molto
amor patrio, come lo stile gotico non consista nell’arco acuto e come
sia nato dalle idee filosofiche, politiche e religiose che nella prima
metà del duodecimo secolo andavano germogliando entro le congreghe
ecclesiastiche dell’Isola di Francia. Ma s’egli ha dimostrata la novità
dello stile settentrionale e il merito di coloro che primi l’usarono
in Francia, o, com’altri vuole, in Germania o in Inghilterra, non si
potrà negare da un altro canto che l’arco acuto è pur parte principale
dell’arte del Settentrione; che si vedea già bello e compiuto
nella moschea d’Ibn-Tulûn nel nono secolo, e che s’ammirava anco
in Sicilia alla fine dell’undecimo e nella prima metà del seguente.
Non va rigettata dunque l’opinione del Coste e dell’Hittorf.[1285] I
pellegrini normanni e tedeschi che visitavano Gerusalemme e il Sinai
avanti la prima Crociata; i guerrieri dell’Occidente, nobili e plebei,
laici e chierici, che ritornavano a lor case dopo sciolto il voto della
liberazione, riportarono, com’egli è verosimile, l’idea dell’arco acuto
ed altre movenze dell’arte arabica; la quale con la sua vaghezza e
grandezza non potea non abbagliare gli inculti popoli dell’Europa. Nè
parmi supposto temerario che, sostando in Sicilia, alcun de’ reduci
abbia vista l’arte medesima fiorir sotto lo scettro cristiano e
servire agli edifizii sacri. Senza dubbio que’ concetti germogliarono
in menti preparate dalle tradizioni dell’architettura romana e da un
cupo sentimento religioso ignoto nell’Europa meridionale; senza dubbio
la qualità de’ materiali di costruzione e i bisogni del clima, per
esempio i tetti acuminati, richiesero delle modificazioni e suggerirono
di tentare un arco assai più aguzzo che non si fosse mai veduto in
Egitto, nè in Sicilia; e spesso, com’egli avviene, la necessità parve
virtù, e la bizzarrìa, volo del genio o sublimità dell’affetto. Spuntò
per tal modo quello stile che non è romano, nè lombardo, e neanco
arabico, nè bizantino, quantunque abbia preso di questo e di quello,
ma pur costituisce una forma nuova dell’arte e va noverato tra le poche
creazioni felici del medio evo.
Ritornando al mio argomento e toccando delle arti accessorie
all’architettura, io non sosterrò che tutti i be’ mosaici siciliani
del duodecimo secolo sien opera della schiatta musulmana. I soggetti
cristiani delle immagini poteano esser comandati anco a Musulmani; ma i
tipi immutabili della Chiesa bizantina copiati fedelmente, il disegno,
i colori, le epigrafi in greco, rivelan la mano di artisti di quella
schiatta, sia che fossero venuti apposta da Levante, come quei che avea
testè chiamati l’abate Desiderio a Monte Cassino, sia degli indigeni di
Sicilia e della Bassa Italia. Nè ripugno al supposto che uomini nati
di schiatte italiche nell’una o nell’altra regione abbian presa parte
al lavoro e lasciatovi per segno le epigrafi latine. Non escluderò
nè anco gli Arabi, quando Edrîsi, nel paragrafo della cattedrale di
Cordova testè citato,[1286] disse che nè Musulmani nè Rum avean mai
fatti mosaici più belli. Oramai non si può allegare, e reggerebbe
poco nel caso nostro, il supposto orrore d’ogni fedel musulmano contro
le immagini d’uomini o d’animali: contuttociò egli è probabile che i
Musulmani, più tosto che alle istorie bibliche ed alle rappresentazioni
de’ santi, abbiano lavorato a quello che soleano far più sovente, cioè
nelle chiese agli ornamenti e negli edifizii profani alle immagini
di fantasia, come quelle della sala terrena della Zisa e della stanza
normanna del palazzo reale. Del resto egli è noto che valenti critici
hanno studiati i mosaici di Sicilia e li hanno giudicati superiori a
que’ contemporanei della nostra Terraferma.[1287]