Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte II - 17

dobbiamo notar con lode gli epigrammi scherzevoli di questo autore[924]
ed uno serio, dove spira l’orgoglio serbato da nobile e forte gente tra
le amarezze che non mancavano ai vinti Musulmani di Sicilia.[925]
Par che Abu-s-Salt non abbia scritti in lista altri poeti siciliani,
poichè Imâd-ed-dîn, senza citarlo altrimenti, continua questo capitolo
con la scorta d’un anonimo che ne avea messi parecchi in una raccolta
compilata di recente in Mehdia.[926] Tornano essi dunque alla prima
metà del duodecimo secolo, com’anco s’argomenta dalle poesie dedicate a
re Ruggiero.
Primo ci occorre in questa raccolta Abu-Musa-’Isa-ibn-Abd-el-Mo’nim,
es-Sikilli, lodato dall’anonimo antologista, come “giureconsulto
di gran seguito, valoroso nelle allegazioni e negli argomenti,
l’avvocato principe del suo paese, (lo scrittore) dai concetti nuovi,
elevatissimi e dal linguaggio (fiorito come) i giardini cui rigan
piogge continue.” ’Imâd-ed-dîn, sopraccaricando figure, continua che
“a sentire i suoi dettati, ogni ferita risana; che il fulgore di quel
bello stile dissipa le angosce; che le parole rassembran perle cavate
dalle conchiglie e stelle raggianti. Ed ecco, conchiude Imâd, una delle
sue peregrine poesie d’amore, la quale è più dolce che un desiderio
soddisfatto.[927]” Ma al nostro palato sanno meno salvatichi i versi
dettati per una bella ragazza bionda[928] e per una bruna vezzosa.[929]
Oltre varii epigrammi, un de’ quali indirizzato ad Abu-s-Salt per
chiedergli in prestito un libro,[930] abbiam di lui il principio della
kasida funebre scritta per un Abu-Ali-Abd-Allah, e sembranmi nobili
versi.[931] È meraviglia che uom sì grave abbia dettate, nello stesso
metro solenne, delle poesie oscene, come ben le definisce Imâd e ne
reca in esempio una kasida intera ed un verso tolto da un’altra, del
quale non oso pur dare la traduzione latina: e il laido concetto è
espresso in termini astrologici che lo rendono più disgustoso.[932] I
trentacinque versi ond’è composta l’altra, cominciano con la imitazione
servile d’Imro-l-kais; arrivano ai vocaboli sudici e finiscono con una
apologia insipida e impertinente.[933] Pur non si può negare il pregio
della lingua in cotesti componimenti, nè in quelli di futile argomento,
ammessi al par nella _Kharîda_: un’epistola in prosa a lode d’un bel
saggio di calligrafia;[934] una in versi, nella quale sono evitate le
due lettere _elif_ e _lam_, sì frequenti nella lingua arabica.[935]
Abu-Abd-Allah-Mohammed, figliuolo del precedente e giureconsulto,
segretario e poeta, ebbe gran fama, a quanto ci si dice, come geometra
e astronomo o astrologo.[936] Più solenne giudizio troviamo intorno
le sue opere letterarie. Scrivono i biografi “ch’ei passeggiava su
le vette dell’eleganza; lo chiamano campione rinomato ne’ tornei
de’ dotti; scoprono nelle sue poesie tale virtù da esilarare gli
animi, e inebriare gli astanti come se si facessero girar tra loro
delle tazze di vin prelibato.”[937] ’Imâd, accennando alle elegie
di Mohammed-ibn-’Isa, esclama che, se ascoltassero di tai versi,
si metterebbero sulla buona strada anco i malvagi.[938] E per vero
una lunga kasida, scritta, com’e’ sembra, in morte d’alcun de’ Beni
Labbana, procede maestosa e patetica: e comprendiam che dovesse parer
capolavoro a chi possedea la lingua, a chi tenea sovrane bellezze
i tropi, le metafore, le antitesi, che or ci muovono a riso.[939]
La buona gente ascoltò, fors’anco tutta commossa, un’altra elegia
che esordisce col pianto dei cavalli.[940] Perdonati i difetti del
secolo, Mohammed-Ibn-Isa può dirsi buon poeta; migliore al certo del
padre, poichè seppe scansarne la scurrilità. Ne’ suoi versi d’amore
ci occorre, tra i luoghi comuni, qualche immagine graziosa.[941] Il
componimento che ho citato dianzi come poesia popolare, ha concetti
semplici, linguaggio facilissimo, versi non tanto lunghi e adatti al
canto; del resto corron tutti sopra unica rima a modo antico.[942]
Abbiamo di questo poeta gli squarci di due altre kaside, d’una epistola
in rima, di due in prosa e di due tramezzate dell’una e dell’altra,
onde veggiamo che lo stile familiare non gli facea smetter sempre le
ampollosità.[943]
Seppe scansarle, quanto allor poteasi, un altro siciliano
contemporaneo, del quale ’Imad-ed-dîn ci dà soltanto otto versi,
tolti in parte dal principio e in parte dal seguito di lunga kasida
che fu scritta in morte d’un nobil capo musulmano di Sicilia. E
duolci che ’Imâd non abbia serbato il nome di costui, nè il rimanente
dell’elegia, nel quale si sarebbero trovati per avventura de’ cenni
storici e de’ versi più belli; poichè l’antologista trascelse di certo
quelli che a noi possono piacer meno. Pur ci si veggono sentimenti
vigorosi, concetti poetici e nobiltà di forma; in grazia anche
del maestoso metro ch’è il _tawîl_, ossia “lungo.”[944] Il poeta
chiamossi Othman-ibn-Abd-er-Rahman, soprannominato Ibn-es-Susi, dice
’Imad-ed-dîn; ma questo a me pare piuttosto soprannome di qualche
antenato, oriundo di Susa in Affrica, il quale abbia fatto stanza e
lasciata progenie in Malta; poichè si ammira tuttavia in quell’isola
la lapida sepolcrale di Meimuna, figliuola di un Hassân-ibn-Ali,
della tribù di Hodseil, detto Ibn-es-Susi.[945] Il poeta appartenne di
certo alla stessa famiglia, poichè l’antologista continua dicendo che
“Malta fu il luogo della sua nascita,[946] la stanza di sua gente e la
produttrice del suo vino; quivi fu coltivato il suo ingegno, quivi egli
apprese lettere umane dal proprio padre. Abitò quindi Palermo; elessela
a (seconda) patria e vi trovò riposo. Ei visse oltre i settant’anni,
procreò figliuoli; le sue poesie (lodansi per) sano concetto, bella
struttura e buon gusto. Avea recitata egli stesso, pochi giorni pria di
morire, quella elegia all’autore della raccolta.”[947]
Siciliano parmi senza dubbio un Abu-d-Dhaw-Serrâg-ibn-Ahmed-ibn Regiâ,
del quale ’Imad-ed-dîn non dà cenno biografico, ma il cita a proposito
del carteggio ch’ei tenne con Abu-s-Salt.[948] Parmi siciliano, perchè
nella seconda metà del duodecimo secolo abbiamo di quel casato un
cadì di Palermo, il cui padre e l’avolo aveano esercitata la stessa
magistratura;[949] e d’altronde l’elegia dettata in morte d’un
figliuolo di Ruggiero, prova ch’egli ebbe grazia a corte di Sicilia
o ne cercò. Al dire di Imâd-ed-dîn, faceasi menzione di questo poeta
nell’opera d’Ibn-Bescrûn, della quale tra non guari tratteremo.
Si lodavano ampiamente i suoi rari pregi e le sue risplendenti
qualità: sobrietà di descrizioni, possente immaginativa, intuizione
sicura, acume d’intelletto, poesia ben tessuta e indirizzata ad alto
scopo.[950] E sì che la fantasia non venne meno ad Abu-d-Daw tra questo
turbine d’immagini orientali, evocate in mezzo al profondo lutto del
re.
Altri poeti celebrarono la magnificenza di Ruggiero con carmi i quali,
quantunque scorciati da Imâd-ed-dîn “perchè, dice egli, suonan lode
degli Infedeli ed io dal mio canto non la vo’ confermare,” han pure
singolar pregio appo noi, provando che così fatti omaggi erano graditi
a corte di Palermo, e valendo anco a illustrare luoghi di delizia che
da gran pezza han mutato aspetto. Così l’antica reggia di Palermo,
oltraggiata dal tempo e dai vicerè spagnuoli, l’anfiteatro romano,
chiamato nel medio evo la Sala verde e adeguato al suolo più di tre
secoli addietro, i giardini e il castello di Maredolce o della Favara,
le vestigie dei quali non sono dileguate del tutto, ci tornano alla
memoria ne’ versi di Abd-er-Rahman-ibn-Mohammed-ibn-Omar, della città
di Butera in Sicilia.
Fu questi, come leggiamo nella _Kharîda_, “recitator del Corano non
inferiore a nessuno al suo tempo, dottissimo nelle varianti del sacro
libro: e verseggiò con mirabile originalità di pensiero. Egli stesso
recitò all’anonimo mitologista una kasida, nella quale lodando Ruggiero
il Franco, principe della Sicilia, descrisse gli eccelsi edifizii di
quel re. Nel qual poema si legge tra le altre cose:[951]”
“Su, fa girare il (vin) vecchio[952] di color d’oro; e attacca la
bevuta mattutina con quella della sera.
Bevi al suon della lira bicorne e de’ canti ma’bediani.[953]
Non si vive davvero, se non che nel beato soggiorno di Sicilia,
(All’ombra) d’un principato che s’innalza sopra quello de’ Cesari.[954]
(Vedi) i palagi vittoriosi, dinanzi a’ quali la gioia arresta il
ronzino:
Ammira questo soggiorno che Iddio ha colmo d’abbondanza,
Il circo che superbisce sopra tutti gli edifizii (innalzati)
dall’arte;[955]
I giardini della Rupe,[956] ne’ quali torna ridente il mondo,
E i lioni della fonte che buttan acque di paradiso.
La primavera con le sue bellezze veste quei giardini di splendidi
ammanti;
Il mattino li incorona con colori di gemme.
E imbalsaman essi le aurette de’ zefiri, dall’alba ed al tramonto.”
Descrisse più particolarmente i giardini della Favara
Abd-er-Rahman-ibn-Abi-l-’Abbâs, da Trapani, il Segretario:[957]
“Favara da due mari[958] tu contenti ogni brama di vita dilettosa e di
magnifica apparenza.
Le tue acque diramansi in nove ruscelli: oh bello il corso delle acque
così spartito!
Là dove si congiungono i due mari, là s’affollano le delizie.
E sul canal maggiore s’accampa l’ardente desiderio.
Oh quanto è bello il mare dalle due palme e la (pen)isola[959] nella
quale s’estolle il gran palagio!
L’acqua limpidissima delle due polle somiglia a liquide perle e il
bacino a un pelago.[960]
Par che i rami degli alberi si allunghino per contemplare il pesce
nell’acqua e gli sorridano.
Nuota il grosso pesce in quelle chiare onde, e gli uccelli tra que’
giardini modulano il canto;
Le arance mature dell’isola sembran fuoco che arda su rami di smeraldo;
Il limone giallo rassomiglia all’amante che abbia passata la notte
piangendo per l’assenza (della sua bella);
Le due palme hanno l’aspetto di due amanti che siansi riparati in asilo
inaccessibile, per guardarsi da’ nemici,
Ovvero, sentendosi caduti in sospetto, s’ergan lì ritti per confondere
i susurroni e lor ma’ pensieri.
O palme de’ due mari di Palermo! che vi rinfreschino continue, non
interrotte mai, copiose rugiade!
Godete la presente fortuna, conseguite ogni desio: e che dorman sempre
le avversità!
Prosperate con l’aiuto di Dio; date asilo a’ cuori teneri e che nella
fida ombra vostra l’amor viva in pace!
Quest’è genuina (descrizione) da non mettere in dubbio. Ma s’io
sentissi (raccontare) cose simili, mi parrebbero proprio favole.”[961]
Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan, il grammatico Siciliano, al dir dell’anonimo
citato nella _Kharîda_, “fu principe in lessicografia e in grammatica;
rinomato per le sane e sobrie dottrine filologiche; lodato per
l’orditura giusta e l’andamento scorrevole e ben ordinato de’ suoi
versi. Messo in carcere da’ Franchi di Sicilia, continua l’autore,
e travagliato con ogni maniera di angherìe, dalla sua prigione ei
dettò una kasida a lode di re Ruggiero.” Della quale Imâd-ed-dîn dà il
principio e due squarci, ma poi tronca netto la citazione, mormorando
che quantunque gli piaccia la poesia, quelli augurii gli danno noia,
nè vuol ratificare le lodi degli Infedeli, che Iddio si affretti
a precipitarli nel più cocente ardore del suo fuoco.[962] Pur ei
conchiude che il poeta è scusabile, come prigione.[963] Il quale, quasi
a smentire il critico che dovea lodarlo del felice disegno, sbalza con
transizione spropositata dal classico amante di So’àd[964] al magnifico
re di Sicilia; ma, tra le esagerazioni, sbozza pur qualche bella
immagine e sempre esprime i concetti con rara eleganza.[965]
Per incontinenza poetica, o perchè volle anch’egli adular
il vincitore dell’Affrica, ripetea le lodi di Ruggiero
un letterato di Mehdia, il cui nome ci è già occorso:
Othman-ibn-Abd-er-Rahîm-ibn-Abd-er-Rezzâk-ibn-Gia’far-ibn-Bescrûn-ibn-Scebîb,
della tribù di Azd, il quale par abbia fatta lunga dimora in Sicilia,
poichè porta anche il nome di Sikilli. Dà notizia di lui Imâd-ed-dîn,
trascrivendo nella _Kharîda_ molte poesie, tolte dal libro che die’
fuori questo Ibn-Bescrûn nel cinquecensessantuno (1165-6) col titolo di
El Mokhtar, ec. ossia “Scelta di poesie e di prose rimate degli egregii
contemporanei.”[966] Quivi dice l’autore che, avendogli Abd-er-Rahman
da Butera mostrata la kasida a lode di Ruggiero e avendolo richiesto di
un componimento compagno di metro e rima, ei cantò:[967]
“Evviva la Mansuria, tutta splendente di bellezza;
Col suo castello saldissimo di struttura, elegante di forma; con le
eccelse logge;[968]
Con le sue belve,[969] con le acque copiose e le fonti che potrebbero
stare nel Paradiso.
Quivi i giardini lussureggianti veston ricchi drappi,
Chè tutto il suolo è coperto di broccato[970] del Sind.
Il zeffiro (che vi passa) ti arreca la fragranza dell’ambra.
Qui vedi gli alberi carichi d’ogni più squisita sorta di frutta;
Qui gli uccelli, senza posa, dalla mattina alla sera si ricambiano (il
canto).
Che qui s’innalzi (sempre) in sua gloria Ruggiero, re de’ re cesarei,
E (goda) lungamente le dolcezze della vita, ne’ ritrovi che fan suo
diletto.”[971]
Dopo i poeti cesarei, Imâd-ed-dîn registra _El Gâun-es-Sikilli_, ossia
il “Ribelle siciliano,” come fu chiamato Abu-Ali-Hasan-ibn-Wadd: e
nulla ci dice su l’origine di quel terribil nome, ma sol nota aver
trovati di molti sbagli ne’ versi. E dà uno squarcio di kasida; poi
de’ versi d’amore, accozzati di luoghi comuni, senza alcuno di que’
bizzarri concetti ed espressioni ricercate ch’eran tanto in pregio.
I quattro versi che ci rimangono della kasida, odorano di apologia;
poichè l’autore si lagna delle vicende della fortuna e de’ partigiani
che l’hanno abbandonato. Ingenuo lo stile anche qui, non vela il
dispetto nè l’orgoglio, e mostra che il Ribelle non verseggiava per far
versi, ma per isfogare la passione dell’animo.[972]
Visse sotto re Ruggiero Abd-er-Rahman-ibn-Ramadhan da Malta, detto il
cadi, ancorchè non si fosse mai dato alla giurisprudenza, ma solo alla
poesia; nella quale i critici del tempo in loro stile sentenziavano che
“egli ebbe un mar di pensieri ed una scaturigine bollente d’estro,”
e aggiugneano che moltissimi versi ei scrisse a lode di Ruggiero,
chiedendo licenza di ritornare in Malta, ma non ne cavò altro che aspre
ripulse.[973] Imâd-ed-dîn non trascrive pur un di que’ versi e mal
ce ne compensa con due epigrammi, l’uno fredduccio, l’altro bello ma
amaro.[974] La coincidenza del nome patronimico, della patria e della
età, mi fa credere sia questi il medesimo Abu-l-Kasim-ibn-Ramadhan,
del quale il cosmografo Kazwini ci ha serbato l’emistichio ch’egli
improvvisò vedendo una clepsidra. E starebbe bene, del resto, che
Imâd l’avesse notato col nome proprio Abd-er-Rahman, e il Kazwini col
soprannome familiare Abu-l-Kâsim. In ogni modo va aggiunto ai poeti
siciliani Ibn-es-Sementi, che compiè il verso e il madrigale, sì come
abbiam detto.[975]
E così venuti alle poesie minori, ci occorre
Abd-el-Halîm-ibn-Abd-el-Wâhid, il quale, educato nell’Affrica propria,
Siciliano, dice Imâd-ed-dîn, per soggiorno, come quegli che stanziò
in Palermo, “apprese ogni bel sapere da’ letterati di quella città,
e dettò versi che rassembrano a’ grappoli dell’uva ed orazioni che
sembran collane.” Affettuoso il suo distico su la terra che gli die’
ospizio:
“Amai la Sicilia nella prima gioventù. Essa parea giardino d’eterna
felicità.
E non m’incomincian per anco a biancheggiare i capelli, che eccola, già
divenuta gehenna ardente!”[976]
Anche i suoi versi d’amore son eleganti ed arguti.[977]
Un altro musulmano di Mehdia, venuto in Sicilia qualche mezzo secolo
dopo Abd-el-Halîm, dettò alcuni versi sopra un giovanetto cristiano,
garzon di bettola in Palermo, i quali vo’ tradurre come ricordo dei
costumi, non che io ci vegga tante bellezze. Il poeta si addimandò lo
sceikh Abu-l-Hosein-ibn-es-Sebân; e sappiamo ch’ei passò di Sicilia in
Damasco, dove morì il cinquecensessanta (1164-5), dopo il soggiorno di
più di dieci anni.[978]
Credo nato in Sicilia Abu-l-Fadhl-Gia’far-ibn-el-Barûn, non solo
perch’egli è detto Siciliano nell’antologia, ma altresì perchè una
iscrizione arabica di Termini ricorda un Barûn, paggio della corte
siciliana, fondatore di non so qual monumento.[979] Forse Barûn fu
soprannome e divenne casato in persona de’ figli. Tra quali si può
noverare questo Gia’far “uno degli unici nell’arte di far ottimi
versi,” scrive Imâd-ed-dîn, e accenna particolarmente ad alcuni in
lode del vino, ma non li dà. I versi d’amore, dei quali ci rimangono
quattro squarci, sembrano eleganti e non senza originalità.[980]
Que’ di metro più breve corrono sopra unica rima come gli altri.[981]
Gareggiano i due antologisti nelle lodi del giureconsulto siciliano
Abu-Mohammed-ibn-Semna; del quale l’anonimo dice ch’ei seppe unire
l’arte poetica alla scienza del diritto; ch’ebbe indole vivace,
pronta e arguta risposta, conversazione amena e scherzevole.
Imâd-ed-dîn rincalza: parergli le costui poesie, lavoro sublime
e frutto maturo. Ma si avverta che la critica è scritta in prosa
rimata, con vocaboli contrapposti, assonanze e bisticci, che l’è una
maraviglia. Piacque soprattutto un battibecco tra questo Ibn-Semna e
’Isa-ibn-Abd-el-Mo’nim, e la cortese risposta, fatta in otto versi, ai
rimbrotti, che ’Isa, punto da parole riportategli, avea scritti in tre
versi[982] dello stesso metro e rima.
Visse in Egitto, uscito di Sicilia non sappiam quando, e fu
primo segretario del califo fatemita Fâiz-billah (1155-60),
un Abd-el-Aziz-ibn-el-Hosein, di sangue aghlabita, detto
Sikilli e Sa’di,[983] e soprannominato _El-kadhi-el-Gialîs_
(Il cadi compagnevole); il quale morì d’oltre settant’anni, il
cinquecensessantuno (1165-6). Parecchi squarci delle sue poesie,
serbati da un biografo del secolo decimoquarto, cel mostrano poco
diverso da’ poeti minori contemporanei; chè al par d’ogni altro ei
sciorina le pupille omicide, le fonti di lagrime e tutto il resto.[984]
Pur v’ha di lui qualche grazioso epigramma,[985] e il principio
dell’elegia dettata per un suo figliuolo, che morì per naufragio, ci
sembra pien d’affetto.[986] L’era forse tutta la kasida e per questo
appunto parve sì scipita al biografo; il quale ne dà un solo verso,
confermando con ciò che, da ’Imad-ed-din a lui, il gusto de’ letterati
arabi di cattivo era fatto pessimo.
Son questi gli ultimi poeti arabi che verseggiarono in Sicilia. Agli
stranieri è da aggiugnere Jehia-ibn-et-Teifasci da Kâbes, ucciso in
Sicilia da’ Franchi, dice Imad-ed-dîn, dopo il cinquecencinquanta
(1155) quand’e’ fecero la carnificina de’ Musulmani:[987] ch’è da
riferirsi, secondo me, alla rivoluzione del millecensessantuno.
Scrittore e poeta di maggior fama, venne in Sicilia (1168), com’abbiamo
detto,[988] il cadi Ibn-Kalâkis d’Alessandria, il quale ripartì con
un ambasciatore egiziano che di Palermo tornavasi al Cairo. Par che
Ibn-Kalâkis abbia soggiornato parecchi mesi nell’isola, poich’egli
vide Palermo, Termini, Cefalù, Patti, Lipari, Caronia, Messina,
Siracusa. Oltre il libro dedicato ad Abu-l-Kasim e i versi che gli
scrisse quand’ebbe a toccar l’isola di nuovo per fortuna di mare,
sappiam ch’ei lodò re Guglielmo in una kasida e abbiamo i versi ch’ei
dettò, a proposito delle mentovate città di Sicilia, trovando sempre
a ridire: qua sul nome, là sul clima o su le acque; ed or lamentando
i disagi della navigazione, or le molestie degli uomini, or l’uggia
del veder cavalieri cristiani serrati in fila con le spade sguainate,
come i denti di qualche belva che stèsse per avventarsi addosso a’
Musulmani.[989] Al contrario lodava l’umanità della corte siciliana un
de’ Beni-Rowaha, il quale, preso dall’armata mentr’ei navigava, chiese
grazia con versi non tanto studiati, dicendo aver lasciati a casa una
madre vecchia e de’ figliuoli piccini in grandi strettezze, i quali,
volesse Iddio, conchiuse il poeta, che fossero qui prigioni, “poichè
appo voi non ci manca vitto nè vestito.” E si narra che il re liberò
costui, gli donò mille dirhem, e lo rimandò appo i suoi, spesato di
tutto. Ma non sappiamo a chi si debba riferire il beneficio, poichè
Scehâb-ed-dîn-’Omari, che trascrive cotesti versi, non dà il nome del
re, nè il tempo, nè altro particolare che il casato del poeta.[990]


CAPITOLO XII.

Ormai tra il libro di re Ruggiero e i diplomi suoi e de’ successori;
tra Falcando, Ibn-Giobair e gli altri cronisti e geografi, si può
delineare un prospetto delle condizioni topografiche ed economiche
della Sicilia nell’ultimo periodo delle colonie Musulmane. Si posson
anco particolareggiare alcuni compartimenti del quadro. A chi abbia
sotto gli occhi la descrizione dell’Edrîsi, accurata com’essa è
in alcune parti, viene in mente la prima cosa di cercare quali
mutamenti siano accaduti nella geografia fisica dell’isola. E la
curiosità delusa ci ricorda qual breve spazio siano sette secoli
nella cronologia del globo. All’infuori di Panaria, la quale manca di
certo per dimenticanza,[991] noi troviamo intorno la Sicilia le stesse
isolette; delle quali, allora appunto com’oggi, ardean sole Stromboli
e Vulcano, e quest’ultima con rarissimi intervalli.[992] Sarebbe sì
da notare, come vestigia d’antichi fatti geologici, la diversità di
certi quadrupedi in diverse isolette; poichè Edrîsi dice che viveano in
Pantellaria capre domestiche rinsalvatichite,[993] in Vulcano, capre
selvatiche, e in Marettimo, capre e antilopi.[994] Ma non sappiamo
quanta fede meritino così fatte distinzioni, nè se meglio sarebbe
aggiugnere a quegli animali i cervi di Favignana che ricordansi nel
decimottavo secolo,[995] e raccoglierli tutti quanti in unica specie,
quella per lo appunto onde par sia venuto il nome di Egadi alle isole
vicine a Trapani e quello di Capri, Caprera, Capraia ad altre più
settentrionali.
Abbiam toccato in uno dei precedenti libri la quistione del menomato
volume delle acque fluviali in Sicilia.[996] A quella or si rannoda la
deteriorazione che parrebbe avvenuta in alcuni porti: ma è da ricordare
che Edrîsi estende l’appellazione di marsa, ossia porto, a’ piccoli
scali; e che in quella età, ancorchè non mancassero navi capaci al
par delle nostre fregate, pure si adoperavano ordinariamente piccoli
legni e soprattutto men cavi che i nostri. Contuttociò non è da negare
assolutamente la differenza di profondità che comparisce nel fiume
di Lentini e nelle foci di que’ che prendono il nome da Mazara e da
Ragusa, quando Edrîsi scrive che le navi arrivavano con tutto il carico
entro la prima di quelle città, posta a sei miglia dentro terra;[997]
che legni addetti al traffico con Calabria, Affrica ed altri paesi,
caricavano e scaricavano alla imboccatura del fiume di Ragusa;[998]
e che navi salpavano e barche svernavano presso la città, nel fiume
Mazaro.[999] Indi possiamo supporre avvenuto in cotesti luoghi un
interrimento o un sollevamento del suolo, di che abbiamo tanti esempii
in Sicilia e fuori. Possiamo creder anco rimpiccioliti per simili
cagioni i porti di Catania, Girgenti e Trapani, i quali or si lavora
a ristorare, quando sappiam che al tempo di re Ruggiero erano i due
primi gremiti sempre di navi;[1000] il terzo sicurissimo da tutti
i venti e immune della risacca, onde vi si svernava.[1001] Dei due
porti di Siracusa leggiamo che il piccolo fosse più frequentato che
l’altro.[1002]
Edrîsi fa menzione della fonte intermittente, detta Donna Lucata,[1003]
presso Scicli e dell’Amenano che scorre sotterraneo in Catania e
talvolta irrompe nelle strade.[1004] Dobbiam altresì, a chi raccolse le
notizie topografiche, un abbozzo di statistica archeologica dell’isola,
leggendosi col predicato di _azali_, che appo noi suonerebbe
“aborigene,” le castella di Termini, Tusa, Kala’t-el-Kewârib (Santo
Stefano), Caronia, Taormina, Noto, Ragusa, Girgenti, Marsala, Trapani,
Kala’t-et-Tirâzi (Calatrasi presso Corleone), Battelari (presso
Bisacquino) e Calatafimi; oltrechè son chiamati _kadîm_, ossia «antico»
il castel di San Marco e Noto or or nominata: e si dice a Termini del
teatro e de’ bagni; a Girgenti degli antichi avanzi che dimostrano la
possanza alla quale arrivò un tempo il paese; a Taormina del ponte,
del teatro romano, testimone della grandezza di chi edificollo, e di
un colle che addimandavasi Tûr, celeberrimo per miracoli e pratiche di
devozione.[1005]
Passando alla geografia politica, novello studio sul testo di Edrîsi e
su le altre memorie di quei tempi, mi sforza a confessare che mancano
ne’ documenti del duodecimo secolo le prove della tripartizione
amministrativa della Sicilia, ch’io, seguendo il Gregorio, supponea
ristorata da re Ruggiero.[1006] Se altre carte non ci daranno ragguagli
più precisi, è da ritenere che sotto i Normanni la Sicilia sia stata
divisa in varie province o distretti, di estensione assai disuguale e
fors’anco mutabile.[1007]
Con maggiore certezza ritraggiamo da Edrîsi la distribuzione degli
abitatori sul territorio dell’isola. Noveravansi in questa centrenta
grossi paesi, escluse, com’espressamente ci avverte il compilatore, le
ville, i casali e le terre minori. Percorrendo i centrenta, veggiamo
che trentuno, posti la più parte su la marina, aveano de’ mercati,
ossia, secondo l’uso dell’Oriente e dell’Europa del medio evo, delle
contrade abitate da artigiani dello stesso mestiere o venditori della
stessa merce. Undici paesi, de’ quali un solo dentro terra, vanta van
de’ bagni;[1008] Palermo avea de’ magazzini di grandi mercatanti;[1009]
Palermo stessa, Lentini e Marsala, de’ fondachi;[1010] Catania,
Siracusa, Mazara e Marsala, de’ _khân_:[1011] ed oltre Palermo,
Messina, Catania e Siracusa, segnalavansi, per palagi e grandi
edifizii, Castrogiovanni, Noto, Butera, Girgenti, Carini: e notavansi
le larghe vie di Mazara, e le villette di delizia intorno i bagni
Segestani.[1012] Delle isolette adjacenti, erano abitate per tutto
l’anno Malta e Pantellaria; Lipari soltanto in certe stagioni, ma avea
pure un castello:[1013] disabitate sembrano le altre, non facendovisi
ricordo di popolazione nè di agricoltura, ancorchè quelle isolette
fossero state esplorate diligentemente, come si argomenta dalla
descrizione dei porti loro, delle acque dolci, della legna che vi si
trovava, e della frequenza de’ navigli che soleano cercarvi asilo nelle
fortune di mare.[1014] Leggiamo con maraviglia essere abbandonata,
senza guardia d’armati nè pur d’un custode, la inespugnabile fortezza
dell’Erice, chiamato allora Gebel-Hâmid;[1015] quando Ibn-Giobair,
trent’anni appresso, la dicea vegliata sì gelosamente.[1016] Il
libro di Ruggiero pone entro la fortezza di Giato una segreta pe’
rei di maestà;[1017] dice tramutata in Sciacca la popolazione di
Caltabellotta, fuorchè un piccol presidio;[1018] e ci fa saper che
la ròcca di Kala’t-es-Sirût, che torna al Golisano del medio evo, o
Collesano, com’è piaciuto poi di scrivere, era stata spiantata, per
comando del re, e tramutati i terrazzani in sito men difendevole.[1019]
Del qual episodio non fanno menzione le croniche; ma sta bene nella
tragedia che si travagliò per tanti anni tra re Ruggiero e Rainolfo
conte d’Avellino, marito d’una sua sorella e nemico implacabile del
cognato. De’ centrenta grossi paesi, poi, una trentina sono scomparsi
oggidì dal novero de’ comuni, e ne riman appena il nome in qualche
villa o in qualche castello abbandonato e sovente rovinoso. Giacciono,
la più parte, nelle province di Palermo, Trapani, Girgenti, o vogliam
dire in quello che fu val di Mazara.[1020] Guardando una carta
geografica, si vede ancora la cicatrice della gran piaga che vi fu
aperta alla fine del duodecimo e prima metà del secolo seguente.
Il qual fatto mi conduce a chiarirne un altro, assai più grande e
funesto. Raccogliendo tutti i nomi de’ luoghi abitati che occorrono
negli scritti geografici o storici e ne’ diplomi, dal principio
dell’ottavo al principio del decimoquinto secolo, si notano in
Sicilia più di mille nodi di popolazione, tra piccoli e grandi; dal
qual numero si può togliere forse una dozzina per nomi raddoppiati,
ma vanno aggiunte parecchie centinaia di nomi ignoti finadesso, o
perduti del tutto con tanti diplomi pubblici e privati. A fronte dei