Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 37
testo, p. 74, 75. Il passo del Corano a che allude l'autore è nel verso
22 della sura II.
[1093] _Kitâb-el-Asciârât_ di Herawi, ibid., e se ne vegga la versione
inglese del professor Samuele Lee, in appendice allo _Ibn-Batuta's
Travels_, Londra, 1829, in 4º, p. 6. Herawi venne in Sicilia dopo il
1173, e morì ad Aleppo il 1215. Si vegga Reinaud, _Géographie
d'Aboulfeda_, Introduzione, p. CXXVII, seg.
[1094] Si vegga in questo periodo la _Storia critica delle eruzioni
dell'Etna_ del canonico Giuseppe Alessi.
[1095] _Tenbîh_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 2.
[1096] Il nome è guasto in tutti i MSS. La buona lezione mi sembra
_iascf_ (in francese _yachf_) variante di _iascb_ che adopera Masûdi.
Come ognun vede, l'una e l'altra è il latino _jaspis_, d'origine
semitica, del quale i Francesi han fatto _jaspe_. Gli Arabi rendono
indistintamente con una _f_ o una _b_ la _p_ che manca in loro alfabeto.
Ognun sa la copia, mole e qualità dei diaspri e soprattutto delle agate
di Sicilia. Gli antichi favoleggiavano su le proprietà mediche
dell'agata, più o meno, come Masûdi.
[1097] _Mo'gem_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 118.
[1098] Si vegga a p. 439.
[1099] _Notices et Extraits des MSS._, tomo XII, p. 463.
[1100] _Mo'gem_, op. cit., p. 116, 118. L'etimologia sembra piuttosto
confusa col Πλοῦτος che ai tempi dei Pagani, come ai nostri, era il Dio
dell'oro e dell'inferno.
[1101] _Mo'gem_, op. cit., p. 116 e 118. Si ricordi anche la miniera di
ferro presso Palermo, di cui Ibn-Haukal.
[1102] Presso Gaetani, _Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 113, e presso
i Bollandisti, tomo I, di aprile, p. 607.
[1103] _Mo'gem_, op. cit., p. 118.
[1104] Ibn-Hamdîs in una poesia che ho pubblicato nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, testo, p. 565, dice de' fuochi lanciati dall'armatetta
siracusana in una impresa contro i Cristiani.
[1105] Iakut non ne fa parola, nè Edrisi. Il primo che li accenni è
Ibn-Scebbât, _Biblioteca Arabo Sicula_, testo, p. 210, negli estratti
non già di Bekri, ma del continuatore per nome Ibn-Ghalanda.
[1106] _Mo'gem_, op. cit., p. 115.
[1107] I fiumi di Lentini, Ragusa e Mazara.
[1108] I diplomi dell'XI e XII secolo dicono di foreste e boschi or
distrutti, come la foresta del monte Linario presso Messina, il bosco
Adrano tra Prizzi e Bivona ec. L'Etna perde molto dei suoi da un secolo
in qua. Il Monte Pellegrino di Palermo fu terreno boschivo fino al XV
secolo. Edrisi dice della _Benît_ (Pineta) a ponente di Buccheri ec.
[1109] _Mo'gem_, op. cit., p. 111.
[1110] _Vita di San Filareto_, l. c.
[1111] Squarcio dato da Ibn-Scebbât, _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo,
p. 210.
[1112] _Mo'gem_, op. cit., p. 116.
[1113] Si vegga il cap. V di questo Libro, p. 295 del volume, e un altro
squarcio d'Ibn-Haukal trascritto nel _Mo'gem_, op. cit., p. 119, ove
leggiamo “La più parte del terreno di Sicilia è da seminato.”
[1114] _Mo'gem_, op. cit., p. 116. Il testo dice: “e la terra di Sicilia
produce lo zafferano.” Tutto questo squarcio par si debba attribuire ad
Abu-Ali.
[1115] _Mo'gem_, op. cit., p. 110.
[1116] Ibn-Haukal dice del cotone coltivato a Cartagine ed a Msila.
_Descrizione dell'Affrica_, versione di M. De Slane, nel _Journal
Asiatique_, serie III, tomo XIII.
[1117] Si vegga sopra, cap. V del presente Libro, p. 299 a 307.
[1118] Si vegga il Lib. I, cap. IX, p. 206 del volume I, nota 2; e il
Lib. II, cap. X, p. 415 dello stesso volume. Per l'XI secolo l'attesta
Bekri; pel XII i diplomi.
[1119] Le poesie arabiche a lode del re Ruggiero, delle quali si
tratterà a suo luogo, descrivono le piantagioni di agrumi nella villa
regia di Favara o Maredolce presso Palermo. Un diploma del 1094 presso
Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 770, dice di una _Via de Arangeriis_ presso
Patti.
Da un'altra mano si sa che varie sorta di melarance vennero dall'India
in Siria ed Egitto dopo il principio del quarto secolo dell'egira e
decimo dell'era cristiana. Veggasi una nota di M. de Sacy
all'Abdallatif, _Relation de l'Egypte_, p. 117. Probabilmente la
Sicilia, la Spagna, e con esse gli altri paesi in sul bacino occidentale
del Mediterraneo ebbero gli aranci e i cedri in questo medesimo tempo
dalla Siria e dall'Egitto.
[1120] La canna da zucchero, secondo Ibn-Haukal, e però nel X secolo, si
coltivava in Affrica (versione di M. De Slane, nel _Journal Asiatique_,
III serie, tomo XIII); secondo Ibn-Awwâm, e però nell'XI, era notissima
in Spagna; un diploma del 1176, parla di un molino da _cannamele_ in
Palermo; e però non è dubbio che cotesta industria risalisse in Sicilia
all'XI o anche al X secolo.
[1121] La piantagione di datteri a San Giovanni dei Leprosi fuori
Palermo, posta accanto a un oliveto, è ricordata in un diploma del 1249
presso Mongitore, _Sacræ domus Mansionis... Monumenta_, cap. IV. Fu
tagliata nel XIV secolo dall'esercito angioino che assediò Palermo.
[1122] Edrisi dà il nome di _Nahr-Tût_ “fiume Gelso” al fiume detto oggi
Arena a mezzogiorno di Mazara, e dice dell'abbondanza della seta
prodotta a San Marco in Val Demone.
[1123] Si scorge da due diplomi del 1284, e dalla Cronica di D'Esclot,
cap. CX, dei quali ho fatto cenno nella _Guerra del Vespro Siciliano_,
edizione di Firenze, 1851, cap. X, p. 209.
[1124] _Mo'gem_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 116.
[1125] _Vita di San Filareto_, presso Gaetani, _Sanctorum Siculorum_,
tomo li, p. 113, e presso i Bollandisti, tomo I, di aprile, p. 607.
[1126] _Mo'gem_, l. c.
[1127] _Vita di San Filareto_, l. c. La versione latina del Padre
Fiorito ha: _ad vehicula trahenda aptissimi_; ma mancando il testo
greco, non siam certi se si tratti di carri o di lettighe.
[1128] _Mo'gem_, l. c.
[1129] _Mo'gem_ e _Vita di San Filareto_, ll. cc. Si ricordin anco i
grandi armenti dell'emiro Iûsuf, cap. VIII del presente Libro, p. 354
del volume.
[1130] _Vita di San Filareto_, l. c.
[1131] _Mo'gem_ e _Vita di San Filareto_, ll. cc.
[1132] _Vita di San Filareto_, l. c.
[1133] _Mo'gem_, op. cit., p. 116 a 118. In Sicilia le vipere e gli
scorpioni sono assai più rari e men letali che in Affrica, Egitto ed
Oriente.
[1134] _Libro de Agricultura, su autor.... ebn el Awam Sevillano_,
versione spagnuola di Banqueri, col testo arabico, Madrid, 1802, in
folio, tomo II, p. 193 e 231. Si tratta d'una specie di popone, detta in
arabico _Nefâq_, credo quel che in Sicilia si dicono meloni da tavola,
ovvero i meloni d'inverno.
[1135] “Nuara” (in arabico _nowâr_, secondo Ibn-'Awwâm, tomo II, p. 213)
si addimanda l'aja di poponi, zucche, cocomeri; “vaitali” (ar. _batîl_)
il rigagnolo dei giardini: “gebbia” (ar. _giâbia_), un gran serbatoio
d'acqua per irrigare gli orti ec.
[1136] La malvetta rosata, come la chiamiamo in Sicilia, è il
_Pelargonium radula roseum_ dei botanici.
[1137] Ibn-'Awwâm, op. cit., tomo II, p. 296.
[1138] Ibn-'Awwâm, op. cit., tomo II, p. 418.
[1139] Ibn-'Awwâm, op. cit., tomo II, p. 104.
[1140] _Kitab-el-Felaha_, d'Aba-abd-Allah-Mohammed-ibn-Hosein, citato da
M. Cherbonneau in una Memoria su la _Culture arabe au moyen-âge_ negli
_Annales de la Colonisation algérienne_, giugno 1854.
[1141] Diploma del 1140, pel quale si concedono alla Chiesa di Catania
“duas terras ad bombacea” presso De Grossis, _Decacordum_, tomo I, p.
77. Edrisi nota che il cotone si coltivava in gran copia a Partinico.
[1142] Ibn-Sa'id, _Kitâb-el-Badi_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_,
testo, p. 137, e _Mokhtaser Gighrafia_, op. cit., p. 134, con la
correzione a p. 43 dell'introduzione, ove si tratta di Pantellaria.
[1143] Fazzello, Deca I, lib. I, cap. 1.
[1144] Abu-Mehasin, _Storia d'Egitto_, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 660,
fog. 103 recto, facendo parola di Rascida e Abda figliuole di Moezz,
nate innanzi il 972 e morte sotto il regno di Hâkem (996-1021), dice
aver la prima lasciato il valsente d'1,700,000 di dinâr, in drappi di
varie sorte e profumi, e la seconda un moggio di smeraldi, tanti
quintali d'argento ec., e trentamila _scikke_ (o sciukke) siciliane.
Questa voce significa taglio d'abito, nè sappiam se sia nome generico
ovvero appellazione speciale di questo drappo. Se in quelle cifre si
sente l'odor delle mille e una notte, il cronista ch'ebbe alle mani
Abu-Mehasin, non inventò quella maniera di drappo. D'altronde abbiam
fatto cenno del gran lusso degli Zirîti in Affrica: e le ricchezze dei
despoti son talvolta di quelle verità verissime che han sembiante di
favola.
[1145] Si vegga il cap. XI del Lib. III, p. 230 di questo volume.
[1146] Si chiama volgarmente Calatrasi. Tirazi vuol dire artefice del
_tirâz_, ossia opificio regio delle vesti di seta ricamata. Si vegga su
questo indizio di _Kalat-et-Tirazi_ una nota nell'erudita opera di M.
Francisque-Michel, _Récherches sur les étoffes de soie au moyen âge_,
Paris, 1852, in 4º, tomo I, p. 77, al quale io ho dato questa notizia e
in cambio ne toglierò cento, spigolate nelle antiche poesie francesi,
che serviranno a illustrare questa industria siciliana nel XII e XIII
secolo.
[1147] Si vegga la p. 443.
[1148] Bekri, _Notices et Extraits des MSS._, tomo XII, p. 463.
[1149] Op. cit., p. 480, 488.
[1150] Si vegga il cap. II di questo Libro, p. 247, seg.
[1151] Ho dato il testo di quel paragrafo nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 10.
[1152] Edrisi, _Géographie_, versione di M. Jaubert, tomo II, pag. 266 e
69. In quest'ultimo luogo M. Jaubert non so perchè abbia preferito la
variante _Fîlâna_.
[1153] _Keitûn_ nel dialetto, arabico di Siria ed Egitto, vuol dire,
_ripostiglio_ o _magazzino_. Viene dal greco Κοιτὼν che, dal significato
primitivo di _letto_, passò a quelli di _camera_, _albergo_, e, presso i
Greci del medio evo, _guardaroba_ e _stazione di navi_: i quali si
veggano nella nuova edizione del _Thesaurus_ di Enrico Etienne.
[1154] Si vegga il fine del presente capitolo.
[1155] Presso Gaetani, _Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 113, e presso
i Bollandisti, tomo I, d'aprile, p, 607.
[1156] Presso Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 842.
[1157] Io pubblicai questa iscrizione nella _Revue Archéologique_ di
Parigi, del 1851, p. 669, seg. Alcuni eruditi palermitani vorrebbero
mantenere alla Cuba un altro secolo o due d'antichità, supponendo
l'iscrizione più moderna dell'edifizio. Ma non riflettono che la non è
incisa in lapide, ma proprio scolpita in giro delle mura, senza vestigie
di racconciamenti.
[1158] Girault de Prangey, _Essai sur l'architecture arabe_, Paris 1841,
tavola XIII, nº 3, 4.
[1159] In una colonna della cattedrale di Palermo, presso il Di
Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 137.
[1160] In due iscrizioni sepolcrali presso Di Gregorio, op. cit., p.
146, 152.
[1161] V'ha l'eccezione delle effigie d'uomini e animali in qualche
monumento, come i lioni dell'Alhambra ec. Ma in Sicilia non se ne vede
alcun esempio. I mosaici d'animali nella sala della Zisa in Palermo,
appartengono ai tempi normanni.
[1162] Si vegga il cap. V di questo Libro, p. 302, seg., del volume.
[1163] Si vegga il cap. IV di questo Libro, p. 274.
[1164] Il Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 188, ne diè un disegno
preso ad occhio, come si usava al suo tempo, e ridotto, nel quale ei
confessò non poter leggere che qualche sillaba; ed io stento anche a
questo. Si vegga, del resto, la nota della pagina precedente. Il disegno
di poche lettere che veggiamo nell'opera citata di Girault de Prangey,
_Essai_ ec., mostra la bellezza dei caratteri e la trascuranza di chi li
avea ritratti prima. L'amico Saverio Cavallari che mi ragguagliò qualche
anno addietro della distruzione dei caratteri, n'avea fatto altra volta
un disegno che fin qui non ci è riuscito di trovare.
[1165] Si ricordi che il miglior disegno è quel pubblicato dal Fazzello.
[1166] Il conte Annibale Maffei vicerè di Sicilia li tolse di Palermo e
recò a Verona. Scipione Maffei pubblicò le iscrizioni nel _Museo
Veronese_, p. 187, e indi il Di Gregorio nel _Rerum Arabicarum_, p. 146
a 149. Alla interpretazione attesero G. S. Assemani e il Tychsen. Son le
solite formole e brani del Corano, coi nomi proprii; l'uno dei quali mi
par vada letto _Ibrahim-ibn-Khelef-Dibâgi_ (in vece di _Ibrahimi
filii Holaf Aldinagi_), morto il 464 (1072); e l'altro è
Abd-el-Hamîd-ibn-Abd-er-Rahman-ibn-Scio'aïb, morto il 470 (1078).
Secondo il _Lobb-el-Lobâb_ di Soiuti, l'appellazione _Dibagi_, vuol dire
“operaio di seterie,” ed era anche nome patronimico nella discendenza
del califo Othoman-ibn-'Affân.
[1167] Presso Di Gregorio, op. cit., p. 144 e 152, il quale tolse
l'interpretazione da quelle pubblicate dall'abate De Longuerue e da
Adriano Reland. La prima dà il nome dello _sceikh e giurista sagacissimo
Ahmed-ibn-Sa'd-ibn-Mâlek_-(ibn-Abd?)_el-'Azîz bisognoso_ (dell'aiuto)
_del Signore_ (_non Gubernatoris jurisperiti sapientis Ahmedis filii
Saad ben el Malak potentissimi qui pauperis instar est erga dominum
suum_), morto il 413, (1023); e la seconda di _Mohammed-ibn-Abi-Se'âda_
(non _filii ebn Saadh_) morto il 444 (1052 non 471, ossia 1079). Le
quali iscrizioni non ben disegnate nè ben trascritte in caratteri
arabici, e però male interpretate, o furon tolte di Sicilia o Reggio, o
provano il soggiorno e morte nei dintorni di Napoli di due Musulmani di
Sicilia, Affrica o Spagna, che vi fossero andati, il primo forse per
faccende pubbliche o rifuggito, e il secondo per mercatura.
[1168] Presso di Gregorio, p. 164, 165, 166. I due primi non si possono
interpretare senza più esatti disegni. Nell'ultimo, il secondo rigo, mal
deciferato dal Di Gregorio, nè ben corretto da Fraehn, _Antiquités
Mohammed._, tomo I, p. 15, va letto: (Iddio vivente) “stante” e poi la
sentenza del Corano, sura XXXII, v. 21, (voi avete) “nell'inviato di
Dio, un bel conforto. Questo è il sepolcro d'Abu-Bekr...”
[1169] Presso Di Gregorio, p. 171, il quale sbagliò tutto, fuorchè una
formola e la data. Va letta così: ... (Benedica) Iddio al profeta
Maometto e sua schiatta..... (Chi spende il proprio avere in servigio)
di Dio, fa come l'acino di frumento, dal quale germoglian sette
spighe....... (Iddio prospera) cui vuole: immenso egli è e sapiente
[sura II, verso 263]........ (sepolcro di)...... ibn-Hosein, Rebe'i (?),
Fâresi.... morto.... l'anno 417 (1026).
[1170] Presso il Di Gregorio, p. 141. La leggenda mal trascritta dal Di
Gregorio è “Nè (spero) aiuto che in Dio,” sentenza tolta dal Corano,
sura XI, verso 90.
[1171] Pubblicata da Lanci, _Trattato delle simboliche rappresentanze_,
tomo II, p. 25.
[1172] Un lucido di questa iscrizione ch'era messa da architrave in una
finestra, mi fu mandato il 1853 dai signori Agostino Gallo e Saverio
Cavallari. Sendo inedita, mi par bene darne la versione: “In nome del
Dio clemente e misericordioso; che Iddio benedica al profeta Mohammed e
sua schiatta. “Ogni anima assaggerà la morte, nè avrete vostro
guiderdone che il dì della Risurrezione. Chi sarà campato dal fuoco e
introdotto nel Paradiso, sarà allor felice: perchè la vita di quaggiù
non è altro che roba d'inganno.” [Sura III, v. 182.] Questo è il
sepolcro di Oma-er-Rahman (cioè la _serva di Dio_) figliuola di
Mohammed, figlio di Fâs; la quale morì il primo.....”
[1173] Presso Di Gregorio, op. cit., p. 138 e 140.
[1174] Op. cit., p. 141. Il Di Gregorio lesse male l'ultima frase, nè
credo ben l'abbia corretta il Lanci, _Trattato delle simboliche
rappresentanze_ ec. Parigi, 1845, tomo II, p. 24, tavola XV. Parmi si
debba leggere _thikati Allah_, “La mia fidanza (è) Dio.”
[1175] Presso Di Gregorio, op. cit., p. 131. Non si può deciferare sul
rame che ne pubblicò il Di Gregorio con la interpretazione di Tychsen.
Ma di certo non v'ha una sillaba del verso 55 (si corregga 52) della
sura VII, che credette leggervi il professore di Rostock.
[1176] Mi fu mandata a Parigi il 1844 dal principe di Granatelli. Il
lato leggibile è a dritta di cui guardi. Nei due primi righi son le
formole; nel terzo, un frammento della sura XXXVIII, verso 67; nel
quarto “.... sepolcro del cadi Kkidhr...;” il quinto e sesto non si
scorgono bene; nel settimo “.... di Dio sopra di lui (morto) il venerdì
cinque...;” nell'ultimo: “quattro e novanta e....” mancando il secolo
che sarebbe il quarto o quinto della egira (1003, o 1100). A destra e
sinistra corrono due righi perpendicolari a mo' di cornice, che non ho
potuto leggere.
[1177] Presso il Di Gregorio, op. cit., p. 154. La lezione e
interpretazione di Tychsen, date dal Di Gregorio, difettano in molte
parti, e sbagliano la data ch'è pur chiarissima. Ecco come leggo questa
iscrizione, mettendo tra parentesi le parole da supplirsi, e indicando
con punti le altre che mancano: “(In nome di Dio) clemente e
misericordioso, (e benedica Iddio ec.) (Dì loro: Grave annunzio; e voi
ne ri-)fuggite [sura XXXVIII, verso 67, 68]. Questo è il sepolcro dello
sceikh........ il Kâid egregio Abu-Hasan-Ali figliuolo del....... il
giusto, e benedetto il trapassato Abu-Fadhl........ (figlio del).... e
benedetto il trapassato Abd-Allah, figlio di Moha(mmed).... (figlio
del).... e benedetto il trapassato Ali, figlio di Tâher.... (che sia
benigno) Iddio a lui. Il quale morì la notte del giovedì, cinque del
mese........ (e fu sepolto?) il venerdì, l'anno trecento cinquantanove
(969-70)... (morì attestando non esservi altro Dio) che Allah ed essere
Maometto l'inviato di Dio.” L'errore che notai nel testo è di porre il
nominativo _Abu_ in luogo del genitivo _abi_ nei due luoghi dove
occorre.
[1178] Si ricordi l'avvertenza fatta nella Introduzione, p. XVI e XXIV.
[1179] Si vegga il Lib. I, cap. III, V e VI, ed il Lib. III, cap. I, p.
283, 284, 296, 297, 321 del volume I, p. 5, 6 di questo volume, e
s'aggiungano le seguenti:
Oro, anno 268, (881-2) di grammi 1,05 nel Museo di Parigi. In fin
della leggenda del rovescio parmi leggere la voce _robâ'i_. Si
confronti con quella simile pubblicata da Castiglioni e notata da
Mortillaro, _Opere_, tomo III, p. 352, nº IX.
Oro, anno 295, (907-8) di grammi 4,25 nel Museo di Parigi col nome
del parricida Abu-Modhar-Ziadet-Allah.
In queste monete non si legge il nome di Sicilia, ma i dotti le credono
siciliane dall'opera. Le altre monete aghlabite di Sicilia notansi dal
Mortillaro, _Opere_, tomo III, p. 343, seg., nº I a XII.
[1180] Si vegga il catalogo nelle opere di Mortillaro, tomo III, p. 357,
seg., dal nº XIII all'LXXXIX. Quivi l'ultima con data dell'anno e del
paese è del 439, (1047-8).
A queste 77 monete sono da aggiugnere le seguenti:
Oro, anno 343 (954-5) di grammi 1,05 nel Museo di Parigi.
id. ” 344 (955-6) ” 1,05 ibid.
id. ” 1,05 } ibid. senza data,
id. ” 1,05 } col nome del
id. ” 1,05 } califo Moezz.
id. ” 396 (1005-6) indicata come quarto di dinâr da M.
Soret, _Lettre à S. E. etc. de
Fraehn_, Saint-Pétersbourg,
1851, p. 50 nº 121.
id. ” 414 (1023-4,
ovv. 424) di grammi 1,00 nel Museo di Parigi.
id. ” 421 (1030) ” 1,00 }
id. ” 422 (1031) ” 1,00 } ibid.
id. ” 423 (1031-2) ” 1,00 }
id. Altre otto senza
nome nè data ” 1,00 ibid.
id. ” 422 indicata come _triens_ da M. Soret,
p. 50, nº 122.
id. ” 437 (1045-6) id. p. 51, nº 124.
id. ” 445 (1053-4) id. p. 51, nº 125.
[1181] Il Mortillaro, vol. cit., p. 176, seg., 339, 340, citando il
Tychsen ed altri, ha sostenuto quest'uso dei vetri improntati; e mi par
s'apponga al vero. Ei nota, anche a ragione, la mancanza assoluta di
monete arabiche di rame battute in Sicilia; alla quale non credo si
possa opporre la moneta pubblicata dal principe di San Giorgio Spinelli,
_Monete cufiche dei principi longobardi_ ec., p. 31, nº CXXX. Prima,
perchè non v'ha data di anno nè di luogo; e secondo, per essere molto
dubbia la leggenda _Emir-el-Mumenîn_ che l'autore credè scoprirvi. Resta
a trovare il paese e l'età in che fu coniata questa e altre monete di
rame, certamente musulmane, che il principe di San Giorgio dà nella
tavola IV.
[1182] Nei varii MSS. questa voce è scritta senza mozioni. È da leggere
_o_ la prima vocale, come in aggettivo numerale distributivo che nel
nostro caso significa “di quei che vanno a quattro” (in un dinâr)
proprio il latino _quaterni_. Ho fatto già parola di questa sorta di
moneta siciliana, nel cap. VII del presente libro, p. 334 del volume. Le
autorità sono, in ordine cronologico: 1º Ibn-Haukal, _Geografia_, nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 11, secolo X; 2º Ibn-Khallikân nel
luogo che cito al cap. VIII, p. 334, il qual autore trascrive le parole
d'Ibn-Rescik, che visse nell'XI secolo, ma riferiva un fatto del X; 3º
Ibn-Giobair, stessa citazione, XII secolo; 4º diploma arabico di Sicilia
del 1190 presso Di Gregorio, _De supputandis apud arabes temporibus_, p.
40, 42.
Una trentina di dinâr d'oro, tra omeiadi e abbassidi, che ho pesati nel
Museo di Parigi, sono per lo più di 4 grammi traboccanti. Dieci _dinâr_
fatemiti d'Egitto mi han dato lo stesso risultamento: il migliore arriva
a grammi 4,35, e il più scadente a grammi 3,45.
[1183] Ne diremo più distesamente nel sesto Libro.
[1184] Il singolare nei detti diplomi è _tare_.
[1185] _Regii Neapolitani Archivii Monumenta_, Napoli, 1845, seg., in
4º. Il tari vi occorre per la prima volta in un diploma di Gaeta del
909, tomo I, parte I, p. 9, dove si vegga l'erudita nota degli editori.
Poi negli atti privati stipolati a Napoli infino al mille, i prezzi son
pagati per lo più in _tari_ d'oro. Nel documento CCXL, anno 996, dato di
Napoli, tomo II, p. 143, si legge “auri solidos XIII de tari ana
quadtuor tari per unoquoque solidos,” la quale proporzione è replicata,
con più o meno errori di grammatica, nei documenti CCXXXIII, anno 993,
p. 129, e CCLV, anno 977, seg., 178. Si vegga anche il diploma del 1076
dell'Archivio della Cava, citato da M. Huillard-Breholles, nelle
_Recherches sur les Monuments et l'histoire des Normands_ etc. _dans
l'Italie Méridionale, publiées par les soins de M. le duc de Luynes_, p.
166, dove si fa menzione di soldi d'oro, ciascun dei quali tornava a
quattro tari di moneta d'Amalfi.
[1186] _Monete cufiche battute dai principi longobardi_ ec.
_interpretate.... dal principe di San Giorgio Domenico Spinelli._ Nella
prefazione dell'erudito signor Michele Tafuri, p. XXII, seg., si accenna
la lega inferiore a quella di Sicilia; e in una nota, p. 227, la
differenza dei caratteri. Le monete di cui trattiamo son le prime trenta
della raccolta. Il peso varia da 18 a 23 acini di Napoli, cioè da 0,80
ad un grammo. Debbo aggiugnere che, accettando le conchiusioni generali
dei dotti editori, non son d'accordo in tutti i particolari. Per
esempio, varie leggende non mi sembrano ben trascritte; non tengo punto
provata la cronologia che distribuisce coteste monete ai principi di
Salerno; nè che tutte sieno state coniate in Salerno. Ve n'ha forse
d'Amalfi; e forse è di Napoli il nº XXVII.
[1187] Il _dal_ arabico è suono partecipante della _d_ e della _t_; e
trascrivendolo in latino o greco, si rendea sempre con la _t_: per
esempio da _dâr-es-sen'a_, “tarsianatus,” donde noi abbiam fatto
“arzana' e arsenale.”
[1188] Il _dirhem_, peso, parte aliquota dell'_ukîa_ (uncia) e
differente secondo i paesi, si adoperava esclusivamente per l'argento.
Dal peso in argento nacque la denominazione di moneta ch'era usata fin
dai tempi di Maometto; e rimase sola moneta _nisâb_, ossia legale, in
che si ragionava la decima, il prezzo del sangue ec. Il dirhem, moneta
effettiva, fu poi diverso.
Or il _robâ'i_ tornava a tre dirhem _nisâb_, poichè il dinâr si ragionò
dodici. Naturalmente gli Arabi di Sicilia, nel commercio, chiamavan
quella moneta d'oro “un tre dirhem,” e nell'uso bastava dire _trâhîm_ al
plurale. Il vocabolo _tari_, introdotto in tal modo presso gl'Italiani
di Napoli e poi presso i Normanni e Italiani di Sicilia, restò
denominazione di moneta d'oro; mentre da un'altra mano i Normanni di
Sicilia, usando il sistema degli Arabi, ebbero il dirhem moneta ed anche
il dirhem, o _tari_, peso di argento. Indi la voce _tari-peso_ o
_trappeso_. Spariti con la dinastia normanna i tari d'oro, la voce
_tari_ restò come denominazione di peso e moneta d'argento. Gli eruditi
del secolo passato arrivarono, dopo molti errori e ricerche, a
distinguere i _tari_ dei diplomi antichi da quei che aveano alle mani e
che valeano quasi la quarta parte dei primi, cui chiamarono per questo
tari d'oro. Il dotto Conte Castiglioni sbagliò, come parmi, negando
cosiffatta etimologia della voce _tari_.
[1189] _Tarîkh-el-Hokemâ._ Ho accennato nel Libro III, cap. V, p. 100
del volume, l'articolo sopra Empedocle. Il testo di tutti gli estratti
di Zuzeni è ormai pubblicato nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 613,
seg. Nella biografia d'Archimede, si riferisce al gran Siracusano il
disegno delle dighe e ponti che dettero abilità a coltivare gran tratto
della valle del Nilo nelle inondazioni di che fecero cenno gli antichi
(veggasi Harles, _Bibliotheca Græca_, tomo IV, p. 172); e gli si
attribuiscono molte opere genuine o spurie, e tra le seconde, credo io,
un “Discorso su gli orologi ad acqua con soneria” che Casiri
erroneamente suppone significare il bindolo, (_Bibliotheca
Arabico-Hispana_, tomo I, p. 383.) Di Corace si dà il noto aneddoto col
discepolo non trascrivendo il nome, ma traducendolo _Ghorâb_ (Corbo,
Κόραξ), e aggiugnendo che egli fu greco dell'Isola di Sicilia. Archimede
ed Empedocle si dicono greci senz'altro.
[1190] _Kitâb-el-Mewâ'iz_, ediz. di Bulâk, tomo I, p, 127, e nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 669. Una versione di questo squarcio, per
M. Caussin de Perceval si legge nelle _Notices et Extraits des MSS._,
tomo VIII, p. 33, segg.
[1191] Estratto della _Dorra-Khalíra_ (Perla Egregia ec.) d'Ibn-Kattâ',
inserito nella Kharîda d'Imâd-ed-dîn, _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo,
p. 596. I versi leggonsi nel MSS. della _Kharîda_, di Parigi, Ancien
Fonds, 1375, fog. 43 verso, e del British-Museum, Rich. 7593, fog. 35
recto. Ecco i tre dell'elegia ch'io cito, scritta non sappiamo per quale
personaggio.
“Alla morte (_appartien_) ciò che nasce, non alla vita: l'uomo non è che
ostaggio di essa.
Diresti gli anni suoi (_foglio_) di cui si spieghi un lembo, finchè
sopravvien la morte e sel ravvolge.
Chi impreca al tempo non l'intacca, no; ma quand'esso scocca (suo
strale) non fallisce mai il colpo.”
[1192] Ovvero Kerni. L'uno e l'altro è nome di tribù; e il secondo anche
etnico, da un villaggio presso Bagdad.
[1193] _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 395.
[1194] _Mo'gem_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 149. Questo passo
serbatoci da Iakût, manca, come tanti altri, nei MSS. d'Ibn-Haukal che
abbiamo in Europa. La carta di Istakhri lo conferma pienamente.
[1195] Si vegga la tavola delle longitudini e latitudini pubblicata da
Lelewel nell'Atlante della _Géographie du moyen-âge_, Bruxelles, 1850.
Ibn-Iûnis, nella lista delle posizioni geografiche (p. 4) segna le
seguenti:
Sicilia (forse a Palermo) long. 39° lat. 39°
Tunis 29° 33°
Kairewân 31° 31° 40′
Tripoli d'Affrica 40° 40′ 33°
[1196] _Mo'gem_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 115 del testo dove
si dà allo Stretto il nome di Faro.
[1197] Op. cit., p. 114.
[1198] Ibn-Haukal, op. cit., p. 119, il qual passo si trova soltanto nel
_Mo'gem_. Ibn-Haukal non conoscea forse le carte greche rifatte dagli
22 della sura II.
[1093] _Kitâb-el-Asciârât_ di Herawi, ibid., e se ne vegga la versione
inglese del professor Samuele Lee, in appendice allo _Ibn-Batuta's
Travels_, Londra, 1829, in 4º, p. 6. Herawi venne in Sicilia dopo il
1173, e morì ad Aleppo il 1215. Si vegga Reinaud, _Géographie
d'Aboulfeda_, Introduzione, p. CXXVII, seg.
[1094] Si vegga in questo periodo la _Storia critica delle eruzioni
dell'Etna_ del canonico Giuseppe Alessi.
[1095] _Tenbîh_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 2.
[1096] Il nome è guasto in tutti i MSS. La buona lezione mi sembra
_iascf_ (in francese _yachf_) variante di _iascb_ che adopera Masûdi.
Come ognun vede, l'una e l'altra è il latino _jaspis_, d'origine
semitica, del quale i Francesi han fatto _jaspe_. Gli Arabi rendono
indistintamente con una _f_ o una _b_ la _p_ che manca in loro alfabeto.
Ognun sa la copia, mole e qualità dei diaspri e soprattutto delle agate
di Sicilia. Gli antichi favoleggiavano su le proprietà mediche
dell'agata, più o meno, come Masûdi.
[1097] _Mo'gem_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 118.
[1098] Si vegga a p. 439.
[1099] _Notices et Extraits des MSS._, tomo XII, p. 463.
[1100] _Mo'gem_, op. cit., p. 116, 118. L'etimologia sembra piuttosto
confusa col Πλοῦτος che ai tempi dei Pagani, come ai nostri, era il Dio
dell'oro e dell'inferno.
[1101] _Mo'gem_, op. cit., p. 116 e 118. Si ricordi anche la miniera di
ferro presso Palermo, di cui Ibn-Haukal.
[1102] Presso Gaetani, _Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 113, e presso
i Bollandisti, tomo I, di aprile, p. 607.
[1103] _Mo'gem_, op. cit., p. 118.
[1104] Ibn-Hamdîs in una poesia che ho pubblicato nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, testo, p. 565, dice de' fuochi lanciati dall'armatetta
siracusana in una impresa contro i Cristiani.
[1105] Iakut non ne fa parola, nè Edrisi. Il primo che li accenni è
Ibn-Scebbât, _Biblioteca Arabo Sicula_, testo, p. 210, negli estratti
non già di Bekri, ma del continuatore per nome Ibn-Ghalanda.
[1106] _Mo'gem_, op. cit., p. 115.
[1107] I fiumi di Lentini, Ragusa e Mazara.
[1108] I diplomi dell'XI e XII secolo dicono di foreste e boschi or
distrutti, come la foresta del monte Linario presso Messina, il bosco
Adrano tra Prizzi e Bivona ec. L'Etna perde molto dei suoi da un secolo
in qua. Il Monte Pellegrino di Palermo fu terreno boschivo fino al XV
secolo. Edrisi dice della _Benît_ (Pineta) a ponente di Buccheri ec.
[1109] _Mo'gem_, op. cit., p. 111.
[1110] _Vita di San Filareto_, l. c.
[1111] Squarcio dato da Ibn-Scebbât, _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo,
p. 210.
[1112] _Mo'gem_, op. cit., p. 116.
[1113] Si vegga il cap. V di questo Libro, p. 295 del volume, e un altro
squarcio d'Ibn-Haukal trascritto nel _Mo'gem_, op. cit., p. 119, ove
leggiamo “La più parte del terreno di Sicilia è da seminato.”
[1114] _Mo'gem_, op. cit., p. 116. Il testo dice: “e la terra di Sicilia
produce lo zafferano.” Tutto questo squarcio par si debba attribuire ad
Abu-Ali.
[1115] _Mo'gem_, op. cit., p. 110.
[1116] Ibn-Haukal dice del cotone coltivato a Cartagine ed a Msila.
_Descrizione dell'Affrica_, versione di M. De Slane, nel _Journal
Asiatique_, serie III, tomo XIII.
[1117] Si vegga sopra, cap. V del presente Libro, p. 299 a 307.
[1118] Si vegga il Lib. I, cap. IX, p. 206 del volume I, nota 2; e il
Lib. II, cap. X, p. 415 dello stesso volume. Per l'XI secolo l'attesta
Bekri; pel XII i diplomi.
[1119] Le poesie arabiche a lode del re Ruggiero, delle quali si
tratterà a suo luogo, descrivono le piantagioni di agrumi nella villa
regia di Favara o Maredolce presso Palermo. Un diploma del 1094 presso
Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 770, dice di una _Via de Arangeriis_ presso
Patti.
Da un'altra mano si sa che varie sorta di melarance vennero dall'India
in Siria ed Egitto dopo il principio del quarto secolo dell'egira e
decimo dell'era cristiana. Veggasi una nota di M. de Sacy
all'Abdallatif, _Relation de l'Egypte_, p. 117. Probabilmente la
Sicilia, la Spagna, e con esse gli altri paesi in sul bacino occidentale
del Mediterraneo ebbero gli aranci e i cedri in questo medesimo tempo
dalla Siria e dall'Egitto.
[1120] La canna da zucchero, secondo Ibn-Haukal, e però nel X secolo, si
coltivava in Affrica (versione di M. De Slane, nel _Journal Asiatique_,
III serie, tomo XIII); secondo Ibn-Awwâm, e però nell'XI, era notissima
in Spagna; un diploma del 1176, parla di un molino da _cannamele_ in
Palermo; e però non è dubbio che cotesta industria risalisse in Sicilia
all'XI o anche al X secolo.
[1121] La piantagione di datteri a San Giovanni dei Leprosi fuori
Palermo, posta accanto a un oliveto, è ricordata in un diploma del 1249
presso Mongitore, _Sacræ domus Mansionis... Monumenta_, cap. IV. Fu
tagliata nel XIV secolo dall'esercito angioino che assediò Palermo.
[1122] Edrisi dà il nome di _Nahr-Tût_ “fiume Gelso” al fiume detto oggi
Arena a mezzogiorno di Mazara, e dice dell'abbondanza della seta
prodotta a San Marco in Val Demone.
[1123] Si scorge da due diplomi del 1284, e dalla Cronica di D'Esclot,
cap. CX, dei quali ho fatto cenno nella _Guerra del Vespro Siciliano_,
edizione di Firenze, 1851, cap. X, p. 209.
[1124] _Mo'gem_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 116.
[1125] _Vita di San Filareto_, presso Gaetani, _Sanctorum Siculorum_,
tomo li, p. 113, e presso i Bollandisti, tomo I, di aprile, p. 607.
[1126] _Mo'gem_, l. c.
[1127] _Vita di San Filareto_, l. c. La versione latina del Padre
Fiorito ha: _ad vehicula trahenda aptissimi_; ma mancando il testo
greco, non siam certi se si tratti di carri o di lettighe.
[1128] _Mo'gem_, l. c.
[1129] _Mo'gem_ e _Vita di San Filareto_, ll. cc. Si ricordin anco i
grandi armenti dell'emiro Iûsuf, cap. VIII del presente Libro, p. 354
del volume.
[1130] _Vita di San Filareto_, l. c.
[1131] _Mo'gem_ e _Vita di San Filareto_, ll. cc.
[1132] _Vita di San Filareto_, l. c.
[1133] _Mo'gem_, op. cit., p. 116 a 118. In Sicilia le vipere e gli
scorpioni sono assai più rari e men letali che in Affrica, Egitto ed
Oriente.
[1134] _Libro de Agricultura, su autor.... ebn el Awam Sevillano_,
versione spagnuola di Banqueri, col testo arabico, Madrid, 1802, in
folio, tomo II, p. 193 e 231. Si tratta d'una specie di popone, detta in
arabico _Nefâq_, credo quel che in Sicilia si dicono meloni da tavola,
ovvero i meloni d'inverno.
[1135] “Nuara” (in arabico _nowâr_, secondo Ibn-'Awwâm, tomo II, p. 213)
si addimanda l'aja di poponi, zucche, cocomeri; “vaitali” (ar. _batîl_)
il rigagnolo dei giardini: “gebbia” (ar. _giâbia_), un gran serbatoio
d'acqua per irrigare gli orti ec.
[1136] La malvetta rosata, come la chiamiamo in Sicilia, è il
_Pelargonium radula roseum_ dei botanici.
[1137] Ibn-'Awwâm, op. cit., tomo II, p. 296.
[1138] Ibn-'Awwâm, op. cit., tomo II, p. 418.
[1139] Ibn-'Awwâm, op. cit., tomo II, p. 104.
[1140] _Kitab-el-Felaha_, d'Aba-abd-Allah-Mohammed-ibn-Hosein, citato da
M. Cherbonneau in una Memoria su la _Culture arabe au moyen-âge_ negli
_Annales de la Colonisation algérienne_, giugno 1854.
[1141] Diploma del 1140, pel quale si concedono alla Chiesa di Catania
“duas terras ad bombacea” presso De Grossis, _Decacordum_, tomo I, p.
77. Edrisi nota che il cotone si coltivava in gran copia a Partinico.
[1142] Ibn-Sa'id, _Kitâb-el-Badi_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_,
testo, p. 137, e _Mokhtaser Gighrafia_, op. cit., p. 134, con la
correzione a p. 43 dell'introduzione, ove si tratta di Pantellaria.
[1143] Fazzello, Deca I, lib. I, cap. 1.
[1144] Abu-Mehasin, _Storia d'Egitto_, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 660,
fog. 103 recto, facendo parola di Rascida e Abda figliuole di Moezz,
nate innanzi il 972 e morte sotto il regno di Hâkem (996-1021), dice
aver la prima lasciato il valsente d'1,700,000 di dinâr, in drappi di
varie sorte e profumi, e la seconda un moggio di smeraldi, tanti
quintali d'argento ec., e trentamila _scikke_ (o sciukke) siciliane.
Questa voce significa taglio d'abito, nè sappiam se sia nome generico
ovvero appellazione speciale di questo drappo. Se in quelle cifre si
sente l'odor delle mille e una notte, il cronista ch'ebbe alle mani
Abu-Mehasin, non inventò quella maniera di drappo. D'altronde abbiam
fatto cenno del gran lusso degli Zirîti in Affrica: e le ricchezze dei
despoti son talvolta di quelle verità verissime che han sembiante di
favola.
[1145] Si vegga il cap. XI del Lib. III, p. 230 di questo volume.
[1146] Si chiama volgarmente Calatrasi. Tirazi vuol dire artefice del
_tirâz_, ossia opificio regio delle vesti di seta ricamata. Si vegga su
questo indizio di _Kalat-et-Tirazi_ una nota nell'erudita opera di M.
Francisque-Michel, _Récherches sur les étoffes de soie au moyen âge_,
Paris, 1852, in 4º, tomo I, p. 77, al quale io ho dato questa notizia e
in cambio ne toglierò cento, spigolate nelle antiche poesie francesi,
che serviranno a illustrare questa industria siciliana nel XII e XIII
secolo.
[1147] Si vegga la p. 443.
[1148] Bekri, _Notices et Extraits des MSS._, tomo XII, p. 463.
[1149] Op. cit., p. 480, 488.
[1150] Si vegga il cap. II di questo Libro, p. 247, seg.
[1151] Ho dato il testo di quel paragrafo nella _Biblioteca
Arabo-Sicula_, p. 10.
[1152] Edrisi, _Géographie_, versione di M. Jaubert, tomo II, pag. 266 e
69. In quest'ultimo luogo M. Jaubert non so perchè abbia preferito la
variante _Fîlâna_.
[1153] _Keitûn_ nel dialetto, arabico di Siria ed Egitto, vuol dire,
_ripostiglio_ o _magazzino_. Viene dal greco Κοιτὼν che, dal significato
primitivo di _letto_, passò a quelli di _camera_, _albergo_, e, presso i
Greci del medio evo, _guardaroba_ e _stazione di navi_: i quali si
veggano nella nuova edizione del _Thesaurus_ di Enrico Etienne.
[1154] Si vegga il fine del presente capitolo.
[1155] Presso Gaetani, _Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 113, e presso
i Bollandisti, tomo I, d'aprile, p, 607.
[1156] Presso Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 842.
[1157] Io pubblicai questa iscrizione nella _Revue Archéologique_ di
Parigi, del 1851, p. 669, seg. Alcuni eruditi palermitani vorrebbero
mantenere alla Cuba un altro secolo o due d'antichità, supponendo
l'iscrizione più moderna dell'edifizio. Ma non riflettono che la non è
incisa in lapide, ma proprio scolpita in giro delle mura, senza vestigie
di racconciamenti.
[1158] Girault de Prangey, _Essai sur l'architecture arabe_, Paris 1841,
tavola XIII, nº 3, 4.
[1159] In una colonna della cattedrale di Palermo, presso il Di
Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 137.
[1160] In due iscrizioni sepolcrali presso Di Gregorio, op. cit., p.
146, 152.
[1161] V'ha l'eccezione delle effigie d'uomini e animali in qualche
monumento, come i lioni dell'Alhambra ec. Ma in Sicilia non se ne vede
alcun esempio. I mosaici d'animali nella sala della Zisa in Palermo,
appartengono ai tempi normanni.
[1162] Si vegga il cap. V di questo Libro, p. 302, seg., del volume.
[1163] Si vegga il cap. IV di questo Libro, p. 274.
[1164] Il Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 188, ne diè un disegno
preso ad occhio, come si usava al suo tempo, e ridotto, nel quale ei
confessò non poter leggere che qualche sillaba; ed io stento anche a
questo. Si vegga, del resto, la nota della pagina precedente. Il disegno
di poche lettere che veggiamo nell'opera citata di Girault de Prangey,
_Essai_ ec., mostra la bellezza dei caratteri e la trascuranza di chi li
avea ritratti prima. L'amico Saverio Cavallari che mi ragguagliò qualche
anno addietro della distruzione dei caratteri, n'avea fatto altra volta
un disegno che fin qui non ci è riuscito di trovare.
[1165] Si ricordi che il miglior disegno è quel pubblicato dal Fazzello.
[1166] Il conte Annibale Maffei vicerè di Sicilia li tolse di Palermo e
recò a Verona. Scipione Maffei pubblicò le iscrizioni nel _Museo
Veronese_, p. 187, e indi il Di Gregorio nel _Rerum Arabicarum_, p. 146
a 149. Alla interpretazione attesero G. S. Assemani e il Tychsen. Son le
solite formole e brani del Corano, coi nomi proprii; l'uno dei quali mi
par vada letto _Ibrahim-ibn-Khelef-Dibâgi_ (in vece di _Ibrahimi
filii Holaf Aldinagi_), morto il 464 (1072); e l'altro è
Abd-el-Hamîd-ibn-Abd-er-Rahman-ibn-Scio'aïb, morto il 470 (1078).
Secondo il _Lobb-el-Lobâb_ di Soiuti, l'appellazione _Dibagi_, vuol dire
“operaio di seterie,” ed era anche nome patronimico nella discendenza
del califo Othoman-ibn-'Affân.
[1167] Presso Di Gregorio, op. cit., p. 144 e 152, il quale tolse
l'interpretazione da quelle pubblicate dall'abate De Longuerue e da
Adriano Reland. La prima dà il nome dello _sceikh e giurista sagacissimo
Ahmed-ibn-Sa'd-ibn-Mâlek_-(ibn-Abd?)_el-'Azîz bisognoso_ (dell'aiuto)
_del Signore_ (_non Gubernatoris jurisperiti sapientis Ahmedis filii
Saad ben el Malak potentissimi qui pauperis instar est erga dominum
suum_), morto il 413, (1023); e la seconda di _Mohammed-ibn-Abi-Se'âda_
(non _filii ebn Saadh_) morto il 444 (1052 non 471, ossia 1079). Le
quali iscrizioni non ben disegnate nè ben trascritte in caratteri
arabici, e però male interpretate, o furon tolte di Sicilia o Reggio, o
provano il soggiorno e morte nei dintorni di Napoli di due Musulmani di
Sicilia, Affrica o Spagna, che vi fossero andati, il primo forse per
faccende pubbliche o rifuggito, e il secondo per mercatura.
[1168] Presso di Gregorio, p. 164, 165, 166. I due primi non si possono
interpretare senza più esatti disegni. Nell'ultimo, il secondo rigo, mal
deciferato dal Di Gregorio, nè ben corretto da Fraehn, _Antiquités
Mohammed._, tomo I, p. 15, va letto: (Iddio vivente) “stante” e poi la
sentenza del Corano, sura XXXII, v. 21, (voi avete) “nell'inviato di
Dio, un bel conforto. Questo è il sepolcro d'Abu-Bekr...”
[1169] Presso Di Gregorio, p. 171, il quale sbagliò tutto, fuorchè una
formola e la data. Va letta così: ... (Benedica) Iddio al profeta
Maometto e sua schiatta..... (Chi spende il proprio avere in servigio)
di Dio, fa come l'acino di frumento, dal quale germoglian sette
spighe....... (Iddio prospera) cui vuole: immenso egli è e sapiente
[sura II, verso 263]........ (sepolcro di)...... ibn-Hosein, Rebe'i (?),
Fâresi.... morto.... l'anno 417 (1026).
[1170] Presso il Di Gregorio, p. 141. La leggenda mal trascritta dal Di
Gregorio è “Nè (spero) aiuto che in Dio,” sentenza tolta dal Corano,
sura XI, verso 90.
[1171] Pubblicata da Lanci, _Trattato delle simboliche rappresentanze_,
tomo II, p. 25.
[1172] Un lucido di questa iscrizione ch'era messa da architrave in una
finestra, mi fu mandato il 1853 dai signori Agostino Gallo e Saverio
Cavallari. Sendo inedita, mi par bene darne la versione: “In nome del
Dio clemente e misericordioso; che Iddio benedica al profeta Mohammed e
sua schiatta. “Ogni anima assaggerà la morte, nè avrete vostro
guiderdone che il dì della Risurrezione. Chi sarà campato dal fuoco e
introdotto nel Paradiso, sarà allor felice: perchè la vita di quaggiù
non è altro che roba d'inganno.” [Sura III, v. 182.] Questo è il
sepolcro di Oma-er-Rahman (cioè la _serva di Dio_) figliuola di
Mohammed, figlio di Fâs; la quale morì il primo.....”
[1173] Presso Di Gregorio, op. cit., p. 138 e 140.
[1174] Op. cit., p. 141. Il Di Gregorio lesse male l'ultima frase, nè
credo ben l'abbia corretta il Lanci, _Trattato delle simboliche
rappresentanze_ ec. Parigi, 1845, tomo II, p. 24, tavola XV. Parmi si
debba leggere _thikati Allah_, “La mia fidanza (è) Dio.”
[1175] Presso Di Gregorio, op. cit., p. 131. Non si può deciferare sul
rame che ne pubblicò il Di Gregorio con la interpretazione di Tychsen.
Ma di certo non v'ha una sillaba del verso 55 (si corregga 52) della
sura VII, che credette leggervi il professore di Rostock.
[1176] Mi fu mandata a Parigi il 1844 dal principe di Granatelli. Il
lato leggibile è a dritta di cui guardi. Nei due primi righi son le
formole; nel terzo, un frammento della sura XXXVIII, verso 67; nel
quarto “.... sepolcro del cadi Kkidhr...;” il quinto e sesto non si
scorgono bene; nel settimo “.... di Dio sopra di lui (morto) il venerdì
cinque...;” nell'ultimo: “quattro e novanta e....” mancando il secolo
che sarebbe il quarto o quinto della egira (1003, o 1100). A destra e
sinistra corrono due righi perpendicolari a mo' di cornice, che non ho
potuto leggere.
[1177] Presso il Di Gregorio, op. cit., p. 154. La lezione e
interpretazione di Tychsen, date dal Di Gregorio, difettano in molte
parti, e sbagliano la data ch'è pur chiarissima. Ecco come leggo questa
iscrizione, mettendo tra parentesi le parole da supplirsi, e indicando
con punti le altre che mancano: “(In nome di Dio) clemente e
misericordioso, (e benedica Iddio ec.) (Dì loro: Grave annunzio; e voi
ne ri-)fuggite [sura XXXVIII, verso 67, 68]. Questo è il sepolcro dello
sceikh........ il Kâid egregio Abu-Hasan-Ali figliuolo del....... il
giusto, e benedetto il trapassato Abu-Fadhl........ (figlio del).... e
benedetto il trapassato Abd-Allah, figlio di Moha(mmed).... (figlio
del).... e benedetto il trapassato Ali, figlio di Tâher.... (che sia
benigno) Iddio a lui. Il quale morì la notte del giovedì, cinque del
mese........ (e fu sepolto?) il venerdì, l'anno trecento cinquantanove
(969-70)... (morì attestando non esservi altro Dio) che Allah ed essere
Maometto l'inviato di Dio.” L'errore che notai nel testo è di porre il
nominativo _Abu_ in luogo del genitivo _abi_ nei due luoghi dove
occorre.
[1178] Si ricordi l'avvertenza fatta nella Introduzione, p. XVI e XXIV.
[1179] Si vegga il Lib. I, cap. III, V e VI, ed il Lib. III, cap. I, p.
283, 284, 296, 297, 321 del volume I, p. 5, 6 di questo volume, e
s'aggiungano le seguenti:
Oro, anno 268, (881-2) di grammi 1,05 nel Museo di Parigi. In fin
della leggenda del rovescio parmi leggere la voce _robâ'i_. Si
confronti con quella simile pubblicata da Castiglioni e notata da
Mortillaro, _Opere_, tomo III, p. 352, nº IX.
Oro, anno 295, (907-8) di grammi 4,25 nel Museo di Parigi col nome
del parricida Abu-Modhar-Ziadet-Allah.
In queste monete non si legge il nome di Sicilia, ma i dotti le credono
siciliane dall'opera. Le altre monete aghlabite di Sicilia notansi dal
Mortillaro, _Opere_, tomo III, p. 343, seg., nº I a XII.
[1180] Si vegga il catalogo nelle opere di Mortillaro, tomo III, p. 357,
seg., dal nº XIII all'LXXXIX. Quivi l'ultima con data dell'anno e del
paese è del 439, (1047-8).
A queste 77 monete sono da aggiugnere le seguenti:
Oro, anno 343 (954-5) di grammi 1,05 nel Museo di Parigi.
id. ” 344 (955-6) ” 1,05 ibid.
id. ” 1,05 } ibid. senza data,
id. ” 1,05 } col nome del
id. ” 1,05 } califo Moezz.
id. ” 396 (1005-6) indicata come quarto di dinâr da M.
Soret, _Lettre à S. E. etc. de
Fraehn_, Saint-Pétersbourg,
1851, p. 50 nº 121.
id. ” 414 (1023-4,
ovv. 424) di grammi 1,00 nel Museo di Parigi.
id. ” 421 (1030) ” 1,00 }
id. ” 422 (1031) ” 1,00 } ibid.
id. ” 423 (1031-2) ” 1,00 }
id. Altre otto senza
nome nè data ” 1,00 ibid.
id. ” 422 indicata come _triens_ da M. Soret,
p. 50, nº 122.
id. ” 437 (1045-6) id. p. 51, nº 124.
id. ” 445 (1053-4) id. p. 51, nº 125.
[1181] Il Mortillaro, vol. cit., p. 176, seg., 339, 340, citando il
Tychsen ed altri, ha sostenuto quest'uso dei vetri improntati; e mi par
s'apponga al vero. Ei nota, anche a ragione, la mancanza assoluta di
monete arabiche di rame battute in Sicilia; alla quale non credo si
possa opporre la moneta pubblicata dal principe di San Giorgio Spinelli,
_Monete cufiche dei principi longobardi_ ec., p. 31, nº CXXX. Prima,
perchè non v'ha data di anno nè di luogo; e secondo, per essere molto
dubbia la leggenda _Emir-el-Mumenîn_ che l'autore credè scoprirvi. Resta
a trovare il paese e l'età in che fu coniata questa e altre monete di
rame, certamente musulmane, che il principe di San Giorgio dà nella
tavola IV.
[1182] Nei varii MSS. questa voce è scritta senza mozioni. È da leggere
_o_ la prima vocale, come in aggettivo numerale distributivo che nel
nostro caso significa “di quei che vanno a quattro” (in un dinâr)
proprio il latino _quaterni_. Ho fatto già parola di questa sorta di
moneta siciliana, nel cap. VII del presente libro, p. 334 del volume. Le
autorità sono, in ordine cronologico: 1º Ibn-Haukal, _Geografia_, nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 11, secolo X; 2º Ibn-Khallikân nel
luogo che cito al cap. VIII, p. 334, il qual autore trascrive le parole
d'Ibn-Rescik, che visse nell'XI secolo, ma riferiva un fatto del X; 3º
Ibn-Giobair, stessa citazione, XII secolo; 4º diploma arabico di Sicilia
del 1190 presso Di Gregorio, _De supputandis apud arabes temporibus_, p.
40, 42.
Una trentina di dinâr d'oro, tra omeiadi e abbassidi, che ho pesati nel
Museo di Parigi, sono per lo più di 4 grammi traboccanti. Dieci _dinâr_
fatemiti d'Egitto mi han dato lo stesso risultamento: il migliore arriva
a grammi 4,35, e il più scadente a grammi 3,45.
[1183] Ne diremo più distesamente nel sesto Libro.
[1184] Il singolare nei detti diplomi è _tare_.
[1185] _Regii Neapolitani Archivii Monumenta_, Napoli, 1845, seg., in
4º. Il tari vi occorre per la prima volta in un diploma di Gaeta del
909, tomo I, parte I, p. 9, dove si vegga l'erudita nota degli editori.
Poi negli atti privati stipolati a Napoli infino al mille, i prezzi son
pagati per lo più in _tari_ d'oro. Nel documento CCXL, anno 996, dato di
Napoli, tomo II, p. 143, si legge “auri solidos XIII de tari ana
quadtuor tari per unoquoque solidos,” la quale proporzione è replicata,
con più o meno errori di grammatica, nei documenti CCXXXIII, anno 993,
p. 129, e CCLV, anno 977, seg., 178. Si vegga anche il diploma del 1076
dell'Archivio della Cava, citato da M. Huillard-Breholles, nelle
_Recherches sur les Monuments et l'histoire des Normands_ etc. _dans
l'Italie Méridionale, publiées par les soins de M. le duc de Luynes_, p.
166, dove si fa menzione di soldi d'oro, ciascun dei quali tornava a
quattro tari di moneta d'Amalfi.
[1186] _Monete cufiche battute dai principi longobardi_ ec.
_interpretate.... dal principe di San Giorgio Domenico Spinelli._ Nella
prefazione dell'erudito signor Michele Tafuri, p. XXII, seg., si accenna
la lega inferiore a quella di Sicilia; e in una nota, p. 227, la
differenza dei caratteri. Le monete di cui trattiamo son le prime trenta
della raccolta. Il peso varia da 18 a 23 acini di Napoli, cioè da 0,80
ad un grammo. Debbo aggiugnere che, accettando le conchiusioni generali
dei dotti editori, non son d'accordo in tutti i particolari. Per
esempio, varie leggende non mi sembrano ben trascritte; non tengo punto
provata la cronologia che distribuisce coteste monete ai principi di
Salerno; nè che tutte sieno state coniate in Salerno. Ve n'ha forse
d'Amalfi; e forse è di Napoli il nº XXVII.
[1187] Il _dal_ arabico è suono partecipante della _d_ e della _t_; e
trascrivendolo in latino o greco, si rendea sempre con la _t_: per
esempio da _dâr-es-sen'a_, “tarsianatus,” donde noi abbiam fatto
“arzana' e arsenale.”
[1188] Il _dirhem_, peso, parte aliquota dell'_ukîa_ (uncia) e
differente secondo i paesi, si adoperava esclusivamente per l'argento.
Dal peso in argento nacque la denominazione di moneta ch'era usata fin
dai tempi di Maometto; e rimase sola moneta _nisâb_, ossia legale, in
che si ragionava la decima, il prezzo del sangue ec. Il dirhem, moneta
effettiva, fu poi diverso.
Or il _robâ'i_ tornava a tre dirhem _nisâb_, poichè il dinâr si ragionò
dodici. Naturalmente gli Arabi di Sicilia, nel commercio, chiamavan
quella moneta d'oro “un tre dirhem,” e nell'uso bastava dire _trâhîm_ al
plurale. Il vocabolo _tari_, introdotto in tal modo presso gl'Italiani
di Napoli e poi presso i Normanni e Italiani di Sicilia, restò
denominazione di moneta d'oro; mentre da un'altra mano i Normanni di
Sicilia, usando il sistema degli Arabi, ebbero il dirhem moneta ed anche
il dirhem, o _tari_, peso di argento. Indi la voce _tari-peso_ o
_trappeso_. Spariti con la dinastia normanna i tari d'oro, la voce
_tari_ restò come denominazione di peso e moneta d'argento. Gli eruditi
del secolo passato arrivarono, dopo molti errori e ricerche, a
distinguere i _tari_ dei diplomi antichi da quei che aveano alle mani e
che valeano quasi la quarta parte dei primi, cui chiamarono per questo
tari d'oro. Il dotto Conte Castiglioni sbagliò, come parmi, negando
cosiffatta etimologia della voce _tari_.
[1189] _Tarîkh-el-Hokemâ._ Ho accennato nel Libro III, cap. V, p. 100
del volume, l'articolo sopra Empedocle. Il testo di tutti gli estratti
di Zuzeni è ormai pubblicato nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 613,
seg. Nella biografia d'Archimede, si riferisce al gran Siracusano il
disegno delle dighe e ponti che dettero abilità a coltivare gran tratto
della valle del Nilo nelle inondazioni di che fecero cenno gli antichi
(veggasi Harles, _Bibliotheca Græca_, tomo IV, p. 172); e gli si
attribuiscono molte opere genuine o spurie, e tra le seconde, credo io,
un “Discorso su gli orologi ad acqua con soneria” che Casiri
erroneamente suppone significare il bindolo, (_Bibliotheca
Arabico-Hispana_, tomo I, p. 383.) Di Corace si dà il noto aneddoto col
discepolo non trascrivendo il nome, ma traducendolo _Ghorâb_ (Corbo,
Κόραξ), e aggiugnendo che egli fu greco dell'Isola di Sicilia. Archimede
ed Empedocle si dicono greci senz'altro.
[1190] _Kitâb-el-Mewâ'iz_, ediz. di Bulâk, tomo I, p, 127, e nella
_Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 669. Una versione di questo squarcio, per
M. Caussin de Perceval si legge nelle _Notices et Extraits des MSS._,
tomo VIII, p. 33, segg.
[1191] Estratto della _Dorra-Khalíra_ (Perla Egregia ec.) d'Ibn-Kattâ',
inserito nella Kharîda d'Imâd-ed-dîn, _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo,
p. 596. I versi leggonsi nel MSS. della _Kharîda_, di Parigi, Ancien
Fonds, 1375, fog. 43 verso, e del British-Museum, Rich. 7593, fog. 35
recto. Ecco i tre dell'elegia ch'io cito, scritta non sappiamo per quale
personaggio.
“Alla morte (_appartien_) ciò che nasce, non alla vita: l'uomo non è che
ostaggio di essa.
Diresti gli anni suoi (_foglio_) di cui si spieghi un lembo, finchè
sopravvien la morte e sel ravvolge.
Chi impreca al tempo non l'intacca, no; ma quand'esso scocca (suo
strale) non fallisce mai il colpo.”
[1192] Ovvero Kerni. L'uno e l'altro è nome di tribù; e il secondo anche
etnico, da un villaggio presso Bagdad.
[1193] _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 395.
[1194] _Mo'gem_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 149. Questo passo
serbatoci da Iakût, manca, come tanti altri, nei MSS. d'Ibn-Haukal che
abbiamo in Europa. La carta di Istakhri lo conferma pienamente.
[1195] Si vegga la tavola delle longitudini e latitudini pubblicata da
Lelewel nell'Atlante della _Géographie du moyen-âge_, Bruxelles, 1850.
Ibn-Iûnis, nella lista delle posizioni geografiche (p. 4) segna le
seguenti:
Sicilia (forse a Palermo) long. 39° lat. 39°
Tunis 29° 33°
Kairewân 31° 31° 40′
Tripoli d'Affrica 40° 40′ 33°
[1196] _Mo'gem_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 115 del testo dove
si dà allo Stretto il nome di Faro.
[1197] Op. cit., p. 114.
[1198] Ibn-Haukal, op. cit., p. 119, il qual passo si trova soltanto nel
_Mo'gem_. Ibn-Haukal non conoscea forse le carte greche rifatte dagli
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