Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 35

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l'Anonimo par non giunga al vero dando ai Musulmani soli 15,000 uomini.
Il nome della città non è dubbio: Traina in Malaterra e nell'Anonimo;
Δραγῖναι in Cedreno. Il campo in pianura è ricordato altresì da Cedreno
e dal monaco Nilo; se non che questo non dà il nome della città,
leggendosi nella versione _non longe ab urbe_, sia che i copisti
avessero saltato il nome, sia che San Filareto fosse di Traina stessa.
La voce πόλις che dovea essere nel testo non si può intendere capitale,
e però Palermo, contro le testimonianze di Cedreno e dei cronisti
Normanni citati di sopra.
[938] Nilo Monaco, l. c.
[939] Cedreno non parla qui dell'assedio di Siracusa, anzi dice aver
Maniace soggiogato tutta l'isola. La posizione dei Musulmani a Traina lo
smentisce.
[940] Il nome basta a provare che vi stanziò Maniace, e conferma che il
campo di battaglia fosse stato nelle pianure tra quel luogo e Traina. La
terra che s'addimandò Maniace è descritta da Edrisi, di cui si vegga il
testo nella _Biblioteca Arabo-Sicula_, cap. VII, pag. 64, la versione
francese del Joubert, tomo II, e il compendio presso il Di Gregorio,
_Rerum Arabicarum_, pag. 123. Portava l'altro nome, al certo anteriore,
di _Ghirân-ed-dekîk_ ossia “Le grotte della Farina.” Al tempo di
Fazzello ne avanzavan ruine e si chiamavano il Casalino; _De Rebus
Siculis_, deca I, lib. X, cap. 1. Su l'abbadia che fu in parte distrutta
dai tremuoti del 1693, si veggano, oltre il Fazzello, i diplomi del XII
secolo presso Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 396, 456, 977, 1004. Si
riscontri D'Amico, _Lexicon Siciliæ Topograficum_, tomo II, alla voce
_Maniacis_.
[941] Si confrontino: Cedreno, tomo II, p. 522, _Vita di San Filareto_,
l. c.; Malaterra, lib. I, cap. 4; _Cronica di Roberto Guiscardo_, presso
Caruso, _Bibliotheca Sicula_, p. 832, lib. I, cap. V, p. 266, della
versione francese. Questa Cronica dà molto diversa, e manifestamente
imaginaria, la postura dei luoghi e le circostanze della battaglia. Al
par che Malaterra la dice guadagnata dai soli Normanni. La data si
scorge dall'ordine in che pone questo fatto il Cedreno nel 6548
(1039-1040) e dal ritorno del Catapano Doceano in Terraferma di novembre
1040.
Secondo il monaco Nilo, il tiranno de' Barbari (Abd-Allah), dopo la fuga
a cavallo, se ne tornò in Africa su picciolo legno e ridusse a casa le
reliquie dell'esercito. Cedreno narra che il capitano cartaginese
fuggendo giunse alla spiaggia, donde, montato sur una barchetta riparò
in Affrica; facendo mala guardia su la costiera l'ammiraglio bizantino,
cui Maniace avea raccomandato d'impedir la fuga. Chi suppose così fatta
precauzione di Maniace, ignorava al certo che Traina giace a più di
trenta miglia dal mare e che sorgevi di mezzo l'altissima giogaia di
Caronia. Da un'altra mano, gli annali arabi portano che Abd-Allah fu
cacciato in Affrica per sollevazione dei Musulmani di Palermo, come si
narrerà nel seguente Capitolo. Indi è chiaro che il biografo di San
Filareto, e molto più la tradizione bizantina riferita dal Cedreno,
confusero in un solo due fatti distinti, cioè la sconfitta di Traina che
costrinse Abd-Allah a rifuggirsi in Palermo e il tumulto di Palermo che
lo cacciò in Affrica.
[942] Amato lo dice: “Arduyn servicial de Saint-Ambroise archevesque de
Milan;” Leone d'Ostia “Arduinus quidam Lambardus (cioè della Lombardia
d'oggidì) de famulis scilicet Sancti Ambrosii;” Malaterra “Arduinum
quendam Italum;” Lupo Protospatario “Arduinus Lombardus;” Cedreno
“Arduino.... signore independente di un certo paese (Ἀρδουῖνον.... χώρας
τινὸς ἄρχοντα, καὶ ὑπὸ μηδενὸς ἀγόμενον).” In questo medesimo passo,
tomo II, p. 345, Cedreno dice positivamente che la compagnia normanna
era capitanata da Ardoino, talchè si riscontra con Guglielmo di Paglia,
lib. I, _Inter collectos erat Hardoinus_ etc. e col _Chronicon Breve
Northman._, presso Muratori, _Rerum Italicarum Scriptores_, tomo V, p.
278, che dice assalita la Puglia il 1041 dai Normanni, _duce Hardoino_:
Tutte le circostanze dei presente fatto e dell'ordinamento a Melfi,
provan lo stesso. Amato, Malaterra e gli altri scrittori di parte
normanna aman meglio a far capitano della compagnia Guglielmo Braccio di
ferro, che nel 1038 conducea probabilmente uno squadrone e che arrivò al
sommo grado nel 1043.
[943] Amato, lib. II, cap. XVI e Leone d'Ostia, lib. II, cap. 66, quasi
con le stesse parole di lui, scrivono che Ardoino, preposto dai
Bizantini al governo di varie città di Puglia dopo la ingiuria ricevuta
in Sicilia della quale si volea vendicare, accarezzasse e suscitasse
occultamente i popoli alla rivoluzione. Il fatto si dee tener vero, ma
si dee porre innanzi l'impresa di Sicilia; perchè è impossibile, con
tutta la corruzione del governo bizantino, che fosse stato affidato
quell'oficio ad Ardoino dopo la diserzione; e d'altronde non lascia
luogo a tal fatto il breve tempo che corse tra la fuga della compagnia
dall'esercito di Sicilia e la occupazione di Melfi. Amato, che ignorava
le date e i particolari, cadde facilmente in quest'anacronismo. Ardoino
sembra della nobiltà minore che si sollevò il 1035 contro l'arcivescovo
di Milano e fu vinta. È verosimile parimenti ch'egli ed altri rifuggiti
e stranieri avessero fatto una compagnia di ventura, e che innanzi il
1038, trovandosi ai soldi dei Bizantini, gli fosse stato affidato il
comando militare di qualche città di Puglia.
[944] Si confrontino: Malaterra, lib. I, cap. VIII; Amato, lib. II, cap.
XIV a XVIII; Guglielmo di Puglia, lib. I, _Cumque triumphato_ etc,
Cronica di Roberto Guiscardo presso Caruso, _Bibliotheca Sicula_, p.
832, e nella versione francese, lib. I, cap. V; Leone d'Ostia, lib. II,
cap. LXVII; Cedreno, tomo II, p. 545. Queste autorità differiscono molto
nei particolari del torto fatto alla compagnia, ed altri ne dà la colpa
a Maniace, altri a Michele Doceano, succedutogli nel comando in Italia.
Ho seguito a preferenza il Malaterra, la cui narrazione è più verosimile
e s'incatena meglio con gli altri fatti.
[945] Cedreno che narra più distinto questo fatto, suppone fuggito il
capitan musulmano a dirittura verso l'Affrica, e che Maniace si adirò
tanto con l'ammiraglio perchè appunto gli avea commesso di guardar ben
la costiera che nessuno campasse da quella via. La postura di Traina, la
testimonianza del monaco Nilo e quella degli annalisti arabi che ho
notato di sopra (pag. 388, nota 1), dimostrano che la colpa fu d'averlo
lasciato imbarcare in qualche punto della costiera e navigare verso
Palermo. Indi ho notato i due luoghi nei quali più probabil è ch'egli
entrasse in nave. Evidentemente Cedreno e il monaco Nilo presero il
principio e la fine della fuga d'Abd-Allah e trascurarono i fatti
intermedii, che soli possono spiegare la collera di Maniace.
[946] Cedreno, tomo II, p. 522, 523.
[947] Fazzello, deca I, lib. IV, cap. I, afferma senz'altra prova, che
Maniace edificò il castello, e aggiugne ch'ei fe' gittare in bronzo i
due arieti i quali stettero in su la porta del castello fino al 1448,
quando piacque ad un marchese di Geraci d'adornarne un suo palagio a
Castelbuono. Confiscati per ribellione d'un altro marchese di Geraci,
gli arieti vennero in Palermo; si tramutarono d'uno ad altro edifizio; e
fino al 1848 si videro in una sala della reggia. Ma, presa questa dal
popolo, un degli arieti si trovò spezzato, com'e' par da una palla di
cannone; e il Comitato di governo collocò l'altro nel Museo
dell'Università. La fattura mi sembra antica più tosto che bizantina.
[948] Amato, lib. II, cap. IX; Leone d'Ostia, lib. II, cap. LXVI.
[949] Cedreno, tomo II, p. 523.
[950] Secondo gli Annali di Bari, presso Pertz, _Scriptores_, tomo V, p.
54, Doceano, reduce di Sicilia, entrò in Bari di novembre 1040. (Scritto
1041, perchè il nuovo anno si contava dal 1º settembre.)
[951] Erroneamente si è inferita la occupazione di Palermo dal verso di
Guglielmo di Puglia, lib. I, _Premia militibus_ Regina _solveret urbe_.
Il cronista vuol dire Reggio, non “la città regia.”
[952] Annali di Bari, l. c.
[953] Cedreno, tomo II, p. 523.
[954] Si confrontino gli _Annali di Bari_, e Lupo Protospatario presso
Pertz, _Scriptores_, tomo V, p. 54, 58, con Cedreno, tomo II, p. 525.
[955] Κεκαμένος.
[956] Cedreno, solo autore di questa tradizione, dice aggiunti rinforzi
cartaginesi alla leva in massa di Sicilia e capitanata l'oste dall'emiro
Apolofar. Mi sembrano sbagli di parole: che ignorando la morte di Akhal
e sapendo lì l'emir di Sicilia, i Bizantini abbiano scritto il nome di
Apolofar; vedendo i disertori berberi, li abbiano deffinito ausiliarii
cartaginesi. Leggeransi nel cap. XII i fatti seguíti tra i Musulmani dal
1040 al 1042, pei quali credo si possa accettare dalla tradizione di
Cedreno la qualità del capitano emir di Sicilia, mutare la persona e
sopprimere la uccisione. Il Martorana, tomo I, p. 141, ben s'appose al
nome di Simsâm; se non che lo fece andare in Egitto e tornare con
rinforzi del califo fatemita, che sono sogni del Rampoldi, _Annali
Musulmani_, 1040.
[957] Cedreno scrive positivamente la Pentecoste; ma voltata qualche
pagina (tomo II, p. 538), lo dimentica, narrando che Catacalone portò
egli stesso a Costantinopoli il nunzio della vittoria di Messina,
nell'atto che il popol s'era levato a romore contro il nuovo imperatore
Michele Calafato. Or, secondo lo stesso Cedreno, la sedizione che tolse
il trono al Calafato, cominciò il lunedì della seconda settimana dopo
Pasqua del 1042, e però innanzi la Pentecoste. Della Pentecoste del 1041
non si può ragionare al certo, la quale cadde il 10 maggio, cioè quando
non eran partite per anco di Sicilia le schiere dei Macedoni, Pauliciani
e Calabresi. D'altronde l'_annunzio_ della vittoria sarebbe stato un po'
tardo. Perciò suppongo sbagliata la festa e che debba dir la domenica
delle Palme o altra.
[958] Cedreno, tomo II, p. 523, 524. Lascio da canto Apollofar, ucciso
nella tenda in mezzo al vino; i soldati che non si reggeano in piè
dall'ebrezza; le valli e i letti dei fiumi pieni di cadaveri; l'oro,
argento, perle e altre gemme che si trovarono nel campo musulmano,
divise a moggia (μεδίμνοις) tra i vincitori.
[959] Cedreno, tomo II, p. 546, dice di cotesti aiuti degli Italiani
della regione tra il Po e le Alpi.
[960] Si confrontino: Cedreno, tomo II, p. 541, 547 a 549; Michele
Attallota, _Historia_, pubblicata da M. Brunet-de-Presle, p. 11, 18, 19;
Guglielmo di Puglia, lib. I, _Interea magno Danaum_ etc., sino alla fine
del libro; _Annali di Bari_ e Lupo Protospatario, presso Pertz,
_Scriptores_, tomo V, p. 54, 58, anni 1042, 1043; _Chronicon Breve
Northman._, presso Muratori, _Rerum Italicarum Scriptores_, tomo V, p.
278, anni 1042, 1043. Cedreno dà ad intendere che Maniace ripigliò sopra
i Normanni tutta l'Italia all'infuori di poche città, il che è falso.
[961] Si vegga la nota 1 della pag. 387, nel capitolo precedente. I
particolari della battaglia e del seguito che ebbe, portano a credere
presente il narratore a Traina.
[962] Nilo Monaco nella _Vita di San Filareto_, presso Gaetani,
_Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 115, e presso i Bollandisti, tomo I,
di aprile, p. 609. San Filareto avea allora diciott'anni. Il tiranno era
Abd-Allah figliuolo di Moezz.
[963] Così la famiglia di San Filareto; la quale non si può supporre
sola a prendere tal partito.
[964] Mettendo da parte le memorie dei cospiratori cristiani di Messina,
più probabili che autentiche, delle quali tratteremo nel seguente libro,
si veggano pei Cristiani di Traina, Malaterra, lib. II, cap. XVIII, e la
_Cronica di Roberto Guiscardo_, presso Caruso, p. 838, e versione
francese, lib. I, cap. XV; e per lo rimanente del Valdemone stesso,
Amato, lib. V, cap. XXI e XXV, e Malaterra, lib. II, cap. XIV.
[965] In un diploma di Tancredi conte di Siracusa, dato del 1104, si
legge che il conte Ruggiero nell'istituire il vescovato di Siracusa
(1093) gli aveva assoggettato tutto il clero greco e latino. Il primo
non era venuto al certo coi Normanni. Il poeta siracusano Ibn-Hamdîs,
ricordando le sue scappate giovanili, _Biblioteca Arabo-Sicula_, cap.
LIX, § 1, p. 549, dice di un monistero di donne, ov'egli ed altri
scapestrati andavano a bere il vino “color d'oro.”
[966] Malaterra, lib. II, cap. XLV, dice dell'arcivescovo che si
sforzava a mantener la fede in Palermo pria che v'entrassero i Normanni.
Avea nome Nicodemo, secondo una bolla di Calisto II, presso Pirro,
_Sicilia Sacra_, pag. 53.
[967] Si vegga il diploma del 1098 pel monastero di Santa Maria di
Vicari, che citiamo nel capitolo seguente.
[968] Malaterra, lib. II, c. XX, narra che gli abitatori fossero parte
Cristiani e parte Musulmani.
[969] Malaterra, lib. I, cap. XVII, narrando una scorreria del conte
Ruggiero da Messina a Girgenti nota che gli si fecero incontro i
_Christiani provinciarum_, che deve intendersi del Valdemone e Val di
Mazara. Si vegga anche il cap. XIII di questo libro.
[970] Si vegga il Cap. III del presente Libro, pag. 257, seg., del
volume.
[971] Si veggano i luoghi di Malaterra e d'Amato, testè citati. Le
condizioni ritratte dal primo nel lib. I, cap. XIV, s'adattano appuntino
agli dsimmi.
[972] Si vegga il Libro V, ch'è il luogo proprio di trattarne, poichè le
prove di coteste due condizioni compariscon dopo il conquisto normanno.
[973] Libro II, cap. XI, pag. 484 del primo volume.
[974] Malaterra, lib. I, cap. XIV, XVIII e XX, citati di sopra, parla di
Cristiani di Valdemone, di Traina e delle _province_ (tra Messina e
Girgenti); e cap. XXIX, dei Greci di Traina che sembran _parte_ della
popolazione cristiana di quella città. Il Di Gregorio, _Considerazioni
sopra la Storia di Sicilia_, lib. I, cap. I, ritiene la stessa
distinzione di schiatte e allega, note 2, 3, la stessa autorità.
Aggiugne, nota 4, un esempio di Geraci tolto dal lib. II, cap. XXIV, di
Malaterra; sul quale non voglio fare assegnamento, non essendo certo se
si tratti di Geraci in Sicilia o della città dello stesso nome in
Calabria.
[975] Nilo Monaco, _Vita di San Filareto_, presso il Gaetani, _Sanctorum
Siculorum_, tomo II, p. 113, e presso i Bollandisti, 6 aprile, p. 607.
[976] Si vegga qui appresso la vita di San Vitale di Demona.
[977] Non v'ha un sol rigo nè un sol nome latino tra i ricordi della
dominazione normanna che possano riferirsi all'epoca precedente.
[978] Si vegga il Lib. III, cap. XI, p. 213, 214 di questo volume.
[979] Si veggano nel cap. III del presente Libro i ragguagli cavati
dalla _Vita di San Niceforo vescovo di Mileto_, e il cenno che do di
questa agiografia alla fine dello stesso capitolo, p. 273 del volume.
[980] _Vita di San Vitale abate_, presso Gaetani, _Vitæ Sanctorum
Siculorum_, tomo II, p. 86; e presso i Bollandisti, 9 marzo, p. 26.
[981] _Vita di San Luca di Demona_, presso Gaetani, op. cit., p. 96; e
presso i Bollandisti, 13 ottobre, p. 337.
[982] Si vegga il testamento del Prete Scolaro del 1114 presso Pirro,
_Sicilia Sacra_, p. 1005. Costui lasciò al Monastero del Salvatore in
Messina trecento codici greci e “bellissime immagini coperte d'oro.” Ma
è da avvertire che avea fatto viaggi in Grecia e che solea comperare da
mercatanti di quella nazione.
[983] Malaterra, lib. II, cap. XIV. Si vegga anche Amato, lib. V, cap.
XXI.
[984] Si vegga il Lib. II, cap. XII, nel primo volume, p. 485 e 486,
nota 2.
[985] Alla fin del IX secolo sembrano anche vescovi _in partibus_, o
fuggitivi, que' di Cefalù, Alesa, Messina e Catania, che si trovarono al
Concilio di Costantinopoli (870). Non conto nel X secolo San Procopio
vescovo di Taormina che incontrò il martirio nel 902. Non parlo del
vescovo di Camerino nelle Marche (963-967) che altri suppose di Camerina
in Sicilia. Leone vescovo di Catania è soscritto in una decretale del
patriarca di Costantinopoli del 995, di cui il Pirro, _Disquisitio de
Patriarca Siciliæ_, § VII, nº 5. Umberto monaco in Lorena, è
sottoscritto col titolo di arcivescovo di Sicilia nel concilio romano
del 1049; sul quale si vegga il Pirro, p. 51, e le autorità citate dal
Martorana, _Notizie Storiche dei Saraceni Siciliani_, tomo II, p. 217,
note 133, 134.
[986] Si vegga il Lib. III, cap. VIII, p. 172 di questo volume. Non
facciamo parola del vescovo Ippolito, non sapendosene appunto il tempo.
[987] Si veggano le autorità citate poc'anzi, p. 396, nota 5. I Normanni
non fecero conto dell'arcivescovo greco più che d'un _imam_ di moschea;
e certo non gli dettero un titolo ch'ei non avesse. La corte di Roma non
solo lo riconobbe a Nicodemo ed agli arcivescovi normanni, ma n'avea già
investito a modo suo Umberto.
[988] Si vegga il Lib. III, cap. XI, p. 214 di questo volume.
[989] San Luca di Demona e San Vitale di Castronovo, dei quali or or
discorreremo le vite, presero entrambi l'abito monastico a San Filippo
d'Argira; e morirono in Calabria, l'uno il 993, l'altro, come si
suppone, il 994. Dall'agiografia di San Vitale si scorge che in gioventù
egli con altri frati dal monastero di San Filippo andò a Roma, e che,
tornando dopo due anni in Sicilia, visse da romito su l'Etna rimpetto
l'antico suo chiostro. San Luca di Demona era uscito dallo stesso
monastero il 959 o poco prima. Però la cagione della partenza di
entrambi par lo sgombero del monastero, il quale risponderebbe a un di
presso ai fatti del Valdemone che narrammo nel cap. III di questo Libro,
p. 255, seg., del volume.
[990] Questo mi sembra il valore del testo ἀδηλωθείσαν (μόνην), Diploma
del 1098 pubblicato con versione italiana da Niccolò Buscemi, nel
giornale ecclesiastico di Palermo che s'intitolava _Biblioteca Sacra_,
tomo I, p. 212, seg. Il Martorana in una risposta al Buscemi, estratta
dal _Giornale di Scienze_ ec. _per la Sicilia_, p. 39, si sforzò invano
a distruggere l'attestato che contien questo diploma. Il conte Ruggiero
vi dice chiaramente _avere confermato_ (ἐπέκυρω) le possessioni. Dunque
il monastero esisteva, e non vivea di limosine avanti il conquisto
normanno.
[991] Non occorre citare tutti i diplomi normanni che lo attestano in
varie guise. Fra gli altri uno del 1093 presso Pirro, _Sicilia Sacra_,
p. 1016, prova che restava in piè la chiesa soltanto nel monastero di
San Michele Arcangelo in Traina.
[992] Diploma del 1144 nel quale re Ruggiero accenna il decreto del
padre, presso Pirro, _Sicilia Sacra_; p. 1021. Il Martorana nella
risposta citata vuole inforsare l'attestato; ma non può cancellare quel
_tenebant et possidebant tempore impiorum Saracenorum_, come tradusse il
Lascari, e gli si può credere ancorchè non si conosca l'originale greco.
[993] Testamento di Gregorio categumeno del monastero di San Filippo di
Demona. Il testo greco con altri diplomi del monastero fu pubblicato dal
Buscemi, op. cit., p. 381 a 388, e più correttamente dal Martorana, op.
cit., p. 60 a 64 con novella versione italiana di monsignor Crispi,
valente ellenista siciliano, morto non è guari.
[994] Si ricordi il fatto del vescovo Leone nel 925.
[995] Si vegga il cap. XI del Lib. III, e il cap. III del Lib. IV, p.
214 e 264 del presente volume.
[996] Antica sede del vescovato di Tricarico.
[997] Presso Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 86, e
presso i Bollandisti, 9 marzo, p. 96. I soli dati cronologici, oltre
l'anno della versione, sono la contemporaneità con San Luca di Demona,
il titolo di Catapano di Calabria che occorre nel racconto, e il nome
del monastero di Armento, il quale si sa fondato nella seconda metà del
decimo secolo. La morte _septimo idus martii feria sexta_ ha portato i
Bollandisti a notare l'anno 994. Si vegga anche De Meo, _Annali di
Napoli_, tomo VI, anno 994. I nomi dei luoghi in Calabria ove si dice
soggiornato San Vitale in romitaggio dopo il ritorno dalla Sicilia, son
Liporaco presso Cassano, Pietra di Roseto, Rappaco presso San Quirico,
Misanelli, Armento, Sant'Adriano presso Basidia, una cella presso Turi,
e infine Rapolla.
[998] Otone I, come notaron bene il Gaetani e i Bollandisti. E però
torna al 968 o 969 nelle scorrerie che abbiamo accennato al cap. VI del
presente Libro, p. 311 del volume.
[999] _Vita di San Luca di Demona_, versione dal testo greco che sembra
perduto, presso il Gaetani, op. cit., tomo II, p. 96, e presso i
Bollandisti, 13 ottobre (tomo VI), p. 332. Questa seconda e recente
edizione è illustrata di erudite annotazioni. Il sant'Elia di Reggio
primo maestro di San Luca, fu, al dir dei Bollandisti, lo Speleote che
dimorava a Melicocca presso Seminara, op. cit., p. 333, § V. Per error
di stampa nel Gaetani è recata quest'agiografia il 13 settembre, quando
vi si legge _tertio idus octobris_, l'anno dell'Incarnazione 993 e del
mondo 6493 secondo l'èra alessandrina.
[1000] Si vegga il capitolo precedente, p. 387.
[1001] Si vegga il Lib. II, cap. XII, 517 del primo volume.
[1002] L'agiografo sclama: Ov'era in quelle solitudini il soffice letto,
la pulita stanza, il tappeto, le stuoje, i bagni, le brigate di amici,
il pan fino, i pesci, l'olio, i condimenti, le frutte, il vino, la
lettura del Vecchio e del Nuovo Testamento? Ma par ch'ei voglia
accennare il contrasto con la vita di qualche prelato di Calabria,
piuttosto che con quella di San Filareto stesso in gioventù.
[1003] _Vita di San Filareto_, presso il Gaetani, _Vitæ Sanctorum
Siculorum_, tomo II, p. 112, seg.; e presso i Bollandisti 6 aprile (tomo
I), p. 605, seg., versione d'un testo greco che sembra perduto.
[1004] Si vegga il Gaetani, op. cit., tomo II, p. 109, che se la bevve;
e i Bollandisti, 17 luglio (tomo IV), p. 288.
[1005] Presso il Gaetani, op. cit., tomo II, p. 107; e presso i
Bollandisti, 24 febbraio (tomo III), p. 479: il primo dei quali lo fa
morire il 1054; e i secondi il 1129. Figliuolo d'un conte calabrese che
fu ucciso nelle scorrerie dei Musulmani di Sicilia, nacque in Palermo
dalla madre condotta in schiavitù, e sposata da un Musulmano; andò in
Calabria a battezzarsi e trovare i tesori nascosi del padre; si fece
monaco sotto San Nilo (morto il 998), operò in vita molti miracoli, e
morendo risanò d'un'ulcera Ruggiero Guiscardo nipote di Roberto, il
quale diè in merito grandissimi beni al monastero. Questo Ruggiero
Guiscardo, che la storia non conosce, questo sbalzo dalla fine del X
alla fine dell'XI secolo, convengon bene alle avventure favolose che
abbiamo appena accennate.
[1006] La vita di San Simeone da Siracusa fu scritta per ordine
dell'arcivescovo di Treveri da un Eberwin abate del monastero di San
Martino, il quale avea praticato con Simeone nella torre e l'aveva
assistito a morte. Si vegga presso il Gaetani, _Vitæ Sanctorum
Siculorum_, tomo II, p. 101; o meglio presso i Bollandisti, 1 giugno, p.
87, seg. Si riscontri la _Cronica di Sigeberto_, anno 1016, presso il
Pertz, _Scriptores_, tomo VII, p. 555.
[1007] Si cominci dai Cristiani che compiangeano i prigioni di Siracusa
(878) nelle strade di Palermo, Lib. II, cap. IX, p. 408 del primo
volume; si scenda via via nel X secolo ai patti di Hasan in Reggio, alla
guerra di Taormina e Rametta, al segretario cristiano d'Abu-l-Kâsim,
Lib. IV, cap. II, III, VI, p. 247, 257 e 320 di questo volume; e si
arrivi nel presente capitolo ai fatti dell'XI secolo, e si vedrà durar
sempre il cristianesimo.
Di questa opinione sono stati quasi tutti gli scrittori delle cose
ecclesiastiche di Sicilia, come si può vedere del Mongitore, _Opuscoli
d'Autori Siciliani_, tomo VII, p. 119, seg. Il Di Gregorio tenne la
stessa sentenza, _Considerazioni su la storia di Sicilia_, lib. I, cap.
I.
La sentenza contraria è stata di recente sostenuta dal Martorana,
_Notizie Storiche dei Saraceni Siciliani_, tomo II, p. 43 a 75; al quale
rispose il sacerdote Niccolò Buscemi, _Biblioteca Sacra per la Sicilia_,
(Palermo 1832), vol. I, p. 195 seg., 373 seg., ed egli replicò in varii
articoli del _Giornale di Scienze e Lettere per la Sicilia_ del 1834,
raccolti poi in un volumetto, p. 17 seg., 133 seg. Io ho citato di sopra
alcuni documenti allegati dall'uno e dall'altro, e, com'è naturale, ho
tenuto presenti le ragioni pro e contra, ma non posso qui esaminarle
partitamente.
[1008] Nel _Mo'gem-el-Boldân_ di Jakût, _Biblioteca arabo-sicula_,
testo, p. 117.
[1009] Presso Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 617, nella notizia della Chiesa
siracusana. Il comento si trova non solo nei fatti che abbiamo esposto,
ma anche in un diploma di re Ruggiero dato il 6642 (1134), il quale
attesta la sollecitudine del padre a liberare dagli Agareni la Sicilia e
_i suoi abitatori cristiani_; presso Pirro, p. 975.
[1010] Questo supposto è del Martorana, _Notizie storiche_, tomo II, p.
68 a 73; il quale non so se vi sia stato condotto dal Rampoldi che sognò
una tregua di tre anni tra i Musulmani e i Bizantini di Sicilia, dopo la
partenza di Maniace. Si vegga la risposta del Martorana, p. 16, nota. Il
Martorana cadde in errore, credendo che l'appellazione di Greci, sì
frequente in Sicilia nello XI e XII secolo, non dinotasse i Siciliani di
linguaggio greco, ma necessariamente si dovesse riferire a gente venuta
di fresco dalle province bizantine.
[1011] Si vegga il Lib. II, cap. XII, p. 476 seg. del primo volume.
[1012] Questa cronica in forma di lettera di Fra Corrado, priore del
convento domenicano di Santa Caterina in Palermo, ha una data che
risponde al 1290. Si vegga presso Caruso, _Bibliotheca Historica regni
Siciliæ_, tomo I, p. 47, questo cattivo compendio di fatti dal 1027 al
1282, del quale non conosciam tutte le sorgenti ed alcuna si potrebbe
supporre versione inesattissima dall'arabico. Oltre gli errori madornali
su i fatti e i nomi, vi si nota l'anacronismo d'un secolo nella
scorreria dello spagnuolo Meimûn-ibn-Ghania in Sicilia, ch'è messa il
1027 in vece del XII secolo. In ogni modo, ancorchè la storia sembri più
tosto alterata da errori di compilazione o di copia che falsata a
disegno, non si può fare alcuno assegnamento su l'attestato di Fra
Corrado.
[1013] Girio.
[1014] La versione latina di questo diploma fa pubblicata dal Di
Giovanni, _Codex Siciliæ diplomaticus_, nº CCXCVIII, p. 347; il testo
greco dal Morso, _Palermo antico_, p. 321, e dal Garofalo, nel
_Tabularium... capellæ collegiatæ.... in regio panormitano palatio_, p.
1, seg.; e tutti han creduto si trattasse d'una confraternita in
Palermo; massime il Morso, il quale vi fabbricò sopra la strana
conghiettura da noi accennata nel cap. V del III Libro, p. 298 di questo
vol. in nota.
Ma quella preghiera pel patriarca e per gli imperatori (βασιλεῶν) mal
conveniva ad un corpo morale esistente in Palermo nell'XI e XII secolo.
Il Martorana, _Notizie_ ec., tomo II, p. 219, pensò doversi riferire la
fondazione ai Greci bizantini ch'ei suppone occupatori di Palermo nella
guerra di Maniace; e mise anco in forse l'autenticità del diploma. Il
Mortillaro in un'aspra critica contro Garofalo, _Opere_, tomo II, p. 67,
seg., rincalzò cotesto sospetto.
A me non par luogo di credere apocrifa la pergamena; ma tengo certo che
la confraternita delle Naupactitesse non sia stata mai in Palermo.
Dapprima i nomi dei confratelli sottoscritti, greci la più parte, mi
avean fatto pensare ad alcuna delle città ed isole di Grecia assalite
dai Normanni di Sicilia; ma consultatone M. Hase, ha notato che tra que'
nomi ve n'abbia di forma italiana, e che il nome di un Ruggiero Nanainà
ci richiami alla Puglia. Però debbo all'autorità del maestro il pensiero
che segno nel testo. Aggiungo che la voce _imperatori_, al plurale, fa
credere rinnovati gli statuti mentre sedea più d'uno sul trono di
Costantinopoli; e ciò, dopo il 1048 data del primo diploma, tornerebbe
al regno di Costantino Duca (1060-67), il quale si associò i figliuoli,
o di questi e della madre (1068); e sarebbe appunto prima della
occupazione di Bari per Roberto Guiscardo.
[1015] Ibn-el-Athîr dà i fatti in ordine cronologico infino agli
armamenti dei Bizantini, il 416 (cap. IX di questo Libro a p. 365 del
volume); e indi salta al 484 raccogliendo in un capitolo tutti gli
avvenimenti dalla abdicazione di Iûsuf, il 388 (998), al compiuto
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