Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 25

Il medesimo nome, sotto la forma di _Belgi_ e _Belgiân_, si trova a
Bassora e presso Marw in Khorassân, secondo il _Merâsid-el-Ittilâ'_.
Inoltre un picciol fiume che si scarica nell'Eufrate presso Rakka,
chiamato anticamente Bileka, porta oggi il nome di _Belich_, o
_Belejich_, secondo la pronunzia inglese, come si nota nel _Journal of
the Royal Geographical Society_, anno 1833, tomo III, p. 233.
[83] Volgarmente _Dennisinni_, fonte presso Palermo, tra i palagi della
Cuba e della Zisa. In un diploma latino del 1213, presso Mortillaro,
_Catalogo dei diplomi della cattedrale di Palermo_, p. 55, questo nome è
scritto _Aynscindi_; e _Aynisindi_ nello _Anonymi Chronicon Siculum_,
opera del XIV secolo, presso Di Gregorio, _Biblioteca Aragonese_, tomo
II, p. 129. Ibn-Haukal, nel X secolo, dava a questa fonte il nome di
_'Ain-abi-Sa'id. Journal Asiatique_, IV série, tomo V, p. 90 e 99 (20 e
29 dell'estratto).
[84] Del villaggio di _Balharâ_, fa menzione Ibn-Haukal, l. c. Il sito
risponde senza dubbio a quel di Monreale; e il nome par sia rimaso a un
mercato di Palermo, ch'era frequentato probabilmente dagli abitatori di
Balharâ, il quale, nel medio evo, fu chiamato, come attesta Fazzello,
_Segehallaret_, e oggi, tralasciata la voce _suk_ o _sug_, “mercato,” si
addimanda _Ballarò_. Io l'ho avvertito alla nota 33 alla mia versione di
Ibn-Haukal. Or in India avvi un monte detto nel medio evo _Balharâ_, e
scritto dagli Arabi precisamente con la stessa ortografia del testo di
Ibn-Haukal. Ne fa menzione il medesimo autore, e, seguendo lui,
Ibn-Sa'id, _Moktaser-Gighrafia_, MS. di Parigi, fog. 53.
Balharâ era anche titolo di un principe d'India, al dir di Masudi,
_Morûg-ed-dscheb_, versione inglese di Sprenger, tomo I, p. 193, e
Reinaud, _Mémoire sur l'Inde_, p. 129.
[85] _Ságana_, vasto podere, e un tempo feudo, tra le montagne a ponente
di Palermo. Il nome resta tuttavia. Se ne fa menzione in un diploma di
Guglielmo II, del 1176, del quale v'ha una copia in arabico
nell'archivio del Monastero di Morreale, con una versione latina
contemporanea, pubblicata da Del Giudice, _Descrizione del tempio di
Morreale_, appendice, p. 18.
_Saghâniân_ chiamavasi una città della Tartaria independente, al sud-est
di Samarkand; e scriveasi con le medesime lettere radicali che nel
diploma di Morreale, se non che in questo l'accento e la finale son
diversi: in luogo di _Saghâniân_, _Sâghanû_. È superfluo ricordare che
nel IX secolo l'impero arabico si estendeva alla Tartaria fino a
Fergana; e che Bokhara, Samarkand e altre città di quella provincia,
furono patria di dottissimi scrittori arabi.
[86] _Menzîl Sindi_, ricordato da Edrisi, e situato presso Corleone; e
_Gebel-Sindi_, vasto podere presso Girgenti, di cui si fa menzione in un
diploma del 1408, presso Di Gregorio, _Biblioteca Aragonese_, tomo II,
p. 49. Significano l'uno “la posta o villaggio,” e l'altro “il monte”
del Sindî, o vogliam dire uom del Sind. Il nome di _Sindis_, a levante
di Corleone, occorre di più in un diploma presso Pirro, _Sicilia Sacra_,
p. 764. Mohammed-ibn-Sindi capitanò l'armatetta uscita di Palermo contro
i Bizantini nell'855. Veggasi il Libro II, cap. V, p. 302 del primo
volume.
[87] Dei nomi che presentano tal certezza, sei sono vicinissimi a
Girgenti; due tra questa e Palermo; due presso Palermo; uno nei dintorni
di Messina; uno in quei di Siracusa. Ecco i nomi:
I. _Andrani_, casale tra Sciacca e Girgenti, da un diploma del 1239,
_Constitutiones Regni Siciliæ_, edizione del Carcani, p. 268. _Andrani_
o _Andarani_ è l'aggettivo etnico di Andara, tribù berbera, ricordata da
Ibn-Khaldûn, _Storia dei Berberi_, testo arabico, tomo I, p. 108 e 178,
e versione francese di M. De Slane, tomo I, p. 170, 275.
II. _Kerkûd_, nome di villa in Sicilia secondo il _Merâsid-el-Ittilâ'_ e
il _Mo'gim_ di Iakût, MS. del British Museum, nº 16649 e 16650,
nell'articolo _Kerkeni_ (Girgenti): forse la Karches di un diploma del
1177 a favor del vescovo di Girgenti, negli _Opuscoli di autori
siciliani_, tomo VIII, p. 334. _Kerkûda_ è tribù berbera, secondo
Ibn-Khaidûn, op. cit., testo, tomo I, p. 177; versione, tomo I, p. 274.
III. _Mesisino_, nome di collina nell'antica baronia di Belici presso
Castelvetrano, secondo Villabianca, _Sicilia Nobile_, tomo II, p. 345.
_Meziza_ è tribù berbera, secondo Ibn-Khaldûn, op. cit., testo, tomo I,
p. 153; versione, tomo I, p. 241. La mutazione della _z_ in _s_ non
mette in forse la etimologia.
IV. _Mechinesi_, antico casale sul cui sito sorge in oggi Acquaviva,
secondo Amico, _Lexicon Topographicum_. _Miknas_, o _Miknasa_ è nome
notissimo di tribù berbera.
V. _Minsciâr_, castello, secondo Edrisi, presso il sito presente di
Racalmuto; e _Muxaro_ (Sant'Angelo di) in oggi comune a 14 miglia da
Girgenti, scritti entrambi con varianti nei diplomi del medio evo.
_Minsciâr_ era nome di una montagna in Affrica, appartenente alla tribù
berbera dei Wezdâgia, secondo Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de
la Sicile_, versione di M. Des Vergers, testo arabo, p. 56, e versione,
p. 128. Si vegga anche Edrisi, versione di M. Jaubert, tomo I, p. 275.
Il _Merâsid_, di Iakût, edizione di Leyde, tomo III, p. 159, nota una
fortezza _Minsciâr_ presso l'Eufrate.
VI. _Modiuni_ si addimanda in oggi il fiume detto anticamente Selinus,
presso Selinunte. _Madiûna_ è nome di tribù berbera, secondo
Ibn-Khaldûn, _Storia dei Berberi_, testo, tomo I, p. 109, e versione,
tomo I, p. 172.
VII. _Sanagi_ o _Sinagia_, si chiamò la sorgente del fiume Mazaro, e un
podere nel territorio di Salemi, secondo un diploma del 1408, presso Di
Gregorio, _Biblioteca Aragonese_, tomo II, p. 489, e Villabianca,
_Sicilia Nobile_, tomo II, p. 396. _Sanhâgia_, o _Sinhagia_, come ognun
sa, è delle principali tribù berbere.
VIII. Notissima al paro quella di _Zenata_. _Hager ez-Zenati_ e _Rahl
ez-Zenati_ che suonan “La rupe,” e “il villaggio” di quel di Zenata,
sono nomi di luogo presso Corleone, ricordati nei diplomi: del 1093,
presso Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 695 e 842; del 1150, 1155, 1301,
presso Mongitore, _Sacræ Domus Mansionis.... Panormi, Monumenta
historica_, cap. XIII; e del 1182, presso Del Giudice, _Descrizione del
tempio di Morreale_, Appendice, p. 11. Di quest'ultimo diploma avvi una
copia arabica nell'archivio del monastero di Morreale. Negli altri, che
son tutti latini, si legge talvolta _Petra de Zineth_, _Raalginet_,
_Ragalzinet_ ec.
IX. _Magagi_ in latino e _Maghâghi_ in arabico, secondo il diploma del
1182 presso Del Giudice, l. c., è nominata una villa nel territorio
dell'antica Giato, non lungi dall'odierno comune di San Giuseppe li
Mortilli. _Maghâga_, tribù berbera, secondo Ibn-Khaldûn, _Storia dei
Berberi_, testo, tomo I, p. 108; versione, tomo I, p. 171.
X. _Cutemi_, _Cutema_, _Gudemi_, terra presso Vicari, sul confine delle
diocesi di Palermo e Girgenti, ricordata in un diploma del 1244, presso
Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 147. Il nome deriva da _Kotâma_ o _Kutâma_,
tribù berbera, di cui ci occorrerà far parola. Avvertasi che questa e
Sanhagia forse non vennero in Sicilia prima del X l'una, e l'altra dello
XI secolo.
XI. _Cûmîa_, nome di due villaggi vicino Messina, e di una tribù
berbera, di cui Ibn-Khaldûn, op. cit., testo, p. 109 ec., e versione,
tomo I, p. 172 ec.
XII. _Melilli_, nome di città a dodici miglia da Siracusa. _Melila_ e
_Melili_, cittadi d'Affrica, l'una su la costiera del Rif di Marocco,
l'altra nello Zab; e Melila, tribù berbera, di cui Ibn-Khaldûn, op.
cit., testo, tomo I, p. 107 ec., e versione, p. 170 ec. Ma il nome
potrebbe esser pure d'origine latina.
XIII. Mesisino, nel feudo del Landro (val di Mazara), citato da
Villabianca, _Sicilia nobile_, tomo II, p. 345. Meziza era nome di tribù
berbera, secondo Ibn-Kaldûn, _Histoire des Berbères_, tomo I, p. 241
della versione, e I, 153 del testo.
Do la presente lista com'abbozzata appena; perocchè nè si trovan
raccolti, nè io tutti li so, i nomi topografici secondarii della
Sicilia, di monti, poderi, scaturigini d'acqua ec. Da un'altra mano
scarseggiano le notizie su le denominazioni etniche di second'ordine e
su le topografiche relative ai Berberi d'Affrica, e la lingua loro
appena si è cominciata a studiare da Europei; ond'è possibile che siano
berberi molti nomi topografici attuali della Sicilia o di quei ricordati
nelle carte dal XII al XV secolo, la cui origine non pare arabica, nè
greca, nè latina, nè francese. Son certo che si arriverà a scoprirne col
tempo molti altri. Avverto infine che moltissimi dati anco dalla
schiatta berbera non si riconosceranno giammai; perchè gli uomini di
quella prendeano sovente nomi o soprannomi arabici. Occorrono inoltre
parecchi nomi berberi tra i poeti siciliani dell'XI e XII secolo. La
storia ricorda, nell'XI secolo, Ibn-Meklâti, uno dei regoli che si
divisero l'isola, uom della tribù di Meklata, di cui Ibn-Khaldûn, op.
cit., testo, tomo I, p. 108 ec.; versione, tomo I, pag. 172 ec. L'atto
di vendita di una casa in Palermo, dato il 1132, porta il nome del
venditore Abd-er-Rahman-ibn-Omar-ibn....-el-Lewâti, cioè di Lewâta,
notissima tribù berbera; testo arabico presso Di Gregorio, _De
supputandis apud Arabos Siculos temporibus_, p. 44.
[88] _Mœurs et Coutumes de l'Algérie_, par le général Daumas, Paris
1853, p. 148, 166, seg.; 191, seg.
[89] Ibn-Khaldûn, sì veggente in filosofia storica e sì accurato
compilator degli annali dei Berberi, fa una distinzione tra i Berberi
nomadi e gli agricoltori, dei quali i primi taglieggiavano i secondi e
si teneano più nobili di loro, _Storia dei Berberi_, versione francese
di M. De Slane, tomo I, p. 167, seg. Par che i nomadi non solamente
esercitassero quella maggioranza, come più forti, sopra gli agricoltori,
ma anco inclinassero all'aristocrazia nello ordinamento interiore di
loro tribù. Quanto alla democrazia, ancorchè Ibn-Khaldûn non ne parli,
trasparisce dai fatti che io andrò accennando; e fors'anco quello
storico si accorse della diversità del reggimento politico, quando notò
che i Berberi lontani dalle grandi città e però non soggetti alla
dominazione romana, vandala o bizantina, “avean le forze, ordini, numero
di genti, re, capi, reggitori (_akiâl_ plurale di _kâil_) e comandanti
che lor piacessero;” poichè la diversità di cotesti governanti,
scrivendo lo autore in arabico e non in berbero, mostra differenza non
di mero titolo, ma ancora di autorità e natura del magistrato. Veggasi
il testo arabico, vol. I, p. 132; e la versione, vol. I, p. 207, che non
è litterale.
[90] Il califo fatemita Mo'ezz-li-din-Allah, verso il 908, apprestandosi
al conquisto di Egitto, volea porre governatori suoi e riscuotere le
decime legali nel paese della tribù di Kotâma. Rifiutaronli. Chiamati a
corte alcuni sceikhi della tribù, Mo'ezz, non li potendo intimidare, lor
disse che l'avea fatto per prova, e che si rallegrava di avere a' suoi
servigi uomini di sì alti spiriti. Veggasi Makrizi, citato da M.
Quatremère, _Vie du Khalife fatimite Moezz-li-din-Allah_, p. 30, 31.
[91] Queste due tribù sendo state in guerra contro il principe zeirita
d'Affrica, Mo'ezz-ibn-Badis, gli mandarono il 1026 loro sceikhi a
trattare uno accordo con esso lui: Ibn-al-Athîr, MS. C, tomo V, fog. 59
recto, anno 417. Le milizie di Kotâma, stanziate al Cairo al principio
del regno di Hâkein-bi-Amr-Allah (966), non vollero che si ingerisse
nelle faccende loro altri che un proprio loro sceikh. Veggasi
Iahîa-ibn-Sa'îd, _Continuazione degli annali d'Eutichio_, MS. di Parigi,
Ancien Fonds, 131 A, p. 62.
[92] Veggasi il Libro II, cap. X, p. 424; e cap. XI, p. 440 del primo
volume. Secondo Ibn-el-Athîr, e il _Baiân_, la cacciata dei Musulmani da
Amantea e Santa Severina seguì il 272 (17 giugno 885 a' 6 giugno 886),
la qual data si riscontra con quella degli annali bizantini. La prima
guerra civile tra Arabi e Berberi in Sicilia scoppiò tra l'autunno
dell'886 e la primavera dell'887, secondo la testimonianza della Cronica
di Cambridge, combinata con quella del _Baiân_.
[93] Veggasi il Libro II, cap. X, p. 429, seg., del primo volume.
[94] Citato da Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_,
traduzione di M. Des Vergers, p. 139. Nel testo si legge in caratteri
arabici _Mâlankhûnîa_ (Μελανχολία). Forse attinse alla stessa sorgente
l'autore del Baiân, tomo I, p. 126, il quale, in luogo di trascrivere la
denominazione della malattia, la traduce: “bile negra.”
[95] Litteralmente “la materia onde cresce il re, sono i _rai'a_.”
Questa voce arabica, come ognun sa, vuol dir gregge; ed è passata in
termine tecnico per designare il popol minuto delle città e campagne.
[96] Nowairi, _Storia d'Affrica_, MSS. di Parigi, Ancien Fonds, 702, e
702 A, fog. 23 recto del primo, e 54 del secondo. Mi allontano alquanto
dalle versioni non precise che han dato di questo passo M. Des Vergers,
e M. De Slane, il primo in nota a Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et
de la Sicile_, p. 139, e l'altro in appendice a Ibn-Khaldûn stesso,
_Histoire des Berbères_, tomo I, p. 435.
[97] Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi, fog. 32 verso.
L'autore allega in esempio il distico d'Ibrahim:
“Astri siam noi, figli degli astri; avol nostro la luna del cielo,
Abu-Nogiûm-Tamîm;
“Avola nostra il Sole. Or chi s'agguaglia a noi, discesi di due sì
nobili schiatte?”
A chi non conosce l'arabico è da avvertire che in quella lingua la luna
è di genere maschile, il sole femminino, e Abu-Nogiûm significa “padre
delle stelle.”
Conde, _Dominacion de los Arabes en España_, parte IIª, cap. LXXV,
riferisce, senza citare sorgente, un aneddoto anacreontico, seguito
forse nella prima gioventù di Ibrahim. Certo poeta, per domandargli non
so che grazia, scrivea due versi in un pelizzino, e il nascondea, come
noi facciamo nei confetti, entro una rosa, presentata a Ibrahim mentre
sedeva in un giardino tra le sue donne. Una lesse e cantò i versi; e
Ibrahim donò al poeta cento monete d'oro.
[98] Confrontinsi: Ibn-el-Athîr, MS. A, tomo II, fog. 92 recto; e MS. C,
tomo IV, fog. 246 verso, anno 261; _Baiân_, tomo I, p. 110, seg.;
Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, traduz. di M. Des
Vergers, p. 126, seg.; Nowairi, in appendice a Ibn-Khaldûn, _Histoire
des Berbères_, traduz. di M. De Slane, tomo I, p. 424, seg.
[99] Veggansi le autorità citate nella nota precedente; e vi si
aggiungano: Bekri, Descrizione dell'Affrica nelle _Notices et extraits
des MSS_., tomo XII, p. 470; Tigiani, _Rehela nel Journal Asiatique_,
série IV, tomo XX (agosto 1852), p. 99; e tomo XXI (febbraio 1853), p.
133; Ibn-Wuedrân, MS. arabo, § 6; e versione di M. Cherbonneau, nella
_Revue de l'Orient_, decembre 1853, p. 428. Il primo parla soltanto
della Moschea di Kairewân; l'ultimo di quella di Tunis, e del serbatoio
d'acqua.
[100] _Theophanes continuatus_, lib. IV, cap. XXXV, p. 197; Constantinus
Porphyrogenitus, _De Cerimoniis aulæ Byzantinæ_, appendice al Iº libro,
p. 492; Symeon Magister, _De Michæle et Theodora_, cap. XLVI, p. 681. I
posti in tutto erano nove, compreso quello di Costantinopoli. Il numero
diverso dei fuochi indicava diversi casi, come: assalto dei Musulmani,
battaglia, incendio, etc. Leone, arcivescovo di Tessalonica e professore
alla Magnaura, al dire di Symeon Magister, avea perfezionato questo
sistema telegrafico, ponendo a Tarso ed a Costantinopoli due orologi che
si supponeano isocroni (ὲξ ἴσου κάμνοντα). L'imperator Michele
l'ubbriaco fece sopprimere i segnali a vista della capitale, perchè i
sinistri avvisi non lo venissero a sturbare tra i giochi dell'ippodromo.
[101] Questa conghiettura è fondata su gli indizii seguenti. Primo, che
i fuochi di segnali usati in Sicilia fino agli ultimi anni del secolo
passato per dare avviso dei corsali barbareschi che si avvistassero, si
chiamavan _fáni_, appunto la stessa voce φάνος, che troviamo nei citati
scrittori bizantini. Da ciò par che l'usanza risalga ai tempi in cui il
linguaggio oficiale in Sicilia era il greco. Secondo, che la montagna
ove sorgea l'antica Solunto, alla estremità orientale del golfo di
Palermo, si addimanda tuttavia Catalfano, voce scorciata da Calatalfano
e composta dall'arabico kala't (rocca) e da φάνος; il che prova che vi
fosse stata una torre da segnali al tempo della dominazione musulmana, o
anche prima. Terzo, che i segnali con fuochi furono tentati nell'847
durante lo assedio di Lentini, come già narrammo nel Libro II, cap. VI,
p. 317 del primo volume.
[102] Confrontinsi: il _Baiân_, tomo I, p. 215; Nowairi, in appendice
alla _Histoire des Berbères par Ibn-Khaldoun_, versione di M. De Slane,
tomo I, p. 424; Bekri, Descrizione d'Affrica nelle _Notices et Extraits_
des MSS., tomo XII, p. 476, 477; Ibn-Wuedrân, MS. arabo, § 6º. I due
ultimi scrittori riferiscono la fondazione di Rakkâda agli anni 273 e
274. Il nome nacque, secondo alcuni, dall'amenità del sito che
inebbriasse di voluttà e sforzasse al sonno; secondo altri, da un gran
mucchio di cadaveri che vi si trovarono a dormir l'ultimo sonno.
[103] Si pronunziino le ultime due lettere ciascuna col proprio suono,
non unite con quello della _th_ inglese. Il nome vuol dir “Padre della
vittoria.”
[104] M. De Slane, op. cit., p. 425, ha tradotto queste parole del
Nowairi “un certain nombre d'entr'eux parvint à se réfugier en Sicile.”
Ma il testo dice chiaramente “rilegare,” e così lo ha interpretato M.
Des Vergers in nota a Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la
Sicile_, p. 127.
[105] Ciò è notato da Nowairi, op. cit., p. 425, e 427. Veggansi per
cotesti fatti: Nowairi, l. c.; e il _Baiân_, tomo I, p. 110.
[106] Tomo I, p. 126.
[107] _Baiân_, tomo I, p. 114. Quivi si fa menzione di due diverse
emissioni di moneta. L'una fu di dirhem _sihâh_, ossiano “schietti,”
come li chiamava il principe. Così ei soppresse le ritaglie d'oro senza
conio, con che si soleano pagare le frazioni di valori, per lo scrupolo
religioso di non cambiar metallo con metallo; onde si tenea biasimevole
pagando, per esempio, una merce del valore di mezzo dinâr, dar al
venditore un dinâr e riceverne mezzo dinâr in altra moneta. Per questa
ragione nei paesi musulmani i cambiatori, _sirâfi_, come li dicono,
erano per lo più giudei. Non sappiamo se desse luogo al malcontento
quello scrupolo di coscienza, ovvero la cattiva lega dei dirhem.
Represso il tumulto, aggiunge il _Baiân_, rimasero abolite per sempre in
Affrica, non solo le ritaglie (_kitâ'_), ma anche i nokûd, che significa
buona moneta in generale, e qui parmi si debba intendere di quella dei
califi, che avea corso in tutti i paesi. Venne dopo ciò la coniazione
dei dirhem e dinâr detti _'asceri_, ossia decimali. La numismatica ci
permette di aggiugnere che Ibrahim coniasse altresì quarte di dinâr in
oro; che ve n'ha pubblicate parecchie, e una ne ho veduto nel Cabinet
des Medailles di Parigi, uscita probabilmente dalla Zecca di Sicilia
l'anno 268, e del peso di un grammo e cinque centesimi, che valea da tre
lire e sessanta centesimi pria della attuale perturbazione nel pregio
dell'oro.
[108] _Baiân_, tomo I, p. 125. Quivi è usato il vocabolo _kabâlât_, al
singolare _kabâla_ o _gabâla_, poichè la prima lettera partecipa del
suon della g. Indi è agevole a riconoscervi la nostra voce gábella.
Etimologicamente significa promessa, offerta, prestazione.
[109] _Baiân_, l. c. Il testo porta che nel 289 Ibrahim, riformando
parecchi abusi del proprio governo “prese le decime in frumento e
rilasciò il _kharâg_ di un anno ai possessori delle _dhiâ'_.” Le varie
significazioni di queste voci, di che abbiamo discorso nel capitolo
precedente, lascian dubbio se le decime fossero _zekâ_t, ovvero tributo
fondiario su i grani, e il _kharâg_ rilasciato, questo medesimo tributo,
ovvero censo; e in fine se si tratti di _dhiâ'_, poderi demaniali,
ovvero beneficii militari.
[110] _Baiân_, tomo I, p. 117, anno 280 (893-894).
[111] Nowairi, in appendice all'_Histoire des Berbères, par
Ibn-Khaldoun_, versione di M. De Slane, tomo I, p. 426; Ibn-Khaldûn
stesso, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, versione di M. Des
Vergers, p. 128. Secondo Ibn-Khaldûn, ebbe infino a 3,000 schiavi
stanziali; secondo il _Baiân_ a 5,000, e Nowairi dice 100,000, forse il
numero totale dello esercito.
[112] _Il Principe_, cap. XVIII.
[113] _Baiân_, tomo I, p. 116; Nowairi nell'opera citata, p. 427, il
quale registra questo fatto due anni prima del _Baiân_, cioè nel 278.
[114] Questa riflessione si legge nel _Baiân_, l. c.
[115] Nowairi, op. cit., p. 498. Veggasi ciò che notai a questo
proposito nel Libro II, cap. X, p. 429 e 430 del primo volume.
[116] Confrontinsi: il _Baiân_, tomo I, p. 117, 123; Nowairi, op. cit.,
p. 428, 429; Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_,
versione di M. Des Vergers, p. 130 a 132. — Il _Baiân_, dal quale
tenghiamo la narrazione degli onori resi a Meimûn, dice donategli tre
sorte di vesti di seta: 1º _kherz_, o diremmo noi filosella, seta
grossolana dei bozzoli forati dal baco; 2º _wesci_, credo drappo
intessuto d'oro; e 3º _dibâg_, drappo operato e di varii colori. È
trascrizione dal persiano _dibâh_, preso alla sua volta dal greco
δίβαφος.
[117] Nowairi, op. cit., p. 427.
[118] _Baiân_, tomo I, p. 116.
[119] Confrontinsi: il _Baiân_, l. c.; e Nowairi, op. cit., p. 427.
[120] Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiat. di Parigi, fog. 33 recto.
[121] Confrontinsi: il _Baiân_, tomo I, p. 116; Nowairi, op. cit., p.
436; e Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, traduz. di
M. Des Vergers, p. 139.
[122] _Baiân_, tomo I, pag. 127; Nowairi, op. cit., p. 437.
[123] Veggasi il Libro II, cap. XII, p. 476.
[124] _Riadh-en-nofûs_, MS. fog. 55 verso.
[125] Libro II, cap. XII, p. 511.
[126] _Baiân_, tomo I, p. 116. Su questa maniera di supplicio, usata nei
paesi musulmani almeno fino al XVI secolo, si veggano Sacy,
_Chrestomathie arabe_, tomo I, p. 468; Quatremère, arsione dell'opera di
Makrizi, _Histoire des Sultans Mamlouks_, tomo I, pag. 72 e 182; De
Freméry, nel _Journal Asiatique_, série IV, tomo III (gennaio 1844), p.
124.
[127] Mi discosto in questo passo dalla versione di M. De Slane.
[128] Op. cit., pag. 430.
[129] _Baiân_, tomo I, p. 124. Ho seguíto piuttosto la cronologia di
questa compilazione che del Nowairi, il quale reca il fatto nel 281
(894-895).
[130] Confrontinsi: Ibn-Abbâr, MS. della Società Asiatica di Parigi,
fog. 35 recto; _Baiân_, tomo I, p. 281; Nowairi, op. cit., p. 430.
[131] Confrontinsi: il _Baiân_, tomo I, p. 115 a 127; Ibn-Abbâr, l. c;
Nowairi, op. cit., p. 428, 436, 437; Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique
et de la Sicile_, fog. 139, il quale accenna appena le crudeltà del
tiranno.
Ibn-el-Athîr, risoluto a lodarlo come principe forte e sostegno
dell'islamismo, salta a piè pari tatti quei misfatti, e narra solo i
principii del regno e la morte di Ibrahim; pur si lascia sfuggir dalla
penna che l'eroe Abu-l-Abbas vivea in continuo terrore della “maligna
indole del padre.” MS. A, tomo II, fog. 92 e 172; MS. C, tomo IV, fog.
246 verso, e 279 recto, anni 261 e 289.
[132] Veggasi in questo medesimo Libro II cap. IV.
[133] _Baiân_, tomo I, p. 115. Aggiugne il cronista che Ibrahim trovò
con maraviglia il cuore confuso (leggo nel testo _fânian_) col fegato, e
irsuto di peli. In Sicilia si dice d'uom tristo e vendicativo ch'abbia
il cuor peloso; il quale pregiudizio o la frase può ben venire dagli
Arabi. Quanto ai movimenti convulsivi che si narrano di Ibn-Semsâma, non
mi sembrano più meravigliosi di quei che la storia ricorda di tanti
altri decapitati; nè parmi strano che vi concorra il proponimento
fermatosi in mente da un uomo nell'atto di ricevere il colpo mortale.
[134] Confrontinsi il _Baiân_, tomo I, p. 126 e 127, e Nowairi, op.
cit., pag. 436 seg. Entrambi citano Ibn-Rakîk, cronista affricano del X
secolo, e il _Baiân_ aggiugne aver trovato cotesti fatti anche in altri
autori. Ibn-Abbâr, MS. citato della Società Asiatica di Parigi, fog. 35
recto, solo narra il fatto delle donne incinte sparate per cavarne il
feto, dicendo che seguì l'anno 283 (896-897) e conchiudendo con la
esclamazione: “enorme peccato contro Iddio, ch'ei sia esaltato.”
Immediatamente appresso cita Ibn-Rakîk per uno aneddoto relativo alla
deposizione di Ibrahim. In generale per la vita di questo tiranno si
veggano i tre scrittori or citati e Ibn-el Athîr, Ibn-Kaldûn, e gli
altri compilatori che più o meno ripetono gli stessi fatti. La più parte
del racconto di Nowairi era stata tradotta, prima di M. De Slane, da M.
Des Vergers, nelle note a Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la
Sicile_, pag. 138, seg.
[135] Martirio di San Procopio vescovo di Taormina, cavato dalla
Traslazione del corpo di San Severino alla città di Napoli, presso
Gaetani, _Vitæ Sanctorum Siculorum_, tomo II, p. 60, seg.; e presso
Muratori, _Rerum Italicarum Scriptores_, tomo I, parte II, p. 269.
L'autore è lo stesso della cronica dei Vescovi di Napoli, come lo prova
il Muratori nel tomo citato del _Rerum Italicarum_, pag. 287, seg.
L'altra narrazione alla quale alludo è il martirio dei fratelli
siracusani, presso Gaetani, op. cit., tomo II, p. 59.
[136] Confrontinsi: il _Baiân_, tomo I, p. 124, anno 285 (27 gennaio 898
a 15 gennaio 899), e il _Chronicon Cantabrigiense_, presso Di Gregorio,
_Rerum Arabicarum_, p. 43, anno 6406 (1º settembre 897 a 31 agosto 898).
Supponendo precise quelle due date, l'avvenimento si ristringe ai sette
mesi che corsero dalla fin di gennaio a quella d'agosto 898. Si noti che
il Baiân non spiega chi fosse il capo dei Berberi, e chi degli Arabi. Ma
vi supplisce il nome di Hadhrami; poichè l'Hadramaut è regione a levante
del Iemen. Se tuttavia rimanesse dubbio, lo toglie la Cronica di
Cambridge dicendo che i Berberi, dopo assalito il giund, consegnarono
agli Affricani Abu-Hosein e i suoi figliuoli. Quegli era dunque il lor
capo. Ho corretto secondo la Cronica di Cambridge il soprannome di
costui, che nel _Baiân_ si legge Abu-Hasan.
[137] Veggasi il Libro II, cap. IX, p. 390 del 1º vol., nota 4. Ho
scritto il nome come si trova in Ibn-el-Athîr, anno 287, MS. A, tomo II,
fog. 167 recto; e MS. di Bibars, fog. 123 recto. Il Nowairi, _Storia di
Sicilia_, presso di Gregorio, _Rerum Arabicarum_, p. 11, dà il nome di
Abu-Malek-Ahmed-ibn-Iakûb-ibn-Omar-ibn-Abd-Allah-ibn-Ibrahim-ibn-Aghlab.
Questo compilatore, che in tutto merita minor fede, dice che Ahmed
governò la Sicilia per ventisei anni (correggasi 28), dal 259 al 287
(872 a 900); dimenticando che nella _Storia d'Affrica_ egli stesso avea
nominato in quello spazio di tempo due altri emiri di Sicilia. Perciò
suppongo che Ahmed fosse stato scambiato una prima volta, e rieletto,
dopo molti anni, verso il 287.
[138] _Chronicon Cantabrigiense_, presso di Gregorio, _Rerum
Arabicarum_, p. 43. La versione stampata porta: _Anno 6407 commissum est
prælium in Franco Forth_. Le due parole del testo, nelle quali parve di
ravvisare questo nome geografico, sono sbagliate nelle edizioni di
Caruso e Di Gregorio; poichè nel MS. originale, secondo la collazione
che me ne ha fatto il cortese signor Power bibliotecario dell'università
di Cambridge, si legge chiaramente la seconda voce _mofâreka_; e la
prima, mancante di punti diacritici, si compone delle seguenti lettere:
1º _f_, ovvero _k_; 2º _r_; 3º _b, t, th_, ovvero _i, n_; 4º _h, g,_
ovvero _kh_; 5º a. Badando alle sole radicali, non esito a dire che
siano _f, r, g_ con che si scrive il verbo fereg, “scindere, fendere;” e
son certo che questa parola mal copiata o piuttosto male scritta in
arabico dall'autore, greco di Sicilia, sia il plurale irregolare di un
vocabolo che significasse “scissura;” proprio il greco σχῖσμα. Non
lascia luogo a interpretarla altrimenti la voce precedente _mofâreka_,
che si accorda grammaticalmente con questa, e che è l'aggettivo feminino
cavato dalla terza forma del verbo _ferek_, “separare, disgregare.” Si
corregga dunque la versione: “L'anno 6407 varie fazioni guerreggiaron
tra loro.”
Occorre di aggiugnere che il nome di Francoforte o altro simile non