Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 24

province conquistate di recente l'uficio di emir, di dritto, diveniva
generale; nè si potea diminuirne il territorio, nè l'autorità. Le
ragioni che ne allega Mawerdi son fondate su l'assioma, che il ben della
religione e della repubblica musulmana va anteposto al capriccio del
califo.
[6] L'oficio della posta si chiamava appo gli Arabi _berîd_,
trascrizione della voce latina _veredus_. Par che i Sassanidi abbian
tenuto la stessa pratica in fatto di alta polizia; come l'accennai nella
versione del _Solwân_ d'Ibn-Zafer, nota 24 al cap. V, p. 313, 314.
[7] Il _Baiân_, tomo I, p. 75, e Nowâiri, _Storia d'Affrica_, versione
francese di M. De Slane, in appendice a Ibn-Khaldûn, _Histoire des
Berbères_, tomo I, p. 588, fanno menzione del giuramento (_biâ'_)
prestato al nuovo emir di Affrica, Nasr-ibn-Habib (791).
[8] Ibrahim non era al certo independente in dritto più che gli altri
emiri di provincia. Per le monete di Heggiâg non occorre citazione. Su
quelle di Mûsa, va ricordato che la leggenda talvolta fu latina, come si
scorge dalle lettere di M. De Saulcy, _Journal Asiatique_, série III,
tomo VII, p. 500, 540 (1839), e tomo X, p. 389, seg. (1840).
[9] Capitolo V, p. 296.
[10] La numismatica arabo-sicula finadesso può dare scarso aiuto alla
Storia, sendo pubblicate pochissime monete, e la importante collezione
di Airoldi non per anco studiata. A ciò si aggiunga, che rimangono poche
speranze per l'epoca aghlabita, perchè gran copia di monete andò al
crogiuolo per la gelosia dinastica, l'avarizia e il genio burocratico
dei Fatemiti. Delle monete aghlabite di Sicilia alcune sono state
pubblicate da Tychsen, Adler, Castiglioni; alcune dal Mortillaro, il
quale compilò, utile lavoro, una lista di tutte le monete arabo-sicule,
conosciute da lui. Le quattro che io ho accennato nel testo, si trovano
le prime in quella lista (Mortillaro, _Opere_, tomo III, p. 343, seg.);
ed io ne ho dato forse più corretti ragguagli nel Libro II della
presente storia, cap. III, p. 283, cap. V, p. 296, e cap. VI, p. 320,
del primo volume. Le altre monete aghlabite di Sicilia son registrate
dal Mortillaro dal nº 5 al 12.
[11] Fakhr-ed-dîn, presso Sacy, _Chrestomathie Arabe_, tomo I, p. 84.
Non ho bisogno di avvertire che la _Khotba_ sia la preghiera pubblica,
in cui si ricorda il nome del principe e pontefice.
[12] Veggasi il Libro II, cap. III, V, VI, VII, IX, X.
[13] Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 51, 52, 53; lib. XIX, p. 375, seg.
[14] Come apostasia, empietà, stupro, ubbriachezza ec.
[15] Come omicidii e ferite, furti, calunnie.
[16] Mawerdi, op. cit., lib. III, p. 48, 51, 52, 53; lib. XIX, p. 375,
seg.
[17] Mawerdi, op. cit., lib. VII, p. 128, seg. Veggasi anche Sacy,
_Chrestomathie Arabe_, tomo I, p. 132, seg. Talvolta il principe
delegava alcuno allo esercizio di questa somma giurisdizione. Così
abbiam ricordi di un _wâli-l-mezâlim_ in Affrica sotto gli Aghlabiti,
che poi fu câdi in Palermo.
[18] Mawerdi, op. cit., lib, III, p. 48, 51, 52, 53; lib. VI, p. 107,
seg.; e lib. XX, p. 405 a 408. Si avverta che la giurisdizione non restò
divisa nè in tutti i paesi nè in tutti i tempi nel modo che porta il
Mawerdi. Io ho voluto seguire a preferenza questo scrittore, perchè è
contemporaneo alla dominazione musulmana in Sicilia, e ci mostra
l'ordinamento normale d'allora, meglio che nol farebbero i trattati
relativi all'impero ottomano, all'Affrica ec., al giorno d'oggi.
[19] Mawerdi, op. cit., lib. VIII, p. 164, seg.
[20] Mawerdi, op. cit., lib. XX, p. 404, seg. Veggasi ancora presso
Sacy, _Chrestomathie Arabe_, tomo I, p. 468 a 470, uno squarcio dei
Prolegomeni di Ibn-Khaldûn, il quale in parte copia litteralmente
Mawerdi, e in parte aggiugne fatti novelli.
[21] Makkari, presso Gayangos, _The Mohammedan Dynasties in Spain_, tomo
I, p. 105; Lane, _Modern Egyptians_, tomo I, p. 166.
[22] Ibn-Khaldûn, _Prolegomeni_, presso Gayangos, op. cit., tomo I, p.
XXXII; e nello stesso volume, Makkari, p. 104, e nota a p. 398; Sacy,
_Chrestomathie Arabe_, tomo II, p. 184. Al Cairo fu detto
_wâli-l-beled_, prefetto della città; in Spagna, _sâheb-el-medîna_,
preposto della città, _sâheb-el-leil_, preposto della notte, e
_sâheb-es-sciorta_. Gli Omeîadi aveano la grande e picciola _sciorta_,
come noi diremmo alta e bassa polizia.
[23] Ibn-Khallikân, _Wafiat-el-'Aiân_, Vita di Abu-Mohammed-Iahia-ibn-
Akthem, fa menzione del _sâheb-es-sciorta_ di Palermo sotto il
principe kelbita Thikt-ed-daula. MS. di Parigi, Suppl. Arabe,
502, fog. 326 verso; e 504, fog. 234 recto.
[24] Capitolo LVI di Giacomo, e XVII di Federigo di Aragona; Diploma di
Carlo d'Angiò del 24 ottobre del 1269, nella Biblioteca Comunale di
Palermo, MS. Q. q. G. 2, pei _Magistri sorterii_ di Palermo. Dalle
annotazioni di monsignor Testa ai detti luoghi dei Capitoli del Regno,
si vede usata infino ai principii del XVIII secolo in dialetto siciliano
la voce _sciorta_, che latinamente scriveano _sorta_, _surta_, _xurta_,
ec.
[25] Veggansi il Lib. I, cap. VI, p. 133, seg., e p. 148; e il Lib. II,
cap. II, p. 259.
[26] Il Mehdi usava far leggere i suoi rescritti e avvisi di vittorie
nella _gemâ'_ di ciascuna città. _Baiân_, testo, tomo I, anni 296 a 300.
[27] Veggasi Mawerdi, _Ahkâm-Sultanîa_, lib. XX, p. 411 a 414.
[28] Daumas, _Le Sahara Algérien_, p. 72, 290, 293; e il medesimo,
_Mœurs et Coutumes de l'Algérie_, p. 10.
[29] Ricordinsi i _wagih_, _sceikh_ e _fakîh_ del Kairewân, di cui si fa
parola nel Libro I, cap. IV, p. 148. Mawerdi, l. c., adopera il nome
generico di _dsui-l-mekena_, ossia “notabili, o capaci;” i quali par non
fossero i soli possessori e capitalisti, poichè si dice che possano
contribuire alle opere pubbliche, sia con danaro, sia con lavoro. Ei
nota essere così fatto obbligo non individuale ma dell'universale, ossia
_gemâ'_ dei cittadini notabili. Lo stesso autore adopera la voce
_dsui-l-mekena_ per denotare quella classe di persone alle quali furon
date in enfiteusi dal califo Othmân le terre demaniali del Sewâd, lib.
XVII, p. 335.
[30] Ibn-Khallikân, _Wafiât-el-'Aiân_, nella vita di Ibn-Zohr (Avenzoar)
morto a Cordova il 1130, dice che l'avolo di costui avea tenuto alto
grado nella sciûra. Veggasi la versione inglese di M. De Slane, tomo
III, p. 139, ed a p. 140 la nota 12, ove questo erudito orientalista fa
considerare che in Spagna e nell'Affrica settentrionale ogni città aveva
il _counsel or committee_ che aiutasse il governatore (e questa non
parmi espressione esatta) nello esercizio del suo oficio, e si componea
dei capi dei varii quartieri, del câdi, e delle antiche e influenti
famiglie del luogo. Nel tomo II, p. 501 della stessa versione, si parla
d'un Consiglio simile a Murcia.
A Tripoli fin oltre la metà del XII secolo v'ebbe un “Consiglio dei
Dieci” che cessò al conquisto degli Almohadi; come l'afferma Tigiani,
Rehela, versione francese di M. Rousseau, p. 186, 187. (_Journal
Asiatique_, février-mars 1853, p. 135, 136.)
Negli Stati ove è prevalso più il dispotismo, è rimase in vece della
_gemâ'_ un sol oficiale municipale, detto _sceikh-el-beled_, “l'anziano
del paese,” mezzo tra eletto ed ereditario; come si ritrae per l'Affrica
settentrionale da M. Worms, _Recherches sur la propriètè territoriale
dans les pays musulmans_, p. 373, 427; e per l'Egitto, dal Lane, _Modern
Egyptians_, tomo I, p. 171.
[31] Mawerdi, op. cit., lib. XX, p. 411, a 414.
[32] Lane, _Modern Egyptians_, tomo I, p. 170.
[33] Ibn-el-Athîr, anno 336, MS. B, p. 261; MS. C, tomo IV, fog. 350
verso, dice dei Beni Tabari, ch'erano degli _'aiân_, ossia caporioni
della _gemâ'_ in Palermo.
[34] _Riadh-en-Nofûs_, MS., fog. 79 recto, nella vita di
Lokmân-ibn-Iûsuf
[35] Una quarantina d'anni fa, sostenne quest'assioma il barone De
Hammer, oggi consigliere aulico dell'impero austriaco. M. De Sacy lo
confutò, prima nel _Journal des Savants_ del 1818, poi nella terza delle
sue Memorie su la proprietà in Egitto, _Mémoires de l'Académie des
Inscriptions_, tomo VII, p. 55, 56. Il Martorana, _Notizie storiche dei
Saraceni Siciliani_, tomo II, p. 129 e 248, amò meglio seguire il
consigliere aulico, che il dotto professor di Parigi. Il signor
Benedetto Castiglia, in uno articolo di giornale che sopra ho avuto
occasione di lodare, _La Ruota_, Palermo, 30 agosto 1842, si appigliò a
questo paradosso, e scrivendo in fretta lo attribuì a M. De Sacy. A così
fatta teoria rimangono ormai pochi partigiani. La rigetta espressamente
M. Worms nella detta opera, _Recherches sur la constitution de la
propriètè territoriale dans les pays musulmans_. Nè so come M. Du
Caurroi riparli di Messer Domeneddio proprietario universale, _Journal
Asiatique_, IV^e série, tomo XII, p. 13 (1848), senza allegar nuove
autorità.
[36] Mawerdi, _Ahkâm-Sultanîa_, lib. XVI, p. 325; _Hedaya_, libro LXV,
tomo IV, p. 140.
[37] Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 341. Traduco “antracite” la voce
_kâr_, che secondo i dizionarii significa “pece liquida.”
[38] Il 10 per cento su la raccolta annuale dei grani, frutta, miele
ec., si ragguaglia al 2-1/2 per 100 su gli armenti, danaro, merci,
masserizie ec., supponendo che coteste maniere di capitali rendessero il
25 per 100. Non arrivando a sì alto segno il fruttato dei capitali
mobili, essi vengono a pagare più che i capitali fissi delle terre.
Avvertasi che il 10 si ragiona su i prodotti del suolo bagnato da
pioggie periodiche o acque sgorganti. Le terre inaffiate con macchine
idrauliche, richiedendo maggiore spesa di cultura, son tassate al 5. Al
contrario, quelle irrigate con acqua di canali che mantiene lo Stato,
pagano il 20; nel qual caso il doppio dazio va per censo dell'acqua.
[39] Seguo l'uso generale nella trascrizione di questa, voce, la quale
secondo il modo tenuto nel resto del mio lavoro andrebbe scritta _zekâ_.
[40] La _zekât_ è dovuta dai soli Musulmani adulti, sani di mente e
liberi, che posseggano oltre un certo valore fissato dalla legge. Si
chiama anche decima. Il ritratto è stato sovente distolto dalla sua
destinazione legale; usurpandolo i governi, che poi si sgravavano la
coscienza in opere di pietà o di carità. Veggansi a tal proposito:
Mawerdi, _Ahkâm-Sultanîa_, lib. XI, p. 195, seg., e lib. XVIII, p. 366,
seg.: questo dottore sciafeita riferisce il dritto come si tenea nella
propria scuola, cita le opinioni delle altre e i fatti fino al tempo e
paese suo, cioè tra il X e l'XI secolo, a Bagdad; _Hedaya_, lib. I,
versione inglese, tomo I, p. 1, seg., che mostra il dritto osservato in
India nel XVIII secolo secondo la scuola di Abu-Hanîfa; D'Ohsson,
_Tableau général de l'Empire Ottoman_, tomo II, p. 403, e tomo V, p. 15,
seg., che riferisce anco il dritto hanefita, osservato alla stessa epoca
in Turchia; Khalîl-ibn-Ishâk, _Précis de jurisprudence musulmane,
traduit par M. Perron_, cap. III, tomo I, p. 328, seg. Quest'autore, di
scuola malekita, visse nel XV secolo. Il suo compendio, brevissimo e
oscurissimo, fa legge in Affrica. Veggasi anche Burckhardt, _Voyage en
Arabie_ (versione francese), tomo II, p. 294, che descrive la pratica
dei Wababiti, puritani dell'islamismo ai tempi nostri. Le varie scuole
ed epoche fan poca differenza nell'applicazione degli statuti su la
_zekât_.
[41] _Mishkat-ul-Masabih_, lib. XII, cap. XI, tomo II, p. 45, seg. Data
la tradizione del Profeta, tralascio di citare i trattatisti, alcuni dei
quali, a dir di Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 330, credettero
necessaria la licenza del principe a confermare il dritto di primo
occupante. Ognun vede che ciò non torna ad esercizio di un supremo
dritto di proprietà, ma a necessaria misura di ordine pubblico, per
evitare che due o più persone si contendessero un podere. È fondato su
la medesima ragione il divieto di occupare il suolo bisognevole a
pascolo comune, strade, mercati ec., di che tratta il Mawerdi, lib. XVI,
p. 322, seg.
[42] _Hedaya_, lib. XLV, tomo IV, p. 132.
[43] Nella sura VIII, verso 42, è detto appartenere la quinta a Dio, e
per lui al Profeta, ai parenti di costui, agli orfanelli, agli indigenti
e ai viandanti. La morte di Maometto diè luogo a cavillare su questa
legge. Dei dottori, chi ha pensato doversi investire tutta la quinta in
utilità pubblica; chi poterne disporre il principe; chi doversi
esclusivamente serbare ai parenti del Profeta, orfanelli ec. Veggasi
Beidhawi, comento al citato verso del Corano, edizione di M. Fleischer,
tomo I, p. 367 e 368; Mawerdi, op. cit., lib. XII, p. 239 a 242. Koduri
vuol che la quinta si divida in tre parti uguali agli orfanelli, poveri,
e viandanti; sostenendo che la quota del Profeta si fosse estinta alla
sua morte; presso Rosenmuller, _Analecta Arabica_, § 34.
[44] Questo importante fatto è riferito da Mawerdi, op. cit., lib. XVII,
p. 334, seg. Avanti la edizione di M. Enger del 1853, che noi citiamo,
questo squarcio era stato pubblicato con una versione francese da M.
Worms, _Recherches sur la constitution de la propriété_, etc., p. 188,
189, e 202, seg. Ma M. Worms non ebbe alle mani che un sol MS. del
Mawerdi; non si servì delle varianti di quello che possiede la
Biblioteca di Parigi; e d'altronde non colse sempre il segno nella
versione.
[45] Mawerdi, l. c.
[46] Il dritto era, secondo Sciafei, che le terre prese con le armi si
dividessero al par che il bottino, a meno di cessione volontaria dei
combattenti. Malek le dicea proprietà perpetua della repubblica.
Abu-Hanîfa rimetteva al principe di scompartirle tra i combattenti,
lasciarle agli Infedeli, con obbligo di pagare il _kharâg_, ovvero
dichiararle proprietà della repubblica, come gli paresse. Così riferisce
Mawerdi, lib. XII, p. 237, seg.; e lib. XIII, p. 254, seg. (anche presso
Worms, op. cit., p. 100, seg.; 103, seg.; 107, seg.). Ma i giureconsulti
vissero quando i conquisti eran cessati; onde la opinione loro non servì
che a lodare o biasimare i fatti compiuti.
[47] Sura, LIX, versi 6, 7, 8.
[48] Mawerdi, op. cit., lib. XIII, p. 254; e presso Worms, op. cit., p.
107 e 110. La prima era opinione di Sciafei; la seconda di Abu-Hanîfa.
_L'Hedaya_, quantunque compilazione hanefita, si appiglia nel presente
caso all'opinione di Sciafei, lib. IX, cap. VII, tomo II, p. 205.
Koduri, autore del decimo secolo, sostiene la prima opinione, presso
Rosenmuller, _Analecta Arabica_, §12.
[49] Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 334, 335; e presso Worms, op.
cit., p. 189, e 204. Si vegga anche Koduri, presso Sacy, _Mémoires de
l'Académie des Inscriptions_, tomo V, p. 10.
[50] Mawerdi, op. cit., lib. XII, p. 237; lib. XIII, p. 253; e lib. XIV,
p. 299; i quali squarci si veggano anche presso Worms, op. cit., p. 100,
103, 108, 111; Koduri, presso Sacy, _Mémoires de l'Académie des
Inscriptions_, tomo V, p. 11. Si riscontri col lib. II, cap. XII della
presente storia.
[51] Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 330, seg.; e presso Worms, op.
cit., p. 184, seg., e 196, seg.; alla cui versione van fatte molte
correzioni. Ha errato il Martorana, _Notizie storiche dei Saraceni
Siciliani_, tomo II, nota 247, p. 248, sostenendo che tutte le proprietà
musulmane venissero da concessione del principe.
[52] Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 335; e presso Worms, op. cit., p.
189, e 205.
[53] Questo ultimo fatto si ricava dall'_Hedaya_, lib. IX, cap. VII,
tomo II, p. 205.
[54] Prima di scrivere queste parole, io ho studiato le dissertazioni di
M. De Sacy, _Mémoires de l'Académie des Inscriptions_, tomo I, V e VII;
l'opera citata di M. Worms, e le compilazioni legali musulmane, come
l'Hedaya, D'Ohsson, Khalîl-ibn-Ishak. Dell'opera di M. De Hammer, ne so
quanto ne dicono M. Sacy e M. Worms.
La conchiusione di M. Sacy, che le terre d'Egitto appartenessero sempre
agli antichi possessori indigeni, e fossero state usurpate in vario modo
dai principi e loro soldatesche, è giusta, a creder mio, ma non
abbastanza provata, nè applicabile a tutti i paesi musulmani.
Quanto a M. Worms, è da commendare il metodo, la sagacità, la
erudizione; non la imparzialità sua. Ponendo un'arbitraria distinzione
tra le terre da seminato e i giardini, o, com'ei dice, terre di _grande
culture_ e di _petite culture_, M. Worms pretende che le prime sian
sempre appartenute allo Stato in tutti i paesi musulmani, fuorchè
l'Arabia. Ed io credo ch'ei si apporrebbe al vero, se parlasse di una
parte, anche della più parte, dei vasti poderi, ma che sbaglia
sostenendo esser tale la condizione di tutte le terre da cereali; e
doversi tener tali per presunzione legale, senz'altre prove. Così ei
viene a negare i dritti certissimi: 1º di dissodamento; 2º di partaggio
tra i soldati; 3º di proprietà di convertiti avanti il conquisto; e 4º
di beni lasciati agli Infedeli in piena proprietà, e indi passati in man
di Musulmani. Se non altro, il numero dei _wakf_, ossia lasciti pii,
ch'è grandissimo in tutti i paesi musulmani, avrebbe dovuto avvertire M.
Worms della esistenza di moltissime terre libere; non potendosi dai
Musulmani fare _wakf_ senza libera proprietà; nè supporre da Europei che
tutte le proprietà private fosser divenute lasciti pii. Qui parlo dei
_wakf_ a moschee o altre opere; non di quello in favor della repubblica
musulmana che costituisce il demanio pubblico.
[55] Si confrontino: Ibn-abd-Hâkem, citato da M. De Slane,
nell'_Ibn-Khaldoun, Histoire des Berbères_, tomo I, p. 312, nota 1;
Ibn-Khaldûn stesso, _Histoire de l'Afrique et de la Sicile_, traduzione
di M. Des Vergers, p. 27; e il _Baiân_, tomo I, p. 23. Ho accennato
questo fatto nel lib. I, cap. V, p. 121 del primo volume.
[56] Si confrontino: Ibn-Khaldûn, _Histoire de l'Afrique et de la
Sicile_, trad. di M. Des Vergers, p. 31, 34; il _Baiân_, tomo II, p. 38;
e Nowaîri, Storia d'Affrica, in appendice a _Ibn-Khaldoun, Histoire des
Berbères_, versione di M. De Slane, tomo I, p. 159. Ho ferma opinione
che M. De Slane non s'apponga al vero, rendendo in questo luogo la voce
_Khammasa_ “fare schiavo il quinto della popolazione.” Si deve intendere
più tosto “levare il quinto della rendita territoriale” ossia porre il
_kharâg_; come lo mostra con varii esempii il professor Dozy, _Glossaire
al Baiân_, tomo II, p. 16.
[57] Isidoro De Beja, cap. XLVIII, su l'autorità del quale hanno
registrato questo fatto M. Reinaud, _Invasion des Sarrazins en France_,
p. 16; e il prof. Dozy, _Glossaire al Baiân_, tomo II, p. 16.
[58] _Baiân_, tomo I, p. 84. A questo esempio si potrebbe aggiugner
quello delle terre che pagavan decima, su le quali il secondo principe
aghlabita, Abd-Allah-ibn-Ibrahim, comandò (812) che si levasse un tanto
all'anno secondo la misura della superficie, e non più la decima in
derrata. Ibrahim-ibn-Ahmed, che avea continuato o ripigliato tale abuso,
il cessò l'anno 902. _Baiân_, tomo I, p. 87 e 125. Nowairi, in appendice
a _Ibn-Khaldoun, Histoire des Berbères_, versione di M. De Slane, tomo
I, p. 402. Or come decima in derrata significa ordinariamente _zekât_,
così le terre che ne pagavano si dovrebbero credere libera proprietà de'
Musulmani. Nondimeno si può dare che i cronisti abbian voluto
significare la doppia decima, ossia _kharâg_, dovuta sopra terre
tributarie, e che la ingiusta innovazione fosse stata soltanto nel modo
della riscossione in danaro, e a misura di superficie. Mi induce a tal
supposto l'enormezza che sarebbe stata a mutare la _zekât_ in tassa
fondiaria; e mi vi conferma la opinione di alcuni giuristi, riferita da
Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 335, cioè che il _kharâg_ su le terre
da seminato non potea passare il dieci per cento su la raccolta.
[59] _Baiân_, tomo I, p. 125, 175, 184, 273, anni 289 (902), 303 (915),
305 (917), 405 (1014).
[60] Il Martorana, _Notizie storiche dei Saraceni Siciliani_, tomo II,
p. 130, e nota 254 a p. 252, afferma potersi provare la esistenza di
così fatti poderi coi nomi di città e castella che rispondono a quelli
di emiri siciliani. Ma gli esempii ch'ei ne dà son tutti fallaci; e non
lo è meno il supposto che i poderi demaniali dovessero prendere il nome
degli emiri. Nè anco posson servire di argomento i beni demaniali dei
Normanni. Ma la legge, l'interesse dei governanti, e l'uso generale
degli Stati musulmani, danno tal presunzione che val meglio di ogni
prova.
[61] Veggasi il Libro II, cap. XII, p. 474 del primo volume.
[62] Lasciando da parte i molti diplomi del XII secolo che lo attestano,
basti allegare le Consuetudini di Palermo, cap. XXXVI, e gli Statuti di
Catania contenuti in un diploma del 1668 presso De Grossis, _Catena
sacra_, p. 88, 89, citato dal Di Gregorio, _Considerazioni_, nota 21,
cap. IV del lib. I.
[63] Veggasi in questo capitolo la nota 2 a p. 17.
[64] _Ad postremum, capientes panormitanam provinciam, cunctos ejus
habitatores captivitati dederunt._ Johannes Diaconus, _Chronicon
Episcoporum Neapolitanæ Ecclesiæ_, presso Muratori, _Rerum Italicarum
Scriptores_, tomo I, parte 2ª, p. 313.
[65] Veggasi il Libro II, cap. V, della presente storia, vol. I, pag.
294.
[66] Veggasi il Libro IV, cap. VIII sul _kharâg_ aggravato nel 1019, e
il cap. IX su le possessioni dei Musulmani d'origine siciliana e
d'origine affricana.
[67] _Hedaya_, lib. XXXIX, e LII, tomo IV, p. 1, seg.; 466, seg.;
D'Ohsson, _Tableau général de l'Empire Ottoman_, tomo V, lib. IV, V, p.
275, seg.
[68] Si chiamavano in generale _dhiâ'_, come notammo di sopra, e in
Sicilia e Affrica anche _ribâ'_.
[69] Mawerdi, op. cit., lib. XVIII, p. 351, seg. e 355, là dove è detto
che senza ricusa di combattere o altra causa legittima non si potea
togliere lo stipendio, “sendo il giund esercito del popolo musulmano.”
Si confronti col lib. III, p. 50, onde si scorge che lo emir di
provincia potea, senza permesso del califo, accordare lo stipendio ai
figliuoli di militari pervenuti ad età da portar arme.
[70] Mawerdi, op. cit., lib. XII, p. 218, seg.
[71] _Akhbâr-Megmûa'-fi-iftitâh-el-Andalos_, MS. della Biblioteca
imperiale di Parigi, Ancien Fonds, 706, fog. 99 recto. In questa
importante cronica del X secolo si legge: “Quando recavansi ai califi le
entrate (_gebâiât_) delle città e province, ciascuna somma era
accompagnata da dieci personaggi dei notabili del paese e del _giund_;
nè si incassava nel tesoro (_beit-el-mâl_) una sola moneta d'oro o
argento, se costoro non giurassero prima per quel Dio ch'è unico al
mondo, essersi levato il denaro secondo il dritto, ed essere sopravanzo
degli stipendii dei soldati e famiglie loro nel paese, ciascun dei quali
fosse stato soddisfatto di quanto per diritto gli apparteneva. Or
avvenne che si recò al califo il _kharâg_ d'Affrica, la quale di quel
tempo non si tenea come provincia di frontiera; e il denaro era
veramente avanzo, sendosi pria soddisfatti gli stipendii del giund e le
prestazioni dovute all'altra gente. Arrivate con cotesto danaro otto
persone in presenza del califo, ch'era di quel tempo Solimano (715-717),
furono richiesti di giurare; e in fatto fecero sacramento ec.” Questo
fatto dell'VIII secolo risponde perfettamente alla massima di Mawerdi,
op. cit., lib. III, p. 50, che l'emir di provincia mandi all'_imâm_ gli
avanzi del _fei_, “quando ve ne abbia, pagati tutti gli stipendii.”
[72] Secondo Mawerdi, l. c., mancando il danaro del _fei_ in una
provincia, dovea supplire il tesoro del califo. Negli annali dal terzo
al quinto secolo dell'egira credo non si trovi un solo esempio di
stipendii menomati.
[73] Mawerdi, op. cit., lib. XVII, p. 337 a 341, enumera i varii casi e
i varii pareri dei giuristi, relativamente all'_iktâ'_. Non si tenea
lecito trattandosi di _kharâg_ eventuale, cioè dovuto da Infedeli che
avessero pieno diritto di proprietà, e però andassero sciolti dal
tributo come dalla _gezîa_, facendosi musulmani. Il _kharâg_ perpetuo,
se dovuto in danaro e non variabile secondo il raccolto, si potea
concedere. Pare che gli _iktâ'_ si fossero anco tentati sopra le decime
legali, ossia _zekât_; poichè i giuristi si sforzavano a dimostrarne la
nullità. Questo luogo di Mawerdi è stato tradotto da M. Worms,
_Recherches sur la propriété_ etc., p. 206, seg.; la cui interpretazione
non sempre mi pare esatta.
[74] Mawerdi, l. c., della edizione di Enger, e p. 207, seg., della
versione del Worms, enumera gli uficii pei quali si tenea permesso lo
_iktâ'_ e le condizioni necessarie nei varii casi. La regola generale
che se ne cava, messi da canto i dispareri dei giuristi su i punti
secondarii, è: 1º di escludere le concessioni oltre una vita d'uomo; 2º
permettere le vitalizie ai soli militari; 3º permettere le delegazioni
per parecchi anni agli impiegati permanenti, come _muedsin_ e _imâm_
delle moschee; e 4º limitarle a un anno pei non permanenti, come _câdi_,
_hâkim_, segretarii e impiegati d'azienda.
[75] Su le varie entrate legali e le opinioni dei giuristi, citerò in
generale Mawerdi, _Ahkâm-Sultanîa_, lib. XI, XII, XIII, XIV, XVII,
XVIII. I fatti generali che allego si cavano dalla storia dei primi
cinque secoli dell'islamismo.
[76] Si percorrano nel Libro II le vicende della colonia infino al tempo
di cui si tratta, e si vedrà appena un dono di spoglie e prigioni di
Castrogiovanni fatto dallo emir di Sicilia al principe aghlabita, e da
questi al califo.
[77] Intitolato il _Moscitarik_, opera di Iakût, geografo del XIII
secolo. Il testo arabico è stato pubblicato a Gottinga dal dotto e
infaticabile dottor Wüstenfeld.
[78] Veggasi il _Moscitarik_, alla voce _Mêzar_. È noto a tutti che gli
antichi supposero il nome di Segesta, mutato per eufemismo da Egesta; ma
l'autorità degli antichi è debolissima in fatto di etimologie.
[79] Veggasi il Libro II, cap. IX, p. 407 del primo volume.
[80] Alla prima apparteneano Ibn-Gauth (Libro II, cap. III, p. 285 del
primo volume), un della tribù di Hamadân (Libro II, cap. VI, p. 314 del
primo volume), i Kelbiti, che furono emiri di Sicilia nel X secolo, e
fin nel XII secolo un della tribù di Kinda, che comperò una casa in
Palermo da un Berbero di Lewâta. Della seconda nasceano gli Aghlabiti,
che mandarono molti loro congiunti in Sicilia: e si trovano inoltre i
nomi delle tribù di Kinâna, Fezâra e altre dello stesso ceppo. Tra i
poeti arabi di Sicilia, che fiorirono la più parte nell'XI e XII secolo,
veggiamo tre rami soli di Kahtân e moltissimi di Adnân, non ostante la
signoria dei Kelbiti.
[81] Per gli Spagnuoli veggasi il Libro II, cap. III, p. 264, e cap. IV,
p. 286 e 288 del primo volume. Si potrebbe anco attribuire alli
Spagnuoli il nome di Caltabellotta “la Rocca delle Querce,” identico a
quello di _Kalat-el-bellût_, presso Cordova. Ma ognun vede che il nome
potea nascere dalla condizione del luogo.
[82] Casr-Sa'd chiamavasi secondo Ibn-Giobair (_Voyage en Sicile de
Mohammed-ibn-Djobaïr_, Journal Asiatique, série IV, tomo VI, 1845, p.
516, e tomo VII, 1846, p. 75, e nota 24) un castello nelle vicinanze di
Palermo, fondato fin dai primi tempi della dominazione musulmana. Era
nome di tribù arabica di Adnân, stanziata in Siria e in Egitto, come si
ritrae da Makrizi, _El-Baiân-wa-l-I'râb_, edizione del Wüstenfeld, p. 11
a 14; dalla quale tribù vennero i nomi di quattro diversi luoghi in
Oriente, che occorrono nel _Moscitarik_ di Iakût, p. 447, e d'un
villaggio presso Mehdîa, in Affrica, ricordato nel dizionario biografico
di Sefedi, MS. di Parigi, Suppl. Arabe 706, articolo su Khazrûn; e da
Edrisi, _Géographie_, versione francese, tomo I, p. 277.
_Belgia_, secondo Edrisi, era castello sul fiume, or detto _Belici_, che
scorre tra Gibellina e Santa Margarita, e mette foce presso Selinunte.
Il nome or del castello e or del fiume, nei diplomi latini dall'XI al XV
secolo si vede scritto Belich, Belichi, Belice, Belix, Bilichi. In altra
regione, tra Polizzi, cioè, e Collesano, si ricorda nel XIV secolo un
castel Belici. Veggansi i diplomi presso Pirro, _Sicilia Sacra_, p. 695,
736, 842, 843; Di Gregorio, _Biblioteca Aragonese_, tomo II, p. 469,
489, 492; Del Giudice, _Descrizione del tempio di Morreale_, appendice,
p. 8, seg., dipl. del 1182. Fanno menzione degli stessi nomi: Amico,
_Lexicon Topographicum_, in Val di Mazara e Val Demone; e Villabianca,
_Sicilia Nobile_, tomo I, parte II, p. 23.