Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 19
prima metà del XII secolo era terra assai ricca e fortificata, come si
scorge da Edrisi e da parecchi diplomi.
[237] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXXIV e XXXV; e l’Anonimo presso
Caruso, _Bibl. Sicula_, tomo II, p. 843; e nella versione francese,
lib. I, cap. XIX. Il testo di Malaterra ha il nome di Gualtiero de
Simula (var. de Simila) l’Anonimo de Cullejo (var. de Simelio) e la
versione da Similico.
[238] Lib. II, Cap. XXXVI.
[239] Malaterra, l. c. Senza ciò sarebbe falso il _plurimo exercitu_
che leggiamo pochi righi innanzi il _quingentis tantummodo militibus_.
Si vede sempre più chiaramente che per milite sia da intendere un
cavaliere seguito da due o parecchi uomini d’arme.
[240] _Tarentula, lycosa tarentula, aranea tarentula_ ec., abitatrice
de’ luoghi aridi e inculti nella Spagna, Francia meridionale, Puglia
ec., e vuolsi abbia preso il nome dalla città di Taranto e datolo alla
danza _tarantella_.
[241] “Taranta quidem vermis est araneæ speciem habens, sed aculeum
veneni feræ punctionis, omnesque quos punxerit multa venefica
ventositate replet, in tantumque angustiatur ut ipsam ventositatem
quæ per anum inhoneste crepitando emergit, nullo modo restinguere
prævaleant et nisi clibanica vel alia quævis ferventior æstuatio citius
adhibita fuerit, vitæ periculum incurrere dicuntur.” Malaterra, l. c.
Secondo i cronisti delle Crociate il morso portava grande enfiagione e
dolori; nè si potea curare se non col fuoco, con la triaca, o, secondo
Alberto d’Aix, commettendo un certo peccato.
[242] Si vegga la ritirata dell’imperatore Lodovico, andato nell’867
contro il Sultano di Bari (Lib. II, cap. VIII, p. 377 del Iº volume.)
Alberto d’Aix, Gauthier e Vinisauf, citati da Michaud, Histoire des
Croisades, tomo I, p. 297 della ediz. del 1825, raccontano somiglianti
disastri de’ Crociati a Beirut, Sidone e Tiro nel 1099.
[243] Non rimane oggi, nè si trova in alcun diploma. Il buon Di Blasi,
_Storia di Sicilia_, libro VII, cap. 8, si sforza a difendere l’onor
dell’agro palermitano da questa grave accusa; e il Palmieri, _Somma
della Storia di Sicilia_, tomo II, p. 44 e 324, si fa beffe del
Malaterra, non senza collera.
[244] Bugamo presso il Malaterra, Burgamo nella Epistola di fra
Corrado, il quale aggiugne che a’ suoi tempi, cioè allo scorcio del
XIII secolo, questa terra lontana sei miglia da Girgenti, si chiamasse
Buagimo e appartenesse in feudo alla famiglia Montaperto. È in que’
dintorni l’odierno comune di Montaperto. Il soprannome d’uomo che
passò al castello, sembra _Abu-’l-Giami’, Abu-’l-Gema’_, ovvero
_Abu-el-’Agemi_.
[245] Malaterra, lib. II, cap. XXXVI, presso Caruso, _Bibl. Sic_., p.
195, Epistola di Fra Corrado nell’op. cit. p. 48. Si riscontri Lupo
Protospatario, an. 1065, ediz. di Pertz, il quale dice che Roberto
uccise molti Saraceni e riportò statichi di Palermo. Così i Normanni
doveano raccontare il fatto ritornando in Puglia.
[246] Libro V, cap. XXVI, p. 150. Nel cap. XXVIII dello stesso lib., p.
164, è da leggere Palermo in vece di Bar, la quale lezione è confermata
dal sommario dell’indice che non risponde al testo. Si vegga anco Bar,
posta in luogo di Palermo, a p. 293.
_Et quant lo duc sapientissime vit la disposition et lo siege de
Palerme et que des terres voisines estoit aportee la marchandite, et
se alcuns negassent la grace par terre, lui seroit aportee par mer,
apareilla soi a prendre altre cite a ce que assemblast autre multitude
de navie pour restreindre Palerme.... premerement asseia Otrante_ etc.
Roberto non s’era avvicinato a Palermo nel 1061 quand’ei venne la prima
volta in Sicilia. Il passo che citiamo non si può riferire dunque che
al suo ritorno in Calabria dopo l’assedio del 1064, come lo conferma la
occupazione d’Otranto che segue immediata. Manca almeno un capitolo tra
il XXV e il XXVI, il che non farà meraviglia a niuno che abbia letta
attentamente questa traduzione francese di Amato.
[247] Ibn-el-Alhir sotto l’anno 481, nella _Bibl. ar. sic._, testo, p.
278; Nowairi, op. cit. p. 448, e presso il Di Gregorio, _Rerum. Arab._,
p. 26.
[248] Il Malaterra porta l’anno di questo combattimento, e Ibn-el-Athir
quello del ritorno d’Aiûb in Affrica, i quali coincidono in cinque mesi
(31 ottobre 1068 principio del 461 dell’egira, a 24 marzo 1069 fine
dell’an. 1068 dell’incarnazione). Sembra dunque che Aiûb fosse tuttavia
in Sicilia e forse in Palermo al tempo del combattimento, e che a
lui abbia fatta allusione il conte Ruggiero con le parole riferite
dal Malaterra: _Si ducem mutaverunt, ejusdem nationis, qualitatis et
religionis est cujus et cæteri sunt._
Sembra da coteste parole che il nuovo duce non fosse stato vinto per
anco da’ Normanni, il che ben s’adatterebbe ad Aiûb. Se poi non si
vanta la sconfitta del re d’Affrica e d’Arabia, può spiegarsi in questo
modo che Aiûb, quantunque emir de’ Palermitani in quel tempo, non si
fosse trovato alla testa della gente che uscì a combattere.
[249] Malaterra, lib. II, cap. XXXVII e XXXIX.
[250] Malaterra, lib. II, cap. XXXVIII, XLI, XLIII.
[251] Cf. Malaterra, lib. II, cap. XLI e XLII presso Caruso, _Bibl.
Sic._, p 197, L’Anonimo, presso Caruso, op. cit., p. 843, e nella
traduzione francese, lib. I, cap. XX, p. 291, pone questa battaglia
dopo lo scontro del 1063 che abbiamo riferito a p. 104. Manca forse
qualche squarcio in cui si trattasse anco dell’assedio di Palermo del
1064.
Il Malaterra descrive con evidente meraviglia il modo che si teneva a
mandare dispacci pe’ colombi. Chi voglia saperne più largamente, potrà
consultare La Colombe Messagère di Michele Sabbâg, tradotto da S. de
Sacy, Paris, 1805, in 8º; Reinaud, Extraits des auteurs arabes etc.,
relatifs aux Croisades, p. 150, Quatrémère, Hist. des Sultans Mamlouks;
par Makrizi, tomo II, parte II, p. 115 e segg.
[252] Cf. Amato, lib. V, cap. XXVII, p. 159 a 164; Malaterra, lib.
II, cap. 40, 43, presso Caruso, _Bibl. Sic._, tomo I, p. 198, 199;
Guglielmo di Puglia, libro II e III, presso Caruso, op. cit., 112, p.
117, 118; Anonimo, presso Caruso, op. cit., p. 844, 845, e traduzione
francese, lib. I. cap. XXII, p. 224; Lupo Protospatario, anni 1069,
1071; Romualdo Salernitano, anno 1070; _Cronica Amalfitana_, presso
Muratori _Antiq. Ital._, tomo I, p. 213.
Seguo per la data del principiato assedio e della resa, Amato, la
cui testimonianza conferma le correzioni cronologiche del Muratori,
_Annali_.
[253] Non ne parlano qui i cronisti, ma si vede che Ruggiero ne prese
a’suoi stipendii dopo la occupazione di Palermo.
[254] Amato, lib. VI, cap. XIII; lib. VII, cap. I e II.
[255] Amato, lib. VI, cap. XVI e XIX, parla dei _principi_ che
accompagnavano Roberto al cominciare dell’assedio e che, espugnata la
città, egli andò alla Chiesa _avec la moiller et ses frere et avec lo
frere de la moiller et avec ses princes_. Si tratta dunque de’ principi
di Salerno; nè è possibile che andando in persona non avessero condotte
soldatesche di sorta.
[256] Guglielmo di Puglia, lib. III, presso Caruso, _Bibl. Sic._; p.
122. Amato, lib. VII, cap. II.
[257] Cf. Malaterra, Amato e Leone d’Ostia ne’ luoghi indicati qui
appresso.
[258] Malaterra, lib. II, cap. XLV, p. 200.
[259] Amato, lib. VI, cap. XIV, pag. 178. Cf. Leone d’Ostia, lib. III,
cap. XVI e XLV.
[260] Amato, lib. VI, cap. XV, pag. 178.
[261] Si vegga il vol. II, p. 68, 157, 189, 296 e segg.
[262] La foce d’Oreto ne’ principii del XII secolo s’apriva
più discosto che in oggi dalla città, come il mostra il ponte
dell’Ammiraglio, il quale rimane a levante dell’alveo attuale del
fiume.
Il mare poi senza dubbio s’è ritirato in questo punto, come nell’antico
porto (la Cala).
[263] «_Castel Iehan mes maintenant se clame lo chaste Saint Iehan
etc._» Questo torna senza alcun dubbio all’Ospizio de’ Lebbrosi, poi
manicomio ed ora opificio di cuoia. La tradizione ricordava fino al
XIV secolo, (Veggasi _Anonymi Chronicon Siculum_, presso Di Gregorio,
_Rerum aragonensium_, tomo II, p. 124) che Roberto vi avesse fatto
stanza durante l’assedio. Ne fa parola anco il Fazello, Deca Iª, lib.
VIII, cap. I, allegando un diploma del 1209; ma questo è in vero
del febbraio 1219 ed attesta soltanto quel che non è mai caduto in
dubbio, cioè essere stato fondato l’ospizio da’ principi normanni della
Sicilia. Si vegga presso Mongitore, _Mans. S. Trin. Mon. hist._, p. 21,
e nella _Historia Diplomatica Friderici II_, tomo I, p. 590.
[264] Si veggano i Cap. III, e IV, di questo libro pagine 70, 110, del
volume.
[265] _Et quant li Sarrazin issoient virent novelle chevalerie et li
Normant les orent atornoies et let prisrent et vendirent pour vils
prison._
[266] _Et clama li Sarrazin a combatre._
[267] Amato. Il palagio occupato alla prima giunta, par quello che nel
XII secolo Ibn-Giobair chiama Kasr-Gia’far e gli scrittori cristiani
Favara, di che ho fatta parola nel lib. IV, cap. VII, vol. II, p.
350. Fu villa di delizia del re Ruggiero, come innanzi era stata
probabilmente degli emiri di Palermo; sia che parte degli edifizii loro
fosse stata conservata da’ Normanni, o tutto rinnovato.
[268] Una chiesetta diroccata il 1598 quando si fabbricò in quel sito
il noviziato de’ Minimi di San Francesco di Paola, si chiamava della
Vittoria e vi si leggea questa iscrizione: «Roberto Panormi duce et
Siciliæ Rogerio Comite imperantibus, Panormitani cives ob Victoriam
habitam, hanc ædem B. Mariæ sub Victoriæ nomine sacrarunt. An. Dom.
1071.» (Inveges, _Pal. nob. Er._, 7, an. 1071, nº 9; Mongitore,
_Palermo Divoto di M. V._, lib. I, cap. V; Giardina, _Le antiche porte
di Palermo_, (Palermo, 1732) p. 11, 12).
La iscrizione data il 1071 è falsa senza alcun dubbio, come lo
provano la latinità, le formole e il titolo di _Panormitani Cives_,
che allor sarebbero stati i Musulmani. Pure questa iscrizione attesta
infallibilmente un’antica tradizione, che non v’ha ragione di mettere
in forse. Errarono poi gli eruditi Palermitani ponendo all’assedio da
quel lato Roberto piuttosto che Ruggiero. Il titolo della Vittoria
rimase alla Chiesa e al Convento de’ Paolotti, il quale fu occupato
per lunghissimo tempo da uno o due squadroni di cavalleria, ed or v’ha
stanza l’artiglieria.
È da ricordare che al tempo d’Ibn-Haukal (veggasi il nostro Libro IV,
pag. 297, del II vol.) sorgea da quella parte il _Me’sker_, ricinto
fortificato senza dubbio, che i Normanni appena entrati in Palermo,
mutarono in cittadella, come sarà detto largamente alle pag. 137-138
di questo terzo volume. Si dee dunque supporre che il ricinto stesse
tuttavia in piedi al tempo dell’assedio. Ma in qual modo allor fosse
separato dalla città vecchia, e se compreso nell’àmbito delle sue mura,
non si ritrae: e però non possiamo determinare se durante l’assedio il
tenessero i Musulmani ovvero i Normanni. De’ quali due supposti credo
più verosimile il primo, e che lo alloggiamento del conte Ruggiero
fosse posto appunto rimpetto il _Ma’skar_, alla distanza di sei o
settecento metri; poichè il _Ma’skar_ par si stendesse fino all’odierno
sito di Porta nuova o un po’ più alto.
[269] Si vegga qui innanzi la p. 110.
[270] Amato, il quale narra ciò al bel principio dell’assedio,
senza poi far parola della battaglia navale dinanzi il porto, che fu
combattuta alla fine. Non credo si possa riferire a questa la presura
delle due sole navi che cita il cronista.
[271] Guglielmo di Puglia e l’Anonimo.
[272] Malaterra.
[273] Anonimo, testo latino e traduzione francese in parte.
[274] Si vegga il vol. II, p. 304.
[275] Malaterra.
[276] Di questi aiuti tace il Malaterra. Guglielmo ne parla
precisamente innanzi la battaglia del porto. Amato ne fa menzione
dopo la resa della città (Lib VII, cap. I, p. 103), quando ripiglia a
raccontare le ostilità del principe Riccardo in Terraferma... _venoient
sur la cite de Palermo li Arabi et li Barbare et faisoient empediment a
la victoriose bataille de lo duc Robert et pource il requist et chercha
l’ajutoire de lo prince Richart etc._
[277] Muratori, Annali, 1071.
[278] Amato, l. c.
[279] Il traduttore francese saltò senza dubbio la voce _mura_.
[280] Amato, lib. VI, cap. XVII, p. 179.
[281] Id. id., cap. XVIII, p. 180.
[282] Guglielmo di Puglia.
[283] Guglielmo di Puglia.
[284] Nessuno de’ cronisti ha notata la importanza di questa
diversione; Guglielmo, il solo d’altronde che narri il combattimento
navale, ripiglia _Dat validas animo ducis hæc victoria vires_, e dice
dell’assalto dalla parte di terra, senza notare nè far supporre il
tempo scorso tra l’uno e l’altro. Il Malaterra fa menzione appena del
navilio normanno, dicendo che si trovava dal lato di Roberto il giorno
dell’assalto.
Ne conchiudo che la vittoria navale non fu piena nè splendida, ma
utilissima, come quella che obbligava i Musulmani a difendersi anco nel
porto, cioè, a dividere in tre le scarse loro forze, invece di opporle
in due sole parti a Ruggiero ed a Roberto.
[285] Amato.
[286] Malaterra, _Machinamentis itaque et scalis ad trascendendos muros
artificiosissime compaginatis_. Gli è vero che la più parte si ruppe
o non servì all’opera. La grande altezza del muro richiedea si desse
larga base a coteste scale e però le doveano essere montate su ruote.
[287] Amato.
[288] Amato dice _en la nativite de Jshu Christ_ (Cap. XXII) e _en
l’aurore de jor_ (Cap. XVIII); l’Anonimo Barese, il 10 _gennaio_, e
Romualdo Salernitano, _di gennaio_. Si noti la festa celebrata nella
chiesetta della Vittoria alla Kalsa il 2 gennaio, della quale diremo or
ora.
[289] Malaterra.
[290] Guglielmo.
[291] Amato.
[292] Malaterra.
[293] Amato, Cf. Guglielmo, Malaterra e l’Anonimo. La più parte dei
compilatori siciliani ha fatto entrare nella Khalesa Ruggiero.
[294] Non fa mestieri notare che questa chiesa della Vittoria sia
diversa da quella fuor la Porta Nuova di cui si è detto di sopra.
Giace propriamente in un vicolo “chiamato oggi della Salvezza” il quale
aprendosi tra la Chiesa della Gancia e il monastero della Pietà, mette
capo al bastione dello Spasimo.
Le prime memorie in cui sia scritta la tradizione di questa Porta
della Vittoria, tornano alla fine del XV secolo: dalle quali si scorge
ch’eravi dipinta una Madonna molto celebre tra i devoti della città;
che si ottenne dal governo il permesso di fabbricarvi una chiesa; che
questa fu murata nel 1489; e che nel 1497, l’arcivescovo di Palermo,
assentendegli il Senato della città, decretò di celebrarvi una festa
annuale il 2 gennaio. Nel XVI secolo poi vi fu messa la seguente
iscrizione latina, ch’è riferita del Giardina (_Le Porte di Palermo_,
Palermo 1732, pag. 11) e che or si vede dipinta sur un’asse dopo il
secondo altare a destra:
“Porta hæc, in quam Rogerius invictissimus Siciliæ comes irrumpens,
aditura exercitui christiano ad urbem hanc Panormum ab iniqua
Saracenorum servitute emancipandam patefecit, victoria cognomento ab eo
devictorum hostium summo cum honore ob insignem reportatam victoriam,
Deiparæ Virginis cultu victoris ejusdem principi ardenti ac pio
desiderio consecrata est, quintilio mense dom. incarnationis MLXXI.”
Altra iscrizione poi attesta una novella ristorazione delle fabbriche
seguita il 1701. Oggidì si veggono: 1º Gli avanzi d’una porta nel
posto che ho indicato; 2º Una Madonna col Bambino e una bandiera,
immagine ritoccata o ridipinta, il cui stile par non possa riferirsi
all’XI secolo. Cotesta dipintura rappresenta senza dubbio la favola
raccontata del P. Ottavio Gaetani, cioè che la Madonna comparve lassù
a Ruggiero con la bandiera in mano, chiamandolo ad entrare in città.
Quanto all’iscrizione di cui ho dato il tenore e ch’è opera di Antonio
Veneziano, ognun vede che renda la tradizione qual correa presso
gli eruditi nel XVI secolo; poichè vi è nominato Ruggiero in luogo
di Roberto e messa la data di luglio 1071 in vece di gennaio 1072.
Rimondata de’ miracoli e delle invenzioni degli eruditi, la tradizione
torna al mero fatto che i Normanni entrarono da quella porta: e ciò
sta benissimo col racconto de’ cronisti contemporanei. Quando poi vi
fosse dipinta per la prima volta l’immagine della Madonna, e se fossevi
stata fabbricata una cappella nell’XI secolo o nel XII, o dopo, non mi
preme ora investigarlo, nè sarebbe agevol cosa. Si vegga il Giardina
l. c; Mongitore, _Palermo Devoto di Maria Vergine_, I, 31 segg., 250
segg.; Inveges, _Palermo Nobile_, 1071; Di Marzo Ferro, _Guida di
Palermo_, 1858, pag. 360-361. Debbo le notizie locali e il confronto
del Mongitore, al dotto giovane, il professore Antonio Salinas, ch’io
ne richiesi, non essendomi accaduto mai d’entrare in questa chiesetta
della Vittoria.
[295] Amato.
[296] Anonimo.
[297] Amato. _Et lo duc, a ceus qui sont remez liquel habitent en la
cite a liquet avoit donne mort de li parent et fame_ il fist garder
les tors. _Mes pource que Palerme estoit faite plus grant qu elle
non fu commende premerement dont de celle part estoit plus forte dont
premerement avoit este commencie la cite se clamoit la antique Palerme.
Il commencerent contre celle antique Palerme contrester cil de la cite.
Et puiz quant la bataille penserent que il devoient faire et en celle
nuit se esmurent o tout li ostage et manderent certains messages liquel
doient dire coment la terre s’est rendue._
Le parole che ho lasciate in carattere tondo sono al certo sbagliate
nella traduzione. Anzi nel primo periodo è saltato evidentemente
qualche brano del testo latino, il quale dovea dire che Roberto
aspettandosi l’assalto di coloro ec., fece guardar bene dai suoi le
torri della Khalesa.
La voce “contre” va corretta di certo, _entre_, senza che il periodo
non darebbe significato. Que’ della città (antica) non poteano
contendere con la città antica.
[298] Si vegga la nota precedente con la correzione che ho fatta alla
voce “contre.”
[299] Amato. _Et puis quant il fut jor dui Cayte alerent devant loquel
avoient l’ofice laquelle avoient li antique avec autres gentilhome
liquel prierent lo conte_ ec.
Credo non si possa interpretare altrimenti di quel che io ho fatto.
Gli _antique_ sono senza alcun dubbio gli _sceikh_, i componenti la
_gemâ’_, di che ho fatto parola nel Lib. IV, cap. XII, vol. II, p. 426,
ossia i magistrati della repubblica. I due Kâid, ossia capitani, aveano
dunque preso l’oficio della _gemâ’_, ch’era, nel presente caso, il
governo politico. Il magistrato avea risegnato l’uficio, forse la notte
stessa, forse con la spada alla gola, forse con spargimento di sangue.
I due Kâid eran proprio i capi Palleschi dell’assedio di Firenze.
[300] Amato, _o grand reverance plorant_.
[301] Cf. Amato, Guglielmo, Malaterra e l’Anonimo. Si vegga il lib. IV,
cap. V di quest’opera, vol. II, p. 301. Il nome di Nicodemo è aggiunto
con buona autorità dal Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 53 e segg.
[302] _Que sans nulle autre condition ne convenance doie recevoir la
cite a son commendement_.
[303] Lib. II, cap. XLV.
[304] Presso Caruso, _Bibl. Sic._, p. 846, e traduz. franc, lib. I,
cap. XXII, p. 295, _sur certene loy et covenances qui encore sont
gardees_. Qui i dotti editori hanno aggiunto tra parentesi _janvier_
1072, epoca della resa. Va corretto, anno 1146, quando fu scritta
quella parte di cronica com’io ho provato qui innanzi. Cap. I, p. 24.
[305] L’espugnazione di Palermo si ritrae da:
Amato, lib. VI, cap. XII a XXII.
Malaterra, lib. II, cap. XLIII, XLIV, XLV.
Guglielmo di Puglia, lib. III.
Anonimo presso Caruso, op. cit., e la traduzione francese, ll. cc.
Leone d’Ostia, lib. III, cap. XVI, e XLV.
Lupo Protospatario e Anonimo Barese, 1072, presso Pertz, dov’è la
necessaria correzione _januarii_ in luogo di _junii_.
Cronica della Cava, anni 1070, 1072.
Cronica Amalfitana, presso Muratori, _Antiq. Ital._, tomo I, p. 213.
Romualdo Salernitano, anni 1070 e 1073.
Cron. di Santa Sofia di Benevento, presso Muratori, _Antiq. Ital._,
tomo I, p. 259.
Fra Corrado presso Caruso, _Bibl. Sic._, p. 48.
Per la data, ho seguìta col Muratori (Annali, 1072), la testimonianza
dell’Anonimo barese, la quale si accorda con quella di Amato, che
l’assedio cominciasse in agosto e durasse cinque mesi. Il Malaterra
attribuisce la stessa data all’assedio e pone la resa nel 1071, poichè
egli cominciava il nuovo anno a’ dì 25 marzo.
Il Fazello, Deca IIª, lib. VII, cap. I, contro le testimonianze
contemporanee, senza allegare nè anco una tradizione, dice aperta la
città da’ prigionieri cristiani. È proprio il caso della occupazione di
Tunis successa a’ suoi tempi. D’altronde avendo fatta consegnar Messina
da’ Cristiani, il Fazello non seppe negare un onore somigliante alla
città di Palermo.
[306] Amato, lib. VI, cap. XXI, p. 182. Ibn-Khaldûn pone l’anno 464,
(28 settembre 1071-15 settembre 1072), come fine della dominazione
musulmana in Sicilia, notandovi la dedizione di Mazara, ed erroneamente
quella di Trapani, _Bibl. Arabo-Sicula_, testo, cap. L, § 19, p. 497,
498.
[307] _Dux eam_ (Palermo) _in suam proprietatem retinens et vallem
Deminæ, cæteramque omnem Siciliam adquisitam et suo adjutorio,
ut promittebat, nec falso, adquirendam, fratri de se habendam
concessit...... Nam et medietas totius Siciliæ, ex consensu Ducis et
Comitis, suæ sorti_ (di Serlone) _Arisgotique de Poteolis inter se
dividenda cesserat, eo quod hic consanguineus eorum erat, uterque autem
consilio et armis probissimi viri erant_. — Malaterra, lib. II, cap.
XLV, XLVI.
Dopo questo attestato d’un partigiano sì caldo del conte Ruggiero,
d’un vero storiografo di corte (_Quoniam ex ædicto principis tempus
scribendi imminet._ Lib. III, preambolo), non occorre esaminare quello
di Amato, lib. VI, cap. XXI, il quale, seguìto da Leone d’Ostia, lib.
II, cap. XVI, dice ritenuta da Roberto la sola metà di Palermo e del
Valdemone e ceduto il rimanente dell’isola a Ruggiero. In ciò è un
anacronismo dal 1072 al 1091, quando Ruggiero duca di Puglia cedette
una metà di Palermo a Ruggiero di Sicilia suo zio. Contuttociò non ho
esitato di scrivere su la testimonianza del solo Amato l’assentimento
dell’esercito alla concessione in favor di Ruggiero. _Et lo comanda que
vieingue tout lo excercit et loa lo excercit qu’il lo devisse doner a
lo frere. Et adont lo duc donna a son frere_ ec.
[308] Il sito, non indicato precisamente dai cronisti, è senza
alcun dubbio quello che Edrisi chiama _Hagiar-Serlu_, “la Pietra di
Serlone,”_ Bibl. Arabo-Sicula_, testo p. 60, e presso Di Gregorio,
_Rerum Arabic._, p. 122. Io l’ho notato nella carta comparata della
Sicilia.
Il Fazello, Deca Iª, lib. X, cap. I, e Deca IIª lib. VII, cap. I,
sbaglia il sito e dà due forme diverse del nome di quella rupe a’ suoi
tempi.
[309] Malaterra, lib. II, cap. XLVI; Anonimo presso Caruso, _Bibl.
Sic._ p. 846, e nella traduzione francese, lib. I, cap. XXIII.
[310] Si vegga il lib. III, cap. IX, e il lib. IV, cap. V, di
quest’opera, Vol. II, p. 180 e 297.
[311] Degli scrittori contemporanei, Amato, ossia il suo traduttore
francese, dice una _forte roche_, Malaterra, _castellum_, Guglielmo di
Puglia e l’Anonimo della metà del XII secolo, _castrum_.
Il Falcando, verso la fine dello stesso secolo, chiamava cotesta
cittadella _Palatium novum_, descrivendone il muro, _mira ex quadris
lapidibus diligentia, miro labore constructum, exterius quidem_
spaciosis _murorum anfractibus circumclusum etc._ (presso Caruso,
_Bibl. Sic._, p. 406), e altrove nomina una porta _Galculæ_, e dice
serrate tutte le porte _Galculæ_, trattando senza il menomo dubbio
della medesima cittadella (op. cit. p. 432 e 441).
L’altro Anonimo Siciliano (Muratori, _Rer. Ital._, tomo X, e Di
Gregorio, _Rerum Aragon._, tomo II), narrando nel cap. IV, secondo
le guaste tradizioni del XIV secolo, il conquisto di Palermo e la
edificazione della cittadella, aggiugne _qui locus dicitur hodie Galea_
(corr. _Galca_) _in quo nunc est palatium_. Il Pirro infine, (_Sicilia
Sacra_, p. 293), citando un diploma del XII secolo ov’è nominata la
porta _Xalces_, aggiugne che ai tempi suoi, cioè nella prima metà del
XVII secolo, la regione dov’era stata innalzata la _Porta Nuova_ si
chiamava _Xalces_ o _Alga_.
Nè mancano i diplomi. Uno dell’Arcivescovo di Palermo dato il
1132,(_Tabularium regiae ac imperialis capellæ etc_. Panormi, 1835,
p. 7), chiama questo luogo _castellum superius panormitanum_; e il
dotto editore, con la scorta del Fazello e dei diplomi, accenna il
perimetro che movendo a mezzodì dal convento di San Giovanni degli
Eremiti, passava a ponente per un giardino dove surse una chiesa
di Sant’Andrea, indi a tramontana pel luogo detto il Papireto, ed a
levante per la piazza del Palagio Reale il quale rimanea chiuso nel
mezzo. Un contratto del 1167 (op. cit., p. 24) riguarda una casa _quae
est intus Chalca_; un altro del 1258 (op cit., p. 68) concerne altro
stabile _situm in Galcam Panormi prope palacium Caseri_; e fino al 1309
(op. cit., p. 94) sappiamo d’altra casa _sita in Galca Panormi in ruga_
(rue, strada) _Sanctæ Mariæ Magdalenæ de Galca_. Così anche un diploma
greco del 6662 (1153) presso Morso, _Palermo antico_, p. 334, dice
della Porta Γάλκας ed il transunto siciliano a p. 342, della “porta di
Xalcas”.
Senza il menomo dubbio, ancorchè manchi ogni documento arabico, il nome
era _El-Halka_, trascritto nel modo che ciascun credea più conforme
alla pronunzia; il quale vocabolo, passando per bocche non arabiche,
perdè a poco a poco la prima lettera aspirata e si ridusse in ultimo
ad Alga. Il Fazello, Deca Iª, lib. VIII, cap. I, ritrasse dalle antiche
carte il sito, il nome, e fin anco il significato ch’ei dà esattamente,
ancorchè trascriva a suo modo Yhalca ed applichi erroneamente questo
medesimo nome alla Khalsa o Khalesa. Il Cascini e quindi il Morso,
_Palermo antico_, p. 228, 230, con errore diverso, fecero derivare
Chalca ec. dallo aggettivo arabico che significa _alto_.
[312] Guglielmo di Puglia e Amato.
[313] Verso il 1832 rispianandosi il suolo della Piazza del palazzo
reale, furono scoperte tre o quattro fosse da grano spaziose molto e
profonde, costruite in forma d’una pera.
[314] Lib. VI, cap. XXIII. — Ecco ora le autorità contemporanee
risguardanti la costruzione dei due fortilizii dell’_Halka_ e del mare.
Guglielmo di Puglia, lib. III.
_Munia castrorum fecit robusta parari,_
_Tuta quibus contra Siculos sua turba maneret,_
_Addidit et puteos, alimentaque commoda castris._
_Obsidibus sumptis aliquot, castris due paratis._
Malaterra, lib. II. cap. XLV. Amato, lib. VI, cap, XXIII; Anonimo _Duo
fortissima castra, alterum juxta mare, alterum in loco qui dicitur
Galea_ (corr. Galca), presso Caruso, _Bibl. Sic._, p. 846. e nella
traduzione francese, lib. I, cap. XXII. Amato e il Malaterra dicono
d’una sola fortezza, senza dubbio l’_Halka_ che era la più importante.
[315] Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 69 e 1369.
Nel primo de’ citati luoghi il Pirro fa menzione anco della chiesa
di San Pietro e Paolo accanto il Castellamare di Palermo, fabbricata
per ordine di Roberto e compiuta il 6589 (1081) come l’attestava una
iscrizione greca. Ecco dunque le due cappelle destinate a’ presidii
delle due fortezze.
La citata concessione di beni nel territorio di Mazara fu fatta senza
dubbio avanti il partaggio definitivo dell’isola, nella quale Mazara
toccò al conte Ruggiero.
[316] Fazello, Deca Iª, lib. VIII, cap. I, e Deca IIª, lib. VII, cap. I.
La Cronaca Amalfitana, presso Muratori, _Antiq. ital._, tomo I, p.
214, e Romualdo Salernitano, anno 1076, dicono finita in quel torno da
Roberto la chiesa di Santa Maria Vergine in Palermo.
[317] Amato, Malaterra, Guglielmo di Puglia, ll. cc.
[318] Guglielmo di Puglia, lib. III.
_Reginam remeat Robertus victor ad urbem;_
_Nominis ejusdem quodam remanente Panormi_
_Milite, qui Siculis datur Amiratus haberi._
La voce _amiratus_ qui non sembra posta per cattivo scherzo; perchè
scorge da Edrisi e da parecchi diplomi.
[237] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXXIV e XXXV; e l’Anonimo presso
Caruso, _Bibl. Sicula_, tomo II, p. 843; e nella versione francese,
lib. I, cap. XIX. Il testo di Malaterra ha il nome di Gualtiero de
Simula (var. de Simila) l’Anonimo de Cullejo (var. de Simelio) e la
versione da Similico.
[238] Lib. II, Cap. XXXVI.
[239] Malaterra, l. c. Senza ciò sarebbe falso il _plurimo exercitu_
che leggiamo pochi righi innanzi il _quingentis tantummodo militibus_.
Si vede sempre più chiaramente che per milite sia da intendere un
cavaliere seguito da due o parecchi uomini d’arme.
[240] _Tarentula, lycosa tarentula, aranea tarentula_ ec., abitatrice
de’ luoghi aridi e inculti nella Spagna, Francia meridionale, Puglia
ec., e vuolsi abbia preso il nome dalla città di Taranto e datolo alla
danza _tarantella_.
[241] “Taranta quidem vermis est araneæ speciem habens, sed aculeum
veneni feræ punctionis, omnesque quos punxerit multa venefica
ventositate replet, in tantumque angustiatur ut ipsam ventositatem
quæ per anum inhoneste crepitando emergit, nullo modo restinguere
prævaleant et nisi clibanica vel alia quævis ferventior æstuatio citius
adhibita fuerit, vitæ periculum incurrere dicuntur.” Malaterra, l. c.
Secondo i cronisti delle Crociate il morso portava grande enfiagione e
dolori; nè si potea curare se non col fuoco, con la triaca, o, secondo
Alberto d’Aix, commettendo un certo peccato.
[242] Si vegga la ritirata dell’imperatore Lodovico, andato nell’867
contro il Sultano di Bari (Lib. II, cap. VIII, p. 377 del Iº volume.)
Alberto d’Aix, Gauthier e Vinisauf, citati da Michaud, Histoire des
Croisades, tomo I, p. 297 della ediz. del 1825, raccontano somiglianti
disastri de’ Crociati a Beirut, Sidone e Tiro nel 1099.
[243] Non rimane oggi, nè si trova in alcun diploma. Il buon Di Blasi,
_Storia di Sicilia_, libro VII, cap. 8, si sforza a difendere l’onor
dell’agro palermitano da questa grave accusa; e il Palmieri, _Somma
della Storia di Sicilia_, tomo II, p. 44 e 324, si fa beffe del
Malaterra, non senza collera.
[244] Bugamo presso il Malaterra, Burgamo nella Epistola di fra
Corrado, il quale aggiugne che a’ suoi tempi, cioè allo scorcio del
XIII secolo, questa terra lontana sei miglia da Girgenti, si chiamasse
Buagimo e appartenesse in feudo alla famiglia Montaperto. È in que’
dintorni l’odierno comune di Montaperto. Il soprannome d’uomo che
passò al castello, sembra _Abu-’l-Giami’, Abu-’l-Gema’_, ovvero
_Abu-el-’Agemi_.
[245] Malaterra, lib. II, cap. XXXVI, presso Caruso, _Bibl. Sic_., p.
195, Epistola di Fra Corrado nell’op. cit. p. 48. Si riscontri Lupo
Protospatario, an. 1065, ediz. di Pertz, il quale dice che Roberto
uccise molti Saraceni e riportò statichi di Palermo. Così i Normanni
doveano raccontare il fatto ritornando in Puglia.
[246] Libro V, cap. XXVI, p. 150. Nel cap. XXVIII dello stesso lib., p.
164, è da leggere Palermo in vece di Bar, la quale lezione è confermata
dal sommario dell’indice che non risponde al testo. Si vegga anco Bar,
posta in luogo di Palermo, a p. 293.
_Et quant lo duc sapientissime vit la disposition et lo siege de
Palerme et que des terres voisines estoit aportee la marchandite, et
se alcuns negassent la grace par terre, lui seroit aportee par mer,
apareilla soi a prendre altre cite a ce que assemblast autre multitude
de navie pour restreindre Palerme.... premerement asseia Otrante_ etc.
Roberto non s’era avvicinato a Palermo nel 1061 quand’ei venne la prima
volta in Sicilia. Il passo che citiamo non si può riferire dunque che
al suo ritorno in Calabria dopo l’assedio del 1064, come lo conferma la
occupazione d’Otranto che segue immediata. Manca almeno un capitolo tra
il XXV e il XXVI, il che non farà meraviglia a niuno che abbia letta
attentamente questa traduzione francese di Amato.
[247] Ibn-el-Alhir sotto l’anno 481, nella _Bibl. ar. sic._, testo, p.
278; Nowairi, op. cit. p. 448, e presso il Di Gregorio, _Rerum. Arab._,
p. 26.
[248] Il Malaterra porta l’anno di questo combattimento, e Ibn-el-Athir
quello del ritorno d’Aiûb in Affrica, i quali coincidono in cinque mesi
(31 ottobre 1068 principio del 461 dell’egira, a 24 marzo 1069 fine
dell’an. 1068 dell’incarnazione). Sembra dunque che Aiûb fosse tuttavia
in Sicilia e forse in Palermo al tempo del combattimento, e che a
lui abbia fatta allusione il conte Ruggiero con le parole riferite
dal Malaterra: _Si ducem mutaverunt, ejusdem nationis, qualitatis et
religionis est cujus et cæteri sunt._
Sembra da coteste parole che il nuovo duce non fosse stato vinto per
anco da’ Normanni, il che ben s’adatterebbe ad Aiûb. Se poi non si
vanta la sconfitta del re d’Affrica e d’Arabia, può spiegarsi in questo
modo che Aiûb, quantunque emir de’ Palermitani in quel tempo, non si
fosse trovato alla testa della gente che uscì a combattere.
[249] Malaterra, lib. II, cap. XXXVII e XXXIX.
[250] Malaterra, lib. II, cap. XXXVIII, XLI, XLIII.
[251] Cf. Malaterra, lib. II, cap. XLI e XLII presso Caruso, _Bibl.
Sic._, p 197, L’Anonimo, presso Caruso, op. cit., p. 843, e nella
traduzione francese, lib. I, cap. XX, p. 291, pone questa battaglia
dopo lo scontro del 1063 che abbiamo riferito a p. 104. Manca forse
qualche squarcio in cui si trattasse anco dell’assedio di Palermo del
1064.
Il Malaterra descrive con evidente meraviglia il modo che si teneva a
mandare dispacci pe’ colombi. Chi voglia saperne più largamente, potrà
consultare La Colombe Messagère di Michele Sabbâg, tradotto da S. de
Sacy, Paris, 1805, in 8º; Reinaud, Extraits des auteurs arabes etc.,
relatifs aux Croisades, p. 150, Quatrémère, Hist. des Sultans Mamlouks;
par Makrizi, tomo II, parte II, p. 115 e segg.
[252] Cf. Amato, lib. V, cap. XXVII, p. 159 a 164; Malaterra, lib.
II, cap. 40, 43, presso Caruso, _Bibl. Sic._, tomo I, p. 198, 199;
Guglielmo di Puglia, libro II e III, presso Caruso, op. cit., 112, p.
117, 118; Anonimo, presso Caruso, op. cit., p. 844, 845, e traduzione
francese, lib. I. cap. XXII, p. 224; Lupo Protospatario, anni 1069,
1071; Romualdo Salernitano, anno 1070; _Cronica Amalfitana_, presso
Muratori _Antiq. Ital._, tomo I, p. 213.
Seguo per la data del principiato assedio e della resa, Amato, la
cui testimonianza conferma le correzioni cronologiche del Muratori,
_Annali_.
[253] Non ne parlano qui i cronisti, ma si vede che Ruggiero ne prese
a’suoi stipendii dopo la occupazione di Palermo.
[254] Amato, lib. VI, cap. XIII; lib. VII, cap. I e II.
[255] Amato, lib. VI, cap. XVI e XIX, parla dei _principi_ che
accompagnavano Roberto al cominciare dell’assedio e che, espugnata la
città, egli andò alla Chiesa _avec la moiller et ses frere et avec lo
frere de la moiller et avec ses princes_. Si tratta dunque de’ principi
di Salerno; nè è possibile che andando in persona non avessero condotte
soldatesche di sorta.
[256] Guglielmo di Puglia, lib. III, presso Caruso, _Bibl. Sic._; p.
122. Amato, lib. VII, cap. II.
[257] Cf. Malaterra, Amato e Leone d’Ostia ne’ luoghi indicati qui
appresso.
[258] Malaterra, lib. II, cap. XLV, p. 200.
[259] Amato, lib. VI, cap. XIV, pag. 178. Cf. Leone d’Ostia, lib. III,
cap. XVI e XLV.
[260] Amato, lib. VI, cap. XV, pag. 178.
[261] Si vegga il vol. II, p. 68, 157, 189, 296 e segg.
[262] La foce d’Oreto ne’ principii del XII secolo s’apriva
più discosto che in oggi dalla città, come il mostra il ponte
dell’Ammiraglio, il quale rimane a levante dell’alveo attuale del
fiume.
Il mare poi senza dubbio s’è ritirato in questo punto, come nell’antico
porto (la Cala).
[263] «_Castel Iehan mes maintenant se clame lo chaste Saint Iehan
etc._» Questo torna senza alcun dubbio all’Ospizio de’ Lebbrosi, poi
manicomio ed ora opificio di cuoia. La tradizione ricordava fino al
XIV secolo, (Veggasi _Anonymi Chronicon Siculum_, presso Di Gregorio,
_Rerum aragonensium_, tomo II, p. 124) che Roberto vi avesse fatto
stanza durante l’assedio. Ne fa parola anco il Fazello, Deca Iª, lib.
VIII, cap. I, allegando un diploma del 1209; ma questo è in vero
del febbraio 1219 ed attesta soltanto quel che non è mai caduto in
dubbio, cioè essere stato fondato l’ospizio da’ principi normanni della
Sicilia. Si vegga presso Mongitore, _Mans. S. Trin. Mon. hist._, p. 21,
e nella _Historia Diplomatica Friderici II_, tomo I, p. 590.
[264] Si veggano i Cap. III, e IV, di questo libro pagine 70, 110, del
volume.
[265] _Et quant li Sarrazin issoient virent novelle chevalerie et li
Normant les orent atornoies et let prisrent et vendirent pour vils
prison._
[266] _Et clama li Sarrazin a combatre._
[267] Amato. Il palagio occupato alla prima giunta, par quello che nel
XII secolo Ibn-Giobair chiama Kasr-Gia’far e gli scrittori cristiani
Favara, di che ho fatta parola nel lib. IV, cap. VII, vol. II, p.
350. Fu villa di delizia del re Ruggiero, come innanzi era stata
probabilmente degli emiri di Palermo; sia che parte degli edifizii loro
fosse stata conservata da’ Normanni, o tutto rinnovato.
[268] Una chiesetta diroccata il 1598 quando si fabbricò in quel sito
il noviziato de’ Minimi di San Francesco di Paola, si chiamava della
Vittoria e vi si leggea questa iscrizione: «Roberto Panormi duce et
Siciliæ Rogerio Comite imperantibus, Panormitani cives ob Victoriam
habitam, hanc ædem B. Mariæ sub Victoriæ nomine sacrarunt. An. Dom.
1071.» (Inveges, _Pal. nob. Er._, 7, an. 1071, nº 9; Mongitore,
_Palermo Divoto di M. V._, lib. I, cap. V; Giardina, _Le antiche porte
di Palermo_, (Palermo, 1732) p. 11, 12).
La iscrizione data il 1071 è falsa senza alcun dubbio, come lo
provano la latinità, le formole e il titolo di _Panormitani Cives_,
che allor sarebbero stati i Musulmani. Pure questa iscrizione attesta
infallibilmente un’antica tradizione, che non v’ha ragione di mettere
in forse. Errarono poi gli eruditi Palermitani ponendo all’assedio da
quel lato Roberto piuttosto che Ruggiero. Il titolo della Vittoria
rimase alla Chiesa e al Convento de’ Paolotti, il quale fu occupato
per lunghissimo tempo da uno o due squadroni di cavalleria, ed or v’ha
stanza l’artiglieria.
È da ricordare che al tempo d’Ibn-Haukal (veggasi il nostro Libro IV,
pag. 297, del II vol.) sorgea da quella parte il _Me’sker_, ricinto
fortificato senza dubbio, che i Normanni appena entrati in Palermo,
mutarono in cittadella, come sarà detto largamente alle pag. 137-138
di questo terzo volume. Si dee dunque supporre che il ricinto stesse
tuttavia in piedi al tempo dell’assedio. Ma in qual modo allor fosse
separato dalla città vecchia, e se compreso nell’àmbito delle sue mura,
non si ritrae: e però non possiamo determinare se durante l’assedio il
tenessero i Musulmani ovvero i Normanni. De’ quali due supposti credo
più verosimile il primo, e che lo alloggiamento del conte Ruggiero
fosse posto appunto rimpetto il _Ma’skar_, alla distanza di sei o
settecento metri; poichè il _Ma’skar_ par si stendesse fino all’odierno
sito di Porta nuova o un po’ più alto.
[269] Si vegga qui innanzi la p. 110.
[270] Amato, il quale narra ciò al bel principio dell’assedio,
senza poi far parola della battaglia navale dinanzi il porto, che fu
combattuta alla fine. Non credo si possa riferire a questa la presura
delle due sole navi che cita il cronista.
[271] Guglielmo di Puglia e l’Anonimo.
[272] Malaterra.
[273] Anonimo, testo latino e traduzione francese in parte.
[274] Si vegga il vol. II, p. 304.
[275] Malaterra.
[276] Di questi aiuti tace il Malaterra. Guglielmo ne parla
precisamente innanzi la battaglia del porto. Amato ne fa menzione
dopo la resa della città (Lib VII, cap. I, p. 103), quando ripiglia a
raccontare le ostilità del principe Riccardo in Terraferma... _venoient
sur la cite de Palermo li Arabi et li Barbare et faisoient empediment a
la victoriose bataille de lo duc Robert et pource il requist et chercha
l’ajutoire de lo prince Richart etc._
[277] Muratori, Annali, 1071.
[278] Amato, l. c.
[279] Il traduttore francese saltò senza dubbio la voce _mura_.
[280] Amato, lib. VI, cap. XVII, p. 179.
[281] Id. id., cap. XVIII, p. 180.
[282] Guglielmo di Puglia.
[283] Guglielmo di Puglia.
[284] Nessuno de’ cronisti ha notata la importanza di questa
diversione; Guglielmo, il solo d’altronde che narri il combattimento
navale, ripiglia _Dat validas animo ducis hæc victoria vires_, e dice
dell’assalto dalla parte di terra, senza notare nè far supporre il
tempo scorso tra l’uno e l’altro. Il Malaterra fa menzione appena del
navilio normanno, dicendo che si trovava dal lato di Roberto il giorno
dell’assalto.
Ne conchiudo che la vittoria navale non fu piena nè splendida, ma
utilissima, come quella che obbligava i Musulmani a difendersi anco nel
porto, cioè, a dividere in tre le scarse loro forze, invece di opporle
in due sole parti a Ruggiero ed a Roberto.
[285] Amato.
[286] Malaterra, _Machinamentis itaque et scalis ad trascendendos muros
artificiosissime compaginatis_. Gli è vero che la più parte si ruppe
o non servì all’opera. La grande altezza del muro richiedea si desse
larga base a coteste scale e però le doveano essere montate su ruote.
[287] Amato.
[288] Amato dice _en la nativite de Jshu Christ_ (Cap. XXII) e _en
l’aurore de jor_ (Cap. XVIII); l’Anonimo Barese, il 10 _gennaio_, e
Romualdo Salernitano, _di gennaio_. Si noti la festa celebrata nella
chiesetta della Vittoria alla Kalsa il 2 gennaio, della quale diremo or
ora.
[289] Malaterra.
[290] Guglielmo.
[291] Amato.
[292] Malaterra.
[293] Amato, Cf. Guglielmo, Malaterra e l’Anonimo. La più parte dei
compilatori siciliani ha fatto entrare nella Khalesa Ruggiero.
[294] Non fa mestieri notare che questa chiesa della Vittoria sia
diversa da quella fuor la Porta Nuova di cui si è detto di sopra.
Giace propriamente in un vicolo “chiamato oggi della Salvezza” il quale
aprendosi tra la Chiesa della Gancia e il monastero della Pietà, mette
capo al bastione dello Spasimo.
Le prime memorie in cui sia scritta la tradizione di questa Porta
della Vittoria, tornano alla fine del XV secolo: dalle quali si scorge
ch’eravi dipinta una Madonna molto celebre tra i devoti della città;
che si ottenne dal governo il permesso di fabbricarvi una chiesa; che
questa fu murata nel 1489; e che nel 1497, l’arcivescovo di Palermo,
assentendegli il Senato della città, decretò di celebrarvi una festa
annuale il 2 gennaio. Nel XVI secolo poi vi fu messa la seguente
iscrizione latina, ch’è riferita del Giardina (_Le Porte di Palermo_,
Palermo 1732, pag. 11) e che or si vede dipinta sur un’asse dopo il
secondo altare a destra:
“Porta hæc, in quam Rogerius invictissimus Siciliæ comes irrumpens,
aditura exercitui christiano ad urbem hanc Panormum ab iniqua
Saracenorum servitute emancipandam patefecit, victoria cognomento ab eo
devictorum hostium summo cum honore ob insignem reportatam victoriam,
Deiparæ Virginis cultu victoris ejusdem principi ardenti ac pio
desiderio consecrata est, quintilio mense dom. incarnationis MLXXI.”
Altra iscrizione poi attesta una novella ristorazione delle fabbriche
seguita il 1701. Oggidì si veggono: 1º Gli avanzi d’una porta nel
posto che ho indicato; 2º Una Madonna col Bambino e una bandiera,
immagine ritoccata o ridipinta, il cui stile par non possa riferirsi
all’XI secolo. Cotesta dipintura rappresenta senza dubbio la favola
raccontata del P. Ottavio Gaetani, cioè che la Madonna comparve lassù
a Ruggiero con la bandiera in mano, chiamandolo ad entrare in città.
Quanto all’iscrizione di cui ho dato il tenore e ch’è opera di Antonio
Veneziano, ognun vede che renda la tradizione qual correa presso
gli eruditi nel XVI secolo; poichè vi è nominato Ruggiero in luogo
di Roberto e messa la data di luglio 1071 in vece di gennaio 1072.
Rimondata de’ miracoli e delle invenzioni degli eruditi, la tradizione
torna al mero fatto che i Normanni entrarono da quella porta: e ciò
sta benissimo col racconto de’ cronisti contemporanei. Quando poi vi
fosse dipinta per la prima volta l’immagine della Madonna, e se fossevi
stata fabbricata una cappella nell’XI secolo o nel XII, o dopo, non mi
preme ora investigarlo, nè sarebbe agevol cosa. Si vegga il Giardina
l. c; Mongitore, _Palermo Devoto di Maria Vergine_, I, 31 segg., 250
segg.; Inveges, _Palermo Nobile_, 1071; Di Marzo Ferro, _Guida di
Palermo_, 1858, pag. 360-361. Debbo le notizie locali e il confronto
del Mongitore, al dotto giovane, il professore Antonio Salinas, ch’io
ne richiesi, non essendomi accaduto mai d’entrare in questa chiesetta
della Vittoria.
[295] Amato.
[296] Anonimo.
[297] Amato. _Et lo duc, a ceus qui sont remez liquel habitent en la
cite a liquet avoit donne mort de li parent et fame_ il fist garder
les tors. _Mes pource que Palerme estoit faite plus grant qu elle
non fu commende premerement dont de celle part estoit plus forte dont
premerement avoit este commencie la cite se clamoit la antique Palerme.
Il commencerent contre celle antique Palerme contrester cil de la cite.
Et puiz quant la bataille penserent que il devoient faire et en celle
nuit se esmurent o tout li ostage et manderent certains messages liquel
doient dire coment la terre s’est rendue._
Le parole che ho lasciate in carattere tondo sono al certo sbagliate
nella traduzione. Anzi nel primo periodo è saltato evidentemente
qualche brano del testo latino, il quale dovea dire che Roberto
aspettandosi l’assalto di coloro ec., fece guardar bene dai suoi le
torri della Khalesa.
La voce “contre” va corretta di certo, _entre_, senza che il periodo
non darebbe significato. Que’ della città (antica) non poteano
contendere con la città antica.
[298] Si vegga la nota precedente con la correzione che ho fatta alla
voce “contre.”
[299] Amato. _Et puis quant il fut jor dui Cayte alerent devant loquel
avoient l’ofice laquelle avoient li antique avec autres gentilhome
liquel prierent lo conte_ ec.
Credo non si possa interpretare altrimenti di quel che io ho fatto.
Gli _antique_ sono senza alcun dubbio gli _sceikh_, i componenti la
_gemâ’_, di che ho fatto parola nel Lib. IV, cap. XII, vol. II, p. 426,
ossia i magistrati della repubblica. I due Kâid, ossia capitani, aveano
dunque preso l’oficio della _gemâ’_, ch’era, nel presente caso, il
governo politico. Il magistrato avea risegnato l’uficio, forse la notte
stessa, forse con la spada alla gola, forse con spargimento di sangue.
I due Kâid eran proprio i capi Palleschi dell’assedio di Firenze.
[300] Amato, _o grand reverance plorant_.
[301] Cf. Amato, Guglielmo, Malaterra e l’Anonimo. Si vegga il lib. IV,
cap. V di quest’opera, vol. II, p. 301. Il nome di Nicodemo è aggiunto
con buona autorità dal Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 53 e segg.
[302] _Que sans nulle autre condition ne convenance doie recevoir la
cite a son commendement_.
[303] Lib. II, cap. XLV.
[304] Presso Caruso, _Bibl. Sic._, p. 846, e traduz. franc, lib. I,
cap. XXII, p. 295, _sur certene loy et covenances qui encore sont
gardees_. Qui i dotti editori hanno aggiunto tra parentesi _janvier_
1072, epoca della resa. Va corretto, anno 1146, quando fu scritta
quella parte di cronica com’io ho provato qui innanzi. Cap. I, p. 24.
[305] L’espugnazione di Palermo si ritrae da:
Amato, lib. VI, cap. XII a XXII.
Malaterra, lib. II, cap. XLIII, XLIV, XLV.
Guglielmo di Puglia, lib. III.
Anonimo presso Caruso, op. cit., e la traduzione francese, ll. cc.
Leone d’Ostia, lib. III, cap. XVI, e XLV.
Lupo Protospatario e Anonimo Barese, 1072, presso Pertz, dov’è la
necessaria correzione _januarii_ in luogo di _junii_.
Cronica della Cava, anni 1070, 1072.
Cronica Amalfitana, presso Muratori, _Antiq. Ital._, tomo I, p. 213.
Romualdo Salernitano, anni 1070 e 1073.
Cron. di Santa Sofia di Benevento, presso Muratori, _Antiq. Ital._,
tomo I, p. 259.
Fra Corrado presso Caruso, _Bibl. Sic._, p. 48.
Per la data, ho seguìta col Muratori (Annali, 1072), la testimonianza
dell’Anonimo barese, la quale si accorda con quella di Amato, che
l’assedio cominciasse in agosto e durasse cinque mesi. Il Malaterra
attribuisce la stessa data all’assedio e pone la resa nel 1071, poichè
egli cominciava il nuovo anno a’ dì 25 marzo.
Il Fazello, Deca IIª, lib. VII, cap. I, contro le testimonianze
contemporanee, senza allegare nè anco una tradizione, dice aperta la
città da’ prigionieri cristiani. È proprio il caso della occupazione di
Tunis successa a’ suoi tempi. D’altronde avendo fatta consegnar Messina
da’ Cristiani, il Fazello non seppe negare un onore somigliante alla
città di Palermo.
[306] Amato, lib. VI, cap. XXI, p. 182. Ibn-Khaldûn pone l’anno 464,
(28 settembre 1071-15 settembre 1072), come fine della dominazione
musulmana in Sicilia, notandovi la dedizione di Mazara, ed erroneamente
quella di Trapani, _Bibl. Arabo-Sicula_, testo, cap. L, § 19, p. 497,
498.
[307] _Dux eam_ (Palermo) _in suam proprietatem retinens et vallem
Deminæ, cæteramque omnem Siciliam adquisitam et suo adjutorio,
ut promittebat, nec falso, adquirendam, fratri de se habendam
concessit...... Nam et medietas totius Siciliæ, ex consensu Ducis et
Comitis, suæ sorti_ (di Serlone) _Arisgotique de Poteolis inter se
dividenda cesserat, eo quod hic consanguineus eorum erat, uterque autem
consilio et armis probissimi viri erant_. — Malaterra, lib. II, cap.
XLV, XLVI.
Dopo questo attestato d’un partigiano sì caldo del conte Ruggiero,
d’un vero storiografo di corte (_Quoniam ex ædicto principis tempus
scribendi imminet._ Lib. III, preambolo), non occorre esaminare quello
di Amato, lib. VI, cap. XXI, il quale, seguìto da Leone d’Ostia, lib.
II, cap. XVI, dice ritenuta da Roberto la sola metà di Palermo e del
Valdemone e ceduto il rimanente dell’isola a Ruggiero. In ciò è un
anacronismo dal 1072 al 1091, quando Ruggiero duca di Puglia cedette
una metà di Palermo a Ruggiero di Sicilia suo zio. Contuttociò non ho
esitato di scrivere su la testimonianza del solo Amato l’assentimento
dell’esercito alla concessione in favor di Ruggiero. _Et lo comanda que
vieingue tout lo excercit et loa lo excercit qu’il lo devisse doner a
lo frere. Et adont lo duc donna a son frere_ ec.
[308] Il sito, non indicato precisamente dai cronisti, è senza
alcun dubbio quello che Edrisi chiama _Hagiar-Serlu_, “la Pietra di
Serlone,”_ Bibl. Arabo-Sicula_, testo p. 60, e presso Di Gregorio,
_Rerum Arabic._, p. 122. Io l’ho notato nella carta comparata della
Sicilia.
Il Fazello, Deca Iª, lib. X, cap. I, e Deca IIª lib. VII, cap. I,
sbaglia il sito e dà due forme diverse del nome di quella rupe a’ suoi
tempi.
[309] Malaterra, lib. II, cap. XLVI; Anonimo presso Caruso, _Bibl.
Sic._ p. 846, e nella traduzione francese, lib. I, cap. XXIII.
[310] Si vegga il lib. III, cap. IX, e il lib. IV, cap. V, di
quest’opera, Vol. II, p. 180 e 297.
[311] Degli scrittori contemporanei, Amato, ossia il suo traduttore
francese, dice una _forte roche_, Malaterra, _castellum_, Guglielmo di
Puglia e l’Anonimo della metà del XII secolo, _castrum_.
Il Falcando, verso la fine dello stesso secolo, chiamava cotesta
cittadella _Palatium novum_, descrivendone il muro, _mira ex quadris
lapidibus diligentia, miro labore constructum, exterius quidem_
spaciosis _murorum anfractibus circumclusum etc._ (presso Caruso,
_Bibl. Sic._, p. 406), e altrove nomina una porta _Galculæ_, e dice
serrate tutte le porte _Galculæ_, trattando senza il menomo dubbio
della medesima cittadella (op. cit. p. 432 e 441).
L’altro Anonimo Siciliano (Muratori, _Rer. Ital._, tomo X, e Di
Gregorio, _Rerum Aragon._, tomo II), narrando nel cap. IV, secondo
le guaste tradizioni del XIV secolo, il conquisto di Palermo e la
edificazione della cittadella, aggiugne _qui locus dicitur hodie Galea_
(corr. _Galca_) _in quo nunc est palatium_. Il Pirro infine, (_Sicilia
Sacra_, p. 293), citando un diploma del XII secolo ov’è nominata la
porta _Xalces_, aggiugne che ai tempi suoi, cioè nella prima metà del
XVII secolo, la regione dov’era stata innalzata la _Porta Nuova_ si
chiamava _Xalces_ o _Alga_.
Nè mancano i diplomi. Uno dell’Arcivescovo di Palermo dato il
1132,(_Tabularium regiae ac imperialis capellæ etc_. Panormi, 1835,
p. 7), chiama questo luogo _castellum superius panormitanum_; e il
dotto editore, con la scorta del Fazello e dei diplomi, accenna il
perimetro che movendo a mezzodì dal convento di San Giovanni degli
Eremiti, passava a ponente per un giardino dove surse una chiesa
di Sant’Andrea, indi a tramontana pel luogo detto il Papireto, ed a
levante per la piazza del Palagio Reale il quale rimanea chiuso nel
mezzo. Un contratto del 1167 (op. cit., p. 24) riguarda una casa _quae
est intus Chalca_; un altro del 1258 (op cit., p. 68) concerne altro
stabile _situm in Galcam Panormi prope palacium Caseri_; e fino al 1309
(op. cit., p. 94) sappiamo d’altra casa _sita in Galca Panormi in ruga_
(rue, strada) _Sanctæ Mariæ Magdalenæ de Galca_. Così anche un diploma
greco del 6662 (1153) presso Morso, _Palermo antico_, p. 334, dice
della Porta Γάλκας ed il transunto siciliano a p. 342, della “porta di
Xalcas”.
Senza il menomo dubbio, ancorchè manchi ogni documento arabico, il nome
era _El-Halka_, trascritto nel modo che ciascun credea più conforme
alla pronunzia; il quale vocabolo, passando per bocche non arabiche,
perdè a poco a poco la prima lettera aspirata e si ridusse in ultimo
ad Alga. Il Fazello, Deca Iª, lib. VIII, cap. I, ritrasse dalle antiche
carte il sito, il nome, e fin anco il significato ch’ei dà esattamente,
ancorchè trascriva a suo modo Yhalca ed applichi erroneamente questo
medesimo nome alla Khalsa o Khalesa. Il Cascini e quindi il Morso,
_Palermo antico_, p. 228, 230, con errore diverso, fecero derivare
Chalca ec. dallo aggettivo arabico che significa _alto_.
[312] Guglielmo di Puglia e Amato.
[313] Verso il 1832 rispianandosi il suolo della Piazza del palazzo
reale, furono scoperte tre o quattro fosse da grano spaziose molto e
profonde, costruite in forma d’una pera.
[314] Lib. VI, cap. XXIII. — Ecco ora le autorità contemporanee
risguardanti la costruzione dei due fortilizii dell’_Halka_ e del mare.
Guglielmo di Puglia, lib. III.
_Munia castrorum fecit robusta parari,_
_Tuta quibus contra Siculos sua turba maneret,_
_Addidit et puteos, alimentaque commoda castris._
_Obsidibus sumptis aliquot, castris due paratis._
Malaterra, lib. II. cap. XLV. Amato, lib. VI, cap, XXIII; Anonimo _Duo
fortissima castra, alterum juxta mare, alterum in loco qui dicitur
Galea_ (corr. Galca), presso Caruso, _Bibl. Sic._, p. 846. e nella
traduzione francese, lib. I, cap. XXII. Amato e il Malaterra dicono
d’una sola fortezza, senza dubbio l’_Halka_ che era la più importante.
[315] Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 69 e 1369.
Nel primo de’ citati luoghi il Pirro fa menzione anco della chiesa
di San Pietro e Paolo accanto il Castellamare di Palermo, fabbricata
per ordine di Roberto e compiuta il 6589 (1081) come l’attestava una
iscrizione greca. Ecco dunque le due cappelle destinate a’ presidii
delle due fortezze.
La citata concessione di beni nel territorio di Mazara fu fatta senza
dubbio avanti il partaggio definitivo dell’isola, nella quale Mazara
toccò al conte Ruggiero.
[316] Fazello, Deca Iª, lib. VIII, cap. I, e Deca IIª, lib. VII, cap. I.
La Cronaca Amalfitana, presso Muratori, _Antiq. ital._, tomo I, p.
214, e Romualdo Salernitano, anno 1076, dicono finita in quel torno da
Roberto la chiesa di Santa Maria Vergine in Palermo.
[317] Amato, Malaterra, Guglielmo di Puglia, ll. cc.
[318] Guglielmo di Puglia, lib. III.
_Reginam remeat Robertus victor ad urbem;_
_Nominis ejusdem quodam remanente Panormi_
_Milite, qui Siculis datur Amiratus haberi._
La voce _amiratus_ qui non sembra posta per cattivo scherzo; perchè
- Parts
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 01
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 02
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 03
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 04
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 05
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 06
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 07
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 08
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 09
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 10
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 11
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 12
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 13
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 14
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 15
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 16
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 17
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 18
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 19
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 20
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 21
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 22
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 23
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 24
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 25
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 26