Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 25
re d’Ungheria. Senza dubbio quell’_«usque Pannoniam»_ è erroneo e
va corretto _usque Panormum_, come si legge in una variante data dal
Caruso, pag. 344 (Muratori, V, 599). Noi possiamo riconoscere in parte
la strada che tenne il cortèo fino a Termini, e conchiudere che movea
da Traina. I documenti che citeremo qui innanzi, pag. 340, nota 3, ci
mostrano che nel 1094 una «strada regia» passava per Traina; che nel
1096 una «strada francese» dalla sorgente del fiume Torto, ossia da’
dintorni di Vicari, andava a Levante, cioè verso Traina; e che nel 1132
una strada correa da Palermo a Vicari, Castronovo, Petralia. Senza
dubbio il corteo della sposa battè quello stradale militare. Perchè
poi fosse ito a Termini piuttosto che a Palermo, si può ben ritrovare,
senza il supposto che la strada del 1132 non fosse aperta il 1097.
Palermo appartenne tutta a’ Duchi di Puglia, fino al 1091; quando ne
fu ceduta una metà al conte Ruggiero. Or egli è verosimile, per non
dir necessario, che, tra parenti così sospettosi, e non senza ragione,
i patti della cessione vietassero l’entrata di nuove forze militari
dell’uno o dell’altro nel territorio comune: e forza considerevolissima
erano 300 militi, ossia circa 1000 cavalli. Sembra dunque che la scorta
abbia lasciata la principessa alla frontiera del territorio proprio
del Conte, ch’era Termini, e ch’ella, accompagnata da’ grandi della
Corte, sia andata per mare nel gran porto di Palermo, dove si allestì
l’armatetta che poi la recò nell’Adriatico.
[771] Diplomi arabici della Cattedrale di Palermo, il primo de’ quali
fu citato e il secondo pubblicato dal Gregorio, _De Supputandis_,
pag. 34, a 39. Tra gli altri errori, il Gregorio prese per nome
proprio la trascrizione arabica della voce Stratego. Un po’ meno
infelicemente, il professore Caruso ristampò l’uno e pubblicò l’altro
nella _Biblioteca Sacra_, Tomo II, Palermo, 1834, pag. 46, segg.,
55, segg. Io ne ho avute, per cortesia del professor Cusa, due buone
copie cavate dall’originale. Alla fine del primo, in luogo dell’_era
barbara_, che suppose il Gregorio e il Caruso copiò, va letto: «_con
la data di marzo_». Questo Abu-Taib, figliuolo, come dicono i diplomi,
dello sceikh Stefano, sembra di famiglia musulmana convertita e forse
di quelle indigene che, dopo avere abbracciato I’islam, ritornarono
al cristianesimo. Ei mi pare identico con l’Eugenio detto il Bello
(Τοῦ καλοῦ e l’è traduzione letterale di Abu-Taib) segreto della
corte, secondo un diploma del 1183, presso Spata, _Pergamene_, pag.
293; lo stesso che nella traduzione latina d’un diploma greco, presso
Gregorio, _De Supputandis_, pag. 54 segg. e presso Spata, op. cit.,
pag. 452 segg. è detto Eugenio de Cales. La voce Biccari, a pag. 57
del Gregorio, e Biccaib, a pag. 454 dello Spata, va corretta _Bittaib_,
ch’è il nome Abu-Taib, pronunziato volgarmente e messo al genitivo. Ho
scritte le lettere N-zh-r-d come le veggo nelle copie, e le suppongo
nome topografico, non casato sì come parve al Gregorio e al Caruso. Ma
non trovo riscontro ne’ nomi topografici di quel contorno de’ quali
sappiamo pur molti. La forma de’ caratteri, mutati i punti, mi fa
pensare a Battelari, il quale luogo si vegga nella mia _Carte Comparée
de la Sicile_, pag. 29.
[772] Presso Spata, _Pergamene_, pag. 434. Il nome del comune manca; ma
il diploma appartenea al vescovato di Cefalù.
[773] _Considerazioni_, lib. I, cap. iij.
[774] Il Gregorio stesso, dopo avere sostenuto nel lib. I, la esclusiva
competenza criminale, pubblicava nel lib. II, cap. ij, nota 32, la
traduzione d’un diploma greco del 1172, dal quale risulta che in
quell’anno medesimo e al tempo dell’arcivescovo Roberto (1090-1108),
lo stratego di Messina esercitava giurisdizione civile. Si vegga
d’altronde su la competenza di quel magistrato, l’Hartwig, _Codex juris
municipalis Siciliæ_, Parte I, pag. 32 segg.
Inoltre lo stratego di Demenna esercitava giurisdizione civile, secondo
un diploma greco del 1136, presso Spata, _Pergamene_, pag. 265; e
così anco lo stratego di Centorbi, secondo un diploma del 1183. op.
cit., pag. 293. Operano gli strateghi come agenti del Demanio regio in
Giattini (così va letto, non Catinae, e sparisce indi lo stratego di
Catania supposto dal Gregorio, _Considerazioni_, lib. I, cap. iij, nota
6) secondo un diploma latino del 1133, presso Pirro, _Sicilia Sacra_,
pag. 774; e in Siracusa secondo un diploma greco-latino del 1172,
presso Spata, _Pergamene_, pag. 443, 444.
[775] Gregorio, op. cit., lib. I, cap. iij, nota 20. Nel Diploma
del 1172, citato poc’anzi, è nominato, oltre lo stratego, anche il
vicecomite di Siracusa.
[776] Intorno i vicecomiti in Italia si vegga Hegel, _Storia de’
Municipi italiani_, versione italiana, pagg. 128, 441, 473.
[777] Ibn-Giobair, nel _Journal Asiatique_, genn. 1846, pag. 80, e
nell’_Archivio Storico Italiano_, Appendice, nº 16. pag. 32, dice
del cadì di Palermo che giudicava le liti tra i Musulmani, sotto
Guglielmo II. Il nome dell’uficio comparisce in un diploma greco, del
1143, presso Morso, _Palermo antico_, pag. 306; la giurisdizione poi
nelle seguenti carte: 1123, greca, presso Spata, _Pergamene_, pag.
410; 1137, arabica inedita della Cappella palatina di Palermo; 1161,
arabica inedita della Commenda della Magione di Palermo, oggi nel regio
Archivio; 1202 latina, presso Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap.
vij, nota 7.
Si avverta che la prima e l’ultima mostrano funzioni di giudice e le
due altre quel che noi chiamiamo pubblico ministero, a tutela delle
donne e de’ minori. Molti altri contratti di vendita sono stipulati,
come di ragione, dinanzi testimonii, senza intervento del cadi.
Il cadi di Lucera, dopo la deportazione dei Musulmani di Sicilia in
Terraferma, è citato in un diploma dell’imperator Federigo, dato il
25 dicembre 1239, nella edizione Carcani, pag. 30, e nell’_Historia
Diplomatica Friderici II_, tomo V, pag. 627-628.
Ibn Giobair, op. cit., pag. 87, e traduzione italiana, pag. 35,
dice dello _Hakim_ di Trapani, innanzi il quale era stata attestata
l’apparizione della nuova luna, per determinare legalmente i giorni
del digiuno di ramadhan. Il titolo di Hakim dato al primo magistrato di
Malta, viene evidentemente da’ tempi musulmani, passando pei normanni.
[778] Gregorio, _Considerazioni_, lib. I, cap. iij; Hartwig, _Codex
Juris municipalis Siciliæ_, Parte I.
[779] Gregorio, _Considerazioni_. lib. I, v e vj.
[780] Si vegga il capitolo precedente, pag. 245, nota 2. In fin del
ruolo di Aci, quivi citato, ch’è dato di Messina il 6603 (1095) si
dice che tutte le platee del paese del Conte e di quelli de’ suoi
_terrieri_, erano state scrìtte in Mazara il 6601; e quindi si ordina
che se alcuno degli Agareni notato nel presente ruolo si trovasse in
quegli altri, ei fosse immediatamente reso dal vescovo di Catania a chi
di dritto. Lo stesso si scorge dal preambolo di un ruolo arabo-greco
dei villani di Catania, dato il 1144.
[781] La voce _rab’_, al plurale _ribâ’_ fu studiata da Mr. De
Sacy e, con buone autorità, tradotta _casa_, nella _Rélation de
l’Egypte par Abdallatif_, pag. 303, nota. Ma in cotesto significato
la sembra idiotismo dell’Egitto. Il significato di _podere_, che ha
evidentemente questa voce ne’ diplomi di Sicilia e nella geografia di
Edrisi, ritrovasi anco in Azraki, _Storia della Mecca_, e l’è tolto
probabilmente da scritture de’ primi tempi dell’islamismo. Senza citare
tutti i diplomi arabici della Sicilia ne’ quali occorre questa voce,
ricorderò quelli del 1149 e 1154, il primo de’ quali presso Gregorio,
_De Supputandis_, pag. 34, e l’altro nella Biblioteca Sacra per la
Sicilia, tom. II, pag. 46. Nelle traduzioni ufiziali di Sicilia del
XII secolo, _rab’_ è reso in latino _cultura_, _terræ laboratoriæ_,
al collettivo, e _terræ_ senz’altro (diploma del 1182, testo arabico
inedito; la traduzione latina pubblicata da Del Giudice, _Descrizione
del real tempio_, ec. in una delle appendici, nella quale i luoghi
ch’io cito si ritrovano a pagg. 10, 12 e 18) e altrove in greco
τετραμέρως, che pare scambio con la voce _rub’_ «quarta parte» derivata
dalla stessa radice (diploma del 1172, greco-arabo, nel Tabulario della
Cappella palatina di Palermo, pag. 29, 30).
La voce _cultura_, determinata dalle parole _ad duo paria bovium_,
si legge anco in un diploma latino del 1094, presso Pirro, _Sicilia
Sacra_, pag. 521. E risponde senza dubbio al _rab’_, il quale, come si
scorge da’ citati diplomi del 1149 e 1154, si misurava a _zeug_, cioè
paia di buoi, _paricla_, come scriveano latinamente nel medio evo:
quella stessa misura di superficie della quale ci è occorso di trattare
nel lib. I, cap. vj, e lib. IV, cap. viij, pag. 153 del 1º volume e
352, del 2º.
[782] Diploma presso Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 384, dove si legge:
_cum omni lenimento et pertinentiis suis, secundum anticas divisiones
Saracenorum_.
[783] Si veggano i diplomi arabici del 1149, 1174, 1172, e sopratutto
quello del 1182, citati nelle note precedenti.
[784] Cotesto titolo ai trova ne’ diplomi arabici del 1149 e 1154,
citati poc’anzi nella pag. 316, nota 1; in uno greco arabico del 1172,
pubblicato nel Tabulario della Cappella Palatina di Palermo, pag. 30,
31; in uno arabico del 1182, inedito che apparteneva al Monastero de’
Benedettini di Morreale, ec.
Mettendo da parte la traduzione del Gregorio: «Duana veracis conservata
a Deo» (_De Supputandis_, pag. 35) e quella del XIII. secolo «Doana
Veritatis» (presso Gregorio, op. cit., pag. 57) la quale servì di
guida all’illustre pubblicista e mediocrissimo arabizzante siciliano,
noi diremo della versione «Bureau de vérification du domaine.» data
da M. Noël Des Vergers (_Journal Asiatique_ di ottobre 1845, p.
340) trascrivendo un brano del detto diploma del 1149 per comento
a quello del 1182, ch’egli pubblicava. L’autorità di questo erudito
francese, di cui abbiamo deplorata non è guari la morte, è di molto
peso, perch’egli sapea per benino l’arabico; e molto meglio di lui e
di noi tutti lo sa M. Caussin De Perceval, ch’egli consultò in quel
suo studio sul diploma arabico di Morreale del 1182. Evidentemente
que’ due dotti uomini dettero all’aggettivo passivo _Ma’mûr_ il
significato del sostantivo _côlto_, come appunto l’ha preso questa
voce in italiano; e, trattandosi evidentemente di beni demaniali, lo
tradussero _domaine_. Quanto all’articolo del sostantivo _tahkik_ essi
lo considerarono «appositivo», come dicono i grammatici. E così la
traduzione starebbe benissimo: «Uficio della verificazione de’ côlti»
o meglio «dell’appuramento degli Stabili,» perocchè la voce _ma’mûr_
può applicarsi a qualsivoglia terreno reso profittevole dall’industria
dell’uomo, con lavori agrarii o fabbriche.
Se non che i ragguagli dell’amministrazione pubblica d’Egitto nel medio
evo, i quali m’è occorso di studiare, conducono a interpretazione
diversa. E primo, nella Storia de’ Patriarchi d’Alessandria, opera
del XIII secolo, Ms. arabico di Parigi, Ancien fonds 140, è citato,
a pag. 400, il _Diwan-el-Khazânat-el-Ma’mûrah_, ossia “ufizio de’
forzieri,” _ma’murah_, e, pag. 407, il _Beit-el-Mâl-el-Ma’mûr_,
ossia il Tesoro (col significato di cassa dello Stato) _ma’mur_; nei
quali due casi quest’ultima voce, messa, sia al mascolino, sia, come
plurale irregolare, al femminino, è evidentemente aggettivo passivo,
come noi diremmo “ben fornito, pieno:” e si diceva a mo’ di formola
parlando delle entrate pubbliche, nel pio supposto che le fossero
sempre abbondanti, ovvero a mo’ d’invocazione ad Allah che sempre le
accrescesse. Lo stesso Ms. de’ Patriarchi d’Alessandria, a pag. 224,
dice del _Diwân-et-Tahkîk_ senz’altro predicato e senza spiegar che
maniera d’ufizio e’ fosse. Ma ben lo sappiamo da Makrizi, il quale nel
_Kitâb-el-Mewâ’iz_ (Descrizione dell’Egitto) testo arabico di Bulak,
1270 (1853) vol. I, dando ragguaglio de’ varii ufizi istituiti da’
califi fatemiti, dice, pag. 401 che il “carico del _Diwan-et-Tahkîk_
era di tenere il riscontro a tutti gli altri diwani.” _Tahkîk_, dunque,
va tradotto verificazione o riscontro; e _ma’mûr_ torna a “regio,
pubblico” e nulla più. Quell’ufizio in Palermo era la Tesoreria reale,
la _Controleria_, come si disse un tempo con voce francese, e teneva in
compendio, o forse in duplicato, i registri che noi conosciamo di tutti
i beni pubblici, feudali o demaniali che fossero, e senza dubbio quelli
di ogni altra entrata e di tutte le spese, de’ quali non ci è pervenuto
alcun ragguaglio.
Avvertasi che nel citato diploma di Morreale del 1182, (_Journal
Asiatique_ d’ottobre 1845, pag. 318) il medesimo ufizio è detto
brevemente _Ed-Diwan-el-Ma’mûr_ ossia “l’ufizio ricco, pieno,”
e però il regio Tesoro. Lo stesso si nota nel diploma del 1172,
presso Gregorio, _De Supputandis_, pag. 56, e in un ruolo di villani
arabo-greco e inedito della Chiesa di Catania, soscritto da re
Ruggiero, del quale ho copia. In un diploma arabico inedito dell’opera
della Magione di Palermo, dato il 1161, la cittadella dell’Halka in
Palermo stessa è detta _Kasr Ma’mur_; e in un trattato di pace di
Kelaûn col re di Sicilia, nella mia _Biblioteca Arabo-sicula_, pag.
349, gli ufizi delle gabelle del Sultano son chiamati _Diwan Ma’mûr_.
[785] Si leggano presso Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap.
iv, note 4, 5, 6 e 7 gli antichi esempii di questo titolo latino
ai quali si aggiunga _Doana Secretie_, secondo il diploma del 1172,
nel _De Supputandis_, pag. 56, il qual nome talvolta si compendiava,
per antonomasia, nella sola voce _doana, dogana_, ec. Non occorre
poi notare che questo vocabolo, usato con significato ristretto in
Europa, sia prettamente l’arabico o meglio persiano _diwân_. Mentre in
Sicilia lo si applicava, arabicamente, a tutto ufizio pubblico, gli
Italiani di Terraferma lo ristrinsero a ciò che oggi diciamo dogana,
perchè l’ufizio delle gabelle d’entrata delle merci era il solo, o
il principale, col quale praticassero i nostri mercatanti negli Stati
musulmani del Mediterraneo.
[786] Si riscontri il Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap. iv.
nota 33, il quale non si accorse dell’origine greca, e pur si rise de’
suoi predecessori. Inoltre, ragionando esclusivamente su l’episodio
del notaio Matteo, egli negò che i _difter_ della corte siciliana
contenessero i catasti; la qual cosa era provata ad evidenza dalle
autorità ch’egli avea citate nella nota 4 del medesimo capitolo.
[787] _Thesaurus_ di Errico Etienne, edizione Hase, alla voce διφθέρα.
[788] Nel diploma arabico del 544 (1449-50) in favore del Monistero
di Santa Maria de Gurguro, oggi detto della Grazia, presso Palermo,
si legge che i confini di certi poderetti assegnati a’ villani della
detta Chiesa da un delegato del governo, erano stati registrati nel
_difter-el-hodûd_ del Diwan di Riscontro della Tesoreria. Questo
diploma, citato dal Gregorio _De Supputandis_, pag. 38, nota a, fu poi
pubblicato dal professor Caruso nella _Biblioteca Sacra_, vol. II, pag.
58. Un diploma del 1169, presso Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 1017, nel
quale fu trascritto il _sigillo_ (diploma) del conte Ruggiero a favor
del Monastero di San Michele Arcangelo in Traina, aggiugne: _Solam
enim divisionem prædictam casalis Busceniæ in fine sigilli denotatam,
quoniam totaliter literæ deletæ erant et non poterant clare legi,
transcripsit ex quinternis magni secreti in quo (sic) continentur
confines Siciliæ, ut certe habeas in futurum_, etc. Prova anco il mio
assunto il diploma di Morreale del 1182, del quale il testo è inedito,
e la versione latina, contemporanea ed ufiziale, fu pubblicata da Del
Giudice. Questa ha in fine: _Has autem divisas predictas a deptariis
nostris de saracenico in latinum transferri precipimus_; mentre nel
testo arabico si legge essere stato trascritto il diploma dai _difter_
del _Diwan-et-Tahkik-el-Ma’mûr_. Si noti che un diploma arabo-greco
del 1151, del quale la parte arabica è inedita e la greca è stata
pubblicata dallo Spata, _Cimelio del Monastero di Morreale_, Palermo,
1865, in-12, pag. 59, segg. si contengono al paro i nomi de’ villani e
i confini del podere. Similmente in un altro diploma arabico inedito
di Morreale dato il 1178, per lo quale furon donati alla Chiesa
di Morreale de’ poderi in Corleone e Calatrasi, il re ordinava al
_Diwan-et-Tahkik-el-Ma’mûr_ di cavare dai _difter_ del diwano e dalle
antiche _giarâid_ (platee o ruoli) la descrizione de’ poderi e i nomi
de’ villani.
[789] Un diploma arabico della Chiesa di Palermo fa supporre che i
beni allodiali fossero anch’essi registrati nel catasto dello Ufizio di
Riscontro della Tesoreria. Niccolò Askar, famiglio del _Kasr-el-Ma’mûr_
(la cittadella regia, l’Halka) di Palermo comperava una casa di
proprietà di Zeinab figlia di Abd-Allah-el-Ansari, posta nel Cassaro
antico della città, presso la Bab-es-Sudân (Porta de’ Negri). Metto
io da parte, perchè dubito delle lezioni del testo arabico, il
nome del magistrato e il titolo del diwan che aveano autorizzata
cotesta vendita, accertati che il danaro servisse a quella donna per
riscattarsi dalle mani di certi stranieri Rûm che l’avean presa (se
fossero stati i Lombardi?). E venendo al presente nostro argomento,
noto che il passaggio di proprietà fu registrato nei _difter_ del
_Diwan-el-Ma’mûr_, come si legge in piè del diploma. L’atto di vendita
è dato «il 7 settembre, corrispondente al mese arabico di scia’ban del
587» (1191) e la registrazione nell’uficio di riscontro del tesoro, il
10 ottobre (così io leggo) della IXª indizione.
Ognun vede che _Ma’mûr_, ne’ due luoghi citati, torna a _regio_
precisamente, come abbiam detto poc’anzi, pag. 322. nota 2. Di questo
diploma la più parte fu pubblicata, con molti errori, dal Gregorio, _De
Supputandis_, pag. 40. seg. Ne ho avuta dal Prof. Cusa una buona copia,
cavata dal testo originale.
Debbo intanto avvertire che gli atti più antichi di vendita, de’
quali abbiamo il testo arabico, non sembrano registrati all’ufizio di
riscontro. Era dunque innovazione degli ultimi anni di Guglielmo II,
ovvero formalità che solea trascurarsi, quando l’atto non capitava,
come questo, nelle mani del pubblico ministero?
In ogni modo i _defetir-el-hodûd_, ossia _quinterni magni Secreti_,
sembrano veri catasti dove fossero descritti i confini di ciascun
podere, non già que’ del solo territorio di ciascun paese o _iklîm_.
[790] Con tal supposto il Gregorio comincia il citato cap. iv del lib.
II, delle _Considerazioni_.
[791] Diploma presso Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 522. Notisi che
questo diploma è scritto originalmente in latino, onde il termine che
occorre due volte, quando _Northmanni primum transierunt in Siciliam_,
non può venir da errore di traduzione.
[792] Si vegga questo medesimo libro, cap. viij, pag. 247 segg., 253
segg. del presente volume.
[793] Si vegga il Gregorio, _Considerazioni_, lib. 1, cap. iv, e
particolarmente la nota 21. Ma gli squarci di carte siciliane del XII,
XIII e XIV secolo quivi trascritti, fanno sospettare qualche errore
di copia. Ed errore o bugia dee sospettarsi nel diploma del 1274,
dove descrivendo le decime _solite_ a riscuotersi dalla cattedrale di
Palermo su le _gabelle antiche_ del fisco, si la salire la _decima_ a
ventidue tarì d’oro e grani due sopra ogni cento tarì entrati nelle
casse regie. Sarebbe stata una bella decima: poco men che la quarta
parte!
[794] Si vegga il capitolo precedente, pag. 255 nota 1. Mi par bene
di spiegare qui perchè io renda con l’italiano “canova” il vocabolo
arabico _dokkân_.
Che questo abbia avuto ed abbia tuttavia in Egitto ed Oriente il
significato generico di bottega, si vede da’ dizionarii arabi, non
esclusi que’ sì moderni di Bochtor e di Lane, nè i dizionarietti
italiani ed arabici stampati a Bulâk. Si vede anco dagli autori che
cita il Sacy (_Chréstomathie arabe_, tomo I, pag. 252, e traduzione di
Abdallatif, pag. 303); dai proverbii arabi moderni (Freytag, I, 141);
da Lane stesso (_Modern Egyptians_, cap. XIV) il quale dà perfino un
disegno di _dokkân_ del Cairo: e la torna sempre a stanza terrena dove
si vendano commestibili e altre merci. Fu chiamato anche così lo studio
de’ notai musulmani, secondo un luogo d’Ibn-Khaldûn, trascritto in nota
da Sacy (_Chréstom_., tom. I, pag. 39, 41).
Contuttociò, nel caso nostro quella voce va tradotta “canova;” non
parendo possibile che il conte Ruggiero e i suoi feudatarii abbian
preso il monopolio di tutte le merci. Si deve intendere, a creder mio,
delle grasce soltanto, e forse di quelle che si vendessero a minuto.
La nostra voce “canova” potrebbe per avventura venir dall’arabico
e tornare ad _hanût_, ch’è dato come sinonimo di _dokkân_, ma si
dice particolarmente delle botteghe dove si vende il vino. Secondo i
lessicografi (Lane, Dizionario, vol. I, pag. 661, 1ª colonna) quella
voce suonava in origine _hânuwa_. Or gli Italiani doveano pronunziarla
“canova”, come _kammâl_, “camálo” e _harrâka_, carácca.
[795] Lasciando da canto la lista de’ _diritti antichi_ secondo Andrea
da Isernia, che si legge nella nota 18, del capitolo or citato delle
Considerazioni, ed anco i diritti rilasciati e i soprusi vietati dal
vescovo di Catania a favore di que’ cittadini nel 1168, come si legge
in principio della nota 21, faremo qualche osservazione su i diritti
antichi di Palermo, Messina, Girgenti, Sciacca e Licata, citati in
diplomi del 1274, 1270, 1266, 1280, 1309.
Primi son ricordati in Palermo i diritti di Rahadina e di Rahaba; e le
sembran voci arabiche, l’una delle quali alterata nella trascrizione
(_rahâin_ plurale vuol dir pegni) e l’altra significa piazza (Makrizi,
_Mewd’is_, testo arabico tom. II, pag. 47, segg. nomina una cinquantina
di luoghi del Cairo e Cairo vecchio così chiamati). Seguon le dogane
della carne, del pesce, ec., che ognuno intende; la tintoria; il
dazio de’ vasai, de’ sellai, della seta, del filetto del cotone,
dell’orpello, la catena del porto; la tassa del fumo (così chiamavasi
nel Basso impero una tassa personale scompartita per case, fuochi, come
si disse poi in Sicilia) i bagni di Giawher, della Guidda e i mulini di
Kalbi, Malfiteri, del Cadi, ec.
In Messina non troviamo altre denominazioni arabiche se non che la
gabella del cafiso dell’olio (nota misura di Sicilia ed è il _cafiz_
degli Arabi) e la gabella _itriarum seu tinctorum_; dove leggerei ac in
luogo di seu, poichè _itria_ in arabico vuol dire vermicelli o simili
paste e in Sicilia dura la espressione di vermicelli _di tria_. V’ha
inoltre la _gesia_ de’ Giudei e alcuna delle denominazioni non arabiche
notate in Palermo.
In Girgenti poi e nelle altre due città della stessa provincia
nominate di sopra, oltre la _gesia_ de’ Giudei e alcune altre tasse già
accennate in Palermo e in Messina, scorgiamo quella su lo zucchero, sul
sale e sul ferro e quella della _cangemia_. Di cotesta voce non credo
sia stata rintracciata l’origine; nè potrebbesi, senza aver visti i
nomi arabici trascritti in greco nelle platee de’ villani di Sicilia.
In quelle mi è occorso il vocabolo _Haggiâm_ “colui che mette le
coppette e che esercita la bassa chirurgia” (secondo gli usi di Sicilia
salassatore e barbiere;) il quale, trascritto esattamente χαγγέμη, ma
pronunziato alla greca _cangemi_, è casato frequente in Palermo; dove
rimanevano al principio di questo secolo alcuni farmacisti di tal nome
e ve n’ha tuttavia. La gabella della Cangemia in Girgenti e Sciacca
sembra dunque un dazio su i salassatori; la quale classe poteva essere
numerosa poichè nel medio evo si facea molto uso delle coppette per
cavar sangue.
S’abbia il detto fin qui come un saggio delle ricerche che si
potrebbero fare sul sistema daziario ed anco su le industrie e i fatti
economici in generale della Sicilia nell’XI e XII secolo: lievissimo
saggio poichè l’è fondato principalmente su i pochi brani che die’ il
Gregorio, dove d’altronde è dubbia la lezione di molte parole.
Non debbo tacere che il sig. Lodovico Bianchini trattò anche questo
argomento nella sua _Storia Economico-civile_ di Sicilia, Palermo,
1841, in-8, parte III, cap. i; ma egli non aggiunse gran cosa a ciò che
si sapea dal Gregorio.
[796] _Considerazioni_, lib. I, cap. iv. Il Gregorio crede eccezioni
quelle di Catania e di Patti, ch’ei cita nelle note 11 e 12; ma sembra
appunto il contrario.
[797] Si vegga ciò che ne abbiamo raccontato in questo libro V, cap. v,
pag. 140, 141, del presente volume.
[798] Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap. v.
[799] Op. cit., lib. II, cap. iv.
[800] Tra le altre una nel 1098, alla quale accenna Ibn-el-Athîr, an.
491, testo, edizione del Tornberg, tomo X, pag. 191.
[801] Si vegga il nostro libro IV, cap. xv, pag. 548, del 2º volume, e
il lib. V, cap. iii, pag. 80, di questo volume.
[802] Si vegga qui sopra il cap. vij, pag. 188, 189.
[803] Si veggano i fatti narrati nel cap. vj, di questo lib. V, p.
158, 168. L’ultimo fatto d’armi tra Ruggiero e gli Ziriti era stato
combattuto il 1075, come si legge nello stesso cap. vj, pag. 451.
[804] Si ritrae che montava alla _terza_ parte del grano esportato
e che l’imperator Federigo la ridusse alla quinta. Diploma citato
dal Gregorio, _Considerazioni_, lib. III, cap. vj, nota 31. Per un
diploma greco del 1117, il secondo conte Ruggiero, tra le altre cose,
accordò al console genovese in Messina la franchigia della estrazione
delle merci infino a 60 tari. Traduzione latina presso Gregorio,
_Considerazioni_, lib. II, cap. ix, nota 3. Questo, se non altro,
prova l’uso dei dazii di esportazione e può riferirsi con molta
verosimiglianza a quel su i grani.
[805] Se n’è detto nel cap. ix di questo libro, pag. 247. Si riscontri
il Gregorio, _Considerazioni_, lib. I, cap. v.
[806] Considerazioni, lib. I, cap. ij.
[807] In questo lib. V, cap. vij, pag. 184, segg.
[808] Cap. ix, pag. 263, 265 di questo volume.
[809] Lib. V, cap. iv, pag. 110 e 111, di questo volume.
[810] Lib. V, cap. iv, pag. 124 del volume.
[811] Alberto d’Aix, _Historia Hierosolymitana_, lib. XIII, cap. xiij,
presso Caruso, _Bibliotheca Sicula_, pag. 921.
[812] Il Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap. iv, vede
l’imitazione dall’inglese anco nella costituzione dell’armata siciliana
del XII secolo.
[813] _Leonis Tactica_, cap. XIX. Si vegga anche la traduzione francese
di Maizeroi, Paris, 1778, pag. 146. Occorrono cotesti navilii de’ varii
temi, ossia province, in molti fatti delle istorie bizantine ch’e’
sarebbe lungo a citare.
[814] Lib. IV, cap. vj, pag. 313, del 2º volume.
[815] Ms. arabico di Parigi, _Supplément arabe_, 885, fog. 94 verso.
Ho reso “villaggi” la voce dhia’ che significa propriamente: “podere
demaniale, beneficio militare” (Si vegga il nostro lib. III, cap. j,
pag. 22, del 2º volume). Ma la tassa sopra ogni _fumo_, così il testo,
ossia casa, conduce al significato che do io. Abbiam testè fatta
menzione della gabella detta del fumo in Sicilia nel XII secolo. Si
vegga Ducange, _Glossario latino_, alla voce _fumagium_ e simili, il
_Glossario greco_ alla voce καπνικὸν, e il Cedreno, edizione di Bonn,
tomo II, pag. 831.
[816] Ibn-Khaldoun, _Prolégomènes_, traduzione francese del baron De
Slane, parte II, pag. 39.
[817] Makrizi, _Kitâb-el-Mewâ’iz_, (Descrizione dell’Egitto) testo
arabico, tomo I, pagg. 482 e 483.
[818] Ancorchè io risguardi M. De Slane come mio maestro in arabico,
non posso accettare la traduzione ch’egli dà di questo passo,
_Prolégomènes_, parte II, pag. 40. «Elle se composait de navires qu’on
faisait venir de tous les royaumes où l’on construisait des bâtiments.
Chaque navire était sous les ordres d’un marin portant le titre de
_caïd_, qui s’occupait uniquement de ce qui concernait l’armement, les
combattants et la guerre; un autre officier, appelé le _raïs_, faisait
marcher le vaisseau, etc.»
Secondo il testo arabico, edizione di Parigi, parte II, pag. 35, e
di Rulâk, pag. 123, io tradurrei. “L’armata (spagnuola) era raccolta
da tutto il reame. Di ciascun paese dato alla navigazione veniva
un’armatetta, capitanata da un _kâid_, uomo di mare che badava alle
cose della guerra, alle armi ed ai combattenti e da un _rais_ (pilota)
che avea cura della navigazione, ec.”
va corretto _usque Panormum_, come si legge in una variante data dal
Caruso, pag. 344 (Muratori, V, 599). Noi possiamo riconoscere in parte
la strada che tenne il cortèo fino a Termini, e conchiudere che movea
da Traina. I documenti che citeremo qui innanzi, pag. 340, nota 3, ci
mostrano che nel 1094 una «strada regia» passava per Traina; che nel
1096 una «strada francese» dalla sorgente del fiume Torto, ossia da’
dintorni di Vicari, andava a Levante, cioè verso Traina; e che nel 1132
una strada correa da Palermo a Vicari, Castronovo, Petralia. Senza
dubbio il corteo della sposa battè quello stradale militare. Perchè
poi fosse ito a Termini piuttosto che a Palermo, si può ben ritrovare,
senza il supposto che la strada del 1132 non fosse aperta il 1097.
Palermo appartenne tutta a’ Duchi di Puglia, fino al 1091; quando ne
fu ceduta una metà al conte Ruggiero. Or egli è verosimile, per non
dir necessario, che, tra parenti così sospettosi, e non senza ragione,
i patti della cessione vietassero l’entrata di nuove forze militari
dell’uno o dell’altro nel territorio comune: e forza considerevolissima
erano 300 militi, ossia circa 1000 cavalli. Sembra dunque che la scorta
abbia lasciata la principessa alla frontiera del territorio proprio
del Conte, ch’era Termini, e ch’ella, accompagnata da’ grandi della
Corte, sia andata per mare nel gran porto di Palermo, dove si allestì
l’armatetta che poi la recò nell’Adriatico.
[771] Diplomi arabici della Cattedrale di Palermo, il primo de’ quali
fu citato e il secondo pubblicato dal Gregorio, _De Supputandis_,
pag. 34, a 39. Tra gli altri errori, il Gregorio prese per nome
proprio la trascrizione arabica della voce Stratego. Un po’ meno
infelicemente, il professore Caruso ristampò l’uno e pubblicò l’altro
nella _Biblioteca Sacra_, Tomo II, Palermo, 1834, pag. 46, segg.,
55, segg. Io ne ho avute, per cortesia del professor Cusa, due buone
copie cavate dall’originale. Alla fine del primo, in luogo dell’_era
barbara_, che suppose il Gregorio e il Caruso copiò, va letto: «_con
la data di marzo_». Questo Abu-Taib, figliuolo, come dicono i diplomi,
dello sceikh Stefano, sembra di famiglia musulmana convertita e forse
di quelle indigene che, dopo avere abbracciato I’islam, ritornarono
al cristianesimo. Ei mi pare identico con l’Eugenio detto il Bello
(Τοῦ καλοῦ e l’è traduzione letterale di Abu-Taib) segreto della
corte, secondo un diploma del 1183, presso Spata, _Pergamene_, pag.
293; lo stesso che nella traduzione latina d’un diploma greco, presso
Gregorio, _De Supputandis_, pag. 54 segg. e presso Spata, op. cit.,
pag. 452 segg. è detto Eugenio de Cales. La voce Biccari, a pag. 57
del Gregorio, e Biccaib, a pag. 454 dello Spata, va corretta _Bittaib_,
ch’è il nome Abu-Taib, pronunziato volgarmente e messo al genitivo. Ho
scritte le lettere N-zh-r-d come le veggo nelle copie, e le suppongo
nome topografico, non casato sì come parve al Gregorio e al Caruso. Ma
non trovo riscontro ne’ nomi topografici di quel contorno de’ quali
sappiamo pur molti. La forma de’ caratteri, mutati i punti, mi fa
pensare a Battelari, il quale luogo si vegga nella mia _Carte Comparée
de la Sicile_, pag. 29.
[772] Presso Spata, _Pergamene_, pag. 434. Il nome del comune manca; ma
il diploma appartenea al vescovato di Cefalù.
[773] _Considerazioni_, lib. I, cap. iij.
[774] Il Gregorio stesso, dopo avere sostenuto nel lib. I, la esclusiva
competenza criminale, pubblicava nel lib. II, cap. ij, nota 32, la
traduzione d’un diploma greco del 1172, dal quale risulta che in
quell’anno medesimo e al tempo dell’arcivescovo Roberto (1090-1108),
lo stratego di Messina esercitava giurisdizione civile. Si vegga
d’altronde su la competenza di quel magistrato, l’Hartwig, _Codex juris
municipalis Siciliæ_, Parte I, pag. 32 segg.
Inoltre lo stratego di Demenna esercitava giurisdizione civile, secondo
un diploma greco del 1136, presso Spata, _Pergamene_, pag. 265; e
così anco lo stratego di Centorbi, secondo un diploma del 1183. op.
cit., pag. 293. Operano gli strateghi come agenti del Demanio regio in
Giattini (così va letto, non Catinae, e sparisce indi lo stratego di
Catania supposto dal Gregorio, _Considerazioni_, lib. I, cap. iij, nota
6) secondo un diploma latino del 1133, presso Pirro, _Sicilia Sacra_,
pag. 774; e in Siracusa secondo un diploma greco-latino del 1172,
presso Spata, _Pergamene_, pag. 443, 444.
[775] Gregorio, op. cit., lib. I, cap. iij, nota 20. Nel Diploma
del 1172, citato poc’anzi, è nominato, oltre lo stratego, anche il
vicecomite di Siracusa.
[776] Intorno i vicecomiti in Italia si vegga Hegel, _Storia de’
Municipi italiani_, versione italiana, pagg. 128, 441, 473.
[777] Ibn-Giobair, nel _Journal Asiatique_, genn. 1846, pag. 80, e
nell’_Archivio Storico Italiano_, Appendice, nº 16. pag. 32, dice
del cadì di Palermo che giudicava le liti tra i Musulmani, sotto
Guglielmo II. Il nome dell’uficio comparisce in un diploma greco, del
1143, presso Morso, _Palermo antico_, pag. 306; la giurisdizione poi
nelle seguenti carte: 1123, greca, presso Spata, _Pergamene_, pag.
410; 1137, arabica inedita della Cappella palatina di Palermo; 1161,
arabica inedita della Commenda della Magione di Palermo, oggi nel regio
Archivio; 1202 latina, presso Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap.
vij, nota 7.
Si avverta che la prima e l’ultima mostrano funzioni di giudice e le
due altre quel che noi chiamiamo pubblico ministero, a tutela delle
donne e de’ minori. Molti altri contratti di vendita sono stipulati,
come di ragione, dinanzi testimonii, senza intervento del cadi.
Il cadi di Lucera, dopo la deportazione dei Musulmani di Sicilia in
Terraferma, è citato in un diploma dell’imperator Federigo, dato il
25 dicembre 1239, nella edizione Carcani, pag. 30, e nell’_Historia
Diplomatica Friderici II_, tomo V, pag. 627-628.
Ibn Giobair, op. cit., pag. 87, e traduzione italiana, pag. 35,
dice dello _Hakim_ di Trapani, innanzi il quale era stata attestata
l’apparizione della nuova luna, per determinare legalmente i giorni
del digiuno di ramadhan. Il titolo di Hakim dato al primo magistrato di
Malta, viene evidentemente da’ tempi musulmani, passando pei normanni.
[778] Gregorio, _Considerazioni_, lib. I, cap. iij; Hartwig, _Codex
Juris municipalis Siciliæ_, Parte I.
[779] Gregorio, _Considerazioni_. lib. I, v e vj.
[780] Si vegga il capitolo precedente, pag. 245, nota 2. In fin del
ruolo di Aci, quivi citato, ch’è dato di Messina il 6603 (1095) si
dice che tutte le platee del paese del Conte e di quelli de’ suoi
_terrieri_, erano state scrìtte in Mazara il 6601; e quindi si ordina
che se alcuno degli Agareni notato nel presente ruolo si trovasse in
quegli altri, ei fosse immediatamente reso dal vescovo di Catania a chi
di dritto. Lo stesso si scorge dal preambolo di un ruolo arabo-greco
dei villani di Catania, dato il 1144.
[781] La voce _rab’_, al plurale _ribâ’_ fu studiata da Mr. De
Sacy e, con buone autorità, tradotta _casa_, nella _Rélation de
l’Egypte par Abdallatif_, pag. 303, nota. Ma in cotesto significato
la sembra idiotismo dell’Egitto. Il significato di _podere_, che ha
evidentemente questa voce ne’ diplomi di Sicilia e nella geografia di
Edrisi, ritrovasi anco in Azraki, _Storia della Mecca_, e l’è tolto
probabilmente da scritture de’ primi tempi dell’islamismo. Senza citare
tutti i diplomi arabici della Sicilia ne’ quali occorre questa voce,
ricorderò quelli del 1149 e 1154, il primo de’ quali presso Gregorio,
_De Supputandis_, pag. 34, e l’altro nella Biblioteca Sacra per la
Sicilia, tom. II, pag. 46. Nelle traduzioni ufiziali di Sicilia del
XII secolo, _rab’_ è reso in latino _cultura_, _terræ laboratoriæ_,
al collettivo, e _terræ_ senz’altro (diploma del 1182, testo arabico
inedito; la traduzione latina pubblicata da Del Giudice, _Descrizione
del real tempio_, ec. in una delle appendici, nella quale i luoghi
ch’io cito si ritrovano a pagg. 10, 12 e 18) e altrove in greco
τετραμέρως, che pare scambio con la voce _rub’_ «quarta parte» derivata
dalla stessa radice (diploma del 1172, greco-arabo, nel Tabulario della
Cappella palatina di Palermo, pag. 29, 30).
La voce _cultura_, determinata dalle parole _ad duo paria bovium_,
si legge anco in un diploma latino del 1094, presso Pirro, _Sicilia
Sacra_, pag. 521. E risponde senza dubbio al _rab’_, il quale, come si
scorge da’ citati diplomi del 1149 e 1154, si misurava a _zeug_, cioè
paia di buoi, _paricla_, come scriveano latinamente nel medio evo:
quella stessa misura di superficie della quale ci è occorso di trattare
nel lib. I, cap. vj, e lib. IV, cap. viij, pag. 153 del 1º volume e
352, del 2º.
[782] Diploma presso Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 384, dove si legge:
_cum omni lenimento et pertinentiis suis, secundum anticas divisiones
Saracenorum_.
[783] Si veggano i diplomi arabici del 1149, 1174, 1172, e sopratutto
quello del 1182, citati nelle note precedenti.
[784] Cotesto titolo ai trova ne’ diplomi arabici del 1149 e 1154,
citati poc’anzi nella pag. 316, nota 1; in uno greco arabico del 1172,
pubblicato nel Tabulario della Cappella Palatina di Palermo, pag. 30,
31; in uno arabico del 1182, inedito che apparteneva al Monastero de’
Benedettini di Morreale, ec.
Mettendo da parte la traduzione del Gregorio: «Duana veracis conservata
a Deo» (_De Supputandis_, pag. 35) e quella del XIII. secolo «Doana
Veritatis» (presso Gregorio, op. cit., pag. 57) la quale servì di
guida all’illustre pubblicista e mediocrissimo arabizzante siciliano,
noi diremo della versione «Bureau de vérification du domaine.» data
da M. Noël Des Vergers (_Journal Asiatique_ di ottobre 1845, p.
340) trascrivendo un brano del detto diploma del 1149 per comento
a quello del 1182, ch’egli pubblicava. L’autorità di questo erudito
francese, di cui abbiamo deplorata non è guari la morte, è di molto
peso, perch’egli sapea per benino l’arabico; e molto meglio di lui e
di noi tutti lo sa M. Caussin De Perceval, ch’egli consultò in quel
suo studio sul diploma arabico di Morreale del 1182. Evidentemente
que’ due dotti uomini dettero all’aggettivo passivo _Ma’mûr_ il
significato del sostantivo _côlto_, come appunto l’ha preso questa
voce in italiano; e, trattandosi evidentemente di beni demaniali, lo
tradussero _domaine_. Quanto all’articolo del sostantivo _tahkik_ essi
lo considerarono «appositivo», come dicono i grammatici. E così la
traduzione starebbe benissimo: «Uficio della verificazione de’ côlti»
o meglio «dell’appuramento degli Stabili,» perocchè la voce _ma’mûr_
può applicarsi a qualsivoglia terreno reso profittevole dall’industria
dell’uomo, con lavori agrarii o fabbriche.
Se non che i ragguagli dell’amministrazione pubblica d’Egitto nel medio
evo, i quali m’è occorso di studiare, conducono a interpretazione
diversa. E primo, nella Storia de’ Patriarchi d’Alessandria, opera
del XIII secolo, Ms. arabico di Parigi, Ancien fonds 140, è citato,
a pag. 400, il _Diwan-el-Khazânat-el-Ma’mûrah_, ossia “ufizio de’
forzieri,” _ma’murah_, e, pag. 407, il _Beit-el-Mâl-el-Ma’mûr_,
ossia il Tesoro (col significato di cassa dello Stato) _ma’mur_; nei
quali due casi quest’ultima voce, messa, sia al mascolino, sia, come
plurale irregolare, al femminino, è evidentemente aggettivo passivo,
come noi diremmo “ben fornito, pieno:” e si diceva a mo’ di formola
parlando delle entrate pubbliche, nel pio supposto che le fossero
sempre abbondanti, ovvero a mo’ d’invocazione ad Allah che sempre le
accrescesse. Lo stesso Ms. de’ Patriarchi d’Alessandria, a pag. 224,
dice del _Diwân-et-Tahkîk_ senz’altro predicato e senza spiegar che
maniera d’ufizio e’ fosse. Ma ben lo sappiamo da Makrizi, il quale nel
_Kitâb-el-Mewâ’iz_ (Descrizione dell’Egitto) testo arabico di Bulak,
1270 (1853) vol. I, dando ragguaglio de’ varii ufizi istituiti da’
califi fatemiti, dice, pag. 401 che il “carico del _Diwan-et-Tahkîk_
era di tenere il riscontro a tutti gli altri diwani.” _Tahkîk_, dunque,
va tradotto verificazione o riscontro; e _ma’mûr_ torna a “regio,
pubblico” e nulla più. Quell’ufizio in Palermo era la Tesoreria reale,
la _Controleria_, come si disse un tempo con voce francese, e teneva in
compendio, o forse in duplicato, i registri che noi conosciamo di tutti
i beni pubblici, feudali o demaniali che fossero, e senza dubbio quelli
di ogni altra entrata e di tutte le spese, de’ quali non ci è pervenuto
alcun ragguaglio.
Avvertasi che nel citato diploma di Morreale del 1182, (_Journal
Asiatique_ d’ottobre 1845, pag. 318) il medesimo ufizio è detto
brevemente _Ed-Diwan-el-Ma’mûr_ ossia “l’ufizio ricco, pieno,”
e però il regio Tesoro. Lo stesso si nota nel diploma del 1172,
presso Gregorio, _De Supputandis_, pag. 56, e in un ruolo di villani
arabo-greco e inedito della Chiesa di Catania, soscritto da re
Ruggiero, del quale ho copia. In un diploma arabico inedito dell’opera
della Magione di Palermo, dato il 1161, la cittadella dell’Halka in
Palermo stessa è detta _Kasr Ma’mur_; e in un trattato di pace di
Kelaûn col re di Sicilia, nella mia _Biblioteca Arabo-sicula_, pag.
349, gli ufizi delle gabelle del Sultano son chiamati _Diwan Ma’mûr_.
[785] Si leggano presso Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap.
iv, note 4, 5, 6 e 7 gli antichi esempii di questo titolo latino
ai quali si aggiunga _Doana Secretie_, secondo il diploma del 1172,
nel _De Supputandis_, pag. 56, il qual nome talvolta si compendiava,
per antonomasia, nella sola voce _doana, dogana_, ec. Non occorre
poi notare che questo vocabolo, usato con significato ristretto in
Europa, sia prettamente l’arabico o meglio persiano _diwân_. Mentre in
Sicilia lo si applicava, arabicamente, a tutto ufizio pubblico, gli
Italiani di Terraferma lo ristrinsero a ciò che oggi diciamo dogana,
perchè l’ufizio delle gabelle d’entrata delle merci era il solo, o
il principale, col quale praticassero i nostri mercatanti negli Stati
musulmani del Mediterraneo.
[786] Si riscontri il Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap. iv.
nota 33, il quale non si accorse dell’origine greca, e pur si rise de’
suoi predecessori. Inoltre, ragionando esclusivamente su l’episodio
del notaio Matteo, egli negò che i _difter_ della corte siciliana
contenessero i catasti; la qual cosa era provata ad evidenza dalle
autorità ch’egli avea citate nella nota 4 del medesimo capitolo.
[787] _Thesaurus_ di Errico Etienne, edizione Hase, alla voce διφθέρα.
[788] Nel diploma arabico del 544 (1449-50) in favore del Monistero
di Santa Maria de Gurguro, oggi detto della Grazia, presso Palermo,
si legge che i confini di certi poderetti assegnati a’ villani della
detta Chiesa da un delegato del governo, erano stati registrati nel
_difter-el-hodûd_ del Diwan di Riscontro della Tesoreria. Questo
diploma, citato dal Gregorio _De Supputandis_, pag. 38, nota a, fu poi
pubblicato dal professor Caruso nella _Biblioteca Sacra_, vol. II, pag.
58. Un diploma del 1169, presso Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 1017, nel
quale fu trascritto il _sigillo_ (diploma) del conte Ruggiero a favor
del Monastero di San Michele Arcangelo in Traina, aggiugne: _Solam
enim divisionem prædictam casalis Busceniæ in fine sigilli denotatam,
quoniam totaliter literæ deletæ erant et non poterant clare legi,
transcripsit ex quinternis magni secreti in quo (sic) continentur
confines Siciliæ, ut certe habeas in futurum_, etc. Prova anco il mio
assunto il diploma di Morreale del 1182, del quale il testo è inedito,
e la versione latina, contemporanea ed ufiziale, fu pubblicata da Del
Giudice. Questa ha in fine: _Has autem divisas predictas a deptariis
nostris de saracenico in latinum transferri precipimus_; mentre nel
testo arabico si legge essere stato trascritto il diploma dai _difter_
del _Diwan-et-Tahkik-el-Ma’mûr_. Si noti che un diploma arabo-greco
del 1151, del quale la parte arabica è inedita e la greca è stata
pubblicata dallo Spata, _Cimelio del Monastero di Morreale_, Palermo,
1865, in-12, pag. 59, segg. si contengono al paro i nomi de’ villani e
i confini del podere. Similmente in un altro diploma arabico inedito
di Morreale dato il 1178, per lo quale furon donati alla Chiesa
di Morreale de’ poderi in Corleone e Calatrasi, il re ordinava al
_Diwan-et-Tahkik-el-Ma’mûr_ di cavare dai _difter_ del diwano e dalle
antiche _giarâid_ (platee o ruoli) la descrizione de’ poderi e i nomi
de’ villani.
[789] Un diploma arabico della Chiesa di Palermo fa supporre che i
beni allodiali fossero anch’essi registrati nel catasto dello Ufizio di
Riscontro della Tesoreria. Niccolò Askar, famiglio del _Kasr-el-Ma’mûr_
(la cittadella regia, l’Halka) di Palermo comperava una casa di
proprietà di Zeinab figlia di Abd-Allah-el-Ansari, posta nel Cassaro
antico della città, presso la Bab-es-Sudân (Porta de’ Negri). Metto
io da parte, perchè dubito delle lezioni del testo arabico, il
nome del magistrato e il titolo del diwan che aveano autorizzata
cotesta vendita, accertati che il danaro servisse a quella donna per
riscattarsi dalle mani di certi stranieri Rûm che l’avean presa (se
fossero stati i Lombardi?). E venendo al presente nostro argomento,
noto che il passaggio di proprietà fu registrato nei _difter_ del
_Diwan-el-Ma’mûr_, come si legge in piè del diploma. L’atto di vendita
è dato «il 7 settembre, corrispondente al mese arabico di scia’ban del
587» (1191) e la registrazione nell’uficio di riscontro del tesoro, il
10 ottobre (così io leggo) della IXª indizione.
Ognun vede che _Ma’mûr_, ne’ due luoghi citati, torna a _regio_
precisamente, come abbiam detto poc’anzi, pag. 322. nota 2. Di questo
diploma la più parte fu pubblicata, con molti errori, dal Gregorio, _De
Supputandis_, pag. 40. seg. Ne ho avuta dal Prof. Cusa una buona copia,
cavata dal testo originale.
Debbo intanto avvertire che gli atti più antichi di vendita, de’
quali abbiamo il testo arabico, non sembrano registrati all’ufizio di
riscontro. Era dunque innovazione degli ultimi anni di Guglielmo II,
ovvero formalità che solea trascurarsi, quando l’atto non capitava,
come questo, nelle mani del pubblico ministero?
In ogni modo i _defetir-el-hodûd_, ossia _quinterni magni Secreti_,
sembrano veri catasti dove fossero descritti i confini di ciascun
podere, non già que’ del solo territorio di ciascun paese o _iklîm_.
[790] Con tal supposto il Gregorio comincia il citato cap. iv del lib.
II, delle _Considerazioni_.
[791] Diploma presso Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 522. Notisi che
questo diploma è scritto originalmente in latino, onde il termine che
occorre due volte, quando _Northmanni primum transierunt in Siciliam_,
non può venir da errore di traduzione.
[792] Si vegga questo medesimo libro, cap. viij, pag. 247 segg., 253
segg. del presente volume.
[793] Si vegga il Gregorio, _Considerazioni_, lib. 1, cap. iv, e
particolarmente la nota 21. Ma gli squarci di carte siciliane del XII,
XIII e XIV secolo quivi trascritti, fanno sospettare qualche errore
di copia. Ed errore o bugia dee sospettarsi nel diploma del 1274,
dove descrivendo le decime _solite_ a riscuotersi dalla cattedrale di
Palermo su le _gabelle antiche_ del fisco, si la salire la _decima_ a
ventidue tarì d’oro e grani due sopra ogni cento tarì entrati nelle
casse regie. Sarebbe stata una bella decima: poco men che la quarta
parte!
[794] Si vegga il capitolo precedente, pag. 255 nota 1. Mi par bene
di spiegare qui perchè io renda con l’italiano “canova” il vocabolo
arabico _dokkân_.
Che questo abbia avuto ed abbia tuttavia in Egitto ed Oriente il
significato generico di bottega, si vede da’ dizionarii arabi, non
esclusi que’ sì moderni di Bochtor e di Lane, nè i dizionarietti
italiani ed arabici stampati a Bulâk. Si vede anco dagli autori che
cita il Sacy (_Chréstomathie arabe_, tomo I, pag. 252, e traduzione di
Abdallatif, pag. 303); dai proverbii arabi moderni (Freytag, I, 141);
da Lane stesso (_Modern Egyptians_, cap. XIV) il quale dà perfino un
disegno di _dokkân_ del Cairo: e la torna sempre a stanza terrena dove
si vendano commestibili e altre merci. Fu chiamato anche così lo studio
de’ notai musulmani, secondo un luogo d’Ibn-Khaldûn, trascritto in nota
da Sacy (_Chréstom_., tom. I, pag. 39, 41).
Contuttociò, nel caso nostro quella voce va tradotta “canova;” non
parendo possibile che il conte Ruggiero e i suoi feudatarii abbian
preso il monopolio di tutte le merci. Si deve intendere, a creder mio,
delle grasce soltanto, e forse di quelle che si vendessero a minuto.
La nostra voce “canova” potrebbe per avventura venir dall’arabico
e tornare ad _hanût_, ch’è dato come sinonimo di _dokkân_, ma si
dice particolarmente delle botteghe dove si vende il vino. Secondo i
lessicografi (Lane, Dizionario, vol. I, pag. 661, 1ª colonna) quella
voce suonava in origine _hânuwa_. Or gli Italiani doveano pronunziarla
“canova”, come _kammâl_, “camálo” e _harrâka_, carácca.
[795] Lasciando da canto la lista de’ _diritti antichi_ secondo Andrea
da Isernia, che si legge nella nota 18, del capitolo or citato delle
Considerazioni, ed anco i diritti rilasciati e i soprusi vietati dal
vescovo di Catania a favore di que’ cittadini nel 1168, come si legge
in principio della nota 21, faremo qualche osservazione su i diritti
antichi di Palermo, Messina, Girgenti, Sciacca e Licata, citati in
diplomi del 1274, 1270, 1266, 1280, 1309.
Primi son ricordati in Palermo i diritti di Rahadina e di Rahaba; e le
sembran voci arabiche, l’una delle quali alterata nella trascrizione
(_rahâin_ plurale vuol dir pegni) e l’altra significa piazza (Makrizi,
_Mewd’is_, testo arabico tom. II, pag. 47, segg. nomina una cinquantina
di luoghi del Cairo e Cairo vecchio così chiamati). Seguon le dogane
della carne, del pesce, ec., che ognuno intende; la tintoria; il
dazio de’ vasai, de’ sellai, della seta, del filetto del cotone,
dell’orpello, la catena del porto; la tassa del fumo (così chiamavasi
nel Basso impero una tassa personale scompartita per case, fuochi, come
si disse poi in Sicilia) i bagni di Giawher, della Guidda e i mulini di
Kalbi, Malfiteri, del Cadi, ec.
In Messina non troviamo altre denominazioni arabiche se non che la
gabella del cafiso dell’olio (nota misura di Sicilia ed è il _cafiz_
degli Arabi) e la gabella _itriarum seu tinctorum_; dove leggerei ac in
luogo di seu, poichè _itria_ in arabico vuol dire vermicelli o simili
paste e in Sicilia dura la espressione di vermicelli _di tria_. V’ha
inoltre la _gesia_ de’ Giudei e alcuna delle denominazioni non arabiche
notate in Palermo.
In Girgenti poi e nelle altre due città della stessa provincia
nominate di sopra, oltre la _gesia_ de’ Giudei e alcune altre tasse già
accennate in Palermo e in Messina, scorgiamo quella su lo zucchero, sul
sale e sul ferro e quella della _cangemia_. Di cotesta voce non credo
sia stata rintracciata l’origine; nè potrebbesi, senza aver visti i
nomi arabici trascritti in greco nelle platee de’ villani di Sicilia.
In quelle mi è occorso il vocabolo _Haggiâm_ “colui che mette le
coppette e che esercita la bassa chirurgia” (secondo gli usi di Sicilia
salassatore e barbiere;) il quale, trascritto esattamente χαγγέμη, ma
pronunziato alla greca _cangemi_, è casato frequente in Palermo; dove
rimanevano al principio di questo secolo alcuni farmacisti di tal nome
e ve n’ha tuttavia. La gabella della Cangemia in Girgenti e Sciacca
sembra dunque un dazio su i salassatori; la quale classe poteva essere
numerosa poichè nel medio evo si facea molto uso delle coppette per
cavar sangue.
S’abbia il detto fin qui come un saggio delle ricerche che si
potrebbero fare sul sistema daziario ed anco su le industrie e i fatti
economici in generale della Sicilia nell’XI e XII secolo: lievissimo
saggio poichè l’è fondato principalmente su i pochi brani che die’ il
Gregorio, dove d’altronde è dubbia la lezione di molte parole.
Non debbo tacere che il sig. Lodovico Bianchini trattò anche questo
argomento nella sua _Storia Economico-civile_ di Sicilia, Palermo,
1841, in-8, parte III, cap. i; ma egli non aggiunse gran cosa a ciò che
si sapea dal Gregorio.
[796] _Considerazioni_, lib. I, cap. iv. Il Gregorio crede eccezioni
quelle di Catania e di Patti, ch’ei cita nelle note 11 e 12; ma sembra
appunto il contrario.
[797] Si vegga ciò che ne abbiamo raccontato in questo libro V, cap. v,
pag. 140, 141, del presente volume.
[798] Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap. v.
[799] Op. cit., lib. II, cap. iv.
[800] Tra le altre una nel 1098, alla quale accenna Ibn-el-Athîr, an.
491, testo, edizione del Tornberg, tomo X, pag. 191.
[801] Si vegga il nostro libro IV, cap. xv, pag. 548, del 2º volume, e
il lib. V, cap. iii, pag. 80, di questo volume.
[802] Si vegga qui sopra il cap. vij, pag. 188, 189.
[803] Si veggano i fatti narrati nel cap. vj, di questo lib. V, p.
158, 168. L’ultimo fatto d’armi tra Ruggiero e gli Ziriti era stato
combattuto il 1075, come si legge nello stesso cap. vj, pag. 451.
[804] Si ritrae che montava alla _terza_ parte del grano esportato
e che l’imperator Federigo la ridusse alla quinta. Diploma citato
dal Gregorio, _Considerazioni_, lib. III, cap. vj, nota 31. Per un
diploma greco del 1117, il secondo conte Ruggiero, tra le altre cose,
accordò al console genovese in Messina la franchigia della estrazione
delle merci infino a 60 tari. Traduzione latina presso Gregorio,
_Considerazioni_, lib. II, cap. ix, nota 3. Questo, se non altro,
prova l’uso dei dazii di esportazione e può riferirsi con molta
verosimiglianza a quel su i grani.
[805] Se n’è detto nel cap. ix di questo libro, pag. 247. Si riscontri
il Gregorio, _Considerazioni_, lib. I, cap. v.
[806] Considerazioni, lib. I, cap. ij.
[807] In questo lib. V, cap. vij, pag. 184, segg.
[808] Cap. ix, pag. 263, 265 di questo volume.
[809] Lib. V, cap. iv, pag. 110 e 111, di questo volume.
[810] Lib. V, cap. iv, pag. 124 del volume.
[811] Alberto d’Aix, _Historia Hierosolymitana_, lib. XIII, cap. xiij,
presso Caruso, _Bibliotheca Sicula_, pag. 921.
[812] Il Gregorio, _Considerazioni_, lib. II, cap. iv, vede
l’imitazione dall’inglese anco nella costituzione dell’armata siciliana
del XII secolo.
[813] _Leonis Tactica_, cap. XIX. Si vegga anche la traduzione francese
di Maizeroi, Paris, 1778, pag. 146. Occorrono cotesti navilii de’ varii
temi, ossia province, in molti fatti delle istorie bizantine ch’e’
sarebbe lungo a citare.
[814] Lib. IV, cap. vj, pag. 313, del 2º volume.
[815] Ms. arabico di Parigi, _Supplément arabe_, 885, fog. 94 verso.
Ho reso “villaggi” la voce dhia’ che significa propriamente: “podere
demaniale, beneficio militare” (Si vegga il nostro lib. III, cap. j,
pag. 22, del 2º volume). Ma la tassa sopra ogni _fumo_, così il testo,
ossia casa, conduce al significato che do io. Abbiam testè fatta
menzione della gabella detta del fumo in Sicilia nel XII secolo. Si
vegga Ducange, _Glossario latino_, alla voce _fumagium_ e simili, il
_Glossario greco_ alla voce καπνικὸν, e il Cedreno, edizione di Bonn,
tomo II, pag. 831.
[816] Ibn-Khaldoun, _Prolégomènes_, traduzione francese del baron De
Slane, parte II, pag. 39.
[817] Makrizi, _Kitâb-el-Mewâ’iz_, (Descrizione dell’Egitto) testo
arabico, tomo I, pagg. 482 e 483.
[818] Ancorchè io risguardi M. De Slane come mio maestro in arabico,
non posso accettare la traduzione ch’egli dà di questo passo,
_Prolégomènes_, parte II, pag. 40. «Elle se composait de navires qu’on
faisait venir de tous les royaumes où l’on construisait des bâtiments.
Chaque navire était sous les ordres d’un marin portant le titre de
_caïd_, qui s’occupait uniquement de ce qui concernait l’armement, les
combattants et la guerre; un autre officier, appelé le _raïs_, faisait
marcher le vaisseau, etc.»
Secondo il testo arabico, edizione di Parigi, parte II, pag. 35, e
di Rulâk, pag. 123, io tradurrei. “L’armata (spagnuola) era raccolta
da tutto il reame. Di ciascun paese dato alla navigazione veniva
un’armatetta, capitanata da un _kâid_, uomo di mare che badava alle
cose della guerra, alle armi ed ai combattenti e da un _rais_ (pilota)
che avea cura della navigazione, ec.”
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