Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 34

secolo; e di Bekri che scrisse nel 1067. Il primo dice del commercio di
Tripoli coi porti dei Rûm (Italia e Grecia); di Tenès ed Orano con la
Spagna; di tutta l'Affrica propria con l'Oriente, ove si mandavano
schiave mulatte e schiavi negri, Rum e Schiavoni, ambra grigia, e seta;
delle manifatture di lana ad Agdabia e Tripoli; della pesca del corallo
a Tenès, Ceuta e Mersa-Kharez (_Journal Asiatique_, III^e série, pag.
362, seg.). Il secondo (_Notices et Extraits des MSS_., tomo XII) fa
menzione, oltre i prodotti ordinarii del suolo, delle canne da zucchero
a Kairewân, p. 484; del cotone a Malla, p. 515; dell'indago a San, o
Sanab, p. 455; dei gelsi coltivati e la seta prodotta a Kabes, p. 462.
Ricorda altresì le manifatture di panni e tele di Kairewân, Susa, Kafsa,
p. 488, 503; il commercio dell'olio di Sfax con la Sicilia e paesi di
Rûm, p. 465; le navi mercantili siciliane e d'altre nazioni che
ingombravano il porto di Mehdia, p. 480.
[887] Il _Baiân_ ci dà minuti ragguagli di questo lusso, ritratti da
Ibn-Rekîk, cronista contemporaneo; il quale spesso allega i detti di
mercatanti sul valore dei corredi nuziali etc. Si veggano i particolari
nel testo arabico, tomo I, p. 249 a 284, anni 373 a 415. Per darne
qualche esempio: mandati il 373 in presente al califo di Egitto,
cavalli, arnesi, e altre robe, del valsente d'un milione di dinâr, p.
249; il 415, nelle nozze d'una figliuola di Badîs, i gioielli, gli
arredi, i vasi d'oro e d'argento e le ricche tende recati dalla sposa
furono stimati un altro milione di dinâr, p. 284; nel 406, in una
sconfitta dei Beni-Hammâd, si trovarono addosso a tal prigione 50,000
dinâr, a tal altro 8,000 ec. Ancorchè alcune somme siano esagerate di
certo, nol sembran tutte. Ibn-Khaldûn, _Histoire des Berbères_, tomo II,
p. 19, riferisce altri esempii, tolti da Ibn-Rekik, i quali non si
trovano nel _Baiân_.
[888] _Baiân_, testo, tomo I, p. 256 e 258, anni 382 e 387, nel primo
dei quali luoghi si dice d'una giraffa mandata dal Sudân con gli altri
doni. Donde sembra che alla fine del decimo secolo si tenesse già un
commercio diretto di caravane tra l'Africa propria e il Sudân.
Ibn-Haukal verso la metà dello stesso secolo parla solo del commercio
del Sudân con Segelmessa nello Stato odierno di Marocco, la quale fu
occupata talvolta dagli Zîriti ma non rimase in poter loro. L'abbondanza
dell'oro, che secondo i tempi ci fa tanta maraviglia, veniva forse dal
commercio col Sudân.
[889] Si veggano i particolari del regno di Moezz in Ibn-el-Athîr, an.
415, 417, 427, 432, MS. C, tomo V, fog. 56 verso, 59 recto, 69 verso, 74
recto; _Baiân_, testo, tomo I, p. 286 e 287; e ibn-Khaldûn, _Histoire
des Berbères_, vers. franc., tomo II, p. 18 a 20.
[890] _Baiân_, testo, tomo I, p. 282, anno 414.
[891] Ibn-el-Athîr, Abulfeda e Nowairi, copiando tutti, com'è evidente,
una stessa cronica, scrivono “che ubbidirono ad Akhal tutte le rôcche di
Sicilia possedute dai Musulmani.” Da ciò argomento che alcune nei
principii non gli avessero ubbidito. In questo tempo non era in Sicilia
alcuna terra che non fosse tenuta da Musulmani.
[892] Ibn-el-Athîr, anno 484, MS. A, tomo IV, fog. 134 recto; Abulfeda,
_Annales Moslemici_, anno 484, tomo III, p. 274, seg.; Nowairi, presso
Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 22; Ibn-Khaldûn, _Histoire de
l'Afrique et de la Sicile_, versione, p. 179.
[893] Si vegga il capitolo VII del presente Libro, p. 345, 346.
[894] Si riscontrino: Cedreno, ediz. di Bonn, tomo II, p. 479, sotto
l'an. 6354 (1025-6); Anonimo di Bari, presso Pertz, _Scriptores_, tomo
V, p. 53, dove il 1027 senza il menomo dubbio va corretto 1025. Il
Cedreno dà il nome e la misera condizione d'Oreste; l'Anonimo i nomi
delle genti che si notavano nell'esercito, alle quali aggiugne i
Vandali, che si dee leggere probabilmente Varangi. Il nome del capitano
vi è detto _Ispo chitoniti_ e peggio in altre edizioni _Despotus Nicus_,
etc.; ma la giusta lezione è quella di Lupo: _Oresti chetoniti_, ossia
Oreste ciambellano (κοιτωνίτης). Il titolo di protospatario, ossia
aiutante di campo dell'imperatore, è dato dal Cedreno a p. 496.
Ci è occorso più volte di notare che accozzaglia di genti diverse
fossero gli eserciti bizantini. Nel comento delle poesie di Motenebbi,
un autore arabo dice che l'esercito mandato del 343 (954) contro
_Seif-ed-dawla_ della dinastia di Hamdan, si componea di Armeni, Russi,
Slavi, Bulgari e Khozari. Presso Sacy, _Chréstomathie Arabe_, tomo III,
p. 5, seconda edizione.
[895] Si riscontrino: Ibn-el-Athîr, anno 416, (1025-6), MS. A, tomo III,
fog. 193 verso, pubblicato da M. des Vergers in nota a Ibn-Khaldûn,
_Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, p. 180; e Anonimo di Bari, l.
c. Il nome di Reggio è nell'Anonimo. Ibn-el-Athîr parla della cacciata
dei Musulmani da quelle parti d'Italia e della costruzione delle stanze
per l'esercito bizantino: il che si deve intendere manifestamente di
Reggio; e conferma nell'Anonimo la lezione: _Et Regium_ restaurata _est
a Vulcano catepano_. Delle varie edizioni di cotesta cronica, alcuna ha
al contrario che Reggio fosse distrutta; e sembra ignorante correzione
di qualche copista. In generale son pessimi i MSS. degli Annali o
Anonimo, come che voglia chiamarsi, di Bari. Il nome del catapano ha le
varianti Bulcano, Bugiano, Bagiano. Baiano, nelle quali si riconosce il
Βοϊωάννις, che sotto Basilio II governò felicemente la provincia, come
narra Cedreno, tomo II, p. 546, parlando d'un suo figliuolo o nipote
dello stesso nome, sconfitto in Puglia dai Normanni il 1041. Questo
Boioanni, trasmutato in Vulcano, parve ad alcuni eruditi non uomo ma
_vulcano_ che vomitasse lave sopra Reggio; della cui distruzione indi
accusarono il Vesuvio, ch'è lontano anzi che no. Si vegga un
avvertimento del Martorana, _Notizie Storiche dei Saraceni Siciliani_,
vol. III, p. 2 a 6.
[896] Ibn-el-Athîr, l. c., dice “il figliuol della sorella
dell'imperatore,” nel che v'ha anacronismo col patrizio Stefano mandato
il 1038, o si tratta di qualche figliuolo di Giovanni Orseolo che
dovesse capitanare l'armata veneziana. Giovanni Orseolo, fratel cognato
dell'imperatore Romano Argirio, era morto nel 1006.
[897] Cedreno, tomo II, p. 479.
[898] Ibn-el-Athîr, l. c., il quale parla di 400 _kat'a_, che appo gli
Arabi sembra nome generico, come noi diremmo vele. Nondimeno parmi la
stessa voce _cattus_ e _gattus_ che nelle cronache di Pisa e nel
Malaterra (XI secolo) denota una sorta di navi.
[899] Cedreno, tomo II, p. 496, 497, senza data precisa tra il 6537 e il
6539 (1029-31).
[900] Si vegga il Cap. VIII, pag. 346.
[901] Cedreno, tomo II, p. 499.
[902] Cedreno, tomo II, p. 500.
[903] Cedreno, tomo II, p. 513 e 514, il quale scrive la data di maggio
6543, per la scorreria di Tracia, poi accenna l'ambasceria di Giorgio
Probato ed altri fatti, e tra gli ultimi avvenimenti dell'anno la
scorreria di Licia che torna così all'agosto.
[904] _Baiân_, testo, tomo I, pag. 286, anno 426 (15 novembre 1034 a 3
novembre 1035).
[905] Questa ultima parola sì grave è nel solo Nowairi. Ibn-el-Athîr non
la dà.
[906] Ibn-el-Athîr, anno 484, MS. A, tomo IV, fog. 134 recto, e Nowairi
presso Di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 22, trascrivono entrambi
questo, come par manifestamente, squarcio di cronica. La sola variante
che rilevi è la voce “possessioni” aggiunta da Nowairi nel luogo che
notai. Abulfeda, _Annales Moslemici_, 484, tomo III, p. 276, e
Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, versione, p. 179,
accennano appena il successo.
[907] Cioè che si fossero concedute anche a loro le terre da dividersi
ai combattenti e il dritto di occupare le terre inculte; soli modi di
concession di terre leciti ad un principe musulmano. Ma questi non
poteano aver luogo o erano rarissimi nel X secolo, quando vennero le
nuove famiglie d'Affrica; perchè il conquisto era fatto, e le terre
prese nella costiera orientale che allora fu occupata, si tennero in
_fei_, cioè demanio pubblico, per espressa testimonianza degli annali.
Non mi valgo del significato tecnico che potrebbe darsi al verbo,
_scerek_, adoperato qui alla terza forma, il quale denoterebbe, non che
“partecipazione,” ma “promiscuità.” Il professor Dozy, nelle sue sagaci
investigazioni su la Spagna Musulmana, ha notato che nella prima
costituzione della proprietà territoriale verso il 719, i conquistatori
si posero nelle terre dei vinti lasciandole loro a coltivare, e si
chiamarono gli uni e gli altri _scerîk_, ossia “comproprietario.” Si
vegga il _Baiân_, tomo II, p. 16, nel glossario. Applicato quest'esempio
al nostro caso, troncherebbe ogni dubbio; e “i Siciliani” sarebbero i
vinti, ai quali i vincitori avrebbero preso una porzione di terre, come
in Italia si tolse “la parte dei Barbari.” Ma su questo solo argomento
non si può affermare un ordine così contrario alla legge e pratica dei
Musulmani; il quale in Spagna fu eccezione, se pur non va interpretato
altrimenti che il faccia il dotto professore di Leyde.
[908] _Amlâk_ plurale di _milk_ e di _molk_. Tra queste due voci,
derivate entrambe dalla stessa radice, si è preteso adesso porre una
distinzione proveniente dall'idea di alcuni orientalisti francesi, che
il dritto musulmano non ammetta vera proprietà fuorchè nel principe, e
che ai privati, o almeno alla più parte, non dia altro che il possesso.
La quale distinzione è giusta, ma applicata troppo facilmente e
largamente; come accennai nel Lib. III, cap. I, p. 13 seg., del presente
volume. Quanto alla diversa denominazione, mi pare arbitraria, ovvero
nata di recente in Turchia, che non è la Toscana degli Arabi, nè il
modello del dritto pubblico. I pubblicisti arabi del decimo secolo non
fanno differenza nella denominazione; e Mawerdi, il quale sapea la
lingua e il dritto, non distingue altrimenti i due modi di possesso che
chiamando “proprietà della repubblica musulmana” quella delle terre il
cui possessore fatto musulmano debba pagare tuttavia il _kharâg_, e
“proprietà d'infedeli” quella delle terre che tornano decimali, ossia
libere di _kharâg_, se pervenute in man di Musulmani. Dunque la voce
_amlâk_ ci lascia al punto donde movemmo.
[909] Akhal potea pretendere di rivendicare un dritto usurpato; cioè
sostenere che al conquisto quelle terre fossero state appropriate alla
repubblica musulmana e lasciate ai Cristiani sotto censo, e che poi,
divenuti musulmani i possessori, per abuso fosse stato rimesso loro il
_kharâg_, e levata la sola decima legale.
[910] Si veggano le belle osservazioni del Dozy, nella Introduzione al
_Baiân_, § 1, p. 6. _Mowalled_ significa propriamente “nato in casa” e
indi “arabo di sangue misto” nato di padre arabo e madre straniera, o di
madre libera e padre schiavo. Indi la voce nostra _Mulatto_.
[911] Si vegga il capitolo XIII del presente Libro.
[912] Non occorre avvertire che cotesti nomi non hanno che fare con
quelli simili che dà il Cedreno ai corsari dei due stati Zîrita
d'Affrica e Kelbita di Sicilia, i quali andavano a infestare i dominii
bizantini di Levante.
[913] In fatti nelle rivoluzioni del 1042, la Sicilia orientale restò ai
nobili, la centrale ed occidentale ai popolani, come si vedrà nel
capitolo XII di questo Libro.
[914] Cedreno, tomo II, p. 514.
[915] Ibn-el-Athîr e Nowairi, Abulfeda e Ibn-Khaldûn, ll. cc.
Non ho bisogno di avvertire che su questa novazione d'Akhal, principio
della rovina della Sicilia musulmana, ho tenuto presente il concetto del
Martorana, tomo I, cap. IV, p. 128, seg., al quale si conformò il
Wenrich, Lib. I, cap. XVI, § CXL. Ma ben altra mi è parsa l'indole
generale, altri i particolari del fatto; della quale interpretazione ho
spiegato largamente le ragioni.
Il Martorana e con lui il Wenrich non so perchè riferiscano ad
Hasan-ibn-Iûsuf, soprannominato _Simsâm-ed-dawla_, la pace con l'impero
bizantino che seguì in principio della guerra civile, e che però fu
stipolata di certo da Akhal. In vero il Cedreno, che ne fa parola, dà
all'emiro di Sicilia il nome di Apolafar Muchumet il quale non risponde
nè al soprannome Akhal, nè al nome proprio Ahmed. Ma Apolafar sembra
alterazione d'Abu-Gia'far (si vegga il Cap. VII del presente Lib., p.
345); e in ogni modo la data del Cedreno è sì precisa da non lasciar
luogo a dubbio. La _Vita di San Filareto_, presso Gaetani, _Sanctorum
Siculorum_, tomo II, p. 114, seg., e presso i Bollandisti, 1º aprile, p.
605, seg., conferma pienamente così fatto sincronismo.
[916] ’Απόχαψ è trascrizione esattissima nel modo che usavano i Greci.
Con le medesime lettere diedero il nome di Abu-Hafs (Omar-ibn-Scio'aib)
conquistator di Creta. Si vegga il Lib. I, cap. VI, vol. I, p. 162. Il
Rampoldi, che non badava a queste minuzie, trascrisse Abu-Kaab, e così
l'han ripetuto il Martorana e il Wenrich.
[917] Cedreno, tomo II, p. 513, 514.
[918] Ducange, _Glossario greco, alla voce Μαγίστερ, e Gloss. Lat._, 2^e
ediz. alle voci _Magister militum_ e _Magister officiorum_.
[919] Ducange, op. cit., _Magister militum_.
[920] Per esempio, il titolo di patrizio fu dato il 788 ad Arigiso
principe di Benevento; il 916, al duca di Napoli e al principe di
Salerno; il 999, a Giovanni figliuolo e socio in oficio di Pietro
Orseolo doge di Venezia.
[921] Si confrontino le due narrazioni arabica e greca, la prima delle
quali si legge in Ibn-el-Athîr, Abulfeda, Nowaîri e Ibn-Khaldûn e
l'altra in Cedreno, ll. cc. Il fatto è senza ombra di dubbio lo stesso,
poichè Cedreno dice che restando vincitore Apolofar, l'altro fratello
chiamò in aiuto l'emir degli emiri d'Affrica, stipolando di dargli parte
dell'isola.
[922] Cedreno, tomo II, p 503, 516, 517, nell'anno 6545 (1º sett. 1036 a
31 agosto 1037), il quale dice i 15,000 prigioni _romani_, ossia
bizantini. O si dee togliere un zero, o supporli vassalli cristiani da
Sicilia.
[923] Si confrontino Cedreno, e gli annalisti arabi, ll. cc.
[924] Si confrontino: Ibn-el-Athîr, Abulfeda, Nowairi, e Ibn-Khaldûn, e
il cenno d'Hagi-Khalfa, anno 427, ch'è mal reso nella versione del
Carli, p. 70. Ibn-Khaldûn, op. c., p. 180, della versione francese,
guasta fatti e date, aggiugne nomi e cambia cifre. Un errore, com'io lo
credo, del MS. di Parigi ha portato poi M. Des Vergers a tradurre: “et
citèrent en leur présence l'émir El-Akhal, qui fut décapité par leur
ordre;” in vece di: “ed assediarono il loro emiro Akbal, il quale poi fu
ucciso.” La _Vita di San Filareto_, dianzi citata, della quale abbiam la
sola versione latina, dice che Michele Paflagone mandò l'esercito da
Sicilia “_tum ab ejus provinciæ Toparca, tum a Siculis nonnullis sæpe
rogatus_;” e porta il fatto come gli Arabi: “_Interim vero Barbarorum
tyrannus, eo qui in Sicilia dominabatur per dolum sublato, bona illius
omnia depredatus et in regnum quod ille administrabat invadens, nemine
omnino obsistente, Panormi totiusque Siciliæ potitur_;” e poi narra
l'impresa di Maniace. La voce _Toparca_, come ognun vede, è generica e
bene appropriata secondo il linguaggio greco a designare un principe di
picciolo stato.
[925] Nilo Monaco, _Vita di San Filareto il giovane_, presso Gaetani,
_Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 114. Il biografo intese i fatti da
San Filareto che in questo tempo avea 17 o 18 anni e morì di 50. La
quale testimonianza non ebbe sotto gli occhi il Martorana nè il Wenrich;
e toglie ogni dubbio sul sincronismo delle due serie di fatti riferite
l'una dagli Arabi e l'altra da Cedreno. Notai sopra come fossero certe
d'altronde le date della prima chiamata dei due stranieri cioè Bizantini
e Zîriti. Adesso aggiungo che va cancellata, come raddoppiamento di
racconto, la chiamata dei Bizantini per Simsâm-ed-Dawla e la seconda
degli Zîriti per Abu-Kaab; e che l'emirato di Simsâm va messo, non
prima, ma dopo la guerra di Maniace. Il Martorana fu tratto in errore un
po' da Rampoldi; e il Wenrich al tutto da Martorana. Rampoldi, anni 1035
e 1036, avea mescolato e alterato come in sogno d'infermo i racconti di
Nowairi e di Cedreno e aggiuntivi fatti di capo suo.
[926] Cedreno, tomo II, p. 494, 500, 504, seg., 512, 514.
[927] Gli _Annales Barenses_, presso Pertz, _Scriptores_, tomo V, p. 54,
anno 1041, dicono di schiere russe tornate in Puglia dalla impresa di
Sicilia.
[928] I Varangi, famosi pretoriani della corte bizantina dal X secolo in
poi, erano venturieri di schiatta scandinava che capitavano a
Costantinopoli per la via di Russia. La venuta loro a questa impresa si
ricava da altre autorità che quella citata nella nota precedente, la
quale accenna forse ad ausiliari sudditi dei principi russi. Su i
Varangi si vegga Gibbon, _Decline and Fall_, cap. LV, con le aggiunte
del Milman, ed una nota di Samuele Laing, nella versione
dell'_Heimskringla_ di Snorro Sturleson, tomo III, p. 4. Il nome,
derivato dalle voci scandinave _Wehr_, _vaer_, o _Ware_, è tradotto dal
Laing “the defenders.”
[929] Si confrontino Amato, _L'Ystoire de li Normant_, lib. II, cap.
VIII, p. 38, Malaterra; lib. I, cap. VII; Guglielmo di Puglia, lib. I,
_Plebs Lombardorum Gallis admixta quibusdam_ ec.; Cronica di Roberto
Guiscardo presso il Caruso, _Bibliotheca Sicula_, p. 830, presso il
Muratori, _Rerum Italicarum Scriptores_, tomo V, e nella versione
francese, lib. I, cap. IV, p. 266, del volume stesso di Amato. Il
Cedreno, tomo II, p. 545, dice circa 500 i Normanni e lor condottiero
Ardoino. Secondo Amato, e Leone d'Ostia, eran 300, capitanati da
Guglielmo di Hauteville. All'incontro Guglielmo di Puglia, come s'è
veduto, attesta che ve ne fosse picciol numero nella compagnia, e mi
pare il più verosimile.
[930] Σφόνδιλος, il _verticillum_ dei Latini.
[931] Si confrontino: Lupo Protospatario presso Pertz, _Scriptores_,
tomo V, p. 58, anno 1038; Cedreno, tomo II, p. 520, anno 6546, VIª
indizione (1037-38), _Cronica di Roberto Guiscardo_, ll. cc.; Nilo
Monaco, _Vita di San Filareto_, presso il Gaetani, _Sanctorum
Siculorum_, tomo II, p. 115, e presso i Bollandisti, 6 aprile, p. 608.
[932] Si confrontino: Amato, Malaterra, e _Cronica di Roberto
Guiscardo_, i quali non sono d'accordo nei particolari. Il primo non dà
nè anco il nome di Messina, ma dice solo: “et ont combatu à la cité et
ont vainchut lo chastel de li Sarrazin;” ma per _cité_ par voglia
significare Siracusa. Malaterra non fa cenno della porta occupata.
Cedreno non dice nè punto nè poco di questo combattimento.
[933] Cedreno, tomo II, p. 520, il quale dà ai Cartaginesi 50,000 uomini
e dice espressamente seguíta la battaglia κατὰ τὰ λεγόμενα ‘Ρήματα.
Questo nome risponde al _Rimetta_, _Rimecta_ etc. dei diplomi dell'XI e
XII secolo e alla _Rimète_ di cui parla _l'Ystoire de li Normant_, lib.
V, cap. XX, nelle prime imprese del conte Ruggiero. Il sito e i ricordi
delle guerre precedenti fanno comprendere che gli Affricani abbiano
amato a decider la sorte delle armi a Rametta più tosto che a Messina.
Si spiega con pari agevolezza il silenzio di Cedreno sul combattimento
di Messina, e dei cronisti normanni su la battaglia di Rametta; poichè
il primo scrivea delle giornate campali, senza particolareggiare le
fazioni minori; e i secondi scriveano de' trofei di lor gente, senza
curarsi del resto, o trascurandolo a bella posta. In ogni modo i due
combattimenti son distinti.
[934] Cedreno, l. c.
[935] Debbo alla cortesia del signor F. P. Broch, erudito orientalista
di Cristiania, la cognizione di questa impresa di Aroldo il Severo, e di
quelle sorgenti che io ho potuto studiare, come tradotte in latino o in
inglese. Il professore P. A. Munch, autore d'una Storia di Norvegia
dettata nell'idioma nazionale, mi ha poi favorito qualche schiarimento
per mezzo del signor Broch.
I fasti di Aroldo il Severo (Harald Haardraade) si leggono nella
raccolta delle Saghe intitolata: _Scripta Historica Islandorum_, tomo
VI, (Copenhagen, 1835, in 8º), p. 119 a 161, e nell'opera di Snorro
Sturleson, autore islandese della fine del XII e principio del XIII
secolo, intitolata: _Heimskringla_ or _Chronicle of the Kings of
Norway_, versione inglese di Samuele Laing, Londra 1844, in 8º, tomo
III, pag. 1 a 16, saga IX, cap. I a XV. Aroldo, fratello uterino di Olaf
il Santo re di Norvegia, combattè con valore, giovanetto di 15 anni,
nella battaglia di Stiklestad (1030), ove il re fu morto ed egli
gravemente ferito. Nascoso da fedeli partigiani, andò a corte di
Iaroslaw 1º principe di Russia, dal quale umanamente accolto, militò con
lode su i confini di Polonia. Chiesta in isposa Elisabetta figliuola del
re, Iaroslaw gli fece intendere che forse gliela darebbe quand'avesse
acquistato terreno e danaro. Aroldo pertanto andossene a cercar ventura
con la spada. (Tuttociò sembra di buon conio. S'allega l'autorità
d'Aroldo stesso e de' contemporanei; un dei quali dicea averlo visto
giovanetto con un bel saio rosso, sembiante regio e marziale, volto
pallido, folte sopracciglia, gesti un po' violenti ma rattenuti.)
Andò a combattere in Polonia, Germania, Francia e Italia; donde passò a
Costantinopoli con una compagnia di ventura, sotto il mentito nome di
Nordbrikt; perchè gli imperatori non volean tra i Varangi uomini di
sangue reale. (Autorità vaghe o non citate. La peregrinazione da
venturiere in Germania, Francia e Italia sembra favolosa.)
Regnavano a Costantinopoli Zoe e Michele Catalacto (volean dire Calafato
e si dee correggere Paflagone, senza che vi sarebbe anacronismo), dai
quali fu mandato a combattere nel mar di Grecia. (Forse il 1035 contro
gli Affricani e Siciliani che infestavano l'Arcipelago; ma non si può
affermare.)
Aroldo indi fu fatto capo dei Varangi (non generale in capo che
s'intitolava _Acolutho_, ma della divisione mandata in Italia), e partì
con Girgir (Giorgio Maniace) il quale girava le isole greche: e sovente
combattè coi corsali. (Maniace non v'era per certo.) Sta per venire alle
mani con Girgir perchè facendo alto l'esercito una notte, Aroldo si era
attendato sur una collina evitando i luoghi bassi insalubri in quel
paese, e Girgir volea mettersi nel medesimo sito. Finisce che si tira a
sorte il luogo ed Aroldo per scaltrezza o frode resta dov'è. (Fatto
verosimile, forse vero, incorniciato di favole.)
Aroldo guerreggiando insieme coi Greci non fa mai dar dentro i Varangi;
ma quand'è solo, combatte disperatamente, e sempre riporta la vittoria.
Girgir biasimato del non guadagnar mai nulla, scarica la colpa su i
Varangi; alfine l'esercito si separa in due: Girgir coi Greci ed Aroldo
coi Varangi e i Latini; questi riporta infinite vittorie, e quegli se ne
torna scornato a Costantinopoli, abbandonato anche dai giovani greci che
vogliono rimaner con Aroldo. (La prima parte si riscontra un po' con le
memorie normanne. Le altre son favole intessute su la disgrazia di
Maniace.)
Aroldo allora passa con l'armata in Affrica, detta la terra dei
Saraceni; ove conquista ottanta città o castella; vince in campo il re
d'Affrica; guerreggia parecchi anni; fa gran bottino d'oro, gioielli e
altre cose preziose, e il manda in Russia, com'abbiam detto; poi assalta
la costiera meridionale di Sicilia. (Citati varii squarci di poesie. La
immaginaria impresa in Affrica è tolta dal combattere in Sicilia contro
gli Affricani. Gli ottanta castelli son la più parte in aria; il re
d'Affrica può dinotare Abd-Allah figliuolo di Moezz, alla battaglia di
Traina.)
In una battaglia navale guadagnata da Aroldo sopra gli Affricani, i
cadaveri degli uccisi son buttati su l'arena alle spiagge meridionali
della Sicilia che son tinte di sangue. (Citata una poesia.
Quest'episodio non si può affermare nè negare.)
Aroldo va con l'armata in Blaland (questo nome danno le saghe al paese
dei Negri d'Affrica a mezzodì della Serkland, ossia Affrica
Settentrionale), ove riporta altre vittorie e torna a Costantinopoli.
Zoe gli domanda una ciocca di capelli, e che ricambio ei ne vuole si
legga nella versione latina. Guarisce poi per miracolo una pazza; libera
il paese vicino d'un gran dragone; va a combattere un'oste di Pagani ai
confini dell'impero; vince con l'aiuto di Sant'Olaf che appare sopra un
cavallo bianco; e per voto fabbrica una chiesa a Costantinopoli. (Non
occorre notare che son tutte favole. Il caval bianco di Sant'Olaf, è lo
stesso di Sant'Ignazio di Costantinopoli alla battaglia di Caltavuturo
nell'882, Vol. I, p. 420, Lib. II, Cap. X, e di San Giorgio alla
battaglia di Cerami nel 1063.)
Mandato su l'armata con Girgir a saccheggiare la Sicilia, prendevi
quattro città. La prima, scavatavi sotto una mina, per la quale sbucò
nel bel mezzo d'un palagio dove allegramente si banchettava. La seconda,
molto più forte, non si potea avere per battaglia. Perciò Aroldo, visto
che tanti stormi di uccelletti volassero dalla città al bosco vicino, fa
impiastrar di bitume certi alberi, e presi gli uccelli lor fa attaccare
addosso schegge di pino sparse di zolfo e cera, e messovi fuoco lascia
gli innocenti animali; sì che tornandosi a lor nidi nei tetti di strame,
appiccarono l'incendio per ogni luogo della città e la fu obbligata ad
arrendersi. (Lo stesso tiro è attribuito nelle saghe alla granduchessa
Olga, ai re di Danimarca Hadding e Fridleif ed a Gurmund pirata.)
Un'altra città più grossa, lungamente assediata, cadde con questo
stratagemma: che Aroldo s'infinse malato e poi morto, e volle farsi
seppellire con sontuoso funerale in città; dove i frati fecero a gara
per averlo ciascuno in sua chiesa. Armati di sotto e coperti di lunghe
gramaglie egli e pochi Varangi recavan la bara; mettean mano alle spade
quando furono in su la porta, ed aprivano il passo a tutto l'esercito.
(Somigliante strattagemma è attribuito a Roberto Guiscardo in Calabria,
a Frode I, re di Danimarca ed a molti altri condottieri.) Infine
stringendo un castello inespugnabile, i Varangi fingono di avvicinarsi
senz'arme e giocar tra loro per beffarsi del presidio; i soldati del
presidio, per non parer da meno, fan lo stesso; e replicato lo scherzo
parecchi dì, i Varangi una volta traggono lor coltellacci nascosi ed
occupano al solito la porta, con aspro combattimento, nel quale Aroldo
fece andare innanzi con la bandiera un Haldor che fu gravemente ferito e
rinfacciò il re di codardia. (Questo pare men favoloso; oltre Haldor che
tornò con una cicatrice alla guancia, v'è nominato un Ulf-Ospaksson
etc.)
Dopo diciotto battaglie vinte in Sicilia, raccolto gran bottino, Aroldo
e Girgir, che fa sempre la parte dell'Arlecchino in commedia, se ne
tornano. Aroldo poi va a conquistare coi soli Varangi Gerusalemme, a
bagnarsi nel Giordano; è imprigionato a Costantinopoli per dispetto
amoroso di Zoe o gelosia del novello suo marito Costantino Monomaco; è
liberato per virtù di Sant'Olaf, apparsogli in sogno; fuggendo rapisce e
poi lascia una principessa greca, e dopo altre avventure, sposa la
Elisabetta di Russia a Novogorod, si collega col re di Svezia per torre
la corona di Norvegia a Magnus figliuol di Sant'Olaf, e alfine regna
insieme col nipote (1047).
Or il finto conquisto di Terrasanta, la Sicilia non ricordata mai come
paese musulmano, e tanti altri indizii, mostrano che la Eneide di Aroldo
nel Mediterraneo fu inventata dopo le Crociate. Dunque non è nè anco
contemporanea; nè possiam su la sua fede accettar quegli episodii che
somiglian meno a menzogna: per esempio il combattimento navale su le
costiere meridionali di Sicilia, e l'ultimo dei quattro stratagemmi
narrati di sopra. Del resto, le due autorità c'ho citato non s'accordan
tra loro nei particolari, e questi variano nelle altre saghe non
tradotte, come ritraggo dal signor Broch.
Ho fatto parola delle monete musulmane trovate nel Baltico al par che
molte dell'impero bizantino. Su la presunta origine di esse gli eruditi
sono d'accordo. Si vegga la nota del signor Laing, op. cit., tomo III,
p. 4.
[936] Si confrontino: Malaterra, lib. I, cap. VII, e la _Cronica_ di
Roberto Guiscardo, testo e versione, ll. cc. La voce _Archadius_, data
per nome proprio del condottiero, è titolo, come tutti sanno, di grado
militare, _Kâid_, più tosto che di magistrato, _Kâdhi_.
[937] Così Malaterra. Il monaco Nilo dice 100,000; Cedreno fa supporre
molto più, portando a 50,000 il numero degli uccisi. Da un'altra mano