Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 22
muschio[1445] dei vigneti siracusani. Entrano di notte in un romitaggio;
chiuse le porte, gittan su le bilancette un dirhem d'argento, e la
vecchia suora lor ne rende una coppa piena di liquid'oro; poi ne menan
via le sposine: quattro anfore[1446] vergini, impeciate e sepolte da
lunghi anni; elette da un tal che d'ogni succo d'uva ti sa dir patria,
età e cantina. Ma gli svelti e vaghi giovani traggono a sala illuminata
da gialli doppieri messi in file come colonne che sostenessero eccelsa
volta di tenebre; dove il signor della festa bandisce esilio e morte
alla tristezza: e già le suonatrici, cominciando a toccar le corde,
destan gioia negli animi; quella si stringe al petto il liuto, questa dà
baci al flauto: una ballerina gitta il piè a cadenza dello scatto delle
dita; gentil coppiera va in giro, mescendo rubini e perle, avara sì
delle perle che rado allarga le stringhe dal collo della gazzella.[1447]
Oh dolci ricordi della Sicilia, campo di mie passioni giovanili, albergo
ch'era di vivaci ingegni, paradiso dal quale fui scacciato! e come
riterreimi dal piangerlo? Quivi risi a vent'anni spensierato; ahi che a
sessanta mi rammarico di quelle colpe; ma non le biasmar tu, accigliato
censore, poichè le cancellava il perdono di Dio![1448]
Figliuoli delle Marche siam noi, cantò altrove Ibn-Hamdîs; a noi spunta
il sorriso quando la guerra aggrotta le ciglia; divezziamo i bamboli, in
mezzo all'armi, col latte di generose giumente: rassegnaci; e quanti
siamo, tanti campioni conterai che ciascun vale una schiera.
Indietreggia nostr'oste per rinnovare l'assalto; ritraendosi, sparge la
morte: no, che tutte le stelle non sono cadute, e pur v'ha una speme in
questa guerra, e siam noi. I condottieri ci mostrano il dì della
battaglia, un drappo da ricamare con gruppi d'avvoltoi; chè i prodi ad
ogni carica di lor nobili 'Awagi,[1449] spargon sul terreno larga
pastura agli uccelli voraci. Ecco una colomba messaggiera di strage,
volar secura tra i lampi. Sì; percotemmo i nemici della Fede entro lor
focolari: piombò un flagello su le costiere dei Rûm; navi piene di lioni
solcarono il mare, armate la poppa d'archi e dardi, lancianti nafta che
galleggia e brucia come la pece della gehenna ov'ardono i dannati;
cittadelle che vengono a combattere le città dei Barbari, a sforzarle e
saccheggiarle. E che valser quei vestiti di maglie di ferro luccicanti,
e usi a dar dentro quando pur si ritraggono i prodi? Non piegammo noi al
duro scontro; ingozzata la coloquinta, gustammo alfine il dolce favo, e
li rimandammo con le armadure squarciate e addentellate da questo sottil
filo de' nostri brandi. Perchè l'acciaro nelle nostre mani
ragiona,[1450] e nelle altrui si fa mutolo. Ma dalla casa mi guardano
furtivamente begli occhi travagliati dalla vigilia e dal pianto, che il
dolore dì e notte li avea dipinti di kohl;[1451] una manina incantatrice
muove le dita a salutarmi. Oh dilettoso giardino, la cui sembianza viene
a visitar le pupille aggravate di sonno e le schiude all'immaginativa!
Io sospiro la mia terra; quella nel cui seno si fan polvere le membra e
le ossa de' miei, chè già se n'è ito il fior della prima gioventù, alla
quale tornan sempre le mie parole.[1452]
Sotto il bel cielo di Spagna, nelle regioni temperate dell'Affrica
settentrionale, il poeta siracusano non obbliò mai quel paese “cui la
colomba diè in presto sua collana, e il pavone suo splendido
ammanto;[1453] dove i raggi del sole avvivan le piante d'amorosa virtù
ch'empie l'aere di fragranza;[1454] dove respiri un diletto che spegne
le aspre cure, senti una gioia che cancella ogni vestigio
d'avversità.”[1455] Pur l'alto sentimento che gli facea parer più belle
le naturali bellezze della Sicilia, lo ritenne dal tornar a vederla
serva; gli dettò versi di rampogna no, ma di compianto e di verità, ch'è
primo debito di cittadino alla patria. Ripetendo ed esaltando in mille
modi il valore delle persone,[1456] ricordava sospirando, esser morta
nel paese la virtù della guerra.[1457] E in età più matura sclamava:
“Oh se la mia patria fosse libera, tutta l'opera mia, tutto me le darei
con immutabile proponimento.
Ma la patria come poss'io riscattarla dalla schiavitù nelle rapaci mani
dei Barbari?
(_Lo potea forse, quando_) il suo popolo si straziava a gara in guerra
civile, e ciascun legnaiolo vi gittava esca al foco?
(_Quando_) i congiunti non sentivano carità di parentela; bagnavano le
spade nel sangue dei congiunti,
E (_il popolo tutto insieme_) avea lo stesso piglio d'una destra le cui
dita non giochino l'un a seconda dell'altro?”[1458]
A tanta altezza di poesia giunse Ibn-Hamdîs! Con soave sentimento cantò
d'amore; con leggiadria ed arte e abbondanza d'estro sopra ogni
argomento ch'ei toccava. E se l'intemperanza orientale d'immagini, le
antitesi, i bisticci, i vizii radicali della letteratura arabica tolgono
a noi di collocarlo tra i sommi poeti, i critici di sua nazione il
tenner tale,[1459] e in Occidente i suoi versi furono poco men citati
che que' d'Imrolkais e di Motenebbi. Il critico Abu-Salt-Omeîa, che
l'accusò di plagii, lo dicea ladro illustre, uso ad abbellire le idee
rubate.[1460]
Dimorò in Affrica o Spagna il suo figliuolo Mohammed, più poeta del
padre al dir d'Ibn-Bescirûn; ma i brevi saggi che ne dà, fan giudicare
altrimenti.[1461] Soleiman-ibn-Mohammed da Trapani, oriundo di Mehdia
stanziatovi, esule dopo il quattrocento quaranta (1048), erudito e
scostumato, passò in Affrica, indi in Spagna; ove s'acconciò nelle corti
di principi minori, e piacquero sue Kaside, e vi lasciò nome non
oscuro.[1462] Più elegante poeta Abu-Sa'îd-Othmân-ibn-'Atîk, Siciliano,
forse di Palermo come ogni altro di cui non si noti particolarmente la
città natia, andò a dirittura in Spagna al conquisto normanno, a corte
del rivale di Mo'tamid in lettere e munificenza (1054-1091), il principe
d'Almeria Mo'tasem, della illustre stirpe dei Beni-Somâdih.[1463]
Vissero al par nella seconda metà dello undecimo secolo poeti di Kasîde,
i segretarii Hâscem-ibn-Iunis e Ibn-Kûni e Omar-ibn-Abd-Allah, dei quali
si è detto;[1464] e un Ali-ibn-Abd-Allah-ibn-Sciami.[1465]
Ibn-Tazi, cultor di scienze e di lettere,[1466] facile ingegno ed umore
bilioso, censor di vizii infangato in brutto costume egli stesso, va
lodato tra i primi poeti satirici degli Arabi per vivacità di concetti,
stile incisivo, e pur naturale, eleganza e grazia non infrequente.[1467]
Ci avanzan di lui, dopo che li vagliavano Ibn-Kattâ' e Imâd-ed-dîn, da
ottanta epigrammi, tra descrittivi ed erotici, se così possan chiamarsi,
e satirici; ma sol di questi diremo. Dei quali è grave e lepido molto
quel sopra i Sufiti;[1468] altri con lindura riprendono vecchi che
tingeano i capelli,[1469] facce irsute di barba,[1470] e noiosi
cantori:[1471] ed erano ridicolaggini del tempo. Su i vizii
eterni dell'umana natura lanciò arguti motti ad avari.[1472]
chiacchieroni,[1473] permalosi;[1474] nè perdonò ai difetti
fisici:[1475] mise il dente ove potè a lacerare con rabbia, ed arrivò a
chiamare l'umanità razza di vipere e cani.[1476] Ruzaik-ibn-Sahl, già
nominato, toccò l'argomento con più misura e men poesia, nei soli versi
che ci rimangon di lui.[1477]
Meritano i Kelbiti particolar menzione pria di continuare la lista dei
poeti minori, perchè s'e' non arricchirono gran fatto il Parnaso
siciliano, incoraggiarono e favorirono cui v'aspirasse. Dell'emiro Ahmed
(953-969) si ricordano due mediocri versi con che si lagnava che in età
avanzata nol curasser le donne: strana querela in bocca a principe
musulmano.[1478] Cantò più lietamente d'amore Abd-er-Rahman-ibn-Hasan,
intitolato emiro per onor di famiglia e _Mostakhles-ed-dawla_ (L'eletto
dell'impero) per oficio ch'avesse tenuto a corte fatemita in
Egitto,[1479] Abu-Mohammed-Kâsim-ibn-Nizâr, detto anche emir,
contemporaneo di Ahmed, poscia prefetto di polizia a Misr, ci attesta la
puntigliosa superbia di sua gente in faccia anco al principe.[1480]
Improvvisava l'emiro Giafa'r-ibn-Iûsuf qualche versuccio, e faceva ai
poeti le carezze dell'asino.[1481] L'altro Giafa'r soprannominato
_Thiket-ed-dawla_, figliuolo di Akhal, si scusava in rima delle promesse
non compiute per la malignità di sua fortuna.[1482] Del
dotto e audace Ammâr abbiam detto e de' suoi versi.[1483]
Abu-Kasim-Abd-Allah-ibn-Selmân di gente Kelbita, si vantava con mediocre
poesia d'amare e proteggere la virtù, esalava lamenti erotici, e
attestava l'epoca in cui visse, dicendosi circondato da nemici che
facean le viste d'ossequiarlo.[1484] Avanzò ogni altro Kelbita nel
pregio dei carmi un Gia'far-ibn-Taib, che carteggiavasi con Ibn-Kattâ',
n'ebbe lodi nell'Antologia siciliana e meritolle, come provano due
squarci di Kasîda e qualche altro verso petrarchesco.[1485] Caduta la
dinastia, que' che se ne divisero le spoglie, ambiron pur ad onori
letterarii che noi non possiamo assentire: dico, il kaid
Abu-Mohammed-ibn-Omar-ibn-Menkût,[1486] e il kaid Abu-l-Fotûh figlio del
kaid Bodeir-Meklâti ciambellano, soprannominato _Sind-ed-dwala_, d'umor
niente allegro.[1487] Fe versi anco Ibn-Lûlû, detto forse per errore
principe di Sicilia.[1488] Nè sdegnava l'arte un prefetto di polizia di
que' tempi, per nome Abu-Fadhl-Ahmed-ibn-Ali, coreiscita;[1489] nei cadi
Abu-Fadhl-Hasan-ibn-Ibrahim-ibn-Sciâmi, della tribù di Kinana,[1490]
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Kâsim-ibn-Zeid, della tribù di Lakhm,[1491] e
Ahmed-ibn-Kâsim già ricordato.[1492]
Perchè il verseggiare è facile quando non si badi alla poesia del
concetto, e l'aiuti un linguaggio classico che risuona sempre agli
orecchi, una certa educazione letteraria, qual ebbero in quell'età tutti
i Musulmani che non nascessero proprio dal volgo, e l'uso generale vi
sospinga, come avvenne nei tempi della nostra Arcadia. Di quei che
trattarono argomenti morali non spiccando altrimenti per bellezze di
forma, noteremo quel solo che possa giovarne, cioè com'intendessero la
filosofia pratica della vita: gli uni a cantare il vino, le ballerine, i
passatempi, che sono Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Ali-ibn-Abd-el-Gebbâr oriundo
di Kamûna in Affrica,[1493] Abu-Ali-ibn-Hasan-ibn-Khâlid, il
Segretario,[1494] Abu-Abbâs-ibn-Mohammed-ibn-Kâf;[1495] gli altri
austeri, fissati nell'altra vita e spregianti quella che fruivano di
presente, come Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan-ibn-Setabrîk, devoto di
grido,[1496] Abu-l-Kârim-Ahmed-ibn-Ibrahim Waddâni,[1497] e i già
ricordati Abu-Ali-Ahmed-ibn-Mohammed-ibn-Kâf il Segretario,[1498]
Ibn-Mekki,[1499] Abd-er-Rahman-ibn-Abd-el-Ghâni,[1500] Atîk,[1501] il
Siracusano Ibn-Fehhâm,[1502] Ali-Waddâni.[1503] D'altri abbiamo
descrizioncelle, epigrammi sui quali poco o nulla è da notare.
Abu-Mohammed-Abd-el-Azîz-ibn-Hâkem-ibn-Omar, della tribù
iemenita di Me'âfir, dettò qualche verso sui corpi celesti.[1504]
Abu-l-Feth-Ahmed-ibn-Ali-Sciâmi è lodato dall'autore dell'Antologia
siciliana, il quale gli domandò alcuni versi per metterli nella
raccolta;[1505] Ruzaik-ibn-Abd-Allah fu perseguitato sì ostinatamente
dalla povertà, che una volta donatagli da gran personaggio una borsa
d'oro, tornando a casa tutto lieto, trovò che un ladro gliel'avea
svaligiata, e sfogò il dolore in rime.[1506] Il Segretario Ibn-Kerkûdi è
detto poeta di vaglia da Ibn-Kattâ'; ma dai versi non me ne
accorgo.[1507] Alla lista vanno aggiunti: Abu-Hasan-Sikilli,[1508]
Abd-el-Azîz-Bellanobi, fratello d'Ali,[1509] il Segretario
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-'Attâr,[1510] Abd-el-Wehâb-ibn-Abd-Allah-
ibn-Mobârek,[1511] Abu-Hasan-ibn-Abd-Allah da Tripoli o Trapani,[1512]
Abu-Mohammed-Abd-Allah-ibn-Mekhlûf lo Scilinguato,[1513] e il Segretario
Ibn-Sir'în,[1514] dei quali ci rimangono pochissimi versi o nessuno.
Ci sono occorsi trattando d'altri studii, e abbiam detto del merito
che loro s'attribuisca in poesia, Kholûf da Barka,[1515]
Ibn-Abd-el-Berr,[1516] Gia'far-ibn-Kattâ',[1517] Dami'a,[1518]
Ja'kûb Roneidi,[1519] Ali-ibn-Hasan-ibn-Habîb,[1520] Ibn-Sados,[1521]
Taher-Rokbani,[1522] e il costui figlio Ali,[1523] Othman-ibn-Ali da
Siracusa,[1524] Ali-ibn-Waddani,[1525] Abd-Allah-ibn-Mosîb,[1526]
Ibn-Kereni,[1527] ed Abu-Bekr-Mohammed.[1528]
Da quanto abbiamo esposto, si può conchiudere che la poesia rifioriva in
Sicilia, dopo tredici secoli; e se non agguagliò le bellezze dei tempi
di Teocrito e Stesicoro, produssene quella specie che concedea il
Parnaso di Arabia. A noi Italiani non solo, ma a tutti Europei nudriti
alla scuola dei Greci, non può sembrar lieto soggiorno nè la sala
vaporosa d'Odîn nè la tenda de' Beduini, dove si gareggia di metafore
baldanzose, descrizioni sopra descrizioni, antitesi incessanti di
pensieri e di vocaboli, paralelli bizzarri e lambiccati, lingua
ricercata o morta e sepolta, gergo nomade che ormai mal si adattava alle
idee delle colonie musulmane d'Europa, ma il culto classico comandava
adoperarlo. E però ci offendono a prima vista tutti quegli orpelli e
gemme di vetro di che s'adornavano i poeti arabi di Sicilia, come ogni
altro di lor età e linguaggio: le pupille omicide, le palpebre taglienti
come spade, le guance di fuoco su cui spunti il mirto della barba, o
guance di rose, e vi fu anche chi disse di rubino, cui mordessero gli
scorpioni d'una negra chioma inanellata, i tralci di _ben_[1529]
sormontati di lune piene, che è a dire svelti giovani dal volto fresco e
splendente, i capelli bianchi che spandan tenebre; e infinite secenterie
di simil tempra, nelle quali si compiaceano gli stessi Ibn-Hamdîs,
Ibn-Tûbi, Abu-l-Arab, Ibn-Tazi, e il Bellanobi. Ma poi va considerato
che il genio diverso delle lingue toglie nell'una a tal espressione
figurata quel sapor aspro che abbia nell'altra: il che si noterebbe tra
le lingue d'unica famiglia che parliamo in Europa, non che tra le
indo-europee e le semitiche. Scendendo più addentro, scopriremo sovente
pensieri semplici ed alti, linguaggio spontaneo d'affetti, verace
colorito, tratteggiare risoluto, grazie non contigiate; e diremo che
quelle brune muse arabiche se si abbigliassero a foggia nostra,
passerebbero per belle. Io chieggo che nel giudicare i poeti arabi di
Sicilia dagli squarci che ho mostrati e su le intere opere che spero
sian date un giorno all'Italia, si guardi al concetto della mente
piuttosto che alla forma in cui si manifestava; e che per la forma
s'accettino, com'è ragione, i giudizii dei critici arabi ch'ho accennato
a lor luogo. Forse quei biografi ed antologisti che ci serbarono
frammenti de' poeti arabi siciliani li defraudavano delle nostre lodi
più meritate, trascrivendo appunto i versi che noi avremmo messi da
banda, e tralasciando come scipiti quelli che noi avremmo
trascelto.[1530]
Vuolsi in fine far parola dei musici che soleano cantar sul liuto i
versi dei poeti: la quale usanza gli Arabi appresero dai Persiani, i
devoti musulmani la condannavano, e quando lor venia fatto vietavanla,
ma i grandi e' ricchi tosto richiamavano nelle brigate musici,
cantatrici e ballerine. Il gran diletto che ne prendessero i Musulmani
di Sicilia, è quanto se ne travagliassero si ritrae dalle poesie, dove
spesseggiano le descrizioni dell'arte che dissipava i tristi pensieri e
movea alla gioia; nè sdegnavano i poeti di lodare, talvolta anco
biasimare i musici: Ibn-Tazi fe ad uno l'epigramma: “Ei canta e ti gitta
addosso noia e malanni; ei tocca il liuto, affè che gliel'avresti a
spezzare su le spalle.”[1531] Le croniche degli Abbadidi registrano con
superstizioso terrore il caso del Musico Siciliano, così il chiamano,
condotto agli stipendi di Mo'tadhed. Il quale sendosi fitto in capo
(1068) che sovrastassegli la morte e la ruina di sua casa, volle cavar
augurio dai versi che a sorte gli fossero recitati; fatto venire il
Musico Siciliano e seder seco con grandi onori e carezze, e richiestolo
di cantare, venner detti al Siciliano cinque versi, che incominciavano:
“Consumiam le notti, sapendo ch'esse ci debbono consumare;” ed appunto a
capo di cinque giorni il principe si morì.[1532]
Aggiugnendo i nomi rassegnati in questo capitolo a quei che notammo nel
capitolo XI del terzo Libro, si hanno (salvo il raddoppiamento di
qualche nome che non ci sia venuto fatto di chiarire) a un di presso
centoventi Musulmani di Sicilia e una dozzina di stranieri dimoranti
nell'isola, che segnalaronsi nelle scienze e nelle lettere sino al fin
della dominazione musulmana. Il quale abbozzo, disteso la più parte
senza conoscer le opere, su i cenni solamente di autori arabi, è
imperfetto di certo; pur adombrerà la cultura della Sicilia in quei
tempi, supposta anzichè conosciuta quand'io mi accinsi a coteste ingrate
ricerche. Pervenuti che saremo, nel sesto Libro, ai letterati e
scienziati che rimasero fino ai tempi di Federigo, mi proverò a indagare
la parte che si debba attribuire ai Musulmani nel risorgimento degli
studii in Italia.
CAPITOLO XV.
Copiose abbiam visto le sorgenti della ricchezza; coltivati i comodi
sociali; svegliati ingegni vaghi di scienze e d'ogni maniera di lettere;
gli uomini ad uno ad uno non mentire al valor del sangue arabico, greco
nè italico, non ignorar arte nè stromento di guerra che appartenesse a
que' tempi. Costumi tra buoni e tristi: da un lato, invidia, avarizia,
abbominazioni di taluno, stravizi di tal altro, ma l'universale
condannarli; dall'altro lato, carità di figliuoli, costanti amicizie,
liberalità, alti e generosi spiriti, raggi d'amore che balenavano fin
entro le mura degli harem; talchè soli vizii profondi della società
musulmana di Sicilia compariscon due: la violenza e il sospetto. Nè era
menomata di certo la fede musulmana in Sicilia, dove non prevalsero
scuole scettiche, non si udirono scismi, non sètte _kharegite_, nè
fanatismo di casa d'Ali: allegri giovani beveano, dilettavansi di canti
e suoni e balli, e poi se ne pentivano; più numero assai di devoti
praticava e predicava la rigorosa disciplina, la vita ascetica, e fin le
follie sufite. Il qual doppio egoismo dei gaudenti e degli asceti,
inevitabil fatto in certe religioni, va noverato tra i sintomi non tra
le cause della tabe che consumava la Sicilia, come ogni altra colonia
arabica, senz'eccettuarne veruna. Tabe nel vincolo dello stato; quando i
corpuscoli sociali non stanno insieme per amor di patria nè forza di
comando, ma ciascun fa per sè. Dicemmo già come l'impero arabico nacque
con tal germe d'immatura morte: per l'indole dei conquistatori,
l'imperfetta assimilazione dei popoli vinti, l'immobilità delle leggi,
la necessità e impotenza insieme del dispotismo, i mercenarii stranieri,
l'ordinamento aristocratico dei giund, la confusa democrazia municipale,
le consorterie per le multe del sangue: anarchia generale sotto
sembianza di assoluta unità religiosa e politica. Indi s'era scisso il
califato; i pezzi s'erano rinfranti; gli sminuzzoli, nello undecimo
secolo, si trituravano; e pur la forza dissolvente non restava di
commuovere e rimescolare quegli atomi di polvere. La Sicilia, spartita
tra la _gemâ_ di Palermo, Ibn-Hawwasci, Ibn-Meklâti, ed Ibn-Menkût,
perseverò nella discordia sino all'ultimo compimento del conquisto
normanno, sendo aggravato il vizio delle istituzioni dalla diversità
delle genti. A levante, popolazioni cristiane soggette a nobiltà
arabica; nel centro, le plebi di Siciliani convertiti all'islam; a
ponente, la cittadinanza delle grosse terre; tramezzati in tutto questo
rimasugli di Berberi di non so quante immigrazioni, e rifuggiti arabi
d'Affrica e di Spagna. Era proprio la mano simboleggiata da Ibn-Hamdîs,
la quale nell'ora del pericolo non potè impugnare la spada.
Ai fomenti di discordia s'aggiugnea l'ambizione di Moezz-ibn-Badîs e il
subito danno che la distrusse, il contraccolpo del quale si risenti
necessariamente in Sicilia. Appunto alla metà dell'undecimo secolo,
passarono in quel ch'è oggi lo stato di Tunis gli Arabi che desolarono e
ripopolarono l'Affrica settentrionale, ov'era assottigliata e snervata
la schiatta dei primi conquistatori. La causa della quale irruzione fu
che Moezz, disdetta l'autorità pontificale de' Fatemiti, avea gridato il
nome dei califi di Bagdad; onde il ministro Iazuri, che tenea la somma
delle cose al Cairo, non potendo ripigliare la provincia con le armi, la
volle inondare di masnadieri: indettò le tribù beduine di Hilâl e
Soleim, ospiti infestissimi dell'Alto Egitto; dispensò a ciascuno un
mantello e un dinâr d'oro; e scaraventolli a ponente del Nilo (1051). Ed
entro sei anni aveano compiuta l'opera; sospinto Moezz all'estrema riva
del mare, su li scogli di Mehdia inespugnabili, dond'ei comandava molto
dubbiamente a qualche città della costiera mercè l'armata e gli schiavi
assoldati.[1533] In questa guerra gli Arabi saccheggiarono il Kairewân
(novembre 1057), i cui cittadini si rifuggivano chi nelle parti più
occidentali d'Affrica, chi in Spagna e chi in Sicilia.[1534]
Precipitando per tal modo le cose di Moezz, veggiam calare in Sicilia la
fazione che s'era affidata a lui nel principio della guerra civile, gli
si era poi volta contro (1040), e non mi sembra inverosimile che avesse
rannodato le pratiche, afforzata ch'essa fu a Castrogiovanni e Girgenti
con Ibn-Hawwasci.
Ma cacciato di Palermo Simsâm e poi spento, par che la repubblica di
Palermo ed altri grossi municipii venuti in sospetto di quelle pratiche
si collegassero con la parte dei nobili a danno d'Ali-ibn-Hawwasci.
Perchè allor si destava novella tempesta in Sicilia;[1535] sorgeva
improvvisamente capo di parte un Mohammed-ibn-Ibrahim-ibn-Thimna, dei
principali ottimati, se leggiam bene un luogo d'Ibn-Khaldûn,[1536] certo
non uscito di sangue plebeo,[1537] insignoritosi di Siracusa, non si sa
come nè quando, nè se quella fosse sua patria. Ibn-Thimna, assalito
Ibn-Meklati, _kâid_ di Catania, che avea sposata la Meimuna sorella
d'Ali-ibn-Hawwasci, lo debellò, gli tolse la vita, lo stato e la donna;
e, dopo i termini legali di vedovanza, chiese ed ottenne la man di lei
dal fratello. Donde è chiaro che il signor di Castrogiovanni non ebbe
poter d'aiutare il cognato confederato suo di certo, nè di ricusar la
sorella all'uccisore. Nel medesimo tempo finisce ogni ricordo dei
Beni-Menkût, signori della punta occidentale dell'isola. La più parte
dell'isola obbedì a Ibn-Thimna, che osò prendere il medesimo titolo d'un
califo di Bagdad[1538] _Kâdir-billah_, o diremmo “Possente per grazia di
Dio;” e in Palermo si fece la _Khotba_ per lui.[1539] È verosimile che
la _gemâ'_ gli abbia dato nella capitale un'autorità di nome; bensì
l'abbia aiutato all'impresa di Catania e altre città marittime col
navilio, il quale non si armò mai altrove che in Palermo. Si ristorava
così un'apparente unità di comando di guerra, se mai la Sicilia fosse
assalita. Suppongo compiute queste vicende il millecinquantatrè dell'era
cristiana, quando Moezz era con l'acqua alla gola; ritraendosi che il
quattrocentoquarantacinque dell'egira (1053-4), mandato da lui il
navilio a ridurre Susa che gli s'era ribellata, trovò in que' mari
l'armata del _Sâheb_ di Sicilia, e temendola ostile diè di volta.[1540]
La quale denominazione di _Sâheb_ s'adatta a Ibn-Thimna e non meno la
nimistà contro casa zîrita.
Durò quanto potea la concordia tra i due capi di parti, l'uno
vittorioso, sciolto d'ogni timor di fuori, l'altro umiliato; rivolti
entrambi ad avvantaggiarsi con la forza neutrale ch'erano i municipii.
Il parentado diè occasione a scoprir nuovamente la nimistà. Meimuna,
donna d'indole altera, pronto ingegno e lingua troppo più pronta, solea
bisticciarsi col marito; il quale forse non l'amava nè ella lui, forse
rinfacciava l'indole plebea alla figliuola del Demagogo. Una sera
Ibn-Thimna, acceso dal vino, ricomincia i piati domestici, trascorre
alle villanie; Meimuna gliene dà di rimando; e il feroce ubbriaco, come
se avesse letto i fasti di Caligola o di Nerone, le fa segar le vene
d'ambo le braccia. Ma un figliuolo di lui per nome Ibrahim accorreva a
tempo, chiamava i medici, ed arrestavano il sangue; si che la dimane
rientrato in sè Ibn-Thimna, andò a scusarsi dei furori dell'ebbrezza, e
Meimuna fe sembiante di perdonarlo. Dopo onesto spazio di tempo, ella il
pregava le concedesse di rivedere i parenti; quegli, o non sospettando
non curandola, o ch'ei cercasse pretesto d'attaccare briga con
Ibn-Hawwasci, le diè licenza; mandolla con onorevole scorta e ricchi
presenti a Castrogiovanni. Contò allora il caso al fratello; quei le
giurò che mai non la rimanderebbe all'efferato signore. Indi Ibn-Thimna
a rivendicar i diritti di marito e di re, a minacciare quel che tenea
vassallo e plebeo: ma Ibn-Hawwasci non si spuntò dal niego; ed entrambi
apparecchiarono le armi.
Ibn-Thimna movea all'assedio di Castrogiovanni; l'altro gli uscì
all'incontro; lacerò a brani a brani l'esercito nemico, dicon gli
annali, e lo inseguì fin presso Catania con grandissima uccisione. Se
prima o dopo della sconfitta non si sa, la Sicilia tutta da Catania,
qualche altra città all'infuori, prestava obbedienza al vincitore, anche
Palermo. Indi si scorge che la cittadinanza della capitale e delle città
maggiori, la quale avea deciso altre fiate i litigi tra le due parti,
gittandosi or con l'una or con l'altra, compiè quest'altra rivoluzione a
favor d'Ibn-Hawwasci. E in vero, dileguato il timore delle armi di
Moezz, il capo dei gentiluomini avea dovuto aggravar la mano su la
cittadinanza al par che su la parte siciliana, e provarsi a prender in
quelle regioni dell'isola l'autorità, della quale non godeva altro che
il nome. Il terzo partito dunque, com'or si chiama, lo messe giù al par
di Akhal, del figliuolo di Moezz e di Simsâm. Ibn-Thimna condotto agli
estremi, si ricordò che v'erano in Sicilia e in Calabria i Cristiani.
Pratiche s'erano cominciate al certo tra gli uni e gli altri fin quando
si videro sventolare da Messina su l'altra sponda dello Stretto le
gloriose bandiere normanne. Il signor musulmano si cacciò, traditore a
sua schiatta e religione, tra le sante trame di chi volea scuotere il
giogo: corse a Mileto offerendo la Sicilia al conte Ruggiero, con la
solita speranza ch'ei la conquistasse per fargliene dono.[1541]
SOMMARIO DEI CAPITOLI CONTENUTI NEL SECONDO VOLUME.
LIBRO TERZO.
Capitolo I.
an.
827-900. Società musulmana di Sicilia. — _Emir_
di provincia in dritto comune Pag. 1
Secondo il fatto in Sicilia 5
Amministrazione della giustizia 7
Amministrazione civile 8
Municipio ossia _gemâ'_ 9
Proprietà delle terre in dritto comune 12
Tassa fondiaria. _Kharâg_ 18
Proprietà in Affrica 21
E in Sicilia 22
Stipendii militari. _Giund_ 25
_Fei_. _Iktâ'_. 27
Altre parti dell'azienda 29
Schiatte in Sicilia. Arabi e Persiani 31
Berberi 35
Antagonismo d'Arabi e Berberi 37
Tendenza della colonia a governo proprio 40
Contrasto interiore delle due schiatte 41
Come l'usa Ibrahim-ibn-Ahmed 42
Capitolo II.
875-901. Indole d'Ibrahim 45
Esaltazione. Primordii del regno 46
Opere pubbliche. Fuochi di segnale 48
Fondazione di Rakkâda 49
Tirannide, tumulti e stragi 50
Orribili crudeltà 54
Parricidio su mogli, fratelli, figli e
figliuole 58
Capitolo III.
898. Rivoluzione spenta in Sicilia 62
899. E ridesta 63
900. Abu-Abbas figlio d'Ibrahim viene con
l'esercito 64
Combattimenti. Resa di Palermo 66
chiuse le porte, gittan su le bilancette un dirhem d'argento, e la
vecchia suora lor ne rende una coppa piena di liquid'oro; poi ne menan
via le sposine: quattro anfore[1446] vergini, impeciate e sepolte da
lunghi anni; elette da un tal che d'ogni succo d'uva ti sa dir patria,
età e cantina. Ma gli svelti e vaghi giovani traggono a sala illuminata
da gialli doppieri messi in file come colonne che sostenessero eccelsa
volta di tenebre; dove il signor della festa bandisce esilio e morte
alla tristezza: e già le suonatrici, cominciando a toccar le corde,
destan gioia negli animi; quella si stringe al petto il liuto, questa dà
baci al flauto: una ballerina gitta il piè a cadenza dello scatto delle
dita; gentil coppiera va in giro, mescendo rubini e perle, avara sì
delle perle che rado allarga le stringhe dal collo della gazzella.[1447]
Oh dolci ricordi della Sicilia, campo di mie passioni giovanili, albergo
ch'era di vivaci ingegni, paradiso dal quale fui scacciato! e come
riterreimi dal piangerlo? Quivi risi a vent'anni spensierato; ahi che a
sessanta mi rammarico di quelle colpe; ma non le biasmar tu, accigliato
censore, poichè le cancellava il perdono di Dio![1448]
Figliuoli delle Marche siam noi, cantò altrove Ibn-Hamdîs; a noi spunta
il sorriso quando la guerra aggrotta le ciglia; divezziamo i bamboli, in
mezzo all'armi, col latte di generose giumente: rassegnaci; e quanti
siamo, tanti campioni conterai che ciascun vale una schiera.
Indietreggia nostr'oste per rinnovare l'assalto; ritraendosi, sparge la
morte: no, che tutte le stelle non sono cadute, e pur v'ha una speme in
questa guerra, e siam noi. I condottieri ci mostrano il dì della
battaglia, un drappo da ricamare con gruppi d'avvoltoi; chè i prodi ad
ogni carica di lor nobili 'Awagi,[1449] spargon sul terreno larga
pastura agli uccelli voraci. Ecco una colomba messaggiera di strage,
volar secura tra i lampi. Sì; percotemmo i nemici della Fede entro lor
focolari: piombò un flagello su le costiere dei Rûm; navi piene di lioni
solcarono il mare, armate la poppa d'archi e dardi, lancianti nafta che
galleggia e brucia come la pece della gehenna ov'ardono i dannati;
cittadelle che vengono a combattere le città dei Barbari, a sforzarle e
saccheggiarle. E che valser quei vestiti di maglie di ferro luccicanti,
e usi a dar dentro quando pur si ritraggono i prodi? Non piegammo noi al
duro scontro; ingozzata la coloquinta, gustammo alfine il dolce favo, e
li rimandammo con le armadure squarciate e addentellate da questo sottil
filo de' nostri brandi. Perchè l'acciaro nelle nostre mani
ragiona,[1450] e nelle altrui si fa mutolo. Ma dalla casa mi guardano
furtivamente begli occhi travagliati dalla vigilia e dal pianto, che il
dolore dì e notte li avea dipinti di kohl;[1451] una manina incantatrice
muove le dita a salutarmi. Oh dilettoso giardino, la cui sembianza viene
a visitar le pupille aggravate di sonno e le schiude all'immaginativa!
Io sospiro la mia terra; quella nel cui seno si fan polvere le membra e
le ossa de' miei, chè già se n'è ito il fior della prima gioventù, alla
quale tornan sempre le mie parole.[1452]
Sotto il bel cielo di Spagna, nelle regioni temperate dell'Affrica
settentrionale, il poeta siracusano non obbliò mai quel paese “cui la
colomba diè in presto sua collana, e il pavone suo splendido
ammanto;[1453] dove i raggi del sole avvivan le piante d'amorosa virtù
ch'empie l'aere di fragranza;[1454] dove respiri un diletto che spegne
le aspre cure, senti una gioia che cancella ogni vestigio
d'avversità.”[1455] Pur l'alto sentimento che gli facea parer più belle
le naturali bellezze della Sicilia, lo ritenne dal tornar a vederla
serva; gli dettò versi di rampogna no, ma di compianto e di verità, ch'è
primo debito di cittadino alla patria. Ripetendo ed esaltando in mille
modi il valore delle persone,[1456] ricordava sospirando, esser morta
nel paese la virtù della guerra.[1457] E in età più matura sclamava:
“Oh se la mia patria fosse libera, tutta l'opera mia, tutto me le darei
con immutabile proponimento.
Ma la patria come poss'io riscattarla dalla schiavitù nelle rapaci mani
dei Barbari?
(_Lo potea forse, quando_) il suo popolo si straziava a gara in guerra
civile, e ciascun legnaiolo vi gittava esca al foco?
(_Quando_) i congiunti non sentivano carità di parentela; bagnavano le
spade nel sangue dei congiunti,
E (_il popolo tutto insieme_) avea lo stesso piglio d'una destra le cui
dita non giochino l'un a seconda dell'altro?”[1458]
A tanta altezza di poesia giunse Ibn-Hamdîs! Con soave sentimento cantò
d'amore; con leggiadria ed arte e abbondanza d'estro sopra ogni
argomento ch'ei toccava. E se l'intemperanza orientale d'immagini, le
antitesi, i bisticci, i vizii radicali della letteratura arabica tolgono
a noi di collocarlo tra i sommi poeti, i critici di sua nazione il
tenner tale,[1459] e in Occidente i suoi versi furono poco men citati
che que' d'Imrolkais e di Motenebbi. Il critico Abu-Salt-Omeîa, che
l'accusò di plagii, lo dicea ladro illustre, uso ad abbellire le idee
rubate.[1460]
Dimorò in Affrica o Spagna il suo figliuolo Mohammed, più poeta del
padre al dir d'Ibn-Bescirûn; ma i brevi saggi che ne dà, fan giudicare
altrimenti.[1461] Soleiman-ibn-Mohammed da Trapani, oriundo di Mehdia
stanziatovi, esule dopo il quattrocento quaranta (1048), erudito e
scostumato, passò in Affrica, indi in Spagna; ove s'acconciò nelle corti
di principi minori, e piacquero sue Kaside, e vi lasciò nome non
oscuro.[1462] Più elegante poeta Abu-Sa'îd-Othmân-ibn-'Atîk, Siciliano,
forse di Palermo come ogni altro di cui non si noti particolarmente la
città natia, andò a dirittura in Spagna al conquisto normanno, a corte
del rivale di Mo'tamid in lettere e munificenza (1054-1091), il principe
d'Almeria Mo'tasem, della illustre stirpe dei Beni-Somâdih.[1463]
Vissero al par nella seconda metà dello undecimo secolo poeti di Kasîde,
i segretarii Hâscem-ibn-Iunis e Ibn-Kûni e Omar-ibn-Abd-Allah, dei quali
si è detto;[1464] e un Ali-ibn-Abd-Allah-ibn-Sciami.[1465]
Ibn-Tazi, cultor di scienze e di lettere,[1466] facile ingegno ed umore
bilioso, censor di vizii infangato in brutto costume egli stesso, va
lodato tra i primi poeti satirici degli Arabi per vivacità di concetti,
stile incisivo, e pur naturale, eleganza e grazia non infrequente.[1467]
Ci avanzan di lui, dopo che li vagliavano Ibn-Kattâ' e Imâd-ed-dîn, da
ottanta epigrammi, tra descrittivi ed erotici, se così possan chiamarsi,
e satirici; ma sol di questi diremo. Dei quali è grave e lepido molto
quel sopra i Sufiti;[1468] altri con lindura riprendono vecchi che
tingeano i capelli,[1469] facce irsute di barba,[1470] e noiosi
cantori:[1471] ed erano ridicolaggini del tempo. Su i vizii
eterni dell'umana natura lanciò arguti motti ad avari.[1472]
chiacchieroni,[1473] permalosi;[1474] nè perdonò ai difetti
fisici:[1475] mise il dente ove potè a lacerare con rabbia, ed arrivò a
chiamare l'umanità razza di vipere e cani.[1476] Ruzaik-ibn-Sahl, già
nominato, toccò l'argomento con più misura e men poesia, nei soli versi
che ci rimangon di lui.[1477]
Meritano i Kelbiti particolar menzione pria di continuare la lista dei
poeti minori, perchè s'e' non arricchirono gran fatto il Parnaso
siciliano, incoraggiarono e favorirono cui v'aspirasse. Dell'emiro Ahmed
(953-969) si ricordano due mediocri versi con che si lagnava che in età
avanzata nol curasser le donne: strana querela in bocca a principe
musulmano.[1478] Cantò più lietamente d'amore Abd-er-Rahman-ibn-Hasan,
intitolato emiro per onor di famiglia e _Mostakhles-ed-dawla_ (L'eletto
dell'impero) per oficio ch'avesse tenuto a corte fatemita in
Egitto,[1479] Abu-Mohammed-Kâsim-ibn-Nizâr, detto anche emir,
contemporaneo di Ahmed, poscia prefetto di polizia a Misr, ci attesta la
puntigliosa superbia di sua gente in faccia anco al principe.[1480]
Improvvisava l'emiro Giafa'r-ibn-Iûsuf qualche versuccio, e faceva ai
poeti le carezze dell'asino.[1481] L'altro Giafa'r soprannominato
_Thiket-ed-dawla_, figliuolo di Akhal, si scusava in rima delle promesse
non compiute per la malignità di sua fortuna.[1482] Del
dotto e audace Ammâr abbiam detto e de' suoi versi.[1483]
Abu-Kasim-Abd-Allah-ibn-Selmân di gente Kelbita, si vantava con mediocre
poesia d'amare e proteggere la virtù, esalava lamenti erotici, e
attestava l'epoca in cui visse, dicendosi circondato da nemici che
facean le viste d'ossequiarlo.[1484] Avanzò ogni altro Kelbita nel
pregio dei carmi un Gia'far-ibn-Taib, che carteggiavasi con Ibn-Kattâ',
n'ebbe lodi nell'Antologia siciliana e meritolle, come provano due
squarci di Kasîda e qualche altro verso petrarchesco.[1485] Caduta la
dinastia, que' che se ne divisero le spoglie, ambiron pur ad onori
letterarii che noi non possiamo assentire: dico, il kaid
Abu-Mohammed-ibn-Omar-ibn-Menkût,[1486] e il kaid Abu-l-Fotûh figlio del
kaid Bodeir-Meklâti ciambellano, soprannominato _Sind-ed-dwala_, d'umor
niente allegro.[1487] Fe versi anco Ibn-Lûlû, detto forse per errore
principe di Sicilia.[1488] Nè sdegnava l'arte un prefetto di polizia di
que' tempi, per nome Abu-Fadhl-Ahmed-ibn-Ali, coreiscita;[1489] nei cadi
Abu-Fadhl-Hasan-ibn-Ibrahim-ibn-Sciâmi, della tribù di Kinana,[1490]
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Kâsim-ibn-Zeid, della tribù di Lakhm,[1491] e
Ahmed-ibn-Kâsim già ricordato.[1492]
Perchè il verseggiare è facile quando non si badi alla poesia del
concetto, e l'aiuti un linguaggio classico che risuona sempre agli
orecchi, una certa educazione letteraria, qual ebbero in quell'età tutti
i Musulmani che non nascessero proprio dal volgo, e l'uso generale vi
sospinga, come avvenne nei tempi della nostra Arcadia. Di quei che
trattarono argomenti morali non spiccando altrimenti per bellezze di
forma, noteremo quel solo che possa giovarne, cioè com'intendessero la
filosofia pratica della vita: gli uni a cantare il vino, le ballerine, i
passatempi, che sono Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Ali-ibn-Abd-el-Gebbâr oriundo
di Kamûna in Affrica,[1493] Abu-Ali-ibn-Hasan-ibn-Khâlid, il
Segretario,[1494] Abu-Abbâs-ibn-Mohammed-ibn-Kâf;[1495] gli altri
austeri, fissati nell'altra vita e spregianti quella che fruivano di
presente, come Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan-ibn-Setabrîk, devoto di
grido,[1496] Abu-l-Kârim-Ahmed-ibn-Ibrahim Waddâni,[1497] e i già
ricordati Abu-Ali-Ahmed-ibn-Mohammed-ibn-Kâf il Segretario,[1498]
Ibn-Mekki,[1499] Abd-er-Rahman-ibn-Abd-el-Ghâni,[1500] Atîk,[1501] il
Siracusano Ibn-Fehhâm,[1502] Ali-Waddâni.[1503] D'altri abbiamo
descrizioncelle, epigrammi sui quali poco o nulla è da notare.
Abu-Mohammed-Abd-el-Azîz-ibn-Hâkem-ibn-Omar, della tribù
iemenita di Me'âfir, dettò qualche verso sui corpi celesti.[1504]
Abu-l-Feth-Ahmed-ibn-Ali-Sciâmi è lodato dall'autore dell'Antologia
siciliana, il quale gli domandò alcuni versi per metterli nella
raccolta;[1505] Ruzaik-ibn-Abd-Allah fu perseguitato sì ostinatamente
dalla povertà, che una volta donatagli da gran personaggio una borsa
d'oro, tornando a casa tutto lieto, trovò che un ladro gliel'avea
svaligiata, e sfogò il dolore in rime.[1506] Il Segretario Ibn-Kerkûdi è
detto poeta di vaglia da Ibn-Kattâ'; ma dai versi non me ne
accorgo.[1507] Alla lista vanno aggiunti: Abu-Hasan-Sikilli,[1508]
Abd-el-Azîz-Bellanobi, fratello d'Ali,[1509] il Segretario
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-'Attâr,[1510] Abd-el-Wehâb-ibn-Abd-Allah-
ibn-Mobârek,[1511] Abu-Hasan-ibn-Abd-Allah da Tripoli o Trapani,[1512]
Abu-Mohammed-Abd-Allah-ibn-Mekhlûf lo Scilinguato,[1513] e il Segretario
Ibn-Sir'în,[1514] dei quali ci rimangono pochissimi versi o nessuno.
Ci sono occorsi trattando d'altri studii, e abbiam detto del merito
che loro s'attribuisca in poesia, Kholûf da Barka,[1515]
Ibn-Abd-el-Berr,[1516] Gia'far-ibn-Kattâ',[1517] Dami'a,[1518]
Ja'kûb Roneidi,[1519] Ali-ibn-Hasan-ibn-Habîb,[1520] Ibn-Sados,[1521]
Taher-Rokbani,[1522] e il costui figlio Ali,[1523] Othman-ibn-Ali da
Siracusa,[1524] Ali-ibn-Waddani,[1525] Abd-Allah-ibn-Mosîb,[1526]
Ibn-Kereni,[1527] ed Abu-Bekr-Mohammed.[1528]
Da quanto abbiamo esposto, si può conchiudere che la poesia rifioriva in
Sicilia, dopo tredici secoli; e se non agguagliò le bellezze dei tempi
di Teocrito e Stesicoro, produssene quella specie che concedea il
Parnaso di Arabia. A noi Italiani non solo, ma a tutti Europei nudriti
alla scuola dei Greci, non può sembrar lieto soggiorno nè la sala
vaporosa d'Odîn nè la tenda de' Beduini, dove si gareggia di metafore
baldanzose, descrizioni sopra descrizioni, antitesi incessanti di
pensieri e di vocaboli, paralelli bizzarri e lambiccati, lingua
ricercata o morta e sepolta, gergo nomade che ormai mal si adattava alle
idee delle colonie musulmane d'Europa, ma il culto classico comandava
adoperarlo. E però ci offendono a prima vista tutti quegli orpelli e
gemme di vetro di che s'adornavano i poeti arabi di Sicilia, come ogni
altro di lor età e linguaggio: le pupille omicide, le palpebre taglienti
come spade, le guance di fuoco su cui spunti il mirto della barba, o
guance di rose, e vi fu anche chi disse di rubino, cui mordessero gli
scorpioni d'una negra chioma inanellata, i tralci di _ben_[1529]
sormontati di lune piene, che è a dire svelti giovani dal volto fresco e
splendente, i capelli bianchi che spandan tenebre; e infinite secenterie
di simil tempra, nelle quali si compiaceano gli stessi Ibn-Hamdîs,
Ibn-Tûbi, Abu-l-Arab, Ibn-Tazi, e il Bellanobi. Ma poi va considerato
che il genio diverso delle lingue toglie nell'una a tal espressione
figurata quel sapor aspro che abbia nell'altra: il che si noterebbe tra
le lingue d'unica famiglia che parliamo in Europa, non che tra le
indo-europee e le semitiche. Scendendo più addentro, scopriremo sovente
pensieri semplici ed alti, linguaggio spontaneo d'affetti, verace
colorito, tratteggiare risoluto, grazie non contigiate; e diremo che
quelle brune muse arabiche se si abbigliassero a foggia nostra,
passerebbero per belle. Io chieggo che nel giudicare i poeti arabi di
Sicilia dagli squarci che ho mostrati e su le intere opere che spero
sian date un giorno all'Italia, si guardi al concetto della mente
piuttosto che alla forma in cui si manifestava; e che per la forma
s'accettino, com'è ragione, i giudizii dei critici arabi ch'ho accennato
a lor luogo. Forse quei biografi ed antologisti che ci serbarono
frammenti de' poeti arabi siciliani li defraudavano delle nostre lodi
più meritate, trascrivendo appunto i versi che noi avremmo messi da
banda, e tralasciando come scipiti quelli che noi avremmo
trascelto.[1530]
Vuolsi in fine far parola dei musici che soleano cantar sul liuto i
versi dei poeti: la quale usanza gli Arabi appresero dai Persiani, i
devoti musulmani la condannavano, e quando lor venia fatto vietavanla,
ma i grandi e' ricchi tosto richiamavano nelle brigate musici,
cantatrici e ballerine. Il gran diletto che ne prendessero i Musulmani
di Sicilia, è quanto se ne travagliassero si ritrae dalle poesie, dove
spesseggiano le descrizioni dell'arte che dissipava i tristi pensieri e
movea alla gioia; nè sdegnavano i poeti di lodare, talvolta anco
biasimare i musici: Ibn-Tazi fe ad uno l'epigramma: “Ei canta e ti gitta
addosso noia e malanni; ei tocca il liuto, affè che gliel'avresti a
spezzare su le spalle.”[1531] Le croniche degli Abbadidi registrano con
superstizioso terrore il caso del Musico Siciliano, così il chiamano,
condotto agli stipendi di Mo'tadhed. Il quale sendosi fitto in capo
(1068) che sovrastassegli la morte e la ruina di sua casa, volle cavar
augurio dai versi che a sorte gli fossero recitati; fatto venire il
Musico Siciliano e seder seco con grandi onori e carezze, e richiestolo
di cantare, venner detti al Siciliano cinque versi, che incominciavano:
“Consumiam le notti, sapendo ch'esse ci debbono consumare;” ed appunto a
capo di cinque giorni il principe si morì.[1532]
Aggiugnendo i nomi rassegnati in questo capitolo a quei che notammo nel
capitolo XI del terzo Libro, si hanno (salvo il raddoppiamento di
qualche nome che non ci sia venuto fatto di chiarire) a un di presso
centoventi Musulmani di Sicilia e una dozzina di stranieri dimoranti
nell'isola, che segnalaronsi nelle scienze e nelle lettere sino al fin
della dominazione musulmana. Il quale abbozzo, disteso la più parte
senza conoscer le opere, su i cenni solamente di autori arabi, è
imperfetto di certo; pur adombrerà la cultura della Sicilia in quei
tempi, supposta anzichè conosciuta quand'io mi accinsi a coteste ingrate
ricerche. Pervenuti che saremo, nel sesto Libro, ai letterati e
scienziati che rimasero fino ai tempi di Federigo, mi proverò a indagare
la parte che si debba attribuire ai Musulmani nel risorgimento degli
studii in Italia.
CAPITOLO XV.
Copiose abbiam visto le sorgenti della ricchezza; coltivati i comodi
sociali; svegliati ingegni vaghi di scienze e d'ogni maniera di lettere;
gli uomini ad uno ad uno non mentire al valor del sangue arabico, greco
nè italico, non ignorar arte nè stromento di guerra che appartenesse a
que' tempi. Costumi tra buoni e tristi: da un lato, invidia, avarizia,
abbominazioni di taluno, stravizi di tal altro, ma l'universale
condannarli; dall'altro lato, carità di figliuoli, costanti amicizie,
liberalità, alti e generosi spiriti, raggi d'amore che balenavano fin
entro le mura degli harem; talchè soli vizii profondi della società
musulmana di Sicilia compariscon due: la violenza e il sospetto. Nè era
menomata di certo la fede musulmana in Sicilia, dove non prevalsero
scuole scettiche, non si udirono scismi, non sètte _kharegite_, nè
fanatismo di casa d'Ali: allegri giovani beveano, dilettavansi di canti
e suoni e balli, e poi se ne pentivano; più numero assai di devoti
praticava e predicava la rigorosa disciplina, la vita ascetica, e fin le
follie sufite. Il qual doppio egoismo dei gaudenti e degli asceti,
inevitabil fatto in certe religioni, va noverato tra i sintomi non tra
le cause della tabe che consumava la Sicilia, come ogni altra colonia
arabica, senz'eccettuarne veruna. Tabe nel vincolo dello stato; quando i
corpuscoli sociali non stanno insieme per amor di patria nè forza di
comando, ma ciascun fa per sè. Dicemmo già come l'impero arabico nacque
con tal germe d'immatura morte: per l'indole dei conquistatori,
l'imperfetta assimilazione dei popoli vinti, l'immobilità delle leggi,
la necessità e impotenza insieme del dispotismo, i mercenarii stranieri,
l'ordinamento aristocratico dei giund, la confusa democrazia municipale,
le consorterie per le multe del sangue: anarchia generale sotto
sembianza di assoluta unità religiosa e politica. Indi s'era scisso il
califato; i pezzi s'erano rinfranti; gli sminuzzoli, nello undecimo
secolo, si trituravano; e pur la forza dissolvente non restava di
commuovere e rimescolare quegli atomi di polvere. La Sicilia, spartita
tra la _gemâ_ di Palermo, Ibn-Hawwasci, Ibn-Meklâti, ed Ibn-Menkût,
perseverò nella discordia sino all'ultimo compimento del conquisto
normanno, sendo aggravato il vizio delle istituzioni dalla diversità
delle genti. A levante, popolazioni cristiane soggette a nobiltà
arabica; nel centro, le plebi di Siciliani convertiti all'islam; a
ponente, la cittadinanza delle grosse terre; tramezzati in tutto questo
rimasugli di Berberi di non so quante immigrazioni, e rifuggiti arabi
d'Affrica e di Spagna. Era proprio la mano simboleggiata da Ibn-Hamdîs,
la quale nell'ora del pericolo non potè impugnare la spada.
Ai fomenti di discordia s'aggiugnea l'ambizione di Moezz-ibn-Badîs e il
subito danno che la distrusse, il contraccolpo del quale si risenti
necessariamente in Sicilia. Appunto alla metà dell'undecimo secolo,
passarono in quel ch'è oggi lo stato di Tunis gli Arabi che desolarono e
ripopolarono l'Affrica settentrionale, ov'era assottigliata e snervata
la schiatta dei primi conquistatori. La causa della quale irruzione fu
che Moezz, disdetta l'autorità pontificale de' Fatemiti, avea gridato il
nome dei califi di Bagdad; onde il ministro Iazuri, che tenea la somma
delle cose al Cairo, non potendo ripigliare la provincia con le armi, la
volle inondare di masnadieri: indettò le tribù beduine di Hilâl e
Soleim, ospiti infestissimi dell'Alto Egitto; dispensò a ciascuno un
mantello e un dinâr d'oro; e scaraventolli a ponente del Nilo (1051). Ed
entro sei anni aveano compiuta l'opera; sospinto Moezz all'estrema riva
del mare, su li scogli di Mehdia inespugnabili, dond'ei comandava molto
dubbiamente a qualche città della costiera mercè l'armata e gli schiavi
assoldati.[1533] In questa guerra gli Arabi saccheggiarono il Kairewân
(novembre 1057), i cui cittadini si rifuggivano chi nelle parti più
occidentali d'Affrica, chi in Spagna e chi in Sicilia.[1534]
Precipitando per tal modo le cose di Moezz, veggiam calare in Sicilia la
fazione che s'era affidata a lui nel principio della guerra civile, gli
si era poi volta contro (1040), e non mi sembra inverosimile che avesse
rannodato le pratiche, afforzata ch'essa fu a Castrogiovanni e Girgenti
con Ibn-Hawwasci.
Ma cacciato di Palermo Simsâm e poi spento, par che la repubblica di
Palermo ed altri grossi municipii venuti in sospetto di quelle pratiche
si collegassero con la parte dei nobili a danno d'Ali-ibn-Hawwasci.
Perchè allor si destava novella tempesta in Sicilia;[1535] sorgeva
improvvisamente capo di parte un Mohammed-ibn-Ibrahim-ibn-Thimna, dei
principali ottimati, se leggiam bene un luogo d'Ibn-Khaldûn,[1536] certo
non uscito di sangue plebeo,[1537] insignoritosi di Siracusa, non si sa
come nè quando, nè se quella fosse sua patria. Ibn-Thimna, assalito
Ibn-Meklati, _kâid_ di Catania, che avea sposata la Meimuna sorella
d'Ali-ibn-Hawwasci, lo debellò, gli tolse la vita, lo stato e la donna;
e, dopo i termini legali di vedovanza, chiese ed ottenne la man di lei
dal fratello. Donde è chiaro che il signor di Castrogiovanni non ebbe
poter d'aiutare il cognato confederato suo di certo, nè di ricusar la
sorella all'uccisore. Nel medesimo tempo finisce ogni ricordo dei
Beni-Menkût, signori della punta occidentale dell'isola. La più parte
dell'isola obbedì a Ibn-Thimna, che osò prendere il medesimo titolo d'un
califo di Bagdad[1538] _Kâdir-billah_, o diremmo “Possente per grazia di
Dio;” e in Palermo si fece la _Khotba_ per lui.[1539] È verosimile che
la _gemâ'_ gli abbia dato nella capitale un'autorità di nome; bensì
l'abbia aiutato all'impresa di Catania e altre città marittime col
navilio, il quale non si armò mai altrove che in Palermo. Si ristorava
così un'apparente unità di comando di guerra, se mai la Sicilia fosse
assalita. Suppongo compiute queste vicende il millecinquantatrè dell'era
cristiana, quando Moezz era con l'acqua alla gola; ritraendosi che il
quattrocentoquarantacinque dell'egira (1053-4), mandato da lui il
navilio a ridurre Susa che gli s'era ribellata, trovò in que' mari
l'armata del _Sâheb_ di Sicilia, e temendola ostile diè di volta.[1540]
La quale denominazione di _Sâheb_ s'adatta a Ibn-Thimna e non meno la
nimistà contro casa zîrita.
Durò quanto potea la concordia tra i due capi di parti, l'uno
vittorioso, sciolto d'ogni timor di fuori, l'altro umiliato; rivolti
entrambi ad avvantaggiarsi con la forza neutrale ch'erano i municipii.
Il parentado diè occasione a scoprir nuovamente la nimistà. Meimuna,
donna d'indole altera, pronto ingegno e lingua troppo più pronta, solea
bisticciarsi col marito; il quale forse non l'amava nè ella lui, forse
rinfacciava l'indole plebea alla figliuola del Demagogo. Una sera
Ibn-Thimna, acceso dal vino, ricomincia i piati domestici, trascorre
alle villanie; Meimuna gliene dà di rimando; e il feroce ubbriaco, come
se avesse letto i fasti di Caligola o di Nerone, le fa segar le vene
d'ambo le braccia. Ma un figliuolo di lui per nome Ibrahim accorreva a
tempo, chiamava i medici, ed arrestavano il sangue; si che la dimane
rientrato in sè Ibn-Thimna, andò a scusarsi dei furori dell'ebbrezza, e
Meimuna fe sembiante di perdonarlo. Dopo onesto spazio di tempo, ella il
pregava le concedesse di rivedere i parenti; quegli, o non sospettando
non curandola, o ch'ei cercasse pretesto d'attaccare briga con
Ibn-Hawwasci, le diè licenza; mandolla con onorevole scorta e ricchi
presenti a Castrogiovanni. Contò allora il caso al fratello; quei le
giurò che mai non la rimanderebbe all'efferato signore. Indi Ibn-Thimna
a rivendicar i diritti di marito e di re, a minacciare quel che tenea
vassallo e plebeo: ma Ibn-Hawwasci non si spuntò dal niego; ed entrambi
apparecchiarono le armi.
Ibn-Thimna movea all'assedio di Castrogiovanni; l'altro gli uscì
all'incontro; lacerò a brani a brani l'esercito nemico, dicon gli
annali, e lo inseguì fin presso Catania con grandissima uccisione. Se
prima o dopo della sconfitta non si sa, la Sicilia tutta da Catania,
qualche altra città all'infuori, prestava obbedienza al vincitore, anche
Palermo. Indi si scorge che la cittadinanza della capitale e delle città
maggiori, la quale avea deciso altre fiate i litigi tra le due parti,
gittandosi or con l'una or con l'altra, compiè quest'altra rivoluzione a
favor d'Ibn-Hawwasci. E in vero, dileguato il timore delle armi di
Moezz, il capo dei gentiluomini avea dovuto aggravar la mano su la
cittadinanza al par che su la parte siciliana, e provarsi a prender in
quelle regioni dell'isola l'autorità, della quale non godeva altro che
il nome. Il terzo partito dunque, com'or si chiama, lo messe giù al par
di Akhal, del figliuolo di Moezz e di Simsâm. Ibn-Thimna condotto agli
estremi, si ricordò che v'erano in Sicilia e in Calabria i Cristiani.
Pratiche s'erano cominciate al certo tra gli uni e gli altri fin quando
si videro sventolare da Messina su l'altra sponda dello Stretto le
gloriose bandiere normanne. Il signor musulmano si cacciò, traditore a
sua schiatta e religione, tra le sante trame di chi volea scuotere il
giogo: corse a Mileto offerendo la Sicilia al conte Ruggiero, con la
solita speranza ch'ei la conquistasse per fargliene dono.[1541]
SOMMARIO DEI CAPITOLI CONTENUTI NEL SECONDO VOLUME.
LIBRO TERZO.
Capitolo I.
an.
827-900. Società musulmana di Sicilia. — _Emir_
di provincia in dritto comune Pag. 1
Secondo il fatto in Sicilia 5
Amministrazione della giustizia 7
Amministrazione civile 8
Municipio ossia _gemâ'_ 9
Proprietà delle terre in dritto comune 12
Tassa fondiaria. _Kharâg_ 18
Proprietà in Affrica 21
E in Sicilia 22
Stipendii militari. _Giund_ 25
_Fei_. _Iktâ'_. 27
Altre parti dell'azienda 29
Schiatte in Sicilia. Arabi e Persiani 31
Berberi 35
Antagonismo d'Arabi e Berberi 37
Tendenza della colonia a governo proprio 40
Contrasto interiore delle due schiatte 41
Come l'usa Ibrahim-ibn-Ahmed 42
Capitolo II.
875-901. Indole d'Ibrahim 45
Esaltazione. Primordii del regno 46
Opere pubbliche. Fuochi di segnale 48
Fondazione di Rakkâda 49
Tirannide, tumulti e stragi 50
Orribili crudeltà 54
Parricidio su mogli, fratelli, figli e
figliuole 58
Capitolo III.
898. Rivoluzione spenta in Sicilia 62
899. E ridesta 63
900. Abu-Abbas figlio d'Ibrahim viene con
l'esercito 64
Combattimenti. Resa di Palermo 66
- Parts
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 01
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 02
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 03
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 04
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 05
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 06
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 07
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 08
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 09
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 10
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 11
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 12
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 13
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 14
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 15
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 16
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 17
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 18
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 19
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 20
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 21
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 22
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 23
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 24
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 25
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 26
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 27
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 28
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 29
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 30
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 31
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 32
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 33
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 34
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 35
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 36
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 37
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 38
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 39
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 40
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 41