Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 40
sembra, il narratore del caso di Malta, scrisse tra il 1049 e il 1091,
come notai a suo luogo.
[1401] Hagi-Khalfa, ediz. di Flüegel, tomo II, p. 135, nº 2243.
[1402] Si vegga qui innanzi a p. 511, 512.
[1403] Hagi-Khalfa, ediz. di Flüegel, tomo II, p. 124, nº 2196.
[1404] Cap. VII di questo Libro, p. 333 e seg. del volume.
[1405] Nome derivato dal castello Tûb nell'Africa propria, del quale
fosse stato oriundo il padre, alcuno degli avi. Questo nome di luogo si
trova nel _Riâdh-en-Nofûs_, p. 191 della _Biblioteca Arabo-Sicula_, ed
anche nel _Lobb-el-Lobâb_ di Soiuti, edizione di Leyde.
[1406] Pag. 516.
[1407] Nel cenno d'Imad-ed-dîd, tolto probabilmente da Ibn-Kattâ', è
detto, tra le altre lodi, “Sostegno di sultani.”
[1408] Luogo citato.
[1409] Kharîda, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 30 recto.
[1410] _Kharîda_, MS. citato, fog. 30 verso.
“L'incantesimo non sforza altrimenti che le grazie di costei; l'ambra
grigia non (_olezza_) altrimenti che l'alito suo.
“Ignoravamo il suo soggiorno, quando ne venne fuori una fragranza che ci
fe dire: ella è qui ec.”
“La morte, oh bramo la morte, s'io non debba mai stringerla al seno: chè
la virtù, onde ho vita, è il suo sembiante.
“Se mai sitibondo bevesti dell'acqua a lunghi sorsi, (_sappi_) che ciò è
nulla al (_paragone del_) mio (_contento a_) baciarla in bocca.”
[1411] Non potendo lasciare addietro le accuse contro la società di cui
ricerchiamo la storia, ho pubblicato nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p.
590, quest'epigramma; e qui, a malgrado mio, lo traduco. Ma non si può
affermare che Ibn-Tûbi lo avesse scritto piuttosto in Sicilia, che in
Oriente o in Affrica.
“Con questi versi descrisse un r....... eccellente in suo mestiere:
“Quel dai grandi occhi negri che torcea lo sguardo da me, mandaigli a
dire l'intento mio per un mezzano;
“Ed ecco che questi il mena seco sotto mano, cheto cheto, come flamma
(_di lampada_) si tira l'olio.”
[1412] Si vegga qui sopra a p. 515. Ecco i versi che troviamo nella
_Kharîda_, tolti probabilmente da una Kasîda, dei quali ho dato il testo
nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 591.
“I miei son tal gente, che, quando l'unghia di destrieri leva sotto le
nubi (_del cielo_) nubi di polvere,
“I brandi loro lampeggiano e mandano sangue dal taglio, come scroscio di
pioggia.
“Terribili altrui, difficili a maneggiare, or s'avventano ad Himiar ed
or a Cesare:
“Difendono lor terra, ch'altri non entri a pascervi; troncano ogni mal
che sopravvenga.”
Himiar, come ognun sa, è il supposto progenitore della schiatta del
Iemen, alla quale appartengono i Kelbiti. La gente del poeta sono i suoi
partigiani o i concittadini. Lo credo palermitano, perchè è chiamato
Sikilli senz'altro e perchè Ibn-Rescîk, sbarcando a Mazara, gli scrisse
una breve epistola in versi che abbiamo nella _Kharîda_, MS. di Parigi,
Ancien Fonds, 1375, fog. 34 verso.
[1413] _Kharîda_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 593, 594. Lasciando
il principio di una Kasida data da Imâd-ed-dîn, ch'è pur bello, tradurrò
i soli versi che alludono ad avvenimenti politici. Il poeta, dopo la
finzione obbligata del viaggio d'una bella (se fosse Meimuna?) e
dell'arrivo di lei alla collina, ov'era forte proteggitore un bel
cavaliero, continua così:
“Un da' grandi occhi negri, tinto le palpebre di kohl: il quale mi
strappa dalla paziente (_rassegnazione_) poich'è caduto in dure strette:
“Che Dio guardi le piagge dell'isola, se il principe d'un alto monte
avrà in guardia gli armenti scabbiosi che pascono in quella!
“(_Principe_) i cui nemici edificano castella inaccesse. Ma forse i
baluardi di Babek respinsero Ifscîn?
“Io reco la verità in mie parole, nè oso penetrare i segreti di Dio;
“Io il vidi che già s'era recata in mano la somma delle cose, il vidi un
dì bersaglio a una furia di sassi, ed ei sorrideva.
“Lioni in una guerra che faceva ardere nel loro costato una fiamma
accesa già dagli (_antichi_) odii.”
Qui finisce inopportunamente lo squarcio della Kasîda, della quale ci si
dà, in grazia delle antitesi, quest'altro verso che descrive, dice
Imâd-ed-dîn, i morti in battaglia.
“Redhwân li sospingea lungi dal dolce soffio del Paradiso, e Malek li
avvicinava al fiato del fuoco (_infernale_).”
Non ho bisogno di avvertire che questi ultimi sono dei ministri
dell'eterna giustizia, a credere dei Musulmani. Il Babek nominato nel
primo squarcio è il ribelle comunista al quale accennai nel Lib. III,
cap. V, p. 113 di questo volume; e Ifscîn, il capitano turco che il
vinse. La lezione “un alto mente” è la sola che mi par si possa
sostituire ad una voce del testo che non dà significato (_Biblioteca
Arabo-Sicula_, testo, p. 593, nota 8), e si adatterebbe al signore di
Castrogiovanni. Infine i guerrieri caduti nelle mani di Redhwân e Malek,
dovrebbero essere i Cristiani.
[1414] _Akhbâr-el-Molûk_, di Malek-Mansûr principe di Hama, nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 612, 613. Il nome compiuto di questo poeta
si ha da Nowairi. Il Nâsir-ed-dawla, citato qui è il secondo della casa
di Hamadân, che portò quel titolo; il quale, costretto a fare il
capitano di ventura in Egitto, rinnovò al Cairo gli esempii degli emir
el-Omrâ di Bagdad, e d'Al-mansor a Cordova, e in fine fu ucciso il 465
(1072).
[1415] Nowairi, _Storia d'Egitto_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, l.
c., in nota. Ibn-Modebbir entrò in officio il 453 (1061). Il riscontro
del nome e del tempo mi fan supporre che il poeta sia il grammatico del
quale parla Soiuti, e il dice maestro dello egiziano Omar-Ibn-Ie'isc, il
quale alla sua volta diè lezioni in Alessandria il 498 (1104).
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 678.
[1416] _Akhbâr-el-Molûk_, l. c.
[1417] Cioè degli Arabi di Medina.
[1418] _Mawkifi_, vuol dire oriundo di Mawkif borgata di Bassora. Delle
due Kasîde, ove si ricorda questa famiglia, la prima fa le lodi d'un
Mohammed, (fog. 2 recto), e la seconda d'un Abu-l-Fereg (fog. 10 recto),
che ben potrebbe essere la stessa persona. Cito la copia del MS.
dell'Escuriale che mi fu donata dal conte di Siracusa.
[1419] Degli eruditi Arabi, i soli che faccian parola di Bellanobi, sono
Iakût, _Mo'gem_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 108,
all'articolo _Billanoba_, e l'editore dei dugentotrentasei versi di
questo poeta che si trovano nel codice dell'Escuriale, CCCCLV del
catalogo di Casiri. Questi lesse il nome etnico Albalbuni, e suppose
scritti i versi a lode di principi siciliani e in particolare
d'Ibn-Hamûd. Si vegga il di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 237, e la
nota scritta a capo del codice dell'Escuriale, ch'io ho pubblicato nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 680, dove il detto nome è dato con tutti i
segni ortografici, Bellanobi. Quivi anche si legge che il giurista
Abu-Mohammed-Abd-Allah-ibn-Iehia-ibn-Hamûd, Hazîmi, avea recitato in
Alessandria all'editore, l'anno 513 (1119), que' versi di Bellanobi
sentiti di sua propria bocca, e varii squarci d'Ibn-Rescîk e d'altri
poeti non siciliani. Questo Ibn-Hamûd non era della famiglia Alida di
tal nome che regnò in Spagna e ne venne un ramo in Sicilia, ma della
tribù d'Hazîma ch'apparteneva a quella di Nahd, e però alla schiatta di
Kahtân.
Ecco alcuni versi della citata elegia:
“Ottima e santissima delle madri, m'hai gittato in seno un'arsura, che
il fuoco non l'agguaglia.
“Tra noi si frappone la distanza dell'Oriente all'Occidente; e pure
giaci qui accanto, la casa non è lungi da te!
“Oh che s'irrighi la tua zolla, ad irrigarla scendanvi perennemente nubi
gravide di pioggia,
“E mentr'esse spargeranvi stille di pianto, sorridan lì i più vaghi
fiori.
“Dite all'Austro: Costei mori musulmana; accompagnaronla le preci della
sera e della mattina;
“Sosta tu dunque su la moschea Akdâm, e tira su a settentrione senza
torcere a manca _ec._“
La moschea Akdâm a Karâfa presso il Cairo, è ricordata da Makrîzi nella
_Descrizione dell'Egitto_, testo arabico, stampato di recente a Bulâk,
tomo II, p. 445, dove si fa parola del cimitero di Karâfa, della incerta
etimologia di quella denominazione d'Akdâm, ec.
[1420] Pag. 510.
[1421] _Kharîda_, capitolo dei poeti egiziani, nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 605 e seg. Secondo Imad-ed-dîn, questo poeta morì
avanti il 544 (1149-50); onde mal reggerebbe il supposto che il
Kâid-Mamûn fosse alcuno dei regoli di Sicilia, i quali si intitolavano
Kâid, come s'è detto. Che che ne fosse, io ho pubblicato nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_ tutto lo squarcio di questa Kasîda, serbatoci
da Imâd-ed-dîn. Similmente si leggono nel luogo citato e nella
prefazione, p. 77, i versi contro il poeta Moslim, il quale, non
contento dei cinque dînar, domandò un'altra pensione in merito della
poesia; e gli accrebbero il sussidio di mezzo dînar al mese. Imad-ed-dîn
dà quasi un centinaio di versi di Megber.
[1422] _Mesalik-el-Absar_, nella _Biblioteca arabo-Sicula_, testo, p.
654, 655.
[1423] Squarcio di poema dato da Imad-ed-dîn nella _Kharîda_,
_Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 609. I primi tre versi e il
settimo, riferiti anco da Tigiani, si leggono nella _Historia
Abbadidarum_ del Dozy, tomo II, p. 146, dei quali si può vedere la
traduzione del dotto editore. Gli altri son del tenore seguente:
“Su, alma, non tener dietro all'accidia, i cui lacci allettano, ma l'è
trista compagna.
“E tu, o patria, poichè mi abbandoni, vo' fare soggiorno nei nidi delle
aquile gloriose.
“Dalla terra io nacqui, e tutto il mondo sarà mia patria, tutti gli
uomini miei congiunti.
“Non mi mancherà un cantuccio nello spazio; se nol trovo qui, lo cerco
altrove.
“Hai tu ingegno? abbi anco cuore: chè l'assente non conseguì mai suo
proposito appo colui che nol vede.”
[1424] Ibn-Bassâm narra che un giorno sedendo Mot'amid a brigata,
recatogli un carico di monete di argento, ne donò due borse ad
Abu-l-Arab; il quale vedendo innanzi il principe tante figurine d'ambra,
e tra le altre una che fingea un camelo ingemmata di pietre preziose,
sclamò: “A portar coteste monete, che iddio ti conservi, ci vuol proprio
un camelo.” E Mot'amid, sorridendo, gli regalò la statuetta: onde il
poeta lo ringraziava con versi estemporanei. Dal _Mesâlik-el-Absar_,
nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 656, e da Tigiani, nella
_Historia Abbadidarum_, del Dozy, l. c.
[1425] Oltre i versi di risposta all'invito di Mot'amid, che si trova
nelle biografie d'Abu-l-Arab, la _Kharîda_, MS. di Parigi, Ancien Fonds,
1376, fog. 35 recto, e Sappi. Arabe 1411, fog. 8 recto e verso, dà
squarci di altri due poemi, dei quali il primo sembra, e il secondo è di
certo, indirizzato a Mo'tamid. Quivi si accenna ad una impresa in terra
nemica, alla quale si trovava il poeta, poich'ei dice: “Notti
(_gloriose_) che tutte le notti tornassero a noi con le medesime
speranze ec.”
[1426] La biografia di Abu-'l-Arab si ricava da: Imad-ed-dîn, _Kharîda_
nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 606; Ibn-Khallikân,
_Dizionario Biografico_, versione inglese di M. De Slane, tomo II, p.
277 nella vita di Ali-ibn-Abd-el-Ghani-el-Husri; Scehâb-ed-dîn-Omari,
_Mesâlik-el-Absâr_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, 655 e seg.
Fa cenno di lui _Melik-Mansur_, op. cit., p; 613. Hagi-Khalfa, edizione
di Flüegel, tomo III, p. 314, nº 5678, nota il diwano delle sue poesie.
Non trovo in alcun autore il titolo dell'opera di arte poetica alla
quale par che voglia alludere Scehâb-ed-dîn-Omari.
[1427] Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique_ ec., versione di M. De
Vergers, p. 87, 88, e citazione di Nowairi, ibid., nota 96. Al dir di
Nowairi, questo Hamdîs discendea della tribù di Kinda, che sarebbe
collaterale a quella di Azd, entrambe del Iemen, ossia del ceppo di
Kahtân. Suppongo Ibn-Hamdîs nato il 447 (1055-1056), poichè morendo il
527 (1132-3) avea circa ottant'anni, leggendosi nel suo diwân,
_Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 573, i versi seguenti, un po'
senili:
“Ecco un bastone ch'io non strascino nel sentiero della vergogna; mi
regge ansi a scostarmene.
“O vogliate dir che l'impugno per correr meglio all'ottantina, non per
battere (_gli alberi e raccorre_) foglie al mio gregge. [Si vegga il
Corano, Sura XX, verso 19.]
“Io sembro un arco, e il bastone la corda; l'arciere v'incocca canizie e
caducità.”
[1428] Le allusioni a questo fatto si raccapezzano da due Kasîde, la
prima delle quali ho data nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 552 e
seg., e comincia così:
“Le sollecitudini della canizie hanno scacciato l'allegrezza della
gioventù. Ah! la canizie quando comincia a splendere la t'abbuia!
“Per un'ombra d'amore il destino mi spinse lungi; e l'ombra fuggì da me
e sparve.
. . . . . . . . . . . . . . .
“Una brezza vespertina mormora, rinfresca, e sospinge soavemente (_la
barca_).
“Ella sciolse. Evviva! E la morte facea piangere il cielo sugli estinti
che giaceano in terra.
“Il mugghio del tuono incalzava le nubi come il camelo che freme contro
la compagna ribelle.
“D'ambo i lati di lei avvampano i baleni, col lampeggiare di spade
brandite.
“Passai la notte nelle tenebre. O bianca fronte dell'aurora, arrecami la
luce!
. . . . . . . . . . . . . . .
“In quella (_terra_) è un'anima amante, che alla mia partita, mi infuse
questo sangue che scorremi nelle vene;
“Luoghi ai quali corrono furtivi i miei pensieri, come i lupi si
rinselvano nella (_natia_) boscaglia.
“Quivi fui compagno dei lioni alla foresta; quivi in suo covile visitai
la gazzella.
“O mare! dietro da te è il mio giardino, del quale mi ascondi le delizie
non già le miserie!
“Lì vidi sorgere una bella aurora, e lungi di quello mi coglie il
vespro.
“Ahi se non m'era data la speme, quando il mare mi vietò di porvi il
piede,
“Io montava, in vece di barchetta, l'arcione, e correva in quelle piagge
incontro al sagrifizio.”
Ho dovuto tradurre liberamente le strane metafore che ha il testo
nell'ultimo verso. L'altra Kasîda, è scritta in risposta ad un amico che
par abbia profferto ad Ibn-Hamdis, dopo molti anni, di rappattumarlo con
possente famiglia perch'ei tornasse in Sicilia, ove i Musulmani, com'e'
parmi, volean tentar qualche sollevazione. La difficoltà di ridurre a
lezione plausibile alcuni versi di questo lungo componimento, mi
distolse dal pubblicarlo nella raccolta dei testi. Nondimeno vi si
scorge manifesta la cagione della fuga; e la famiglia nemica par si
chiamasse dei Beni-Hassân. Il poeta, già maturo e collocato a corte di
Mo'tamid, ricusa di tornar di presente nella Sicilia soggiogata dai
Normanni; ma perdona a tutti, e finisce la Kasîda sclamando:
“Lode ai viventi, lode a coloro le cui ossa giacciono nelle tombe, lode
sia a tutti!
“Lode, perchè non dura quivi il letargo; e grandi eventi ne riscoteranno
anche me.”
[1429] Si vegga la descrizione ch'ei fa di costoro e il paragone con gli
Arabi di Sicilia in una Kasîda che comincia: “Pascon la bianca foglia il
cui frutto è sangue (lo stipendio dei mercenarii ec.)” nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 561 e segg.
[1430] Ibn-Khallikân. L'Autore dell'_Akhbar-el-Molûk_ intitola
Ibn-Hamdîs _dsu-l-wizâratein_ (quel dal doppio officio) che solea dirsi
a vizir investito di comando civile e militare: ma qui mi sembra
allusione al genio poetico e valor guerriero d'Ibn-Hamdîs.
Tra i molti componimenti indirizzati a Mo'tamid ve n'ha uno, nel quale,
ricordando la patria e i parenti, conchiude con effusione di
gratitudine:
“Nè tu mi chiudesti la via dell'andar appo loro; ma ponesti il dono a
vincolo che mi ritenesse;
“Ed una generosa amistà, la cui dolcezza spandendosi nel mio cuore lo
rinfrescò, arso ch'esso era dal cordoglio.”
Di questa Kasîda ho dato uno squarcio nella _Biblioteca Arabo-Sicula_,
testo, p. 554. Si veggano le altre poesie indirizzate a Mo'tamid ed al
costui figliuolo Rescîd, delle quali ho dato le rubriche nella stessa
raccolta, p. 567, 569, 570.
[1431] _Diwân_ d'Ibn-Hamdîs, nell'op. cit., p. 569. Il poeta tornando a
Siviglia, fece questi versi al figliuolo che avea nome Abu-Hâscim.
Suppongo si tratti di Talavera, poichè il testo dice, per antonomasia,
“la battaglia.”
“Oh Abu-Hâscim! le spade m'hanno sminuzzolato: ma, lode a Dio, non
voltai faccia dal taglio loro.
“Ricordaimi, in mezzo a quelle, il tuo sembiante, mentre non mi
prometteano riposo alle fresche ombre.”
[1432] Questi versi riferiti da varii annalisti e biografi, si leggono
presso Dozy, _Historia Abbadidarum_, tomo I, p. 246, tomo II, p. 44.
Altri ve n'ha nel Diwan d'Ibn-Hamdîs, accennati nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 571.
[1433] Nowairi, _Storia di Beni-Abbâd_, presso Dozy, op. cit., II, 138,
e _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 459.
[1434] Makkari, _Analectes sur l'histoire etc. d'Espagne_, testo
arabico, tomo I, p. 321 e seg., dà in tre squarci 48 versi di questa
Kasîda. Mansûr-ibn-Nâsir-ibn-'Alennâs, regnò dai 1088 al 1104, nello
stato hammadita, che già avanzava per territorio e forze il reame del
ceppo zîrita di Mehdia. Si vegga Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_,
versione di M. De Slane, tomo II, p. 51 e seg., dove si fa menzione dei
sontuosi palagi edificati a Bugia da Mansûr e dal padre.
[1435] Diwân d'Ibn-Hamdîs. Le rubriche si leggono, op. cit., p. 572.
[1436] Ibn-el-Athîr, anno 509; nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo,
p. 280.
[1437] Ve n'hanno squarci nella Kharîda, le cui rubriche si leggono
nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 608.
[1438] Hagi-Khalfa, edizione Flüegel, tomo II, p. 124, nº 2196.
[1439] _Diwân_, op. cit., p. 572, 573. Ibn-Hamdîs diceva al raccoglitor
del diwan, aver letto nelle opere di Storia Naturale questa filial pietà
delle aquile, e che la non si notasse in alcun altro animale.
[1440] Le notizie d'Ibn-Hamdîs, si ricavano da: Ibn-Khallikân,
_Biographical Dictionary_, versione di M. De Slane, tomo II, p. 160
seg.; Imad ed-dîn, _Kharîda_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p.
607 e seg.; Malek-Mannu, _Tabakat-el-Scio'arâ_, op. cit., p. 612.
Scehab-ed-dîn-Omari, _Mesalik-el-Absâr_, op. cit., p. 653 e seg.; e
soprattutto dagli avvertimenti premessi a varie poesie, nel _Diwân_ di
Ibn-Hamdîs dal raccoglitore anonimo, il quale lo conobbe di persona e
conversò con lui, come si ritrae da una glosa, op. cit., p. 573. Gli
estratti cominciano dalla p. 547. Il _Diwân_ pur non contiene tutte le
poesie; mancandovi la Kasîda pel palagio di Mansûr, dianzi citata, e
altre di cui si leggono squarci nella _Kharîda_, in Ibn-el-Athîr,
Nowairi ec.
[1441] La giraffa, il cavallo, lo scorpione, le melarance, gli anemoni,
i doppier di cera ec. Parte di coteste descrizioni, mancanti nel Diwân
d'Ibn-Hamdîs, son date da Nowairi in un volume della Enciclopedia, MS.
di Leyde, nº 273, e ne occorrono sovente in varie raccolte
enciclopediche, per esempio il _Giâmi'-el-Fonûn_, di Ahmed Harrâni,
autor del XIII secolo, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 367, fog. 18 verso e
39 recto.
[1442] “Come se scaldi specchio di pece, (_vedi_) il rosso del fuoco
camminar su quella negrezza.” Da Scehâb-ed-dîn-Omari nel
_Mesâlik-el-Absâr_, volume XVII, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1372, fog.
76 verso.
[1443] La Kasida dedicata a Iehia-ibn-Temîm, principe di Mehdia,
comincia con questo verso:
“È fiamma questa che squarci le tenebre della notte, o la lampade il cui
fuoco (_si alimenta con_) l'acqua dell'uva?
“Ovvero sposa che comparisca alta sul seggio ec.” _Diwân_, nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 572.
[1444] Nella parafrasi di queste ed altri squarci d'Ibn-Hamdîs non
aggiugnerò nulla del mio. Tradurrò fedelmente, ma scorcerò, e trasporrò,
studiandomi a rendere il manco male che io possa il colorito
dell'originale.
[1445] Questo vocabolo furbesco si usa tuttavia in Sicilia; e chi sa se
venne dagli Arabi? Forse nacquero da quella espressione figurata i nomi
di moscato e moscatello.
[1446] _Dinân_, plurale di _denn_, orcio lungo che finisce aguzzo.
[1447] Cioè l'otre di pelle di gazzella che serviva a portar l'acqua.
[1448] _Diwân_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 548 e seg.
Questa Kasîda comincia coi versi:
“L'anima sfogò tutte voglie in gioventù, e la canizie le ha recato suoi
ammonimenti.
“La fortuna non la piantò come virgulto in buon terreno, nè poi ne
raccolse i frutti,
“No; fui sorteggiato alle passioni che mi divisero in pezzi tra loro:
“Logorai le armi in guerra; fornii molti trascorsi alla pace ec.”
[1449] Razza di cavalli rinomata nelle antiche poesie degli Arabi. Si
vegga una nota di M. De Slane nel _Journal Asiatique_, Serie III, tomo
V, (1838), p. 467, 477.
[1450] Ibn-Hamdîs, adopera altrove la stessa figura. Gli Arabi odierni
d'Affrica, come ognun sa, dicono del combattere che “parli la polvere.”
[1451] Antimonio o altra polvere negra con che le donne d'Oriente (ed
oggi anche ve n'ha in Europa) tingono i lembi delle palpebre e le
occhiaie.
[1452] _Diwân_ di Ibn-Hamdîs nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 563 e
segg.
[1453] _Mesâlik-el-Absâr_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 151.
[1454] _Diwân_ d'Ibn-Hamdîs, op. cit., p. 553, dalla Kasida che abbiam
testè citato a p. 526, nota 2.
[1455] Stesso Diwân, _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 562.
[1456] Nella Kasîda, della quale or or darò cinque versi nel testo,
ripiglia dopo il biasimo del popolo le lodi dei guerrieri: “uomini che
quando li vedi in furore, ameresti meglio il ratto dei lioni....
Galoppanti su snelli corsieri, a' cui nitriti fanno eco in terra di
nemici le nenie delle piagnone.... Li vedi caricare or con la lancia or
con la spada; ferir d'ambo i lati non altrimenti che il re nel giuoco
degli scacchi.... Muoion della morte del valore in mezzo alla mischia,
quando i vigliacchi spirano in mezzo alle donne dal turgido petto.
Imbottiscon della polvere de' campi i cuscini che lor si pongono sotto
gli omeri nella sepoltura.” Quest'ultimo era costume dei devoti
guerrieri.
[1457] _Diwân_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 554.
[1458] Litteralmente “le falangi, delle dita, ec.” op. cit., p. 558.
Questa lunga Kasîda, scritta, com'e' pare, in Affrica, lagnandosi di
qualche principe zîrita, comincia, p. 554, col verso:
“Ho vestito la pazienza com'usbergo contro i colpi della sorte. O tristo
secolo, poichè non vuoi la pace, su combattiamo.”
[1459] Ibn-Bassâm, Imâd-ed-dîn, Scehâb-ed-dîn-Omari, Malek-Mansûr ec.,
ll. cc.
[1460] Nella _Karîda_, _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 608.
[1461] _Kharîda_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 608. L'autore lo
pone al par che il padre tra i poeti Spagnuoli; Ibn-Bescirûn, tra quei
del Maghreb di mezzo, che risponde presso a poco all'Algeria.
[1462] Iakût nel _Mo'gem_, Homaidi nella _Gedswa_, Ibn-Kattâ' nella
_Dorra_, Scehâb-ed-dîn-Omari nel _Mesâlik_, estratti, nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, testo, p. 122, 377, 594, 653. Ibn-Bescowâl, Ms. della
Società Asiatica di Parigi, copia il cenno di Homaidi.
[1463] _Kharîda_, da Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p.
597. Una Kasîda è indirizzata a Mo'tasim, sui quale si vegga il Dozy,
_Recherches sur l'histoire d'Espagne_, tomo I, p. 116.
[1464] Si vegga sopra a p. 514, 516.
[1465] _Kharîda_, da Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p.
596.
[1466] Si vegga a p. 511, in questo capitolo.
[1467] Imâd-ed-dîn, _Kharîda_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 589,
loda i suoi versi come “di buon gitto e intessuti con gusto.” Si vegga
anche Dsehebi, Anbâ-en-nokâ, op. cit., p. 647. I versi si trovano nella
_Kharîda_ e somman quasi a dugento.
[1468] Si vegga la p. 494, in questo capitolo.
[1469] _Kharîda_, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 24 verso, e
altrove.
[1470] Ibid., e 25 verso. Di cotesti barbuti, l'uno chiamavasi
Gia'far-ibn-Mohammed, e l'altro Hamdûn, nomi che non troviamo nelle
memorie del tempo. Del secondo ei diceva: “La barba d'Hamdûn, è una
casacca che gli serve a ripararsi dal gran freddo. O piuttosto, quand'ei
vi s'asconde in mezzo, la ti pare un mantello da letto addosso a una
scimmia.”
[1471] Op. cit., fog. 24 recto, 26 recto ec. Ve n'ha non men che otto,
un dei quali è di lode. A fog. 26 verso, lode d'una ballerina.
[1472] _Kharîda_, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 26 recto.
“Andai a fargli visita per novellare, che alla sua borsa io non pensava
per ombra.
Ma suppose che venissi a chieder danaro, e fu lì lì per morir di paura.”
[1473] _Kharîda_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 590:
“Con le parole ti avvicina ogni cosa; richiedilo, ed ecco ch'è lontano
(_cento miglia_).
“L'amico non faccia assegnamento su la sua promessa; il nemico non tema
mai la minaccia.”
[1474] _Kharîda_, MS. cit., fog. 29 recto:
“Gran pezza sopportai la mal indole di costui e dicea tra me: s'emenderà
forse.
“Ma or che ha tolto moglie, alla larga! ho paura delle cornate.”
[1475] Ad un butterato di vaiolo, e a due di fiato puzzolente, op. cit.,
fog. e 27 recto e 28 recto.
[1476] Op. cit., fog. 24 verso: “O tu che mi biasimi del fuggire gli
uomini e viver solitario,
“(_Sappi_), ch'io non so star con le vipere.”
Ed a fog. 29 recto: “Quand'uom ti dice villania, lascialo andare, che
Dio ti aiuti! Abbaieresti forse contro il can che t'abbaia?”
[1477] _Kharîda_, estratto d'Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 592. Ecco i versi che leggiamo nel MS., fog. 37 verso:
“Le indoli e costumi degli uomini, variano come le qualità d'acqua che
tu conosci.
“Qui la limpida e pura, e puoi gustarla un sol giorno; e qui la torbida
e puzzolente.
“Negli uomini il bene è pozzetta invernale che (_la estate_) si
corrompe; il male è pozzo ridondante e inesauribile.”
[1478] Dal _Mesâlik-el-Absâr_, estratto, nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 154.
[1479] _Kharîda_, estratto d'Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 592. Sendo messo da Ibn-Kattâ' immediatamente prima
d'Abu-Mohammed-Kasîm-ibn-Nizâr, sembra anche dei Kelbiti che sgombrarono
di Sicilia con Ahmed, come notammo nel cap. IV di questo Libro, p. 291.
[1480] _Kharîda_, estratto d'Ibn-Kattâ', op. cit., p. 592. Nel MS. son
questi versi:
“Se l'amico mi fa ingiuria, regalo alle sue ciglia un allontanamento,
“Vieto all'occhio mio di vederlo: mi sia cavato l'occhio se il guarda!
“Gli ficco negli occhi il suo proprio tratto come uno stecco;
“Lo pongo giù nell'infima abside, quand'anche ei sedesse su le due
stelle polari;
“La rompo con lui, foss'egli pure Ahmed-ibn-Abi-Hosein.”
[1481] Si veggano il cap. VII ed VIII di questo Libro, p. 334 e 349 del
volume.
[1482] Si vegga il cap. IX di questo Libro, p. 368, e la _Kharîda_,
estratto d'Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 596. È
chiamato emiro. Il titolo di Thiket-ed-dawla, sarebbe lo stesso che avea
portato l'avolo Iûsuf.
[1483] Si vegga in questo capitolo la p. 481.
[1484] Dal _Mesâlik-el-Absâr_, nella _Bibl. Arabo-Sicula_, p. 154, 155.
[1485] _Kharîda_, estratto da Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 598. Ecco tre versi che troviamo nel MS. di Parigi,
fog. 48 verso.
“M'ange un dolore ch'io ignorava: un padrone che tiranneggia me debole,
ed io pur gli servo.
“Una sua perfida parola mi fa bramar sempre chi promette e non attende.
“Oh Dio! accresci in me il desiderio dell'amor suo, e serba sempre nel
mio cuore gli affetti che lo struggono!”
[1486] _Kharîda_, estratto d'Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 506. Questa famiglia tenne la signoria di Mazara; ma
non sappiamo se Hasan fu di quei che regnarono, nè se fu quel medesimo
Ibn-Menkût, di cui abbiam detto in questo capitolo, p. 504.
[1487] Op. cit., p, 592. Si vegga il cap. XII di questo Libro, p. 421. I
versi di costui nella _Kharîda_, MS., fog. 37 recto, sono:
“Non v'ha letizia al mondo; il mondo è tutto angosce,
come notai a suo luogo.
[1401] Hagi-Khalfa, ediz. di Flüegel, tomo II, p. 135, nº 2243.
[1402] Si vegga qui innanzi a p. 511, 512.
[1403] Hagi-Khalfa, ediz. di Flüegel, tomo II, p. 124, nº 2196.
[1404] Cap. VII di questo Libro, p. 333 e seg. del volume.
[1405] Nome derivato dal castello Tûb nell'Africa propria, del quale
fosse stato oriundo il padre, alcuno degli avi. Questo nome di luogo si
trova nel _Riâdh-en-Nofûs_, p. 191 della _Biblioteca Arabo-Sicula_, ed
anche nel _Lobb-el-Lobâb_ di Soiuti, edizione di Leyde.
[1406] Pag. 516.
[1407] Nel cenno d'Imad-ed-dîd, tolto probabilmente da Ibn-Kattâ', è
detto, tra le altre lodi, “Sostegno di sultani.”
[1408] Luogo citato.
[1409] Kharîda, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 30 recto.
[1410] _Kharîda_, MS. citato, fog. 30 verso.
“L'incantesimo non sforza altrimenti che le grazie di costei; l'ambra
grigia non (_olezza_) altrimenti che l'alito suo.
“Ignoravamo il suo soggiorno, quando ne venne fuori una fragranza che ci
fe dire: ella è qui ec.”
“La morte, oh bramo la morte, s'io non debba mai stringerla al seno: chè
la virtù, onde ho vita, è il suo sembiante.
“Se mai sitibondo bevesti dell'acqua a lunghi sorsi, (_sappi_) che ciò è
nulla al (_paragone del_) mio (_contento a_) baciarla in bocca.”
[1411] Non potendo lasciare addietro le accuse contro la società di cui
ricerchiamo la storia, ho pubblicato nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p.
590, quest'epigramma; e qui, a malgrado mio, lo traduco. Ma non si può
affermare che Ibn-Tûbi lo avesse scritto piuttosto in Sicilia, che in
Oriente o in Affrica.
“Con questi versi descrisse un r....... eccellente in suo mestiere:
“Quel dai grandi occhi negri che torcea lo sguardo da me, mandaigli a
dire l'intento mio per un mezzano;
“Ed ecco che questi il mena seco sotto mano, cheto cheto, come flamma
(_di lampada_) si tira l'olio.”
[1412] Si vegga qui sopra a p. 515. Ecco i versi che troviamo nella
_Kharîda_, tolti probabilmente da una Kasîda, dei quali ho dato il testo
nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 591.
“I miei son tal gente, che, quando l'unghia di destrieri leva sotto le
nubi (_del cielo_) nubi di polvere,
“I brandi loro lampeggiano e mandano sangue dal taglio, come scroscio di
pioggia.
“Terribili altrui, difficili a maneggiare, or s'avventano ad Himiar ed
or a Cesare:
“Difendono lor terra, ch'altri non entri a pascervi; troncano ogni mal
che sopravvenga.”
Himiar, come ognun sa, è il supposto progenitore della schiatta del
Iemen, alla quale appartengono i Kelbiti. La gente del poeta sono i suoi
partigiani o i concittadini. Lo credo palermitano, perchè è chiamato
Sikilli senz'altro e perchè Ibn-Rescîk, sbarcando a Mazara, gli scrisse
una breve epistola in versi che abbiamo nella _Kharîda_, MS. di Parigi,
Ancien Fonds, 1375, fog. 34 verso.
[1413] _Kharîda_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 593, 594. Lasciando
il principio di una Kasida data da Imâd-ed-dîn, ch'è pur bello, tradurrò
i soli versi che alludono ad avvenimenti politici. Il poeta, dopo la
finzione obbligata del viaggio d'una bella (se fosse Meimuna?) e
dell'arrivo di lei alla collina, ov'era forte proteggitore un bel
cavaliero, continua così:
“Un da' grandi occhi negri, tinto le palpebre di kohl: il quale mi
strappa dalla paziente (_rassegnazione_) poich'è caduto in dure strette:
“Che Dio guardi le piagge dell'isola, se il principe d'un alto monte
avrà in guardia gli armenti scabbiosi che pascono in quella!
“(_Principe_) i cui nemici edificano castella inaccesse. Ma forse i
baluardi di Babek respinsero Ifscîn?
“Io reco la verità in mie parole, nè oso penetrare i segreti di Dio;
“Io il vidi che già s'era recata in mano la somma delle cose, il vidi un
dì bersaglio a una furia di sassi, ed ei sorrideva.
“Lioni in una guerra che faceva ardere nel loro costato una fiamma
accesa già dagli (_antichi_) odii.”
Qui finisce inopportunamente lo squarcio della Kasîda, della quale ci si
dà, in grazia delle antitesi, quest'altro verso che descrive, dice
Imâd-ed-dîn, i morti in battaglia.
“Redhwân li sospingea lungi dal dolce soffio del Paradiso, e Malek li
avvicinava al fiato del fuoco (_infernale_).”
Non ho bisogno di avvertire che questi ultimi sono dei ministri
dell'eterna giustizia, a credere dei Musulmani. Il Babek nominato nel
primo squarcio è il ribelle comunista al quale accennai nel Lib. III,
cap. V, p. 113 di questo volume; e Ifscîn, il capitano turco che il
vinse. La lezione “un alto mente” è la sola che mi par si possa
sostituire ad una voce del testo che non dà significato (_Biblioteca
Arabo-Sicula_, testo, p. 593, nota 8), e si adatterebbe al signore di
Castrogiovanni. Infine i guerrieri caduti nelle mani di Redhwân e Malek,
dovrebbero essere i Cristiani.
[1414] _Akhbâr-el-Molûk_, di Malek-Mansûr principe di Hama, nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 612, 613. Il nome compiuto di questo poeta
si ha da Nowairi. Il Nâsir-ed-dawla, citato qui è il secondo della casa
di Hamadân, che portò quel titolo; il quale, costretto a fare il
capitano di ventura in Egitto, rinnovò al Cairo gli esempii degli emir
el-Omrâ di Bagdad, e d'Al-mansor a Cordova, e in fine fu ucciso il 465
(1072).
[1415] Nowairi, _Storia d'Egitto_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, l.
c., in nota. Ibn-Modebbir entrò in officio il 453 (1061). Il riscontro
del nome e del tempo mi fan supporre che il poeta sia il grammatico del
quale parla Soiuti, e il dice maestro dello egiziano Omar-Ibn-Ie'isc, il
quale alla sua volta diè lezioni in Alessandria il 498 (1104).
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 678.
[1416] _Akhbâr-el-Molûk_, l. c.
[1417] Cioè degli Arabi di Medina.
[1418] _Mawkifi_, vuol dire oriundo di Mawkif borgata di Bassora. Delle
due Kasîde, ove si ricorda questa famiglia, la prima fa le lodi d'un
Mohammed, (fog. 2 recto), e la seconda d'un Abu-l-Fereg (fog. 10 recto),
che ben potrebbe essere la stessa persona. Cito la copia del MS.
dell'Escuriale che mi fu donata dal conte di Siracusa.
[1419] Degli eruditi Arabi, i soli che faccian parola di Bellanobi, sono
Iakût, _Mo'gem_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 108,
all'articolo _Billanoba_, e l'editore dei dugentotrentasei versi di
questo poeta che si trovano nel codice dell'Escuriale, CCCCLV del
catalogo di Casiri. Questi lesse il nome etnico Albalbuni, e suppose
scritti i versi a lode di principi siciliani e in particolare
d'Ibn-Hamûd. Si vegga il di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 237, e la
nota scritta a capo del codice dell'Escuriale, ch'io ho pubblicato nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 680, dove il detto nome è dato con tutti i
segni ortografici, Bellanobi. Quivi anche si legge che il giurista
Abu-Mohammed-Abd-Allah-ibn-Iehia-ibn-Hamûd, Hazîmi, avea recitato in
Alessandria all'editore, l'anno 513 (1119), que' versi di Bellanobi
sentiti di sua propria bocca, e varii squarci d'Ibn-Rescîk e d'altri
poeti non siciliani. Questo Ibn-Hamûd non era della famiglia Alida di
tal nome che regnò in Spagna e ne venne un ramo in Sicilia, ma della
tribù d'Hazîma ch'apparteneva a quella di Nahd, e però alla schiatta di
Kahtân.
Ecco alcuni versi della citata elegia:
“Ottima e santissima delle madri, m'hai gittato in seno un'arsura, che
il fuoco non l'agguaglia.
“Tra noi si frappone la distanza dell'Oriente all'Occidente; e pure
giaci qui accanto, la casa non è lungi da te!
“Oh che s'irrighi la tua zolla, ad irrigarla scendanvi perennemente nubi
gravide di pioggia,
“E mentr'esse spargeranvi stille di pianto, sorridan lì i più vaghi
fiori.
“Dite all'Austro: Costei mori musulmana; accompagnaronla le preci della
sera e della mattina;
“Sosta tu dunque su la moschea Akdâm, e tira su a settentrione senza
torcere a manca _ec._“
La moschea Akdâm a Karâfa presso il Cairo, è ricordata da Makrîzi nella
_Descrizione dell'Egitto_, testo arabico, stampato di recente a Bulâk,
tomo II, p. 445, dove si fa parola del cimitero di Karâfa, della incerta
etimologia di quella denominazione d'Akdâm, ec.
[1420] Pag. 510.
[1421] _Kharîda_, capitolo dei poeti egiziani, nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 605 e seg. Secondo Imad-ed-dîn, questo poeta morì
avanti il 544 (1149-50); onde mal reggerebbe il supposto che il
Kâid-Mamûn fosse alcuno dei regoli di Sicilia, i quali si intitolavano
Kâid, come s'è detto. Che che ne fosse, io ho pubblicato nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_ tutto lo squarcio di questa Kasîda, serbatoci
da Imâd-ed-dîn. Similmente si leggono nel luogo citato e nella
prefazione, p. 77, i versi contro il poeta Moslim, il quale, non
contento dei cinque dînar, domandò un'altra pensione in merito della
poesia; e gli accrebbero il sussidio di mezzo dînar al mese. Imad-ed-dîn
dà quasi un centinaio di versi di Megber.
[1422] _Mesalik-el-Absar_, nella _Biblioteca arabo-Sicula_, testo, p.
654, 655.
[1423] Squarcio di poema dato da Imad-ed-dîn nella _Kharîda_,
_Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 609. I primi tre versi e il
settimo, riferiti anco da Tigiani, si leggono nella _Historia
Abbadidarum_ del Dozy, tomo II, p. 146, dei quali si può vedere la
traduzione del dotto editore. Gli altri son del tenore seguente:
“Su, alma, non tener dietro all'accidia, i cui lacci allettano, ma l'è
trista compagna.
“E tu, o patria, poichè mi abbandoni, vo' fare soggiorno nei nidi delle
aquile gloriose.
“Dalla terra io nacqui, e tutto il mondo sarà mia patria, tutti gli
uomini miei congiunti.
“Non mi mancherà un cantuccio nello spazio; se nol trovo qui, lo cerco
altrove.
“Hai tu ingegno? abbi anco cuore: chè l'assente non conseguì mai suo
proposito appo colui che nol vede.”
[1424] Ibn-Bassâm narra che un giorno sedendo Mot'amid a brigata,
recatogli un carico di monete di argento, ne donò due borse ad
Abu-l-Arab; il quale vedendo innanzi il principe tante figurine d'ambra,
e tra le altre una che fingea un camelo ingemmata di pietre preziose,
sclamò: “A portar coteste monete, che iddio ti conservi, ci vuol proprio
un camelo.” E Mot'amid, sorridendo, gli regalò la statuetta: onde il
poeta lo ringraziava con versi estemporanei. Dal _Mesâlik-el-Absar_,
nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 656, e da Tigiani, nella
_Historia Abbadidarum_, del Dozy, l. c.
[1425] Oltre i versi di risposta all'invito di Mot'amid, che si trova
nelle biografie d'Abu-l-Arab, la _Kharîda_, MS. di Parigi, Ancien Fonds,
1376, fog. 35 recto, e Sappi. Arabe 1411, fog. 8 recto e verso, dà
squarci di altri due poemi, dei quali il primo sembra, e il secondo è di
certo, indirizzato a Mo'tamid. Quivi si accenna ad una impresa in terra
nemica, alla quale si trovava il poeta, poich'ei dice: “Notti
(_gloriose_) che tutte le notti tornassero a noi con le medesime
speranze ec.”
[1426] La biografia di Abu-'l-Arab si ricava da: Imad-ed-dîn, _Kharîda_
nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 606; Ibn-Khallikân,
_Dizionario Biografico_, versione inglese di M. De Slane, tomo II, p.
277 nella vita di Ali-ibn-Abd-el-Ghani-el-Husri; Scehâb-ed-dîn-Omari,
_Mesâlik-el-Absâr_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, 655 e seg.
Fa cenno di lui _Melik-Mansur_, op. cit., p; 613. Hagi-Khalfa, edizione
di Flüegel, tomo III, p. 314, nº 5678, nota il diwano delle sue poesie.
Non trovo in alcun autore il titolo dell'opera di arte poetica alla
quale par che voglia alludere Scehâb-ed-dîn-Omari.
[1427] Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique_ ec., versione di M. De
Vergers, p. 87, 88, e citazione di Nowairi, ibid., nota 96. Al dir di
Nowairi, questo Hamdîs discendea della tribù di Kinda, che sarebbe
collaterale a quella di Azd, entrambe del Iemen, ossia del ceppo di
Kahtân. Suppongo Ibn-Hamdîs nato il 447 (1055-1056), poichè morendo il
527 (1132-3) avea circa ottant'anni, leggendosi nel suo diwân,
_Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 573, i versi seguenti, un po'
senili:
“Ecco un bastone ch'io non strascino nel sentiero della vergogna; mi
regge ansi a scostarmene.
“O vogliate dir che l'impugno per correr meglio all'ottantina, non per
battere (_gli alberi e raccorre_) foglie al mio gregge. [Si vegga il
Corano, Sura XX, verso 19.]
“Io sembro un arco, e il bastone la corda; l'arciere v'incocca canizie e
caducità.”
[1428] Le allusioni a questo fatto si raccapezzano da due Kasîde, la
prima delle quali ho data nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 552 e
seg., e comincia così:
“Le sollecitudini della canizie hanno scacciato l'allegrezza della
gioventù. Ah! la canizie quando comincia a splendere la t'abbuia!
“Per un'ombra d'amore il destino mi spinse lungi; e l'ombra fuggì da me
e sparve.
. . . . . . . . . . . . . . .
“Una brezza vespertina mormora, rinfresca, e sospinge soavemente (_la
barca_).
“Ella sciolse. Evviva! E la morte facea piangere il cielo sugli estinti
che giaceano in terra.
“Il mugghio del tuono incalzava le nubi come il camelo che freme contro
la compagna ribelle.
“D'ambo i lati di lei avvampano i baleni, col lampeggiare di spade
brandite.
“Passai la notte nelle tenebre. O bianca fronte dell'aurora, arrecami la
luce!
. . . . . . . . . . . . . . .
“In quella (_terra_) è un'anima amante, che alla mia partita, mi infuse
questo sangue che scorremi nelle vene;
“Luoghi ai quali corrono furtivi i miei pensieri, come i lupi si
rinselvano nella (_natia_) boscaglia.
“Quivi fui compagno dei lioni alla foresta; quivi in suo covile visitai
la gazzella.
“O mare! dietro da te è il mio giardino, del quale mi ascondi le delizie
non già le miserie!
“Lì vidi sorgere una bella aurora, e lungi di quello mi coglie il
vespro.
“Ahi se non m'era data la speme, quando il mare mi vietò di porvi il
piede,
“Io montava, in vece di barchetta, l'arcione, e correva in quelle piagge
incontro al sagrifizio.”
Ho dovuto tradurre liberamente le strane metafore che ha il testo
nell'ultimo verso. L'altra Kasîda, è scritta in risposta ad un amico che
par abbia profferto ad Ibn-Hamdis, dopo molti anni, di rappattumarlo con
possente famiglia perch'ei tornasse in Sicilia, ove i Musulmani, com'e'
parmi, volean tentar qualche sollevazione. La difficoltà di ridurre a
lezione plausibile alcuni versi di questo lungo componimento, mi
distolse dal pubblicarlo nella raccolta dei testi. Nondimeno vi si
scorge manifesta la cagione della fuga; e la famiglia nemica par si
chiamasse dei Beni-Hassân. Il poeta, già maturo e collocato a corte di
Mo'tamid, ricusa di tornar di presente nella Sicilia soggiogata dai
Normanni; ma perdona a tutti, e finisce la Kasîda sclamando:
“Lode ai viventi, lode a coloro le cui ossa giacciono nelle tombe, lode
sia a tutti!
“Lode, perchè non dura quivi il letargo; e grandi eventi ne riscoteranno
anche me.”
[1429] Si vegga la descrizione ch'ei fa di costoro e il paragone con gli
Arabi di Sicilia in una Kasîda che comincia: “Pascon la bianca foglia il
cui frutto è sangue (lo stipendio dei mercenarii ec.)” nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 561 e segg.
[1430] Ibn-Khallikân. L'Autore dell'_Akhbar-el-Molûk_ intitola
Ibn-Hamdîs _dsu-l-wizâratein_ (quel dal doppio officio) che solea dirsi
a vizir investito di comando civile e militare: ma qui mi sembra
allusione al genio poetico e valor guerriero d'Ibn-Hamdîs.
Tra i molti componimenti indirizzati a Mo'tamid ve n'ha uno, nel quale,
ricordando la patria e i parenti, conchiude con effusione di
gratitudine:
“Nè tu mi chiudesti la via dell'andar appo loro; ma ponesti il dono a
vincolo che mi ritenesse;
“Ed una generosa amistà, la cui dolcezza spandendosi nel mio cuore lo
rinfrescò, arso ch'esso era dal cordoglio.”
Di questa Kasîda ho dato uno squarcio nella _Biblioteca Arabo-Sicula_,
testo, p. 554. Si veggano le altre poesie indirizzate a Mo'tamid ed al
costui figliuolo Rescîd, delle quali ho dato le rubriche nella stessa
raccolta, p. 567, 569, 570.
[1431] _Diwân_ d'Ibn-Hamdîs, nell'op. cit., p. 569. Il poeta tornando a
Siviglia, fece questi versi al figliuolo che avea nome Abu-Hâscim.
Suppongo si tratti di Talavera, poichè il testo dice, per antonomasia,
“la battaglia.”
“Oh Abu-Hâscim! le spade m'hanno sminuzzolato: ma, lode a Dio, non
voltai faccia dal taglio loro.
“Ricordaimi, in mezzo a quelle, il tuo sembiante, mentre non mi
prometteano riposo alle fresche ombre.”
[1432] Questi versi riferiti da varii annalisti e biografi, si leggono
presso Dozy, _Historia Abbadidarum_, tomo I, p. 246, tomo II, p. 44.
Altri ve n'ha nel Diwan d'Ibn-Hamdîs, accennati nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 571.
[1433] Nowairi, _Storia di Beni-Abbâd_, presso Dozy, op. cit., II, 138,
e _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 459.
[1434] Makkari, _Analectes sur l'histoire etc. d'Espagne_, testo
arabico, tomo I, p. 321 e seg., dà in tre squarci 48 versi di questa
Kasîda. Mansûr-ibn-Nâsir-ibn-'Alennâs, regnò dai 1088 al 1104, nello
stato hammadita, che già avanzava per territorio e forze il reame del
ceppo zîrita di Mehdia. Si vegga Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_,
versione di M. De Slane, tomo II, p. 51 e seg., dove si fa menzione dei
sontuosi palagi edificati a Bugia da Mansûr e dal padre.
[1435] Diwân d'Ibn-Hamdîs. Le rubriche si leggono, op. cit., p. 572.
[1436] Ibn-el-Athîr, anno 509; nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo,
p. 280.
[1437] Ve n'hanno squarci nella Kharîda, le cui rubriche si leggono
nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 608.
[1438] Hagi-Khalfa, edizione Flüegel, tomo II, p. 124, nº 2196.
[1439] _Diwân_, op. cit., p. 572, 573. Ibn-Hamdîs diceva al raccoglitor
del diwan, aver letto nelle opere di Storia Naturale questa filial pietà
delle aquile, e che la non si notasse in alcun altro animale.
[1440] Le notizie d'Ibn-Hamdîs, si ricavano da: Ibn-Khallikân,
_Biographical Dictionary_, versione di M. De Slane, tomo II, p. 160
seg.; Imad ed-dîn, _Kharîda_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p.
607 e seg.; Malek-Mannu, _Tabakat-el-Scio'arâ_, op. cit., p. 612.
Scehab-ed-dîn-Omari, _Mesalik-el-Absâr_, op. cit., p. 653 e seg.; e
soprattutto dagli avvertimenti premessi a varie poesie, nel _Diwân_ di
Ibn-Hamdîs dal raccoglitore anonimo, il quale lo conobbe di persona e
conversò con lui, come si ritrae da una glosa, op. cit., p. 573. Gli
estratti cominciano dalla p. 547. Il _Diwân_ pur non contiene tutte le
poesie; mancandovi la Kasîda pel palagio di Mansûr, dianzi citata, e
altre di cui si leggono squarci nella _Kharîda_, in Ibn-el-Athîr,
Nowairi ec.
[1441] La giraffa, il cavallo, lo scorpione, le melarance, gli anemoni,
i doppier di cera ec. Parte di coteste descrizioni, mancanti nel Diwân
d'Ibn-Hamdîs, son date da Nowairi in un volume della Enciclopedia, MS.
di Leyde, nº 273, e ne occorrono sovente in varie raccolte
enciclopediche, per esempio il _Giâmi'-el-Fonûn_, di Ahmed Harrâni,
autor del XIII secolo, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 367, fog. 18 verso e
39 recto.
[1442] “Come se scaldi specchio di pece, (_vedi_) il rosso del fuoco
camminar su quella negrezza.” Da Scehâb-ed-dîn-Omari nel
_Mesâlik-el-Absâr_, volume XVII, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1372, fog.
76 verso.
[1443] La Kasida dedicata a Iehia-ibn-Temîm, principe di Mehdia,
comincia con questo verso:
“È fiamma questa che squarci le tenebre della notte, o la lampade il cui
fuoco (_si alimenta con_) l'acqua dell'uva?
“Ovvero sposa che comparisca alta sul seggio ec.” _Diwân_, nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 572.
[1444] Nella parafrasi di queste ed altri squarci d'Ibn-Hamdîs non
aggiugnerò nulla del mio. Tradurrò fedelmente, ma scorcerò, e trasporrò,
studiandomi a rendere il manco male che io possa il colorito
dell'originale.
[1445] Questo vocabolo furbesco si usa tuttavia in Sicilia; e chi sa se
venne dagli Arabi? Forse nacquero da quella espressione figurata i nomi
di moscato e moscatello.
[1446] _Dinân_, plurale di _denn_, orcio lungo che finisce aguzzo.
[1447] Cioè l'otre di pelle di gazzella che serviva a portar l'acqua.
[1448] _Diwân_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 548 e seg.
Questa Kasîda comincia coi versi:
“L'anima sfogò tutte voglie in gioventù, e la canizie le ha recato suoi
ammonimenti.
“La fortuna non la piantò come virgulto in buon terreno, nè poi ne
raccolse i frutti,
“No; fui sorteggiato alle passioni che mi divisero in pezzi tra loro:
“Logorai le armi in guerra; fornii molti trascorsi alla pace ec.”
[1449] Razza di cavalli rinomata nelle antiche poesie degli Arabi. Si
vegga una nota di M. De Slane nel _Journal Asiatique_, Serie III, tomo
V, (1838), p. 467, 477.
[1450] Ibn-Hamdîs, adopera altrove la stessa figura. Gli Arabi odierni
d'Affrica, come ognun sa, dicono del combattere che “parli la polvere.”
[1451] Antimonio o altra polvere negra con che le donne d'Oriente (ed
oggi anche ve n'ha in Europa) tingono i lembi delle palpebre e le
occhiaie.
[1452] _Diwân_ di Ibn-Hamdîs nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 563 e
segg.
[1453] _Mesâlik-el-Absâr_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 151.
[1454] _Diwân_ d'Ibn-Hamdîs, op. cit., p. 553, dalla Kasida che abbiam
testè citato a p. 526, nota 2.
[1455] Stesso Diwân, _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 562.
[1456] Nella Kasîda, della quale or or darò cinque versi nel testo,
ripiglia dopo il biasimo del popolo le lodi dei guerrieri: “uomini che
quando li vedi in furore, ameresti meglio il ratto dei lioni....
Galoppanti su snelli corsieri, a' cui nitriti fanno eco in terra di
nemici le nenie delle piagnone.... Li vedi caricare or con la lancia or
con la spada; ferir d'ambo i lati non altrimenti che il re nel giuoco
degli scacchi.... Muoion della morte del valore in mezzo alla mischia,
quando i vigliacchi spirano in mezzo alle donne dal turgido petto.
Imbottiscon della polvere de' campi i cuscini che lor si pongono sotto
gli omeri nella sepoltura.” Quest'ultimo era costume dei devoti
guerrieri.
[1457] _Diwân_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 554.
[1458] Litteralmente “le falangi, delle dita, ec.” op. cit., p. 558.
Questa lunga Kasîda, scritta, com'e' pare, in Affrica, lagnandosi di
qualche principe zîrita, comincia, p. 554, col verso:
“Ho vestito la pazienza com'usbergo contro i colpi della sorte. O tristo
secolo, poichè non vuoi la pace, su combattiamo.”
[1459] Ibn-Bassâm, Imâd-ed-dîn, Scehâb-ed-dîn-Omari, Malek-Mansûr ec.,
ll. cc.
[1460] Nella _Karîda_, _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 608.
[1461] _Kharîda_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 608. L'autore lo
pone al par che il padre tra i poeti Spagnuoli; Ibn-Bescirûn, tra quei
del Maghreb di mezzo, che risponde presso a poco all'Algeria.
[1462] Iakût nel _Mo'gem_, Homaidi nella _Gedswa_, Ibn-Kattâ' nella
_Dorra_, Scehâb-ed-dîn-Omari nel _Mesâlik_, estratti, nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, testo, p. 122, 377, 594, 653. Ibn-Bescowâl, Ms. della
Società Asiatica di Parigi, copia il cenno di Homaidi.
[1463] _Kharîda_, da Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p.
597. Una Kasîda è indirizzata a Mo'tasim, sui quale si vegga il Dozy,
_Recherches sur l'histoire d'Espagne_, tomo I, p. 116.
[1464] Si vegga sopra a p. 514, 516.
[1465] _Kharîda_, da Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p.
596.
[1466] Si vegga a p. 511, in questo capitolo.
[1467] Imâd-ed-dîn, _Kharîda_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 589,
loda i suoi versi come “di buon gitto e intessuti con gusto.” Si vegga
anche Dsehebi, Anbâ-en-nokâ, op. cit., p. 647. I versi si trovano nella
_Kharîda_ e somman quasi a dugento.
[1468] Si vegga la p. 494, in questo capitolo.
[1469] _Kharîda_, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 24 verso, e
altrove.
[1470] Ibid., e 25 verso. Di cotesti barbuti, l'uno chiamavasi
Gia'far-ibn-Mohammed, e l'altro Hamdûn, nomi che non troviamo nelle
memorie del tempo. Del secondo ei diceva: “La barba d'Hamdûn, è una
casacca che gli serve a ripararsi dal gran freddo. O piuttosto, quand'ei
vi s'asconde in mezzo, la ti pare un mantello da letto addosso a una
scimmia.”
[1471] Op. cit., fog. 24 recto, 26 recto ec. Ve n'ha non men che otto,
un dei quali è di lode. A fog. 26 verso, lode d'una ballerina.
[1472] _Kharîda_, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 26 recto.
“Andai a fargli visita per novellare, che alla sua borsa io non pensava
per ombra.
Ma suppose che venissi a chieder danaro, e fu lì lì per morir di paura.”
[1473] _Kharîda_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 590:
“Con le parole ti avvicina ogni cosa; richiedilo, ed ecco ch'è lontano
(_cento miglia_).
“L'amico non faccia assegnamento su la sua promessa; il nemico non tema
mai la minaccia.”
[1474] _Kharîda_, MS. cit., fog. 29 recto:
“Gran pezza sopportai la mal indole di costui e dicea tra me: s'emenderà
forse.
“Ma or che ha tolto moglie, alla larga! ho paura delle cornate.”
[1475] Ad un butterato di vaiolo, e a due di fiato puzzolente, op. cit.,
fog. e 27 recto e 28 recto.
[1476] Op. cit., fog. 24 verso: “O tu che mi biasimi del fuggire gli
uomini e viver solitario,
“(_Sappi_), ch'io non so star con le vipere.”
Ed a fog. 29 recto: “Quand'uom ti dice villania, lascialo andare, che
Dio ti aiuti! Abbaieresti forse contro il can che t'abbaia?”
[1477] _Kharîda_, estratto d'Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 592. Ecco i versi che leggiamo nel MS., fog. 37 verso:
“Le indoli e costumi degli uomini, variano come le qualità d'acqua che
tu conosci.
“Qui la limpida e pura, e puoi gustarla un sol giorno; e qui la torbida
e puzzolente.
“Negli uomini il bene è pozzetta invernale che (_la estate_) si
corrompe; il male è pozzo ridondante e inesauribile.”
[1478] Dal _Mesâlik-el-Absâr_, estratto, nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 154.
[1479] _Kharîda_, estratto d'Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 592. Sendo messo da Ibn-Kattâ' immediatamente prima
d'Abu-Mohammed-Kasîm-ibn-Nizâr, sembra anche dei Kelbiti che sgombrarono
di Sicilia con Ahmed, come notammo nel cap. IV di questo Libro, p. 291.
[1480] _Kharîda_, estratto d'Ibn-Kattâ', op. cit., p. 592. Nel MS. son
questi versi:
“Se l'amico mi fa ingiuria, regalo alle sue ciglia un allontanamento,
“Vieto all'occhio mio di vederlo: mi sia cavato l'occhio se il guarda!
“Gli ficco negli occhi il suo proprio tratto come uno stecco;
“Lo pongo giù nell'infima abside, quand'anche ei sedesse su le due
stelle polari;
“La rompo con lui, foss'egli pure Ahmed-ibn-Abi-Hosein.”
[1481] Si veggano il cap. VII ed VIII di questo Libro, p. 334 e 349 del
volume.
[1482] Si vegga il cap. IX di questo Libro, p. 368, e la _Kharîda_,
estratto d'Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 596. È
chiamato emiro. Il titolo di Thiket-ed-dawla, sarebbe lo stesso che avea
portato l'avolo Iûsuf.
[1483] Si vegga in questo capitolo la p. 481.
[1484] Dal _Mesâlik-el-Absâr_, nella _Bibl. Arabo-Sicula_, p. 154, 155.
[1485] _Kharîda_, estratto da Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 598. Ecco tre versi che troviamo nel MS. di Parigi,
fog. 48 verso.
“M'ange un dolore ch'io ignorava: un padrone che tiranneggia me debole,
ed io pur gli servo.
“Una sua perfida parola mi fa bramar sempre chi promette e non attende.
“Oh Dio! accresci in me il desiderio dell'amor suo, e serba sempre nel
mio cuore gli affetti che lo struggono!”
[1486] _Kharîda_, estratto d'Ibn-Kattâ', nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 506. Questa famiglia tenne la signoria di Mazara; ma
non sappiamo se Hasan fu di quei che regnarono, nè se fu quel medesimo
Ibn-Menkût, di cui abbiam detto in questo capitolo, p. 504.
[1487] Op. cit., p, 592. Si vegga il cap. XII di questo Libro, p. 421. I
versi di costui nella _Kharîda_, MS., fog. 37 recto, sono:
“Non v'ha letizia al mondo; il mondo è tutto angosce,
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