Storia dei musulmani di Sicilia, vol. III, parte I - 18
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comune di Tripi. Dall’itinerario del detto geografo, _Biblioteca
Arabo-Sicula_ p. 66, si vede che da Rametta a Monteforte correva (alla
metà del XII secolo) una strada di 4 e da Monteforte a Tripi di 20
miglia. Amato tralascia questa prima stazione.
[166] _Fraxinetum_ in Malaterra, _Lo False_ in Amato; l’uno e l’altro
si riconoscono agevolmente nel _Fraynit_ d’un diploma del 1188,
Frazzanò, come or si chiama; dal qual comune muove un sentiero che
riesce a Maniace. Edrisi nota la strada da Tripi a Montalbano, e
Galati, terra vicinissima a Frazzanò. La traduzione d’Amato confonde
Lo False con la pianura di Maniace, che indica chiaramente senza
nominarla: _a lo piè de lo grant mount et menachant moult de Gilbert_
(corr. Gibel).
[167] Conf. Amato, libro V, capit. XXI; e Malaterra libro II, capit.
XIV. I Cristiani di Val-Demone scrive Malaterra; più correttamente
Amato quei _qui estoient là entor_, e parla dei Cristiani di _tutto_ il
Val-Demone quando i vincitori tornarono dall’assedio di Castrogiovanni
a San Marco e Messina.
[168] Amato, lib. V, capitolo XXI e XXII. Malaterra, lib. II capitolo
XV. Emmelesio, di cui si ignora il sito nè se ne trova cenno in altro
scrittore cristiano o musulmano, è nominata da Amato.
[169] Malaterra, libro II, capitolo XVI.
[170] Amato, lib. V, capitolo XXII.
[171] Malaterra, libro II, capitolo XVI, _Guedeta_, dice il cronista, e
aggiugne che significhi _flumen paludis_. Il nome arabico _Wadi-el-tin_
il quale si trova scritto _Lo dictaino_ in un privilegio del conte
Ruggiero, dato il 1004 presso Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 1011,
precisamente suona: _il fiume del Fango_. S’ignora il sito di queste
grotte di San Felice, le quali potrebbero per avventura esser le
«Quaranta Grotte» espugnate dai Musulmani nell’841, le quali sembran
parimenti vicine a Castrogiovanni, abitate e difendevoli. Si vegga il
nostro Libro II, capitolo V, pag. 310 del 1º volume.
[172] Malaterra, libro II, capitolo XVII, si contenta di dare ai
Normanni 700 uomini, ed ai nemici 13,000; e l’Anonimo presso Caruso
p. 838 e nella traduzione francese, libro I, capitolo XIV, copia tali
cifre aggiugnendo che nell’una come nell’altra si comprendessero i
fanti. Amato, libro V, capitolo XXIII, copiato da Leone d’Ostia, libro
III, capitolo XLV, scocca l’iperbole dei 13,000 cavalli e 100,000
fanti Musulmani; ma lascia a Roberto i 1000 cavalli e 1000 fanti
ch’avea rassegnati in Messina. È notevole che Ibn-Khaldûn, traduzione
francese di M. Des Vergers, p. 183, trascrivendo quasi da Ibn-el-Athir
il brevissimo cenno di questa battaglia, vi aggiugne che Ruggiero
avesse 700 uomini: e potrebbe essere appunto la tradizione normanna,
intesa in Palermo nel XII secolo da Ibn-Sceddâd, la cui compilazione ci
manca. Per altro non sembra inverosimile che le mille lance noverate
da Roberto a Messina, fossero ridotte dinanzi Castrogiovanni a 700,
per malattie, morti e presidii, lasciati di certo per assicurare la
ritirata sopra cento e più miglia da Castrogiovanni a Paternò, Maniace,
Frazzanò e Messina. I 700 poi potrebbero essere i soli militi senza
contarvi gli uomini d’arme di ciascuno. In ultimo la critica ci conduce
a rigettare con le altre fole le schiere _affricane_ dell’esercito.
L’Affrica propria a quel tempo si travagliava nella irruzione degli
Arabi d’oltre Nilo. E forse i narratori cristiani riportavano indietro
al 1061, gli aiuti dei principi Ziriti del 1063, o contavano come
«aiuti d’Affrica» qualche drappello di schiavi negri, di Berberi ec. al
servigio dei Musulmani di Sicilia.
[173] S. Matteo, XVII. 20.
[174] Conf. Amato, libro V, capitolo XXIII; Malaterra, libro II,
capitolo XVII; Anonimo presso Caruso p. 838 e nella traduzione
francese, libro I, capitolo XIV, Leone d’Ostia, libro III, capitolo
XLV, Fra Corrado presso Caruso, tomo I, p. 47. Ibn-al-Athir nella
_Biblioteca Arabo Sicula_ p. 276; Nowairi, presso Di Gregorio, _Rerum
Arabicarum_, p. 25; Ibn-Khaldûn, traduzione di M. de Vergers, p. 183. I
quali annalisti arabi fan cenno appena della sconfitta.
[175] Conf. Malaterra e l’Anonimo, l. c.
[176] Amato, l. c.
[177] Conf. Malaterra e l’Anonimo, l. c.
[178] _O les bras ploies et la teste enclinée de toutes pars venent li
Cayte et aportent domps et ferment pais avec lo duc et se soumetent à
lui et lor cités._ Amato, l. c. Questo fatto che non si legge punto in
Malaterra, va ridotto ai termini di tregue chieste per una stagione
ed accordate a prezzo. A creder pienamente il cronista, la Sicilia
si sarebbe arresa a Roberto, nè allor si comprenderebbe perch’egli
se ne tornasse in Calabria lasciando presidio appena a San Marco ed a
Messina.
[179] _C’est paille copertez à ovre d’Espaigne_ ec. Forse ricamati.
In ogni modo mi sembra doversi intendere piuttosto lavorali a modo
spagnuolo, che fabbricati proprio in Ispagna. La voce tarin indica al
certo non il dirhem arabo, ma i tarì d’oro dei quali abbiamo fatto
parola nel Libro IV, capitolo XIII, p. 439, del 2º volume; onde la
somma tornerebbe a più di 300,000 lire italiane.
[180] _Et lo duc pensa une grant soutillesce_.
[181] Amato, libro V, capitolo XXIV, dicendo mandato il messaggio dallo
_amirail de Palerme_. Secondo lo stesso autore, libro V, capitolo VIII,
il ribelle che cacciò Ibn-Thimna di Palermo e se ne fece emiro, avea
nome Belcho (Ibn-Hawwasci). Poi al capitolo XIII, chiama l’emir di
Palermo, in maggio 1061, Sausane. Balchaot (Ibn-Hawwasci) ricomparisce
alla testa dell’esercito a Castrogiovanni nel capitolo XXIII, e
nel XXIV l’emir di Palermo non ha nome. Da un’altra mano Malaterra,
com’abbiamo notato alla p. 66, dà emir di Palermo, in maggio 1061,
Belcamuer, cioè lo stesso Ibn-Hawwasci.
[182] Malaterra, l. c.
[183] Amato, libro V, capitolo XXIII, narrato il principio dell’assedio
di Castrogiovanni continua: «_Et puis dui mois le victorious duc
s’en torna a Messine._» E in vero dallo sbarco alla battaglia sotto
Castrogiovanni era corso un mese incirca, come si argomenta dalla
narrazione del Malaterra.
[184] Malaterra, l. c. Si ricordi che l’esercito si adunò su lo Stretto
_nei primi di maggio_. Messina fu presa verso la metà dello stesso
mese.
[185] Amato, libro V, capitolo XXV. È da notare che Malaterra fa
menzione soltanto de’ Cristiani venuti al campo di Maniace; e Amato nel
capitolo XXI accenna il medesimo fatto parlando dei soli Cristiani de’
contorni e della sicurtà lor conceduta da Roberto, poi nel capitolo XXV
dice venuti al duca sotto Castrogiovanni, ovvero nella ritirata di lì a
San Marco, quei del _Val de Manne.... por estre aidié de lo duc et que
desirroient de non estre subjette a li païen lui firent tribut de or et
habondance de cose de vivre._
[186] Si veggano Fazzello, Cluverio, Amico _Dizionario topografico_ ec.
Sono state trovate a San Marco iscrizioni latine di Alunzio. Edrisi
nella Bibl. Arabo-Sic., testo p. 32, e presso di Gregorio _Rerum
Arabicarum_, p. 115, fa cenno delle antichità che si notavano in San
Marco e ci descrive la importanza della città, centro d’industria
agricola e navale.
[187] Amato, libro V, capitolo XXV. Ancorchè il cronista narri la
fondazione del castel di San Marco dopo avere accennato nel capitolo
XXIII il ritorno di Roberto a Messina, replica pure questo ritorno nel
capitolo XXV, nè può rimaner dubbio che lo esercito si fosse fermato
a San Marco durante la ritirata. Si conf. l’Anonimo presso Caruso, p.
838, e la traduzione francese, libro I, capitolo XIV, e Leone d’Ostia,
libro III, capitolo XLV.
[188] Conf. Malaterra, libro II, capitolo XVIII; e Anonimo, l. c.
[189] «Mandato Bettumeno, _in sua fidelitate_, a Catania, che gli
apparteneva ec.» scrive Malaterra, l. c. Con Catania andava di certo
Siracusa, antico stato d’Ibn-Thimna, e i distretti.
[190] Amato, libro V, capitolo XXV, lo dice espressamente. Sembra mero
patto di difesa da una parte e tributo dall’altra; patto fors’anco
temporaneo senza indole nè forma di omaggio feudale.
[191] Veggasi il Libro IV, capitolo XII, p. 419, del 2º volume.
[192] Si vegga il nostro Lib. IV, cap. XV, p. 547, 548, del 2º volume.
I fatti qui accennati si ritraggono da Ibn-el-Athir, testo, anni
442, 448, 453, 455, 457, tomo IX e X, della edizione di Tornberg;
_Baiân-el-Moghrib_, testo, tomo I, p. 308 a 312; Nowairi, _Storia
d’Affrica_, MS. arabo di Parigi, ancien fonds 702, fol. 39, verso a 42
verso; Tigiani, _Rehela_, traduzione di M. Alph. Rousseau, nel _Journal
Asiatique_ d’agosto 1852, p. 109, febbraio 1853, p. 185 segg.
[193] Ecco le parole d’Ibn-el-Athir, _Biblioteca Arabo-Sicula_,
testo, p. 276, copiate con poco divario da Abulfeda, anno 484,
Nowairi e Ibn-Abi-Dinâr, op. cit., p. 414, 447, 534. «Assediato in
Castrogiovanni, Ibn-Hawwasci uscì a combattere; ma rotto dai Franchi
si ritrasse nella fortezza: quelli cavalcarono per la Sicilia e
s’impadronirono di molti luoghi. Allora lasciavan l’isola non pochi
dotti e onesti uomini. Alcuni dei quali andarono appo Moezz-ibn-Badis
esponendogli la condizione del paese, le discordie del popolo
musulmano, il territorio in parte occupato dai Franchi; onde Moezz
allestita una grossa armata e imbarcati fanti e munizioni, la fece
salpare ch’era d’inverno. Alla Pantellaria, surta una tempesta,
la più parte annegò; pochissimi si salvarono; la perdita del
quale navilio indebolì molto Moezz, e rincorò gli Arabi sì che gli
tolsero l’Affrica.» Sendo morto Moezz il 24 sciàban 454 (_Bayan el
Maghrib_, tomo I, p. 308) ossia il 31 agosto 1062, la spedizione va
posta nell’inverno precedente, cioè pochi mesi dopo la battaglia di
Castrogiovanni della quale sappiamo la data dagli scrittori cristiani,
sì che possiamo così correggere i musulmani citati di sopra a p.
74, i quali la pongono nel 444 (1053). Gli autori arabi, per effetto
dell’anacronismo loro di otto anni, noverano questo naufragio tra le
cause del facile conquisto degli Arabi d’oltre Nilo sopra l’Affrica, il
quale era compiuto innanzi il 1061, come s’è notato in altro luogo.
[194] _Cristiani vero provinciarum, sibi cum maxima lætitia occurrentes
in multis obsecuti sunt._ Malaterra. La designazione geografica è vaga
quanto la misura dell’obbedienza, e l’una e l’altra torna al concetto
ch’io esprimo nel testo. Si tenga anco a mente che _provincia_ nella
latinità del medio evo spesso ha il mero significato di _campagna_ o
_contado_.
[195] Veggasi il lib. III, cap. III. e lib. V, cap. XI, vol. II, pag.
255 e 397.
[196] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XVIII, e l’Anonimo presso
Caruso, _Bibliotheca Sicula_, p. 838 e lib. I, cap. XV, della versione
francese. Ho tolto dal primo il numero dei militi di Ruggiero. Il testo
latino dell’anonimo ha 50, e la versione francese 200.
Il Fazzello, deca I, lib. X, cap. 1, scrive che il contado di Traina
fosse popolato di cristiani, tenendo la città i Saraceni; che Ruggiero
si fosse consigliato coi primi ed avesse ai conforti loro espugnata la
città e fondata nei dintorni la badia di Sant’Elia, la quale addimandò
d’_Eubulo_ dal buon consiglio che gli venne in quel luogo. Ei cita
in principio un privilegio greco del conte, senza indicarne la data;
ma evidentemente gli è quello del 6602 (1094 dell’èra volgare) di
cui Rocco Pirro, pag. 1011, dà una pessima versione latina, nella
quale il nome è scritto _De Ambula_, nè si fa allusione a consiglio
di sorta de’ Cristiani, nè a voto del conte, anzi questi non esercita
altra liberalità che di concedere al Logoteta Giovanni il terreno per
fondare un monastero. La citazione dunque del Fazzello va ristretta
al fatto del contado abitato da cristiani, ed in questi limiti bene
sta, occorrendo nomi greci e latini tra i villani donati dal conte al
monastero. Il rimanente della tradizione non ha documento che il provi,
nè se ne scorge vestigio nelle cronache. Donde sembra che il Fazzello
l’abbia supposto dalla significazione ch’egli credea trovar nel nome
d’Ambola, Embula, Eboli, e secondo lui Eubulo, e dal sapere vicine
alcune popolazioni musulmane, come si vedrà nel seguito di questo
capitolo. L’espressa testimonianza del Malaterra non permette così
fatto supposto.
Nè ha origine contemporanea la favola (Pirro l. c.; De Ciocchis,
_Sacrae Regiae Visitationis_, tom. II, p 642) che il Profeta Elia,
comparso a Ruggiero, con una spada in mano, lo confortasse all’impresa.
[197] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XIX, XX, il quale dà alla sposa il
nome di Delicia; e l’Anonimo, l. c., che la chiama Iucta (Iudicta). I
fatti anteriori all’arrivo di costei in Calabria si ricavano da Odorico
Vitale e Guglielmo di Gembloux, citati da M. Gaultier d’Arc. _Histoire
des Conquétes des Normands en Italie_ ec., p. 228 segg. L’autore a p.
236 in nota, sostiene che la donzella uscendo del chiostro, mutò nome
in Eremberga, supposta da altri seconda moglie di Ruggiero. Si vegga
anche un estratto del trattato di Ducange su le famiglie normanne, in
appendice all’_Ystoire de li Normant_, p. 354.
[198] In oggi due comuni distanti un miglio l’un dall’altro si
addomandano Petralia Soprana, e Petralia Sottana. Secondo il D’Amico,
_Dizionario Topografico_, questo è più recente; ma Edrisi dà una sola
Petralia con la qualità di _Hisn_, ossia fortezza in pianura.
[199] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XX; ed Anonimo, l. c.
[200] Malaterra, lib. II, cap. XX e XXII.
[201] _Antulium_ presso Malaterra, con la variante _Antelium_ e
_Antileon_ nell’Anonimo; la cronaca di fra Corrado, presso Caruso,
_Bibliotheca Sicula_, tom. I, p. 47, ha: «Antellæ quod castrum erat in
Sicilia juxta Corleonum.» Però non è dubbia la identità con Entella, il
cui nome si trova in altri ricordi da me citati nella _Carte comparée
de la Sicile_ ec., index topographique. Il Fazzello, deca I., lib.
I, cap. 6, dà un cenno topografico su l’antica città e sul castello,
dove si difesero ostinatamente gli ultimi Musulmani di Sicilia contro
Federigo imperatore. Un dotto amico mio che visitava questo castello
nel 1858, mi ha gentilmente comunicate le note e la pianta ch’egli
abbozzò, dalle quali si vede la maravigliosa fortezza del sito, la
estensione della città antica, provveduta di cisterne e fosse da grano,
e la postura di quello che a ragione si crede il castello saracenico;
gli avanzi del quale al par che quelli della città, scompariscono a
poco a poco, rubati per adoperarli da materiali di costruzione ne’
paesi all’intorno. Il sito, a cavaliere del fiume Belici sinistro, è
notato nella mia carta comparata.
[202] _Nikl_, o _Nicl_, che sarebbero soprannomi (stivale vecchio,
ovvero ceppo, ritorta, guerriero valoroso), o _Nakhli_ nome etnico.
[203] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXII; Anonimo presso Caruso,
_Bibl. Sic._, tomo II, p. 839 e nella traduzione francese lib. I, cap.
XV; ed Epistola di fra Corrado, l. c. Il Malaterra narra l’uccisione
d’Ibn-Thimna tra la dichiarazione di guerra di Ruggiero a Roberto e
l’assedio di Mileto che seguì, al suo dire, al principio (25 marzo)
dell’anno 1062. Con queste scorte ho fissata a un di presso la data.
[204] Malaterra, lib. II, cap. XXI; Anonimo presso Caruso, _Bibl.
Sicula_, tomo II, p. 838, 839, e lib. I, cap. XV della versione
francese.
[205] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXIII a XXVIII; Anonimo presso
Caruso, _Bibl. Sic._, tom. II, p. 839 ad 841; e nella versione
francese, lib. I, cap. XV, XVI. L’Anonimo suppone, con manifesto
errore, l’imprigionamento di Roberto in Geraci di Sicilia; ed è questa
tra le prove che la compilazione fu scritta nel secolo appresso e
nell’isola.
[206] Malaterra. Forse si deve intendere di militi, o diremmo lance, ed
accrescere il numero de’ cavalli a mille in circa. La data si ritrae
da ciò che Ruggiero liberavasi da’ suoi nemici in Traina, nel cuor
dell’inverno, dopo quattro mesi d’assedio. Vanno dedotte inoltre due o
più settimane corse dall’arrivo al principio della sollevazione.
[207] Malaterra.
[208] L’Anonimo, il quale ancorchè compilasse da ottant’anni dopo il
fatto, par abbia attinto ad altre memorie oltre quelle di Malaterra, e
potea per avventura conoscere il titolo preso da Ruggiero in quei primi
tempi del conquisto.
[209] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXIX e XXXI; Anonimo presso
Caruso, _Bibl. Sic._, tomo II, p. 841; e nella traduz. francese, lib.
I, cap. XVI. Il nome di Plotino è scritto Glotino nel testo latino
dell’Anonimo, e Porino o Polarino in quel di Malaterra. È da avvertire
che, secondo il Malaterra, i Trainesi bevvero tanto in quel freddissimo
inverno perchè la state soleano patire intollerabili calori per la
vicinanza dell’Etna(!!) donde _balnearum æstuationibus æstuari assueti_
etc. Mi par chiaro qui il significato di “avvezzi ad un caldo da
stufa,” e che queste parole non attestino l’uso dei bagni a Traina nel
1062, ma piuttosto in Palermo verso la fine del secolo, quando scrivea
Malaterra. La testimonianza di questo scrittore che le campagne di
Traina fossero abitate anco da Musulmani, si conferma per un diploma
del 1085 presso Di Chiara, _Opuscoli_ ec., Palermo, 1855, in-8, pag.
167. I nomi dei villani conceduti alla Chiesa di Traina nei dintorni
della città son tutti musulmani.
[210] Si vegga qui sopra la pag. 80.
[211] La morte di Moezz è recata nel 453 da Ibn-el-Athir, testo,
anno 484, nella _Biblioteca arabo-sicula_, p. 277, e dal Nowairi,
op. cit. fol. 40 recto. Ibn-es-Scerf, citato nel _Baiân_, p. 308, la
riferisce al 453, ma Abu-s-Salt, ibid., porta la data del 24 sciaban
454; e Tigiani, l. c., conferma l’anno, al pari che Ibn-Abbâr,
nell’_Hollet-es-Siarâ_, MS. della Società Asiatica di Parigi, fol. 108
verso. Mi attengo a questi tre ultimi scrittori, come autorevoli sopra
ogni altro nelle cose dell’Affrica.
La condizione di Tamîm al principio del regno è così definita da
Tigiani, MS. di Parigi, sup. 911 bis, fol. 135 recto, e trad. di M^r
Rousseau: «E gli Arabi gli tolsero ogni cosa, non rimanendogli se non
che il perimetro delle mura di Mehdia. Ma talvolta, confederandosi con
alcuna tribù d’Arabi, trovò modo d’uscire in campo contro cui veniva ad
assalirlo, e di assediare alcuna delle città ribellatesi da lui.»
[212] «_Comperto quod Arabici et Africani, qui Arabia et Africa,
quasi auxilium laturi Siciliensibus, causa lucrandi advenerant_ etc.»
Malaterra. Gli Affricani son forse quegli schiavi ziriti dei quali fa
menzione Ibn-el-Athîr.
[213] Ibn-el-Athîr, anno 484, testo, nella Biblioteca arabo-sicula, p.
277; e Nowairi, op. cit., p. 447, e presso Di Gregorio, p. 26. Entrambi
recano il fatto, senz’altra data, dopo la esaltazione di Tamîm, e
seguono a raccontare, con la transizione d’un _indi_, il passaggio
d’Aiûb a Girgenti ed altri gravi successi infino al 461 (1068-69).
L’_indi_ mi par che qui valga dopo tre o quattro anni. Si avverta che
il nome Aiûb è la forma arabica di Giobbe.
[214] Questi particolari si traggono dal seguito della storia. Credo
venuta prima la schiera di Castrogiovanni per induzione della parola
con che Malaterra incomincia il cap. XXXIII del lib. II. I limiti
che ho immaginati alla regione in cui comandò Aiûb, sono da un canto
lo stato di Girgenti tenuto da Ibn-Hawwasci, dall’altro il castel di
San Marco che suppongo in man dei Normanni. A qual principe musulmano
ubbidisse la parte dell’isola tra Licata e Taormina, non si può
argomentare da alcun dato certo nè dubbio.
[215] Le fonti latine non danno alcun nome che si possa ridurre ad
Anattor; e la variante di Malaterra, Avator, è da escludersi come
quella che riporterebbe a Caltavuturo, terra troppo lontana. Ma la
Geografia d’Edrisi nota, senza vocali, un _A. n. t. r. N. s. t. ri_
sul Simeto, a mezzogiorno di Adernò. Come il sito accennato qui dal
cronista giace poco lungi da San Felice, ove si narra che la gualdana
riposò per avere perduti assai cavalli; e come noi troviamo nella
impresa del 1061, San Felice vicina a quel tratto del Simeto (veggasi
qui innanzi la pag. 72), così è probabilissima l’identità de’ due
luoghi citati da Malaterra e da Edrisi.
[216] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXXII, e l’Anonimo presso Caruso,
_Bibl. sicula_, tomo II, pag. 811, e nella traduzione francese, lib. I,
cap. XVII.
Il Malaterra racconta questi fatti prima di notare, com’ei suole,
il principio del nuovo anno, che, secondo il suo conto, correa
dal 25 marzo. L’avvenimento più importante, cioè l’avvisaglia di
Castrogiovanni, si dovrebbe dunque porre innanzi il 25 marzo 1063,
ma le altre circostanze ci sforzano a differire la correría di
Caltavuturo e Butera allo scorcio della primavera, quando in Sicilia
si patisce talvolta il gran caldo e la siccità notati da Malaterra. Da
un’altra mano gli avvenimenti che seguono non permettono di supporre
cotesta scorrería in giugno o luglio. Non è superfluo avvertire che il
Malaterra dà soltanto i nomi delle città e castella, e che son aggiunte
da me le indicazioni del corso dei fiumi che i Normanni manifestamente
seguirono.
[217] «_Africani ergo et Arabici cum Siciliensibus plurimo exercitu
congregati ut bellum comiti inferant_ etc.» — _Sicilienses_ non può
significare altro che Musulmani di Sicilia. Così anche nei cap. XVII e
XXXIII dello stesso lib. II del Malaterra. Non accadde mai in alcuno
Stato musulmano che si armassero gli _dsimmi_. Va errato dunque il
Palmieri, _Somma della Storia di Sicilia_, cap. XVIII, nel supporre, su
la dubbia interpretazione d’una variante del Malaterra, che i Cristiani
di Sicilia facessero parte dell’oste musulmana a Cerami.
[218] Si argomenta 1º dagli annali arabi che portano andato l’esercito
in Palermo; e 2º dalla morte del kaid di Palermo nella giornata di
Cerami.
[219] Tal supposto, molto probabile a priori, è rinforzato dal fatto
che il bottino fu mandato al papa per un Meledio, di nome greco e però
calabrese o siciliano. D’altronde è da considerare che i Musulmani
non si sarebbero trattenuti per tre giorni in ordine di battaglia su
l’altura opposta a Traina, se non avessero viste forze maggiori di
quelle che la cronica normanna attribuisce al conte Ruggero.
[220] Ho posto il nome del paese il quale non si trova in Malaterra.
[221] Questa data non si legge nelle cronache. La deduco da quella
precedente scorreria a Butera determinata approssimativamente nella
nota 1 a pag. 96 e dalla impresa de’ Pisani in Palermo che seguì poco
appresso.
[222] Serlone v’entrò con 30 militi e n’uscì con 36. Del resto
Malaterra non parla nè punto nè poco degli abitatori di Cerami.
[223] Anonimo.
[224] «_Et splendenti clamucio, quo pro lorica utimur (utuntur?)
armatum... et clamucium quo indutus erat nullis armis poterat violari,
nisi ab imo in superius impingendo, inter duo ferrea quæ per juncturas
cumcatenata sunt, ingenio potius quam vi vitiaretur_.» Così Malaterra,
il quale par che avesse avuta sotto gli occhi l’armatura conservata
forse dal conte Ruggiero. Il Ducange, Glossario, citando questo passo,
suppone il vocabolo corruzione di _Camicium, chemise de maille_. E in
vero la descrizione mostra un giaco di maglia orientale col petto e il
dorso coperti di laminette a mo’ di squame, come se ne vede ne’ nostri
musei.
[225] _Arcadius_. Di certo Kâid non Kâdi, come s’è supposto.
[226] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXXII; e l’Anonimo presso Caruso,
_Bibliotheca Sicula_, tomo II, pag. 841-843 e nella traduz. francese,
lib. I, cap. XVIII; e l’_Epistola di Frà Corrado_, presso Caruso, op.
cit., tomo I, p. 48.
L’Anonimo ebbe sotto gli occhi di certo il Malaterra ed altre memorie;
poichè riferisce alcuni particolari diversi. Il più importante è
che Ruggiero avesse mandato Serlone a Cerami due giorni innanzi la
grande battaglia; che il dimani dell’arrivo, Serlone fosse uscito a
combattere; che Ruggiero fosse ito a trovarlo la sera col grosso della
gente e che tutti insieme si fossero avanzati contro il nemico il dì
seguente, verso le sette. Il racconto di Malaterra, al contrario, fa
supporre avvenuti tutti i combattimenti in un sol giorno.
Forse questa battaglia fu ricordata da alcun cronista musulmano,
i cui scritti non sono pervenuti infino a noi, poichè Soiutl nella
biografia di Mohammed-ibn-Ali-ibn-Hasan-ibn-Abi-l-Berr (_Biblioteca
Arabo-Sicula_, testo, cap. LXXVI, p. 672) riferisce il conquisto
cristiano della Sicilia al 455 dell’egira (1063), la quale data non si
trova negli altri ricordi musulmani.
[227] Malaterra, l. c. «_Comes, Deo et S. Petro cujus patrocinio
tantam victoriam se adeptum recognoscebat, de collato sibi beneficio
non ingratum existens, in testimonium victoriæ suæ, per quendam
suorum...... Apostolicus vero, plus de victoria..... mandat:
vexillumque a Romana sede, Apostolica auctoritate consignatum; quo
prœmio, de Beati Petri fisi præsidio, tutius in Saracenos debellaturi
insurgerent_.»
Questo è lo stendardo che il Giannone, lib. X, cap. II, dice mandato
da Alessandro II al conte Ruggiero mentre accingeasi all’impresa di
Sicilia. L’illustre storico napoletano, il quale cita qui il Baronio,
anno 1066, n. 2, non si guardò questa volta dalle insidie del cardinale
annalista.
[228] Malaterra.
[229] Argomento cotesta pratica dal confuso ed erroneo cenno che ne fa
Amato, _Ystoire de li Normant_, lib. V, cap. XXVIII: Roberto, durante
l’assedio di Bari (1068-1071), affinchè i Saraceni non potessero
munirsi e provvedersi, domandò l’aiuto dei Pisani, i quali apprestate
lor navi e compagnie di cavalieri e balestrieri, vennero dritto alla
città, spezzarono la catena del porto, e messero a terra parte di loro
forze: dopo la vittoria del duca in Puglia ebber da lui grandissimi
doni, e se ne tornarono a Pisa. Ognun vede che il racconto di Amato,
per vizio di copista o dell’autore, non regge. Si tratta al certo
di Palermo, non di Bari dov’erano Greci e non Musulmani; e del fatto
del 1063, non della espugnazione di Palermo del 1072, nella quale non
compariscono i Pisani. Da ciò argomento una pratica di Roberto nel 1063
rimasta senza effetto, e scontraffatta nella traduzione francese che
noi abbiamo. Non posso supporre che l’autore, vivente e adulto in quel
tempo, abbia commesso un anacronismo di dieci anni e scambiato il nome
della città; nè che i Pisani fossero venuti una seconda volta a spezzar
le catene del porto di Palermo, senza che ne facciano parola i loro
annali.
[230] Iscrizione del Duomo di Pisa nell’_Archivio Storico Italiano_,
tom. VI. Parte II pag. 5.
[231] _In portu vallis Deminæ_, scrive Malaterra. Per antonomasia
significherebbe Messina, ma il cronista suol sempre indicare quella
famosa città col suo nome, nè è da supporre abbia usata in questo
luogo solo una perifrasi. Secondo Edrisi, i porti del Valdemone su
la costiera settentrionale erano cominciando di ponente: Caronia in
sul confine di quella provincia, Oliveri e Milazzo; e in mezzo a’ due
primi si ricorda la spiaggia di San Marco ove si costruivano navi. Nei
novant’anni che corsero dal 1063 alla compilazione di Edrisi, non si
scavarono di certo novelli porti, e forse non ne fu distrutto alcuno.
Dunque dobbiamo ristringerci ai quattro nominati.
[232] Iscrizione del Duomo di Pisa.
[233] Iscrizione stessa, la quale accenna vagamente alla preda nelle
campagne. Noi sappiamo da Ibn-Haukal che lungo l’Oreto giaceano gli
orti di delizia dei Palermitani.
[234] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXXIV; Marangone, anno MLXIII,
nell’_Archivio Storico italiano_, tomo VI, par. II, p. 5, 6; e la
_Chronica varia_ Pisana nel Muratori, _Rerum Italic. Script._, tomo
VI, p. 167. La data precisa che dobbiamo al Marangone, è il giorno di
Sant’Agapito, ossia il 20 settembre; ma stando all’ordine cronologico
del Malaterra, risalirebbe agli ultimi di giugno o primi di luglio,
poich’ei riferisce il fatto innanzi le scorrerie di Collesano, Brucato
e Cefalù che seguirono, al dir suo, nei principii della state. Credo
meriti maggior fede il Marangone, e sia da supporre qui men rigorosa
la successione di fatti notata dal cronista normanno. Notisi che
la iscrizione del duomo di Pisa porta qui l’anno comune in vece del
pisano: _Anno quo Christus de Virgine natus, ab illo Transierant Mille
etc_.
[235] Malaterra tace questa precipua cagione che apparisce dai fatti.
[236] Vecchio castello presso la spiaggia da Termini a Cefalù; nella
Arabo-Sicula_ p. 66, si vede che da Rametta a Monteforte correva (alla
metà del XII secolo) una strada di 4 e da Monteforte a Tripi di 20
miglia. Amato tralascia questa prima stazione.
[166] _Fraxinetum_ in Malaterra, _Lo False_ in Amato; l’uno e l’altro
si riconoscono agevolmente nel _Fraynit_ d’un diploma del 1188,
Frazzanò, come or si chiama; dal qual comune muove un sentiero che
riesce a Maniace. Edrisi nota la strada da Tripi a Montalbano, e
Galati, terra vicinissima a Frazzanò. La traduzione d’Amato confonde
Lo False con la pianura di Maniace, che indica chiaramente senza
nominarla: _a lo piè de lo grant mount et menachant moult de Gilbert_
(corr. Gibel).
[167] Conf. Amato, libro V, capit. XXI; e Malaterra libro II, capit.
XIV. I Cristiani di Val-Demone scrive Malaterra; più correttamente
Amato quei _qui estoient là entor_, e parla dei Cristiani di _tutto_ il
Val-Demone quando i vincitori tornarono dall’assedio di Castrogiovanni
a San Marco e Messina.
[168] Amato, lib. V, capitolo XXI e XXII. Malaterra, lib. II capitolo
XV. Emmelesio, di cui si ignora il sito nè se ne trova cenno in altro
scrittore cristiano o musulmano, è nominata da Amato.
[169] Malaterra, libro II, capitolo XVI.
[170] Amato, lib. V, capitolo XXII.
[171] Malaterra, libro II, capitolo XVI, _Guedeta_, dice il cronista, e
aggiugne che significhi _flumen paludis_. Il nome arabico _Wadi-el-tin_
il quale si trova scritto _Lo dictaino_ in un privilegio del conte
Ruggiero, dato il 1004 presso Pirro, _Sicilia Sacra_, pag. 1011,
precisamente suona: _il fiume del Fango_. S’ignora il sito di queste
grotte di San Felice, le quali potrebbero per avventura esser le
«Quaranta Grotte» espugnate dai Musulmani nell’841, le quali sembran
parimenti vicine a Castrogiovanni, abitate e difendevoli. Si vegga il
nostro Libro II, capitolo V, pag. 310 del 1º volume.
[172] Malaterra, libro II, capitolo XVII, si contenta di dare ai
Normanni 700 uomini, ed ai nemici 13,000; e l’Anonimo presso Caruso
p. 838 e nella traduzione francese, libro I, capitolo XIV, copia tali
cifre aggiugnendo che nell’una come nell’altra si comprendessero i
fanti. Amato, libro V, capitolo XXIII, copiato da Leone d’Ostia, libro
III, capitolo XLV, scocca l’iperbole dei 13,000 cavalli e 100,000
fanti Musulmani; ma lascia a Roberto i 1000 cavalli e 1000 fanti
ch’avea rassegnati in Messina. È notevole che Ibn-Khaldûn, traduzione
francese di M. Des Vergers, p. 183, trascrivendo quasi da Ibn-el-Athir
il brevissimo cenno di questa battaglia, vi aggiugne che Ruggiero
avesse 700 uomini: e potrebbe essere appunto la tradizione normanna,
intesa in Palermo nel XII secolo da Ibn-Sceddâd, la cui compilazione ci
manca. Per altro non sembra inverosimile che le mille lance noverate
da Roberto a Messina, fossero ridotte dinanzi Castrogiovanni a 700,
per malattie, morti e presidii, lasciati di certo per assicurare la
ritirata sopra cento e più miglia da Castrogiovanni a Paternò, Maniace,
Frazzanò e Messina. I 700 poi potrebbero essere i soli militi senza
contarvi gli uomini d’arme di ciascuno. In ultimo la critica ci conduce
a rigettare con le altre fole le schiere _affricane_ dell’esercito.
L’Affrica propria a quel tempo si travagliava nella irruzione degli
Arabi d’oltre Nilo. E forse i narratori cristiani riportavano indietro
al 1061, gli aiuti dei principi Ziriti del 1063, o contavano come
«aiuti d’Affrica» qualche drappello di schiavi negri, di Berberi ec. al
servigio dei Musulmani di Sicilia.
[173] S. Matteo, XVII. 20.
[174] Conf. Amato, libro V, capitolo XXIII; Malaterra, libro II,
capitolo XVII; Anonimo presso Caruso p. 838 e nella traduzione
francese, libro I, capitolo XIV, Leone d’Ostia, libro III, capitolo
XLV, Fra Corrado presso Caruso, tomo I, p. 47. Ibn-al-Athir nella
_Biblioteca Arabo Sicula_ p. 276; Nowairi, presso Di Gregorio, _Rerum
Arabicarum_, p. 25; Ibn-Khaldûn, traduzione di M. de Vergers, p. 183. I
quali annalisti arabi fan cenno appena della sconfitta.
[175] Conf. Malaterra e l’Anonimo, l. c.
[176] Amato, l. c.
[177] Conf. Malaterra e l’Anonimo, l. c.
[178] _O les bras ploies et la teste enclinée de toutes pars venent li
Cayte et aportent domps et ferment pais avec lo duc et se soumetent à
lui et lor cités._ Amato, l. c. Questo fatto che non si legge punto in
Malaterra, va ridotto ai termini di tregue chieste per una stagione
ed accordate a prezzo. A creder pienamente il cronista, la Sicilia
si sarebbe arresa a Roberto, nè allor si comprenderebbe perch’egli
se ne tornasse in Calabria lasciando presidio appena a San Marco ed a
Messina.
[179] _C’est paille copertez à ovre d’Espaigne_ ec. Forse ricamati.
In ogni modo mi sembra doversi intendere piuttosto lavorali a modo
spagnuolo, che fabbricati proprio in Ispagna. La voce tarin indica al
certo non il dirhem arabo, ma i tarì d’oro dei quali abbiamo fatto
parola nel Libro IV, capitolo XIII, p. 439, del 2º volume; onde la
somma tornerebbe a più di 300,000 lire italiane.
[180] _Et lo duc pensa une grant soutillesce_.
[181] Amato, libro V, capitolo XXIV, dicendo mandato il messaggio dallo
_amirail de Palerme_. Secondo lo stesso autore, libro V, capitolo VIII,
il ribelle che cacciò Ibn-Thimna di Palermo e se ne fece emiro, avea
nome Belcho (Ibn-Hawwasci). Poi al capitolo XIII, chiama l’emir di
Palermo, in maggio 1061, Sausane. Balchaot (Ibn-Hawwasci) ricomparisce
alla testa dell’esercito a Castrogiovanni nel capitolo XXIII, e
nel XXIV l’emir di Palermo non ha nome. Da un’altra mano Malaterra,
com’abbiamo notato alla p. 66, dà emir di Palermo, in maggio 1061,
Belcamuer, cioè lo stesso Ibn-Hawwasci.
[182] Malaterra, l. c.
[183] Amato, libro V, capitolo XXIII, narrato il principio dell’assedio
di Castrogiovanni continua: «_Et puis dui mois le victorious duc
s’en torna a Messine._» E in vero dallo sbarco alla battaglia sotto
Castrogiovanni era corso un mese incirca, come si argomenta dalla
narrazione del Malaterra.
[184] Malaterra, l. c. Si ricordi che l’esercito si adunò su lo Stretto
_nei primi di maggio_. Messina fu presa verso la metà dello stesso
mese.
[185] Amato, libro V, capitolo XXV. È da notare che Malaterra fa
menzione soltanto de’ Cristiani venuti al campo di Maniace; e Amato nel
capitolo XXI accenna il medesimo fatto parlando dei soli Cristiani de’
contorni e della sicurtà lor conceduta da Roberto, poi nel capitolo XXV
dice venuti al duca sotto Castrogiovanni, ovvero nella ritirata di lì a
San Marco, quei del _Val de Manne.... por estre aidié de lo duc et que
desirroient de non estre subjette a li païen lui firent tribut de or et
habondance de cose de vivre._
[186] Si veggano Fazzello, Cluverio, Amico _Dizionario topografico_ ec.
Sono state trovate a San Marco iscrizioni latine di Alunzio. Edrisi
nella Bibl. Arabo-Sic., testo p. 32, e presso di Gregorio _Rerum
Arabicarum_, p. 115, fa cenno delle antichità che si notavano in San
Marco e ci descrive la importanza della città, centro d’industria
agricola e navale.
[187] Amato, libro V, capitolo XXV. Ancorchè il cronista narri la
fondazione del castel di San Marco dopo avere accennato nel capitolo
XXIII il ritorno di Roberto a Messina, replica pure questo ritorno nel
capitolo XXV, nè può rimaner dubbio che lo esercito si fosse fermato
a San Marco durante la ritirata. Si conf. l’Anonimo presso Caruso, p.
838, e la traduzione francese, libro I, capitolo XIV, e Leone d’Ostia,
libro III, capitolo XLV.
[188] Conf. Malaterra, libro II, capitolo XVIII; e Anonimo, l. c.
[189] «Mandato Bettumeno, _in sua fidelitate_, a Catania, che gli
apparteneva ec.» scrive Malaterra, l. c. Con Catania andava di certo
Siracusa, antico stato d’Ibn-Thimna, e i distretti.
[190] Amato, libro V, capitolo XXV, lo dice espressamente. Sembra mero
patto di difesa da una parte e tributo dall’altra; patto fors’anco
temporaneo senza indole nè forma di omaggio feudale.
[191] Veggasi il Libro IV, capitolo XII, p. 419, del 2º volume.
[192] Si vegga il nostro Lib. IV, cap. XV, p. 547, 548, del 2º volume.
I fatti qui accennati si ritraggono da Ibn-el-Athir, testo, anni
442, 448, 453, 455, 457, tomo IX e X, della edizione di Tornberg;
_Baiân-el-Moghrib_, testo, tomo I, p. 308 a 312; Nowairi, _Storia
d’Affrica_, MS. arabo di Parigi, ancien fonds 702, fol. 39, verso a 42
verso; Tigiani, _Rehela_, traduzione di M. Alph. Rousseau, nel _Journal
Asiatique_ d’agosto 1852, p. 109, febbraio 1853, p. 185 segg.
[193] Ecco le parole d’Ibn-el-Athir, _Biblioteca Arabo-Sicula_,
testo, p. 276, copiate con poco divario da Abulfeda, anno 484,
Nowairi e Ibn-Abi-Dinâr, op. cit., p. 414, 447, 534. «Assediato in
Castrogiovanni, Ibn-Hawwasci uscì a combattere; ma rotto dai Franchi
si ritrasse nella fortezza: quelli cavalcarono per la Sicilia e
s’impadronirono di molti luoghi. Allora lasciavan l’isola non pochi
dotti e onesti uomini. Alcuni dei quali andarono appo Moezz-ibn-Badis
esponendogli la condizione del paese, le discordie del popolo
musulmano, il territorio in parte occupato dai Franchi; onde Moezz
allestita una grossa armata e imbarcati fanti e munizioni, la fece
salpare ch’era d’inverno. Alla Pantellaria, surta una tempesta,
la più parte annegò; pochissimi si salvarono; la perdita del
quale navilio indebolì molto Moezz, e rincorò gli Arabi sì che gli
tolsero l’Affrica.» Sendo morto Moezz il 24 sciàban 454 (_Bayan el
Maghrib_, tomo I, p. 308) ossia il 31 agosto 1062, la spedizione va
posta nell’inverno precedente, cioè pochi mesi dopo la battaglia di
Castrogiovanni della quale sappiamo la data dagli scrittori cristiani,
sì che possiamo così correggere i musulmani citati di sopra a p.
74, i quali la pongono nel 444 (1053). Gli autori arabi, per effetto
dell’anacronismo loro di otto anni, noverano questo naufragio tra le
cause del facile conquisto degli Arabi d’oltre Nilo sopra l’Affrica, il
quale era compiuto innanzi il 1061, come s’è notato in altro luogo.
[194] _Cristiani vero provinciarum, sibi cum maxima lætitia occurrentes
in multis obsecuti sunt._ Malaterra. La designazione geografica è vaga
quanto la misura dell’obbedienza, e l’una e l’altra torna al concetto
ch’io esprimo nel testo. Si tenga anco a mente che _provincia_ nella
latinità del medio evo spesso ha il mero significato di _campagna_ o
_contado_.
[195] Veggasi il lib. III, cap. III. e lib. V, cap. XI, vol. II, pag.
255 e 397.
[196] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XVIII, e l’Anonimo presso
Caruso, _Bibliotheca Sicula_, p. 838 e lib. I, cap. XV, della versione
francese. Ho tolto dal primo il numero dei militi di Ruggiero. Il testo
latino dell’anonimo ha 50, e la versione francese 200.
Il Fazzello, deca I, lib. X, cap. 1, scrive che il contado di Traina
fosse popolato di cristiani, tenendo la città i Saraceni; che Ruggiero
si fosse consigliato coi primi ed avesse ai conforti loro espugnata la
città e fondata nei dintorni la badia di Sant’Elia, la quale addimandò
d’_Eubulo_ dal buon consiglio che gli venne in quel luogo. Ei cita
in principio un privilegio greco del conte, senza indicarne la data;
ma evidentemente gli è quello del 6602 (1094 dell’èra volgare) di
cui Rocco Pirro, pag. 1011, dà una pessima versione latina, nella
quale il nome è scritto _De Ambula_, nè si fa allusione a consiglio
di sorta de’ Cristiani, nè a voto del conte, anzi questi non esercita
altra liberalità che di concedere al Logoteta Giovanni il terreno per
fondare un monastero. La citazione dunque del Fazzello va ristretta
al fatto del contado abitato da cristiani, ed in questi limiti bene
sta, occorrendo nomi greci e latini tra i villani donati dal conte al
monastero. Il rimanente della tradizione non ha documento che il provi,
nè se ne scorge vestigio nelle cronache. Donde sembra che il Fazzello
l’abbia supposto dalla significazione ch’egli credea trovar nel nome
d’Ambola, Embula, Eboli, e secondo lui Eubulo, e dal sapere vicine
alcune popolazioni musulmane, come si vedrà nel seguito di questo
capitolo. L’espressa testimonianza del Malaterra non permette così
fatto supposto.
Nè ha origine contemporanea la favola (Pirro l. c.; De Ciocchis,
_Sacrae Regiae Visitationis_, tom. II, p 642) che il Profeta Elia,
comparso a Ruggiero, con una spada in mano, lo confortasse all’impresa.
[197] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XIX, XX, il quale dà alla sposa il
nome di Delicia; e l’Anonimo, l. c., che la chiama Iucta (Iudicta). I
fatti anteriori all’arrivo di costei in Calabria si ricavano da Odorico
Vitale e Guglielmo di Gembloux, citati da M. Gaultier d’Arc. _Histoire
des Conquétes des Normands en Italie_ ec., p. 228 segg. L’autore a p.
236 in nota, sostiene che la donzella uscendo del chiostro, mutò nome
in Eremberga, supposta da altri seconda moglie di Ruggiero. Si vegga
anche un estratto del trattato di Ducange su le famiglie normanne, in
appendice all’_Ystoire de li Normant_, p. 354.
[198] In oggi due comuni distanti un miglio l’un dall’altro si
addomandano Petralia Soprana, e Petralia Sottana. Secondo il D’Amico,
_Dizionario Topografico_, questo è più recente; ma Edrisi dà una sola
Petralia con la qualità di _Hisn_, ossia fortezza in pianura.
[199] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XX; ed Anonimo, l. c.
[200] Malaterra, lib. II, cap. XX e XXII.
[201] _Antulium_ presso Malaterra, con la variante _Antelium_ e
_Antileon_ nell’Anonimo; la cronaca di fra Corrado, presso Caruso,
_Bibliotheca Sicula_, tom. I, p. 47, ha: «Antellæ quod castrum erat in
Sicilia juxta Corleonum.» Però non è dubbia la identità con Entella, il
cui nome si trova in altri ricordi da me citati nella _Carte comparée
de la Sicile_ ec., index topographique. Il Fazzello, deca I., lib.
I, cap. 6, dà un cenno topografico su l’antica città e sul castello,
dove si difesero ostinatamente gli ultimi Musulmani di Sicilia contro
Federigo imperatore. Un dotto amico mio che visitava questo castello
nel 1858, mi ha gentilmente comunicate le note e la pianta ch’egli
abbozzò, dalle quali si vede la maravigliosa fortezza del sito, la
estensione della città antica, provveduta di cisterne e fosse da grano,
e la postura di quello che a ragione si crede il castello saracenico;
gli avanzi del quale al par che quelli della città, scompariscono a
poco a poco, rubati per adoperarli da materiali di costruzione ne’
paesi all’intorno. Il sito, a cavaliere del fiume Belici sinistro, è
notato nella mia carta comparata.
[202] _Nikl_, o _Nicl_, che sarebbero soprannomi (stivale vecchio,
ovvero ceppo, ritorta, guerriero valoroso), o _Nakhli_ nome etnico.
[203] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXII; Anonimo presso Caruso,
_Bibl. Sic._, tomo II, p. 839 e nella traduzione francese lib. I, cap.
XV; ed Epistola di fra Corrado, l. c. Il Malaterra narra l’uccisione
d’Ibn-Thimna tra la dichiarazione di guerra di Ruggiero a Roberto e
l’assedio di Mileto che seguì, al suo dire, al principio (25 marzo)
dell’anno 1062. Con queste scorte ho fissata a un di presso la data.
[204] Malaterra, lib. II, cap. XXI; Anonimo presso Caruso, _Bibl.
Sicula_, tomo II, p. 838, 839, e lib. I, cap. XV della versione
francese.
[205] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXIII a XXVIII; Anonimo presso
Caruso, _Bibl. Sic._, tom. II, p. 839 ad 841; e nella versione
francese, lib. I, cap. XV, XVI. L’Anonimo suppone, con manifesto
errore, l’imprigionamento di Roberto in Geraci di Sicilia; ed è questa
tra le prove che la compilazione fu scritta nel secolo appresso e
nell’isola.
[206] Malaterra. Forse si deve intendere di militi, o diremmo lance, ed
accrescere il numero de’ cavalli a mille in circa. La data si ritrae
da ciò che Ruggiero liberavasi da’ suoi nemici in Traina, nel cuor
dell’inverno, dopo quattro mesi d’assedio. Vanno dedotte inoltre due o
più settimane corse dall’arrivo al principio della sollevazione.
[207] Malaterra.
[208] L’Anonimo, il quale ancorchè compilasse da ottant’anni dopo il
fatto, par abbia attinto ad altre memorie oltre quelle di Malaterra, e
potea per avventura conoscere il titolo preso da Ruggiero in quei primi
tempi del conquisto.
[209] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXIX e XXXI; Anonimo presso
Caruso, _Bibl. Sic._, tomo II, p. 841; e nella traduz. francese, lib.
I, cap. XVI. Il nome di Plotino è scritto Glotino nel testo latino
dell’Anonimo, e Porino o Polarino in quel di Malaterra. È da avvertire
che, secondo il Malaterra, i Trainesi bevvero tanto in quel freddissimo
inverno perchè la state soleano patire intollerabili calori per la
vicinanza dell’Etna(!!) donde _balnearum æstuationibus æstuari assueti_
etc. Mi par chiaro qui il significato di “avvezzi ad un caldo da
stufa,” e che queste parole non attestino l’uso dei bagni a Traina nel
1062, ma piuttosto in Palermo verso la fine del secolo, quando scrivea
Malaterra. La testimonianza di questo scrittore che le campagne di
Traina fossero abitate anco da Musulmani, si conferma per un diploma
del 1085 presso Di Chiara, _Opuscoli_ ec., Palermo, 1855, in-8, pag.
167. I nomi dei villani conceduti alla Chiesa di Traina nei dintorni
della città son tutti musulmani.
[210] Si vegga qui sopra la pag. 80.
[211] La morte di Moezz è recata nel 453 da Ibn-el-Athir, testo,
anno 484, nella _Biblioteca arabo-sicula_, p. 277, e dal Nowairi,
op. cit. fol. 40 recto. Ibn-es-Scerf, citato nel _Baiân_, p. 308, la
riferisce al 453, ma Abu-s-Salt, ibid., porta la data del 24 sciaban
454; e Tigiani, l. c., conferma l’anno, al pari che Ibn-Abbâr,
nell’_Hollet-es-Siarâ_, MS. della Società Asiatica di Parigi, fol. 108
verso. Mi attengo a questi tre ultimi scrittori, come autorevoli sopra
ogni altro nelle cose dell’Affrica.
La condizione di Tamîm al principio del regno è così definita da
Tigiani, MS. di Parigi, sup. 911 bis, fol. 135 recto, e trad. di M^r
Rousseau: «E gli Arabi gli tolsero ogni cosa, non rimanendogli se non
che il perimetro delle mura di Mehdia. Ma talvolta, confederandosi con
alcuna tribù d’Arabi, trovò modo d’uscire in campo contro cui veniva ad
assalirlo, e di assediare alcuna delle città ribellatesi da lui.»
[212] «_Comperto quod Arabici et Africani, qui Arabia et Africa,
quasi auxilium laturi Siciliensibus, causa lucrandi advenerant_ etc.»
Malaterra. Gli Affricani son forse quegli schiavi ziriti dei quali fa
menzione Ibn-el-Athîr.
[213] Ibn-el-Athîr, anno 484, testo, nella Biblioteca arabo-sicula, p.
277; e Nowairi, op. cit., p. 447, e presso Di Gregorio, p. 26. Entrambi
recano il fatto, senz’altra data, dopo la esaltazione di Tamîm, e
seguono a raccontare, con la transizione d’un _indi_, il passaggio
d’Aiûb a Girgenti ed altri gravi successi infino al 461 (1068-69).
L’_indi_ mi par che qui valga dopo tre o quattro anni. Si avverta che
il nome Aiûb è la forma arabica di Giobbe.
[214] Questi particolari si traggono dal seguito della storia. Credo
venuta prima la schiera di Castrogiovanni per induzione della parola
con che Malaterra incomincia il cap. XXXIII del lib. II. I limiti
che ho immaginati alla regione in cui comandò Aiûb, sono da un canto
lo stato di Girgenti tenuto da Ibn-Hawwasci, dall’altro il castel di
San Marco che suppongo in man dei Normanni. A qual principe musulmano
ubbidisse la parte dell’isola tra Licata e Taormina, non si può
argomentare da alcun dato certo nè dubbio.
[215] Le fonti latine non danno alcun nome che si possa ridurre ad
Anattor; e la variante di Malaterra, Avator, è da escludersi come
quella che riporterebbe a Caltavuturo, terra troppo lontana. Ma la
Geografia d’Edrisi nota, senza vocali, un _A. n. t. r. N. s. t. ri_
sul Simeto, a mezzogiorno di Adernò. Come il sito accennato qui dal
cronista giace poco lungi da San Felice, ove si narra che la gualdana
riposò per avere perduti assai cavalli; e come noi troviamo nella
impresa del 1061, San Felice vicina a quel tratto del Simeto (veggasi
qui innanzi la pag. 72), così è probabilissima l’identità de’ due
luoghi citati da Malaterra e da Edrisi.
[216] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXXII, e l’Anonimo presso Caruso,
_Bibl. sicula_, tomo II, pag. 811, e nella traduzione francese, lib. I,
cap. XVII.
Il Malaterra racconta questi fatti prima di notare, com’ei suole,
il principio del nuovo anno, che, secondo il suo conto, correa
dal 25 marzo. L’avvenimento più importante, cioè l’avvisaglia di
Castrogiovanni, si dovrebbe dunque porre innanzi il 25 marzo 1063,
ma le altre circostanze ci sforzano a differire la correría di
Caltavuturo e Butera allo scorcio della primavera, quando in Sicilia
si patisce talvolta il gran caldo e la siccità notati da Malaterra. Da
un’altra mano gli avvenimenti che seguono non permettono di supporre
cotesta scorrería in giugno o luglio. Non è superfluo avvertire che il
Malaterra dà soltanto i nomi delle città e castella, e che son aggiunte
da me le indicazioni del corso dei fiumi che i Normanni manifestamente
seguirono.
[217] «_Africani ergo et Arabici cum Siciliensibus plurimo exercitu
congregati ut bellum comiti inferant_ etc.» — _Sicilienses_ non può
significare altro che Musulmani di Sicilia. Così anche nei cap. XVII e
XXXIII dello stesso lib. II del Malaterra. Non accadde mai in alcuno
Stato musulmano che si armassero gli _dsimmi_. Va errato dunque il
Palmieri, _Somma della Storia di Sicilia_, cap. XVIII, nel supporre, su
la dubbia interpretazione d’una variante del Malaterra, che i Cristiani
di Sicilia facessero parte dell’oste musulmana a Cerami.
[218] Si argomenta 1º dagli annali arabi che portano andato l’esercito
in Palermo; e 2º dalla morte del kaid di Palermo nella giornata di
Cerami.
[219] Tal supposto, molto probabile a priori, è rinforzato dal fatto
che il bottino fu mandato al papa per un Meledio, di nome greco e però
calabrese o siciliano. D’altronde è da considerare che i Musulmani
non si sarebbero trattenuti per tre giorni in ordine di battaglia su
l’altura opposta a Traina, se non avessero viste forze maggiori di
quelle che la cronica normanna attribuisce al conte Ruggero.
[220] Ho posto il nome del paese il quale non si trova in Malaterra.
[221] Questa data non si legge nelle cronache. La deduco da quella
precedente scorreria a Butera determinata approssimativamente nella
nota 1 a pag. 96 e dalla impresa de’ Pisani in Palermo che seguì poco
appresso.
[222] Serlone v’entrò con 30 militi e n’uscì con 36. Del resto
Malaterra non parla nè punto nè poco degli abitatori di Cerami.
[223] Anonimo.
[224] «_Et splendenti clamucio, quo pro lorica utimur (utuntur?)
armatum... et clamucium quo indutus erat nullis armis poterat violari,
nisi ab imo in superius impingendo, inter duo ferrea quæ per juncturas
cumcatenata sunt, ingenio potius quam vi vitiaretur_.» Così Malaterra,
il quale par che avesse avuta sotto gli occhi l’armatura conservata
forse dal conte Ruggiero. Il Ducange, Glossario, citando questo passo,
suppone il vocabolo corruzione di _Camicium, chemise de maille_. E in
vero la descrizione mostra un giaco di maglia orientale col petto e il
dorso coperti di laminette a mo’ di squame, come se ne vede ne’ nostri
musei.
[225] _Arcadius_. Di certo Kâid non Kâdi, come s’è supposto.
[226] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXXII; e l’Anonimo presso Caruso,
_Bibliotheca Sicula_, tomo II, pag. 841-843 e nella traduz. francese,
lib. I, cap. XVIII; e l’_Epistola di Frà Corrado_, presso Caruso, op.
cit., tomo I, p. 48.
L’Anonimo ebbe sotto gli occhi di certo il Malaterra ed altre memorie;
poichè riferisce alcuni particolari diversi. Il più importante è
che Ruggiero avesse mandato Serlone a Cerami due giorni innanzi la
grande battaglia; che il dimani dell’arrivo, Serlone fosse uscito a
combattere; che Ruggiero fosse ito a trovarlo la sera col grosso della
gente e che tutti insieme si fossero avanzati contro il nemico il dì
seguente, verso le sette. Il racconto di Malaterra, al contrario, fa
supporre avvenuti tutti i combattimenti in un sol giorno.
Forse questa battaglia fu ricordata da alcun cronista musulmano,
i cui scritti non sono pervenuti infino a noi, poichè Soiutl nella
biografia di Mohammed-ibn-Ali-ibn-Hasan-ibn-Abi-l-Berr (_Biblioteca
Arabo-Sicula_, testo, cap. LXXVI, p. 672) riferisce il conquisto
cristiano della Sicilia al 455 dell’egira (1063), la quale data non si
trova negli altri ricordi musulmani.
[227] Malaterra, l. c. «_Comes, Deo et S. Petro cujus patrocinio
tantam victoriam se adeptum recognoscebat, de collato sibi beneficio
non ingratum existens, in testimonium victoriæ suæ, per quendam
suorum...... Apostolicus vero, plus de victoria..... mandat:
vexillumque a Romana sede, Apostolica auctoritate consignatum; quo
prœmio, de Beati Petri fisi præsidio, tutius in Saracenos debellaturi
insurgerent_.»
Questo è lo stendardo che il Giannone, lib. X, cap. II, dice mandato
da Alessandro II al conte Ruggiero mentre accingeasi all’impresa di
Sicilia. L’illustre storico napoletano, il quale cita qui il Baronio,
anno 1066, n. 2, non si guardò questa volta dalle insidie del cardinale
annalista.
[228] Malaterra.
[229] Argomento cotesta pratica dal confuso ed erroneo cenno che ne fa
Amato, _Ystoire de li Normant_, lib. V, cap. XXVIII: Roberto, durante
l’assedio di Bari (1068-1071), affinchè i Saraceni non potessero
munirsi e provvedersi, domandò l’aiuto dei Pisani, i quali apprestate
lor navi e compagnie di cavalieri e balestrieri, vennero dritto alla
città, spezzarono la catena del porto, e messero a terra parte di loro
forze: dopo la vittoria del duca in Puglia ebber da lui grandissimi
doni, e se ne tornarono a Pisa. Ognun vede che il racconto di Amato,
per vizio di copista o dell’autore, non regge. Si tratta al certo
di Palermo, non di Bari dov’erano Greci e non Musulmani; e del fatto
del 1063, non della espugnazione di Palermo del 1072, nella quale non
compariscono i Pisani. Da ciò argomento una pratica di Roberto nel 1063
rimasta senza effetto, e scontraffatta nella traduzione francese che
noi abbiamo. Non posso supporre che l’autore, vivente e adulto in quel
tempo, abbia commesso un anacronismo di dieci anni e scambiato il nome
della città; nè che i Pisani fossero venuti una seconda volta a spezzar
le catene del porto di Palermo, senza che ne facciano parola i loro
annali.
[230] Iscrizione del Duomo di Pisa nell’_Archivio Storico Italiano_,
tom. VI. Parte II pag. 5.
[231] _In portu vallis Deminæ_, scrive Malaterra. Per antonomasia
significherebbe Messina, ma il cronista suol sempre indicare quella
famosa città col suo nome, nè è da supporre abbia usata in questo
luogo solo una perifrasi. Secondo Edrisi, i porti del Valdemone su
la costiera settentrionale erano cominciando di ponente: Caronia in
sul confine di quella provincia, Oliveri e Milazzo; e in mezzo a’ due
primi si ricorda la spiaggia di San Marco ove si costruivano navi. Nei
novant’anni che corsero dal 1063 alla compilazione di Edrisi, non si
scavarono di certo novelli porti, e forse non ne fu distrutto alcuno.
Dunque dobbiamo ristringerci ai quattro nominati.
[232] Iscrizione del Duomo di Pisa.
[233] Iscrizione stessa, la quale accenna vagamente alla preda nelle
campagne. Noi sappiamo da Ibn-Haukal che lungo l’Oreto giaceano gli
orti di delizia dei Palermitani.
[234] Conf. Malaterra, lib. II, cap. XXXIV; Marangone, anno MLXIII,
nell’_Archivio Storico italiano_, tomo VI, par. II, p. 5, 6; e la
_Chronica varia_ Pisana nel Muratori, _Rerum Italic. Script._, tomo
VI, p. 167. La data precisa che dobbiamo al Marangone, è il giorno di
Sant’Agapito, ossia il 20 settembre; ma stando all’ordine cronologico
del Malaterra, risalirebbe agli ultimi di giugno o primi di luglio,
poich’ei riferisce il fatto innanzi le scorrerie di Collesano, Brucato
e Cefalù che seguirono, al dir suo, nei principii della state. Credo
meriti maggior fede il Marangone, e sia da supporre qui men rigorosa
la successione di fatti notata dal cronista normanno. Notisi che
la iscrizione del duomo di Pisa porta qui l’anno comune in vece del
pisano: _Anno quo Christus de Virgine natus, ab illo Transierant Mille
etc_.
[235] Malaterra tace questa precipua cagione che apparisce dai fatti.
[236] Vecchio castello presso la spiaggia da Termini a Cefalù; nella
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