Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 36

conquisto dei Normanni (1091); nel quale capitolo la data e' particolari
scarseggiano da Iûsuf alla occupazione di Moezz (1037), e mancano al
tutto d'allora infino alla chiamata dei Normanni (1060). Or appunto alla
fine del X secolo, cioè al tempo di Iûsuf, giugne la cronica d'Ibn-Rekîk
(Introduzione, p. XXXVII del primo volume). Ibn-Rescîk supplì forse i
primi quarant'anni dell'XI secolo, ibid. I cenni su la seconda metà
sembrano cavati da Abu-Salt-I-Omeîa o da Ibn-Sceddâd (Introduzione, p.
XXXVIII), i quali scrivendo nel XII secolo, quando era giù la
dominazione musulmana di Sicilia, o non conobbero o non vollero
raccontare tutti i particolari della caduta.
Questo concetto si conferma a legger Abulfeda, Nowairi e Ibn-Khaldûn,
nei quali si vede manifestamente la stessa lacuna, ancorchè non abbian
sempre copiato o compendiato Ibn-el-Athîr, ed abbiano avuto in originale
alcune sorgenti. Abulfeda muta un po' la divisione della materia. D'un
fiato ei dà nell'anno 336 tutta la storia degli emiri kelbiti di
Sicilia, trascritta da un autore ch'è al certo Ibn-Sceddâd: capitolo
aggiunto dopo la prima copia o edizione, poich'è scritto di mano
d'Abulfeda stesso in margine del MS. di Parigi, Suppl. Arabe, 750. Poi
nel 484 fa un capitolo compendiato, com'ei pare, sopra Ibn-el-Athîr,
dov'ei viene a ripetere alcuni fatti del capitolo del 336, non avendo
badato a cancellarli quando aggiunse lo squarcio d'Ibn-Sceddâd. Nowairi
e Ibn-Khaldûn, dividendo loro storie generali per dominazioni, non per
anni, fanno capitoli apposta su le cose di Sicilia; ma vi allogano gli
stessi fatti d'Ibn-el-Athîr, più o meno particolareggiati e sempre
interrotti nel periodo che notammo. Tutti par abbiano ignorato le storie
particolari della Sicilia scritte da Ibn-Kattâ' e da Abu-Ali-Hasan
(Introduzione, p. XXXVII, nº I, V).
[1016] Nel 1052. Si vegga Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, versione
di M. De Slane, tomo I, p. 34, 35; e Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo V, fog.
81 verso, e 82 recto, che particolareggia molto più i fatti.
[1017] Sapendosi di certo dagli autori cristiani che lo sconfitto a
Traina fu Abd-Allah-ibn-Moezz, il tumulto che lo cacciò avvenne di
necessità dopo la battaglia, non immediatamente dopo la uccisione di
Akhal.
[1018] Traduco quasi litteralmente da Ibn-el-Athîr dove si legge “Per
dio _la fine_ dell'opera vostra, ec.;” la qual voce fa supporre un
recente e grave caso.
[1019] Alcuni autori portan trecento; ma è differenza di copia,
potendosi scambiare facilmente le due voci arabiche che significano quei
due numeri. Qual dei due sia il vero nol so.
[1020] Si riscontrino: Ibn-el-Athîr, anno 484, MS. C, tomo V, fog. 109,
recto, seg.; Abulfeda, _Annales Moslemici_, stesso anno, tomo III, p.
274, seg.; Nowairi, presso Di Gregorio, op. cit., p. 23; Ibn-Khaldûn,
_Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, p. 181; Ibn-Abi-Dinâr, MS.,
fog. 37 verso, seg. Quest'ultimo è il solo che aggiunga il compimento
_ed-dawla_ al soprannome _Simsâm_ e mi sembra però più corretto.
[1021] Si riscontrino: Ibn-el-Athîr, Abulfeda, e Ibn-Khaldûn, ll. cc., i
quali copiano con varianti unico testo. Nowairi, l. c., non dice degli
uomini di vilissima condizione. E forse copiando come gli altri, saltò
quelle parole perchè gli parvero contraddittorie al fatto trovato nel
medesimo testo, o altrove, e dato da lui solo; cioè il governo degli
Sceikhi in Palermo. Abulfeda, in fin del capitolo su i Kelbiti ch'ei
trascrive da Ibn-Sceddâd, dice che s'impadronirono della Sicilia i
_Kharegi_, ossia ribelli.
[1022] Si riscontrino: Ibn-el-Athîr, Abulfeda, Ibn-Khaldûn e Nowairi,
ll. cc. I primi tre aggiungon al novero dei regoli Ibn-Thimna; ma
Nowairi, ch'è il più diligente di tutti in questo periodo, dice costui
surto appresso: e ciò si accorda meglio con gli altri fatti.
Ibn-Menkût sembra di schiatta arabica. Questo nome che in un
sol MS. di Nowairi si legge con la variante Metkût, non può
essere diverso da quell'Ibn-Menkud da cui si addomandò un
castello appunto in Val di Mazara, ricordato da Edrisi, presso
Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 119 della versione latina.
Nacque di certo della famiglia e probabilmente fu predecessore d'un Kâid
Abu-Mohammed-Hasan-ibn-Omar-ibn-Menkûd, poeta siciliano ricordato da
Imâd-ed-dîn nella _Kharida_, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog. 43
recto. Un Kaid Abd-Allah-ibn-Menkût, della stessa tribù e forse della
stessa famiglia, si vede alla corte di Tamîm, principe zîrita di Mehdia,
il 481 (1088-9) presso Ibn-el-Athîr, MS. C, tomo V, fog. 106 verso, con
la variante Menkûr nel _Baiân_, tomo I, p. 310 del testo arabico. E con
le varianti Metkûd, Medkûr, si trova lo stesso nome in Affrica nel XIII
secolo presso Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, versione di M. De
Slane, tomo II, p. 103, 222. Le dette varianti son dei copisti, nè
montano. Quella tra Menkût e Menkûd potrebbe venir dal suono similissimo
che hanno quelle due lettere finali nella pronunzia degli Arabi. Infine
è da avvertire che l'una e l'altra voce ha significato in arabico.
Quanto ad Ibn-Hawwâsci (le ultime tre lettere corrispondenti al _ch_
francese e _sh_ inglese), questo nome si legge anche Hawâs e Giawâs; e
li credo errori di copie. _Hawwâsci_ significherebbe “l'agitatore, il
demagogo,” e ben converrebbe a quegli che Ibn-Thimna diceva appo i
Normanni “servo suo rivoltato” (Leone d'Ostia, lib. III, cap. 45); un
che _esmut lo peuple et lo chacerent de la cite et se fist amiral_
(Amato, lib. V., cap. 8).
È da avvertire infine che in Ibn-Khaldûn leggiamo Abd-Allah-ibn-Hawwâsci
signor di Mazara e Trapani, e non si vede il nome di Ali-ibn-Ni'ma, nè
si parla di Castrogiovanni e Girgenti. Viene probabilmente da un rigo
saltato nella copia in questo modo: “a Mazara e Trapani
Abd-Allah-ibn-Menkût _ed a Castrogiovanni Ali-ibn-Ni'ma detto
Ibn-Hawwâsci_ ec.”
[1023] All'assalto dei Normanni, il 1062, era venuto in soccorso di
Messina il navilio palermitano. Diremo a suo luogo del navilio del
principe di Sicilia che si trovò il 445 (1053-4) a Susa rivoltata contro
gli Zîriti.
[1024] Nei due MSS. di Nowairi si trova Kelâbi e Meklâbi, ma la giusta
lezione data da Ibn-Khaldûn è Meklâti, che differisce dall'ultima pei
punti diacritici d'una sola lettera, e dalla prima per questi e per un
picciol nodo che segna la _m_, e che facilmente sfugge alla vista in una
scrittura frettolosa. D'altronde Ibn, o Ben, Meklâti, risponde al
_Benneclerus_ di Malaterra (lib. II, cap, 2, 3), il quale scrisse
probabilmente _Benmecletus_.
Nella _Kharida_ d'Imâd-ed-din, MS. di Parigi, Ancien Fonds, 1375, fog.
36 verso, abbiamo tre lamentevoli versi del poeta siciliano, il Kâid
Abu-l-Fotûh figliuolo del Kâid Bedîr (o Bodeir) _Sened-ed-dawla_,
Ibn-Meklâti ciambellan del sultano. Trovandosi nel capitolo tolto da
Ibn-Kattâ', erudito e filologo siciliano che morì nel principio del XII
secolo, Bedîr o il figliuolo è probabilmente il signor di Catania. Il
sultano del quale egli si intitolò _Hâgib_, (ciambellano) col soprannome
di “Base dell'Impero,” pare Simsâm, che in sua misera condizione tenesse
corte e desse titoli.
In ogni modo Meklâta era tribù berbera e forse ramo di Kotâma, come si
legge in Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, versione di M. De Slane,
tomo I, p. 172, 227, 294, e tomo II, p. 237.
[1025] Nowairi, l. c. Gli altri tacciono questo fatto importante.
[1026] Hagi-Khalfa, compilatore assai moderno, è il solo che porti
questa data nel _Takwim-et-Tewârîkh_ (Cronologia), edizione di
Costantinopoli, p. 60. Pur si adatta benissimo in mezzo a quel tratto di
venti anni che gli annalisti lasciano sì oscuro. S'aggiunga che
Ibn-el-Athîr, Abulfeda e Nowairi, i quali non scrivono la data della
elezione nè della deposizione di Simsâm, pongono appunto nel 444
(1052-53) il primo passaggio dei Normanni con Ibn-Thimna, che seguì nove
anni dopo (1061). Sembra dunque che le croniche lette da loro abbiano
confuso la caduta dei Kelbiti con la chiamata dei Normanni. Ibn-Khaldûn
s'allontana da ogni probabilità, dando Simsâm cacciato di Palermo e poi
ucciso il 431 (1039-40).
[1027] Cosmografia di Kazwîni, intitolata _Athâr-el-Bilâd_, testo
arabico, p. 383. Il compilatore che visse nel XIII secolo, dice avvenuto
il caso dopo il 440 (15 giugno 1048 a 3 giugno 1049). Il cronista di cui
trascrive le parole ma non dà il nome, fu al certo contemporaneo, perchè
visse avanti l'occupazione normanna del 1091. Forse Abu-Ali-Hasan,
autore d'una storia di Sicilia, citato altrove da Kazwini.
[1028] Prima da Akhal; poi dalle due parti nella guerra civile e in
ultimo da Abd-Allah-ibn-Moezz. Nol dicono gli annalisti, ma non cade in
dubbio.
[1029] Si vegga il cap. X di questo Libro, p. 393, 394.
[1030] Litteralmente significa “Il figlio del Demagogo.” La citazione è
a p. 420, nota 2.
[1031] Si vegga il cap. XV del presente Libro.
[1032] A Siracusa, come si scorge dalle poesie d'Ibn-Hamdîs.
[1033] Si vegga la nota 2, p. 421.
[1034] Si vegga il capitolo IX di questo Libro, p. 373 del volume.
[1035] Si vegga il Lib. III, cap. VIII e X, p. 146 seg., e 248 seg., di
questo volume.
[1036] È da fare eccezione per poche città marittime come Mazara,
Marsala, Trapani, le quali per la vicinanza con l'Affrica e l'antichità
delle colonie, sopratutto Mazara, doveano serbare ordini e tendenze
politiche analoghi a que' di Palermo. Il dritto non si trascurò di certo
a Mazara, dove sorse il più celebre giureconsulto del tempo.
[1037] Imâd-ed-dîn, nella _Kharîda_, MS. di Parigi, A. F., 1375, fog.
133 recto, lo pone tra i poeti egiziani, notando pure che si dovrebbe
noverar tra quei di Sicilia. Il titolo che gli dà di _Sâheb-Sikillia_,
mi porta alla conghiettura che annunzio nel testo. Pure si potrebbe
supporre dimenticata qualche parola, dopo _Sâheb_, per esempio,
_Sciorta_, nel qual caso sarebbe stato prefetto di polizia in Sicilia.
[1038] Lo scoliasta è Ibn-Scebbât. Gli estratti di Bekri, sono
pubblicati nella mia _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 209, seg., del testo,
secondo un MS. di M. Alphonse Rousseau.
[1039] Quest'opera di Iakût è la principale raccolta di notizie di
geografia descrittiva che ci rimanga su i paesi musulmani del medio evo.
Si veggano i ragguagli che ne dà M. Reinaud, _Géographie d'Aboulfeda_,
Introduzione, p. CXXIX, seg. Ormai ve ne ha in Europa varii MSS., si che
si può sperar quanto prima una buona edizione del _Mo'gem_. Ritraggo la
data della pubblicazione dal MS. del British Museum, 16,649.
_Prolegomeni_, fog. 3, recto.
Gli articoli su la Sicilia e sue città e terre, che io ho dato nella
detta _Biblioteca_, p. 105 a 126 del testo, son tratti dai due soli MSS.
di Oxford e British Museum. I nomi stessi leggonsi nel Compendio del
_Mo'gem_ intitolato _Merasid-el-Ittilâ'_, pubblicato recentemente a
Leyde dal professor Juynboll; ed io li ho posti nella _Biblioteca_, p.
127 a 132. Iakût non conobbe forse l'opera di Edrisi, e di certo non la
usò trattando della Sicilia: la sola notizia che s'accordi un po' con
Edrisi, è quella di Catania, di cui diremo più innanzi. Oltre
i nominati nel testo, Iakût cita in due articoli Ibn-Herawi ed
Abu-Hasan-Ali-Ibn-Badîs. Infine i versi ch'ei trascrive da una satira
d'Ibn-Kalakis, venuto in Sicilia al tempo di Guglielmo il Buono; gli
fornirono un sol nome geografico novello, cioè Oliveri; e nessuna
notizia importante: D'Ibn-Kalâkis diremo nel Libro VI.
[1040] _Mo'gem_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p. 115.
[1041] Ibidem: ecco il passo di Iakût: “Ho veduto scritto di propria
mano d'Ibn-Kattâ' su la coperta del _Târîkh-Sikillîa_ (Storia di
Sicilia) queste parole: Trovo in alcuna copia della _Sîrat-Sikillia_ la
nota marginale che sono in quest'isola ventitrè città ec.” La voce
_sirat_ significa “Memoria, cronica,” ma non sappiamo se qui sia nome
generico o titolo speciale del libro.
[1042] _Dhia'_ che vuol dir propriamente “podere demaniale” e in
generale podere, possessione rurale. Come ogni podere avea i suoi
proprii coloni o agricoltori, così il nome si estendeva agli abituri
pochi o molti; e però il significato può variare da Masseria o villa
infino a Villaggio.
[1043] Questo fatto fu generale in Europa nel medio evo. Ma in Sicilia,
tra istituzioni e configurazione del suolo, dura fin oggi. All'infuori
di alcune regioni dove l'agricoltura è progredita per eccezione, gli
abitatori battuti e impoveriti non hanno avuto alacrità che basti a
scender dalle loro vette per avvicinarsi alle terre da coltivare e alle
strade.
[1044] Il numero dei comuni attuali è di 352, cominciando da Palermo e
terminando a San Carlo che ha men di 300 anime. Secondo Abu-Ali, nell'XI
secolo si contavano almeno 340 tra città e rôcche. Spiegherò nei VI
libro la osservazione che qui accenno su la diminuzione dei villaggi.
[1045] Ibn-Haukal, del quale copiò tanti squarci l'autore del _Mo'gem_,
non dicea forse d'altra città che Palermo.
[1046] Il _Mo'gem_ e il _Merâsid_ hanno Ads”n”t che si dovrebbe leggere
Otranto. Ma anzichè supporre l'errore di trasferirsi quella città in
Sicilia, parmi si debba mutare la t finale in w e leggere _Adsernô_.
[1047] Il _Mo'gem_, citando Abu-Ali, dice che _el-B”iâw_ era “città”
importante anzi che no, sol promontorio occidentale, nel luogo “men
coltivato e men ferace dell'isola.” Senza dubbio dunque Lilibeo, al
quale già gli Arabi davano l'attuale forma di Boèo mutando in articolo
arabico le prime due sillabe. Occorrendo intanto il nome di Marsa-Ali
(Marsala) nei fatti storici del 1040, come dicemmo nel capitolo
precedente, p. 420 di questa volume, è da supporre che quella città,
nella prima metà del secolo avesse già doppio nome, il nuovo di Porto
d'Ali e l'antico mutato in Boèo, ovvero che coesistessero le due terre,
l'una crescente, e l'altra in decadenza.
[1048] Così addimandasi tuttavia il monte che sovrasta ad Alcamo, nel
quale il Fazzello, Deca I, lib. VII, cap. IV, afferma che sorgea
l'antica Alcamo, tramutata nel sito attuale per comando di Federigo
d'Aragona il 1332. Potrebbe darsi che Alcamo fosse stata sempre dove è
oggi. Edrisi (1154) la chiama _menzîl_ ossia stazione, e Ibn-Giobair
(1184) _beleda_ ossia terra: il che prova che non era fortezza nel XII
secolo. Da un'altra mano il castello sul monte si chiama tuttavia
Bonifato, e nel XII secolo era lì presso un villaggio dello stesso nome,
con 600 salme di territorio, come si scorge da un diploma del 1182
presso Del Giudice, _Descrizione del Tempio di Morreale_, appendice, p.
14. Posto ciò, non abbiam ragione di supporre che Iakût dia, come due
città, due nomi diversi della stessa. Rivedendo i diplomi citati dal
Fazzello e dal D'Amico nel _Dizionario topografico_, ricercandone altri,
ed esaminando con occhio d'archeologo i ruderi di Bonifato e le vecchie
mura d'Alcamo attuale, si potrà sciogliere il nodo.
[1049] Nel testo è K”r”b”na. Non dubito che sia da aggiugnere un punto
alla _b_ arabica, e leggere _Karîn_a.
[1050] Nel testo si legge in due articoli _Katâna_ e _Katânîa_, date
entrambe come città, ed è probabile che le due notizie vengano da fonti
diverse.
[1051] Manca in Edrisi; e i diplomi del XII secolo non ne parlan come di
città esistente. Ragione di più per supporre che Iakût abbia preso
questo nome da Abu-Ali o da Ibn-Kattâ'. Si vegga il Lib. II, cap. XII,
p. 468, seg., del I volume.
[1052] Il _Mo'gem_ ha _Giâlisuh_; e un diploma arabo e latino del 1182
per la chiesa di Morreale, ha nell'arabico _Giâlisû_, e nel latino (al
genitivo) _Jalcii_: che pare trascrizione di alcun dei chierici francesi
che in quel tempo venivano a mettersi in prelatura in Palermo. Il vero
nome sembra l'italiano “Gelso” che ritien tuttavia quel podere. Nel
secolo XII si noverava tra i villaggi, come si vede dal detto diploma.
Qual maraviglia dunque che nell'XI fosse stata, come dice Iakût, “città
nello interno della Sicilia?” Il sito risponde a tramontana di Corleone.
[1053] Nel X secolo era cittadella o città distinta da Palermo e
contigua, come si vede da Ibn-Haukal, p. 296 del presente volume. Gli
Arabi d'Affrica teneano città distinte Mehdia e Zawila, Kairewân e
Mansuria, poco più o poco men distanti che Palermo e la Khalesa nel X
secolo. La distinzione era ragionevole, sì per la importanza delle
popolazioni, e sì per l'agevolezza di mantenersi in una città, quando
l'altra fosse occupata dal nemico. Iakût avverte che ai tempi suoi, al
dir d'un Abu-Hasan-ibn-Bâdis, la Khalesa era quartiere dentro la città
di Palermo.
[1054] Messina nello stesso articolo del _Mo'gem_ è detta prima
_boleida_ e poi _medina_. Quest'ultimo in un libro attribuito falsamente
a Tolomeo; il primo senza citazione. Se si riferisse ai tempi in cui
Messina par mezzo abbandonata? Si vegga il Lib. II, cap. X, p. 427 del
volume I.
[1055] _Mîlâs_ nel _Mo'gem_ è data come villaggio; nel _Merâsid_ come
città. Vi si legge inoltre _Milâs_ “forte rôcca su la spiaggia” che
potrebbe essere l'attuale Mili nello Stretto di Messina, o piuttosto
variante d'ortografia, come Katâna e Katânîa.
[1056] In oggi è nome d'una tonnara nel golfo di Castellamare. La
ricorda come terra abitata un diploma del 1098 presso Pirro, _Sicilia
Sacra_, p. 294: ed è detta villaggio in due del 1170 e 1251 che cita
D'Amico, _Dizionario topografico_, agli articoli _Cetaria_ e
_Scupellum_. Cetaria, città antica secondo Tolomeo, forse detta così
dalla pesca dei tonni che vi si facea come oggi. Scopello fu colonia di
ghibellini lombardi rifuggiti in Sicilia, ai quali poi l'imperatore
Federigo II concedette la città di Corleone.
[1057] Per manifesto errore, Trapani è messa due volte con ortografia
diversa, e la prima volta, con la forma _Itrâbinisc_ è data come
_beleda_ (terra).
[1058] Si noti il gran divario con la geografia di Edrisi, nella quale
si dà il nome di città alle sole: Castrogiovanni, Catania, Girgenti,
Marsala, Mazara, Messina, Noto, Palermo, Randazzo e Siracusa. Si vede
bene che v'era passato per lo mezzo il conquisto normanno e la
immigrazione italiana.
[1059] _Billanoba_, patria del poeta siciliano Billanobi, sembra
distrutta pria del conquisto normanno; non leggendosi nei tanti diplomi
che abbiamo dal fine dell'XI secolo in qua. Billanobi fiorì alla metà di
quel secolo, come innanzi diremo.
[1060] Si vegga la nota 7 della pagina precedente.
[1061] _Giattîn_ fu patria, secondo Iakût, di un dotto musulmano. Un
diploma arabo-latino del 1182 dà il nome in arabico _Getîna_ e in latino
_Jatina_.
[1062] _S”m”ntâr_, patria d'un altro dotto, secondo Iakût. Samanteria
era _massa_, ossia podere, della chiesa romana in Sicilia secondo
un'epistola di San Gregorio, lib. VII, ep. 62, presso il Pirro, _Sicilia
Sacra_, p. 32.
[1063] _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 124 del testo e variante del MS. di
Oxford nelle aggiunte, p. 41 della Introduzione. Iakût scrive _Kerkûr_,
che ho corretto secondo Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, versione,
tomo I, p. 274. Il testo del _Mo'gem_, dice: “Kerkûr una delle ville di
Sfax in Sicilia.” Si potrebbe intendere villaggio popolato da uomini di
Sfax o meglio correggere “delle ville di Sfax _ed altra_ in Sicilia.”
[1064] Oltre a ciò nell'articolo “Sardegna” Iakût aggiugne che _secondo
alcuni_ era anche nome di città in Sicilia; nota Saklab, quartiere di
Palermo; e, con manifesto errore, pone Taranto in Sicilia.
[1065] Io ho raccolto con pazienza i nomi dei villaggi nel dizionario
topografico del D'Amico, nel Pirro, nella _Sicilia nobile_ del
Villabianca, nei diplomi delle chiese di Palermo e Morreale, in que'
della Commenda della Magione, in que' dati dal Di Gregorio in appendice
agli scrittori dell'epoca aragonese, e in altri pubblicati qua e là. Mi
propongo di porli in appendice alla versione della _Biblioteca
Arabo-Sicula_.
[1066] Tali per esempio Godrano (_ghidrân_, palude), Baida (la Bianca),
Abdelali (_Abd-el-Ali_ nome proprio), Zyet (_Zeid_ nome proprio), Chadra
e Cadara (_Khadra_, la verde) ec.
[1067] Si vegga il Lib. III, cap. I, p. 33, seg. di questo volume.
[1068] “Fonte, grotta, capo, posata, stazione, rôcca, torre.” La voce
_rahl_ entra in cento sette nomi topografici di Sicilia. La voce _kala_,
o _kala't_, in venti; la voce _menzîl_ in diciotto.
[1069] Tra i nomi delle 24 città riferiti di sopra v'ha di origine
arabica le sole Alcamo, Khalesa, Marsala e Sciacca.
[1070] Per esempio _Wadi-Musa_ (il fiume di Mosè) il Simeto; Dittaino
(_Wadi-t-tîn_ il fiume fangoso) il Chrysas degli antichi;
_Marsa-s-scegira_ (Porto dell'albero) la Punta di Circia presso il
Pachino; Rasigelbi (_Ras-el-kelb_ o _ghelb_, la Punta del Cane) presso
Cefalù; _Oiûn-Abbâs_ (le fonti d'Abbâs) le Tre Fontane presso Selinunte;
_Ras-el-Belât_ (il capo degli archi o del lastricato) il capo Granitola
ec.
[1071] Questa è, secondo gli ultimi dati geografici, 4025 miglia
quadrate di Sicilia per le province di Palermo, Trapani, Girgenti e
Caltanissetta, che rispondono a un di presso al Val di Mazara; 2220 per
quelle di Catania e Noto, che rispondono quasi al Val di Noto; e 1180
per la provincia di Messina, che torna all'antico Val Demone. Il quale
dopo il XIII secolo fu ingrandito a mezzodì infino a Catania ed a
ponente oltre Cefalù. La proporzione dunque della superficie dei tre
valli è di 0,52, 0,31 e 0,17; e i 328 luoghi arabici vi stanno alla
ragione di 0,64, 0,30 e 0,06. La popolazione attuale (1853) è
distribuita così:
Val di Mazara { Palermo. 541,326
{ Girgenti. 250,795
{ Trapani. 202,279
{ Caltanissetta. 185,531
———————
1,179,931
Val di Noto. { Catania. 411,822
{ Noto. 254,593
———————
666,415
Val Demone. { Messina. 384,664
—————————
Totale. 2,231,020
Donde la proporzione della popolazione in oggi torna a 0,52, 0,30 e
0,18.
[1072] Si vegga il cap. XI, del lib. III, e i cap. III e XI di questo
Libro, p. 213, seg., 258 e 398, seg., del volume.
[1073] Da Ibn-Scebbât, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 211, 212 del
testo.
[1074] _Mo'gem_, nella _Biblioteca Arabo Sicula_, aggiunte al testo, p.
40 della Introduzione. Quest'Ibn-Herawi, pare lo stesso che
Ali-ibn-Abi-Bekr da Mosûl detto Herawi come oriundo di Herat: il quale
fu in Sicilia dopo il 1175. Iakût dà come dubbia questa tradizione dei
sepolcri dei _Tabi'_, ossia Musulmani della generazione dopo Maometto.
[1075] Da Iakût,_ Mo'gem_ e _Merâzid_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_,
p. 123 e 131. La notizia precedente è data con la lezione di _Katânîa_ e
la presente di _Katâna_, delle quali d'altronde il compilatore riconosce
l'identità. Ei non dice da chi abbia cavato questa seconda notizia; non
copiata al certo da Edrisi. Questo autore nota il doppio nome di Città
dell'Elefante, che venia dal simulacro di pietra “messo anticamente in
un eccelso edifizio, e adesso trasportato dentro la città nella chiesa
dei Monaci” (benedettini). Edrisi in vece delle chiese lastricate di
marmo, dice delle _giami'_ e moschee, del fiume intermittente
(l'Amenano), del porto frequentato, e di altri particolari ignoti a
Iakût. Su l'elefante di lava si vegga il Lib. I, cap. IX, p. 219 del 1
volume.
[1076] _Mo'gem_ e _Merâsid_, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 111, e
128 del testo.
[1077] _Mo'gem_, op. cit., p. 116, 123 e 130. Qui Iakût non cita
Abu-Ali, ma par che tolga le notizie da lui. Aggiugne che la giusta
ortografia fosse Kasr-ianih e che il secondo fosse nome rûmi (latino o
greco) d'un uomo. Già era avvenuta la trasformazione di cui dissi Lib.
II, pag. 280 del 1º vol.
[1078] Si vegga Reinaud, _Géographie d'Aboulfeda_, Introduzione, p.
CXXXII.
[1079] _Mo'gem_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, p. 112, 117, e 126 del
testo. Le longitudini, sembrano prese dalla “cupola d'Arîn” al modo di
alcuni antichi geografi arabi, su la quale si confrontino Reinaud, op.
cit., p. CXL, seg.; e Sédillot, Mémoire _sur les systèmes géographiques
des Grecs et des Arabes_, Paris 1842, in 4º.
Il falso Tolomeo dà a Palermo 40° di longitudine e 35° di latitudine,
oroscopo la Vergine e casa di regno a dieci gradi dell'Ariete ec.; a
Messina, 39° longitudine, 38° 40′ latitudine, oroscopo il Sagittario,
casa della vita a 9° 27′ di quel segno; a Siracusa, 39° 18′ longitudine,
39° latitudine, oroscopo la Zampa del Lione, casa della vita a 13° del
Cancro, casa del regno ad altrettanti dell'Ariete ec.
Gli errori degli Arabi su la posizione geografica di Palermo giunsero
fino ai tempi d'Abulfeda, come si vede nella costui Géographie, versione
di M. Reinaud, tomo II, p. 273, seg., dove la longitudine è notata 35°
dall'isola del Ferro; e la latitudine, 36° 10′ ovvero 36° 30′. Nondimeno
Abu-Hasan-Ali, astronomo di Marocco, segnava più correttamente
latitudine 37° 30′, e più scorrettamente longitudine 45° 20′; presso
Sédillot, _Instruments astronomique des Arabes_ tomo II, p. 204.
Per comprendere od po' il gergo del _Kitâb-el-Melhema_, dirò, a chi non
sta saputo in astrologia, che la posizione si determinava su i segni del
zodiaco. Quello che spunta all'orizzonte in faccia al luogo n'è
l'oroscopo principale, il _tâli'_ come dicono gli Arabi. Le “case” della
vita del regno e degli altri destini, rispondono ai punti
dell'ecclittica divisa in dodici parti uguali facendo capo dal _tâli'_,
in un MS. d'astrologia intitolato Kitab-en-Nogiûm, Biblioteca di Parigi,
Ancien Fonds, 1146, fog. 13 recto, la casa della vita è appunto
all'oroscopo, e quella del regno al quarto scompartimento a sinistra; il
che non risponde al sistema del falso Tolomeo. Anche le denominazioni
son alquanto diverse; e il campo al sistemi era libero in vero agli
astrologi.
[1080] Trecento miglia.
[1081] _Marûg-ed-Dseheb_ e _Tenbîh_ nella _Biblioteca Arabo-Sicula_,
testo, p. 1, 2. Masudi alle altre favole aggiugne che perì nell'Etna
Porfirio, autor dell'Isagoge.
[1082] Il testo ha _Arzen_ che i dizionarii arabi definiscono vagamente
albero di legno durissimo da far bastoni, ma è precisamente il cedro.
Non si noverano tra gli altri alberi le querce.
[1083] Questo personaggio par favoloso. Edrisi chiama Tûr il monte di
Taormina, santuario famoso; e questo ricorda la falsa etimologia di
πόλεν Ταύρου καὶ μενύας, su la quale facea sì gravoso scherzo
l'arcivescovo Teofane Ceramèo.
[1084] Kazwini, trascrivendo questo passo come nel Mo'gem, aggiugne la
voce “sulfurei,” ch'è giudizio forse suo proprio e non d'Abu-Ali.
[1085] È il plurale di _khebeth_, scoria. Questa voce, non è rimasa nel
dialetto siciliano, nel quale la lava impietrata si chiama “sciara:” e
parmi bella e buona la voce arabica _scia'râ_ che significa propriamente
“irsuta” e in sostantivo “luogo coperto di piante” e “bosco”.
[1086] Presso il _Mo'gem_, p. 118, 119 della _Biblioteca Arabo-Sicula_,
testo arabo. Il medesimo passo di Abu-Ali è trascritto da Kazwini,
_nell'Agiâib-el-Mekhlûkât_, p. 166; e nello _Athâr-el-Bilâd_, p. 143,
seg., dei testi pubblicati dal Wüstenfeld.
[1087] Iakût e Kazwini pongono questo fatto in fin della citazione
d'Abu-Ali, dopo le parole “e dicesi esser quivi (nell'Etna) miniere
d'oro; ond'è che i Rûm lo chiamavano il monte dell'oro.” Quel “dicesi”
potrebbe interrompere la citazione; il che gli Arabi dinotano
ordinariamente con la voce “finisce” ma spesso la dimenticano.
[1088] _Vita di San Filareto_ presso il Gaetani, _Sanctorum Siculorum_,
tomo II, p. 113, e presso i Bollandisti, tomo I, di aprile, pag. 607.
[1089] Presso Ibn-Scebbât, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, testo, p.
210.
[1090] _Mo'gem_, op. cit., p. 116. L'autore non cita in questo luogo. Si
vegga anche Kazwini, _'Agiâib_, p. 166, seg., e nell'_Athâr_, p. 143,
seg.
[1091] Abu-Hâmid si trovò in quell'anno a Bagdad. Si vegga Reinaud,
_Géographie d'Aboulfeda_, introduzione, p. CXII.
[1092] _Tohfet-el-Albâb_ di Gharnati, nella _Biblioteca Arabo-Sicula_,