Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 20
cui notizie ci pervengono come per caso, non prova che la scienza fosse
trascurata in Sicilia.
Scarsi al paro i ricordi di cui seguì la filosofia antica, che gli Arabi
chiamarono col proprio nome greco: e diceano _Kelâm_ ossia
“ragionamento,” la metafisica e logica religiosa acconciate a lor modo.
I filosofi, spesso perseguitati in vita e dimenticati dopo morte, non
tornan a galla nella storia letteraria degli Arabi, se non li spinge
su qualche vestimento più leggiero: poesia o filologia. Così ci
vien trovato nelle biografie dei linguisti di Soiuti, un
Sa'îd-ibn-Fethûn-ibn-Mokram da Cordova, della illustre gente dei
Togibiti, grammatico, filologo e scrittor di due trattati di
versificazione; dato anche, dice Soiuti, alla filosofia. Fu costui
contemporaneo del terribil ministro Ibn-Abi-'Amir, detto Almanzor,
protettore delle lettere, persecutore delle scienze antiche; quel che
bruciò i libri di filosofia ed astronomia della biblioteca di Cordova.
Sa'îd, accusato non sappiamo se di scetticismo o ribellione, forse
senz'altra colpa che il nascer di schiatta possente e temuta, fu
chiamato da Almanzor, interrogato severamente e messo in prigione. Poi
lasciaronlo andare in esilio; ed elesse la Sicilia, dove passò il resto
de' suoi giorni, alla fine del decimo o principio dell'undecimo
secolo.[1212]
Primaria scienza sacra appo loro la lettura del Corano, la quale
portando seco interpretazione, riesce a gravi conseguenze legali,
dommatiche e morali. Fu dettato il Corano quando tra gli Arabi contavasi
a dito chi sapesse scrivere; nè a grammatica si pensava pur anco nè ad
ortografia. Poscia Othmân nell'edizione canonica eliminò i luoghi
apocrifi, le frasi estranee al dialetto coreiscita, ma non potè mettere
in carta la sacra parola con segni più perfetti che gli Arabi non ne
possedessero. Cioè che notavano precise tanto o quanto le
consonanti,[1213] e delle vocali sol quelle rinforzate da accento, e non
pur tutte: donde l'ambiguità di tanti vocaboli che non sono distinti se
non dalle vocali, di tanti periodi varii di significato secondo i modi
grammaticali che si accennassero leggendo.[1214] Il testo dunque sendo
scritto, come oggi diremmo, in cifera di stenografia, nè bastando averlo
sotto gli occhi per saperne appunto il tenore, era forza supplirvi con
la tradizione orale e con le regole della grammatica. Indi i Lettori, i
maestri di Lettura, i trattati e anche poemi didascalici, le sette
scuole principali di lettura e non so quante secondarie, gli arabici
assottigliamenti in cotesta novella scienza; e s'arrivò a notare il
Corano con segni più presto musicali che ortografici: lettere, punti,
lineette, sigle che si dipingeano a varii colori intorno gli arcaici
caratteri negri del testo d'Othmân, e prescrivean le pause, le
modulazioni e oficio dell'_a_, le articolazioni da elidere o permutare e
simili.
Fu dei più rinomati Lettori del Corano al suo tempo Abd-er-Rahmân-ibn-
Abi-Bekr-ibn-'Atîk-ibn-Khelef da Siracusa, detto Ibn-Fehhâm
(Il figlio del Carbonaro), nato il quattrocencinquantaquattro
(1062), uscito, com'è probabile, alla presa di Siracusa, l'ottantotto
(1095), e morto il cinquecento sedici (1122-3). Andò cercando in Oriente
i dottori principi della Lettura; praticò con parecchi d'Egitto; e
soggiornò, forse diè studio, in Alessandria, essendo stato chiamato lo
Sceikh Alessandrino. Compose il _Soddisfacimento a chi brami saper bene
le Sette Lezioni_, e _La Gemma Solitaria d'Ibn-Fehhâm su la Lettura_:
com'è vezzo degli scrittori arabi di porre titoli millantatori e
avviluppati, purchè sembrino bizzarri. Si ricorda inoltre un suo
Commentario su i _Prolegomeni Grammaticali d'Ibn-Babesciâds_: che
grammatico ei fu anco e giurista, e poeta. Abbiamo, solo avanzo de' suoi
scritti, qualche verso, elegante di lingua e stile, studiato di
immagini, se il raccoglitore non trascelse appunto gli squarci ampollosi
per dare un bel saggio.[1215] Nella poesia erotica d'Ibn-Fehhâm è
tenerezza e delicatezza d'affetto non comune.[1216] Il disinganno d'uom
battuto dalla fortuna gli dettò un epigramma, contro il suo secolo, ma
la saetta arriva fin qui.[1217]
Segnalossi nella medesima scienza Abu-Tâher-Ismail-ibn-Kelef-ibn-
Sa'îd-ibn-'Amrân, autore d'un trattato in nove volumi su le forme
grammaticali[1218] del Corano, e d'un sommario intitolato _Cenno
su la Lettura_: dov'ei messe a riscontro le _Sette Lezioni_,
con dettato conciso da potersi tenere a mente, facile agli
scolari, bastante anco ai dotti. Libro rinomato ai tempi d'Ibn-Kallikân,
comentato poscia da molti e rimaso in onore fino al decimosettimo
secolo, quando ne fe lode Hagi-Khalfa. Compendiò inoltre questo Ismail
un'opera, credo teologica, intitolata _L'Argomento_, di Faresi. Fu
noverato tra i primi letterati dell'età sua. Ibn-Khallikân, su la fede
dello spagnuola Ibn-Baskowâl, gli dà per patria Saragozza; Soiuti lo
ricorda coi due nomi di Siciliano e Spagnuolo; ed Hagi-Khalfa alterna
l'uno e l'altro. Secondo tutti, fu _Ansâri_, cioè oriundo di Medina, e
morì il quattrocentocinquantacinque (1063), in Spagna, credo io,
dov'egli si fosse rifuggito, lasciando la Sicilia quando caddero i
Kelbiti, o in quel torno.[1219]
Visse nella generazione seguente, e forse uscì di Sicilia al conquisto,
Abu-Amr-Othmân-ibn-Ali-ibn-Omar da Siracusa, discepolo d'Ibn-Fehhâm in
lettura e d'altri rinomati professori in tradizione, uomo di molta
dottrina a giudizio del dotto Silefi che usò con lui; autor di varie
opere di lettura, grammatica e versificazione, linguista inoltre e
poeta, il quale tenea scuola di lettura del Corano nella moschea
d'Amru[1220] al Cairo vecchio, verso la metà del duodecimo secolo.[1221]
L'età non sappiamo di Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Haiun, siciliano, che
scrisse al dir di Casiri un'appendice alla Parafrasi poetica del Corano,
di cui v'ha un codice all'Escuriale.[1222] Vengon poscia i Lettori che
non lasciaron opere, tra i quali si ricorda Kholûf-ibn-Abd-Allah
da Barca, dimorante in Sicilia alla metà del quinto secolo
dell'egira, dotto nelle due parti della grammatica cioè forma
e sintassi, non digiuno delle scienze filosofiche e morali, e
buon poeta al dir di Dsehebi.[1223] Lettore e moralista
Abu-l-Kâsim-Abd-er-Rahman-ibn-Abdel-Ghanî; lettori anco
Abu-Bekr-'Atîk-ibn-Abd-Allah-ibn-Rahmûn della tribù di Khaulân,
passata in Siria e Spagna nei primi conquisti degli Arabi, ed
Abu-Hasan-Ali-ibn-Abd-el-Gebbâr-ibn-Waddâni, il qual nome lo mostra
oriundo d'Affrica. Tutti e tre poeti e vissuti nel decimo o undecimo
secolo; i pochi versi dei quali, che trascrive Imâd-ed-dîn, mi sembran
di pulite forme, e battono su la instabilità delle cose umane e
consolazione delle sventure, tema grato ai Musulmani.[1224] Nella prima
metà dell'undecimo secolo, levò grido il Lettore siciliano
Abu-Bekr-ibn-Nebt-el-'Orûk, sì che un valente giovane spagnuolo, che poi
meritò importanti ofici in patria, tornando dalla Mecca e dall'Egitto
dove avea compiuto gli studii, fermossi in Sicilia a ripigliare
quei di lettura coranica con questo Abu-Bekr, e del dritto con
Abd-el-Hakk-ibn-Harûn.[1225] Si ricorda infine tra i Lettori il
grammatico, linguista e poeta Abn-Bekr-Mohammed-ibn-Abd-Allah che
volentieri direi venuto d'Affrica in Sicilia,[1226] finito pazzo, se ben
m'appongo a quel che ci narran di lui. In sua vita d'austera morale e
uggiosa pietà, gli venne visto un giovanetto figlio d'alcun capitano o
regolo dell'isola; e non osando svelare il brutto pensiero che gli
nacque, trafitto di dolore, si fece pelle ed ossa; il sangue, dirompendo
dal fegato, che gli Arabi tengon sede delle passioni, gli offese il
petto, lo portò via, scrive Dsehebi, da questo all'altro mondo, innanzi
tempo. Con altro giudizio che quel degli Arabi, si direbbe che la
consunzione gli turbò il cervello, il che pur suole avvenire, e com'uomo
nudrito negli scrupoli immaginò tal peccato ch'ei non avea. Nè vale la
sua propria confessione in eleganti versi, degni di men tristo
argomento, i quali incominciano col dubbio ch'ei fosse fuor di sè, e si
chiudono con affrettare la morte.[1227]
I detti e pratiche di Maometto, raccontati con sommo zelo dai
contemporanei, messi in carta da quei che vennero appresso, sono, come
ognun sa, la seconda sorgente della dottrina musulmana nelle scuole
ortodosse; se non che l'ampia raccolta non fu mai compilata in forma
autentica, non porta a quel che i Musulmani chiaman precetto divino, e i
dottori, secondo lor giudizio, ne accettano e ricusano, esercitando la
critica non meno su l'autenticità, che su la interpretazione dei
vocaboli antiquati e frasi oscure. Studio vasto che diè origine a scuole
mal note l'una all'altra, e condusse i tradizionisti a lunghe
peregrinazioni qua e là, dove fosse alcun rinomato dottore o chi aveva
appreso da lui. Fanno le tradizioni importantissimo corpo di dritto
pubblico, civile e penale, e disciplina religiosa; avvegna che
proveggano alla spicciolata a tanti casi non contemplati dal Corano:
onde la tradizione è preparamento necessario, anzi parte integrale della
giurisprudenza.[1228] S'ei fosse da stare ad una conghiettura
dell'erudito Iakût, avrebbe preso soprannome dalla Calabria un
Abu-Abbas, dei più antichi critici delle tradizioni: discepolo
d'Abu-Ishak-Hadhrami, e maestro di Abu-Dâwûd-Soleiman, che dettò il
_Sinan_, autorevole compendio. Ma Abu-Dâwûd morì l'ottocentottantotto di
nostr'èra; onde si dovrebbe supporre che Abu-Abbâs-Kalawri avesse
militato nelle prime squadre musulmane, che d'Affrica, Sicilia o Creta
assaltarono la terraferma d'Italia (842). E non reggendo il supposto di
Iakût altrimenti che su l'analogia del nome etnico, nè accompagnandolo
alcun ragguaglio di biografia, ne rimarremo a questo cenno.[1229]
Oltre i giuristi che preliminarmente apparavano la Tradizione e l'arte
critica di quella, parecchi dotti dell'isola vi attesero
particolarmente. Fin dai primi anni del decimo secolo o poco innanzi, il
siciliano Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Ibrahim-ibn-Musa, della tribù di Temîm,
passò in Irâk per approfondire cotesto studio che fioriva tuttavia nella
capitale abbassida e nelle importanti città vicine. Scrisse molte opere
delle quali non sappiamo i titoli, e diè lezioni a Waset; noverandosi
tra i suoi discepoli alcun tradizionista di nome. Côlto insieme con
l'erudizione il mal vezzo del misticismo che spuntava allora tra i dotti
musulmani, frequentò le accademie di Gioneid e Nûri, barbassori sufiti;
entrò nella setta[1230] e lasciovvi nome onorato.[1231] Dopo l'Irâk par
abbia fatto soggiorno in Egitto, anzichè tornare in Sicilia.[1232]
Ignorasi l'età del cadi Abu-Hasan-Ali-ibn-Moferreg, autor di un'opera
intitolata _Annotazioni del Siciliano su la Tradizione_, citato da
Beka'i, nel decimoquinto secolo, tra i testi ch'egli soleva
adoperare.[1233] Due liberti siciliani, al certo degli schiavi cristiani
venduti in altri paesi, ebbero nome di tradizionisti a Cordova, nella
seconda metà del decimo secolo: dei quali, Derrâg, uom di molta pietà e
dottrina, fu bandito per sospetti politici e morì in Oriente, dopo fatto
il pellegrinaggio;[1234] e l'altro per nome Râik, studiò tradizioni in
Oriente e professolle poscia in Spagna.[1235] S'applicò alla legge ed
alla tradizione, tenuto uom dottissimo al principio dell'undecimo
secolo, l'emir Abu-Mohammed-'Ammâr-ibn-Mansûr dei Kelbiti di Sicilia, di
ramo collaterale ai due che regnarono. I frammenti poetici del quale
spiran l'orgoglio guerriero della nobiltà non mansuefatto dalle
elucubrazioni legali, e ci svelano che l'autore navigasse a golfo
lanciato tra i tumulti e le trame che s'alternavano in Palermo.[1236]
Verso il milletrenta, si trovò in Spagna Abu-Fadhi-Abbâs-ibn-Amr,
siciliano, il quale apprese da Kâsem-ibn-Thâbit di Saragozza la
spiegazione dei vocaboli e modi disusati delle tradizioni ed insegnolla
ad altri Spagnuoli; onde sembra stanziato nel paese.[1237]
Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Sâbik, nella generazione seguente, uscito forse in
pellegrinaggio, apparò tradizione alla Mecca da parecchi dottori, tra i
quali primeggia Karîma figliuola di Ahmed-Marwazi; e in luogo di tornare
in Sicilia ove non era oramai che guerre e stragi, aprì scuola in
Granata; ma sentendovi anco mal fermo il suolo, passò in Egitto; e quivi
morì di gennaio del mille e cento. Lasciò in Granata desiderio di sè, e
fama di gran teologo.[1238] Son anco ricordati com'ottimi tradizionisti
il Sementari, Ibn-Mekki, Ibn-Abd-el-Berr ed Ibn-Kattâ; del primo dei
quali diremo tra i mistici, e degli altri tra i filologi. Sopra tutti
s'innalzò il Mazari.
Così chiamato dalla città nativa e Temîmi dalla tribù, per nome
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Ali-ibn-Omar-ibn-Mohammed,[1239] giurista
malekita, uom sommo, scrive Ibn-Khallikân, nella dottrina testuale e
critica delle tradizioni.[1240] Celeberrimo nelle scuole musulmane il
suo comentario di tradizione intitolato _Il maestro delle dottrine
(contenute) nel libro di Moslim_.[1241] Scrisse anco la _Spiegazione dei
(principii) che occorrono nello “Argomento dei dommi,”_[1242] ed un
commentario sul libro intitolato _Il buon indirizzo_, opere entrambe di
teologia scolastica;[1243] un commentario sul Manuale di Mâlek che si
chiama il _Mowattâ_;[1244] quattro volumi su l'insegnamento del cadi
Abd-el-Wehhâb;[1245] ed altre di erudizione e belle lettere:[1246] ma fu
dotto in varii rami di scienze pratiche o speculative,[1247] fin anco in
medicina. Leggiamo in un comentario malekita come la gente accorresse a
consultar il Mazari da medico al par che giurista, dal tempo ch'ei si
diè con ardore a quello studio, punto da un medico israelita, il quale,
curandolo in grave infermità, gli rinfacciava: “ecco il gran dottore
dell'islamismo in balía d'un povero giudeo, che se il lasciasse morire
farebbe opera meritoria in sua religione e grave danno ai
Musulmani.[1248]” E veramente per tutta l'Affrica Settentrionale i
contemporanei il tennero a luminare di giurisprudenza; si raccontò che
il Profeta gli fosse comparso in sogno, confortandolo a scrivere, i
posteri lo dissero ultimo legista inventore; e Khalîl-ibn-Ishak,
compilator dell'oscuro codice che or si osserva in Affrica, pose il
Mazari e il siciliano Ibn-Iûnis tra le quattro autorità cardinali,
citate dopo la _Modawwana_,[1249] Il Mazari seguì in teologia la
dottrina asci'arita[1250] o vogliamo dire scolastica, la quale soleva
adoprare la filosofia e le interpretazioni per difendere il domma
ortodosso dai duri colpi che gli traeano scismatici e razionalisti con
le medesime armi. Uscito di Sicilia, com'ei pare, al conquisto normanno,
soggiornò al Cairo vecchio, ad Alessandria; a Mehdia; quindi ad
Alessandria di nuovo, dove insegnò tradizioni.[1251] Si narra che a
Mehdia abbia dato, poco appresso il mille, i primi rudimenti della
scienza, a Mohammed-ibn-Tûmert, detto poi il Mehdi: un mezzo Savonarola
berbero, che fondò l'impero almohade:[1252] tra il qual legame col
profeta avventurato, e la dottrina propria e l'acume dell'ingegno e la
serena virtù dell'animo, il Mazari passò tra i beati dell'islamismo.
Morto in Mehdia d'ottantatrè anni lunari, chi dice il quattro e chi il
venti ottobre, del millecentoquarantuno,[1253] fu sepolto sia a Mernâk
presso Tunis,[1254] sia a Monastir;[1255] il qual disparere su le
minuzie biografiche, mostra la grande rinomanza dell'uomo, al par delle
lodi che ne fanno tutti gli scrittori.[1256] Dalla riputazione di
santità nacque una favola, ripetuta in Affrica nel decimoquinto secolo,
la quale dava al Mazari trecento tredici anni di vita.[1257]
Per l'intima connessione che hanno le tradizioni con la giurisprudenza,
si comprende come questa, ben avviata già in Sicilia nella prima metà
del decimo secolo,[1258] sia progredita nel corso dell'undecimo.
Nel confine di que' due, chè l'anno appunto non si sa, nacque, com'e'
pare, in Palermo, Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Iûnis, dottore
principe di scuola malekita, onorato quasi a ragguaglio col Mazari,
citato insieme con lui, come dicemmo, da Khalîl, detto per antonomasia
il Siciliano e famoso altresì per le prodezze fatte di sua persona nella
guerra sacra, quella verosimilmente di Maniace. Trapassò Ibn-Iûnis
il venti rebi' primo del quattrocencinquantuno (5 maggio
1059).[1259] Suo discepolo il giurista malekita siciliano
Abu-Mohammed-Abd-el-Hakk-ibn-Harûn, famoso per le opere e per gli
illustri discepoli spagnuoli, Khelef-ibn-Ibrahim, detto Ibn-Hassâr, e
Soleiman-ibn-Iehia-ibn-Othmân-ibn-Abi-Dunia da Cordova; dei quali il
primo, come s'è detto, lo ritrovò in Sicilia[1260] e l'altro alla Mecca,
in pellegrinaggio, e seguillo in Egitto, studiando sempre con
essolui.[1261] Scrisse Abd-el-Hakk la _Correzione dei Quesiti_, trattato
di casi legali;[1262] e i _Detti arguti_, opera filologica o di
erudizione, rimasa in voga fino al decimoquarto secolo.[1263] Da lui
anco avea appreso il dritto in patria, Thâbit il Siciliano; il quale,
rifuggito poscia in Ispagna, ne diè quivi lezioni nella seconda metà del
secolo.[1264]
Oltre i giureconsulti Ibn-Fehhâm, ed 'Ammar-ibn-Mansur, e
Mazari, ed Ibn-Mekki ricordati di sopra; Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-
Ali-Rebe'i, da Girgenti, onorato molto per sapere e virtù, professava
giurisprudenza malekita in Sicilia, indi in Affrica ed Alessandria;
e morì l'anno cinquecentotrentasette (1142-3).[1265] Forse della stessa
famiglia un Ali-ibn-Othmân-ibn-Hosein-Rebe'i, Sikilli, il quale,
mercatando a Cordova, recovvi il libro d'Ibn-Hâtim-Adsrei, intitolato
_Splendori sul fondamento del dritto_; e da lui l'apprese il giurista
spagnuolo Abu-Ali, Ghassâni.[1266] Il dottore siciliano
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Abd-Allah, recatosi dopo il conquisto
normanno in Granata, dievvi lezioni sul _Lume di giurisprudenza_
d'Abu-Hasan-Lakhmi, e quivi morì il cinquecento diciotto (1124).[1267]
Un Mozaffer, siciliano o schiavone, chè spesso si scambiano nella
scrittura arabica, fu deputato nel quattrocentoquattro (1013-14) a
prefetto di Misr e del Cairo e _mohtesib_, l'ultimo dei quali officii
richiedea scienza. legale.[1268] Tenne in Egitto il sommo magistrato di
_cadi dei cadi_, un Ahmed-ibn-Kâsim siciliano, che Imâd-ed-dîn ricorda
col nome di Giusto, trascrivendo i versi ch'ei compose per Afdhal
(1093-1121). La lindura dei quali non iscuserebbe certi modi
d'adulazione, se non fossero all'usanza orientale e forse dettati da
stretta amistà.[1269] D'età incerta Abu-Mohammed-Hasan-ibn-Ali-ibn-Ge'd,
dottore principe al suo tempo, e diè il proprio nome alle _Porzioni
Ge'dite secondo la scuola di Malek_;[1270] porzioni s'intenda nel
partaggio delle eredità, ch'è ramo importante del dritto musulmano. Ai
giureconsulti son da aggiugnere Kattâni, “il Sottil Grammatico,” del
quale diremo tra i filologi; ed Abu-Omar-Othmân-ibn-Heggiâg da Sciacca
in Sicilia, dimorante in Alessandria, morto il cinquecento
quarantaquattro (1149); il quale era stato dei maestri del rinomato
tradizionista Silefi d'Ispahan, e lasciò parecchi libri malekiti.[1271]
Dettò un comentario sul _Mowattâ_ di Malek il letterato affricano
Ibn-Rescîk, emigrato in Sicilia alla metà dell'undecimo secolo.[1272]
Nel medesimo tempo dava fuori opere di dritto il Sementari, col quale
passiamo a discorrere la nuova edizione di devoti che pullulava
nell'islamismo.
Abu-Bekr-Atîk-ibn-Ali-ibn-Dâwûd del villaggio di Sementara in
Sicilia,[1273] discendente, chi sa? dei coloni che possedeavi un tempo
San Gregorio, fu uomo infaticabile di corpo e d'intelletto. Di quei
devoti Siciliani, scrive Ibn-Kattâ', che faceano autorità in
giurisprudenza;[1274] degli asceti dell'isola, chiarissimi per sapere:
ed usò degnamente la vita di quaggiù, sciolto dalle cure mondane, tutto
intento e fitto nell'altra vita. Partì per l'Hegiâz, compiè il
pellegrinaggio; percorse poi tante regioni, Iemen, Siria, Persia,
Khorasân; praticò quivi coi servi di Dio, tradizionisti ed asceti;
raccolse lor detti e notizie e con eleganza le dettò. Scrisse a mo' di
dizionario suoi viaggi e il frutto del conversare con que' dotti
stranieri; e sul dritto e la tradizione varie opere pregiate per ordine
e lucidità; ed un gran trattato, che niuno agguagliò mai in bellezza di
stile, su la perfezione spirituale[1275] e su gli esempii degli uomini
virtuosi. Così lo giudicava Ibn-Kattâ.[1276] L'ultima delle opere
ricordate s'intitolava: _Guida dei Cercatori_ (_della perfezione
spirituale_), e prendea dieci volumi.[1277] Un componimento di Sementari
su l'ascestismo musulmano, dai pochi versi che ne abbiamo, sembra
anch'oggi nobile sfogo d'intelletto sdegnoso della viltà e tristizia del
secolo, invaghito d'una immagine del giusto e del sublime, ch'uom
abbozzi nella propria coscienza e la dipinga su l'oscura tela
dell'infinito.[1278] Morì costui il ventuno di rebi' secondo del
quattrocento sessantaquattro (15 gennaio 1072).[1279] Contemporaneo di
Sementari, e sembrano usciti entrambi al crollo della dinastia kelbita,
Abu-Hasan Ali-ibn-Hamza, andato in Spagna innanzi il quattrocento
quaranta (1048), al dir d'Homaidi che il conobbe e ascoltò;
sufita, scolastico,[1280] dotto in ogni ramo di teologia e
d'altre scienze;[1281] discepolo del moralista sciafeita
Abu-Tâher-Mohammed-ibn-Ali da Bagdad.[1282]
I Sufiti, non contenti all'abnegazione delle cose mondane, si provarono
a distruggere ogni idea di realità, spegnere il senso, concentrare
l'uomo nella coscienza dell'essere, e farlovi con ostinata volontà
sprofondare a grado, a grado, tanto che gli paresse toccar nel nocciolo
dell'animo la Divinità, immedesimarsi con quella, togliersi dagli occhi
i veli che occultano la scienza e l'avvenire. La qual monomania
artifiziale appresterebbe bell'argomento di studio psicologico e
patologico se si giugnesse a scernere l'allucinazione dalle ciurmerie e
linguaggio allegorico con che si è mescolata in ogni età e paese. La
setta par abbia preso nome e, forme verso la metà del nono secolo,
quando ne pullularono tante nell'islamismo; quando i devoti, incalzati
dalla filosofia greca che li sforzava a ragionar sulla missione di
Maometto, si rifuggirono nel misticismo indiano. Qualche rampollo
brahmanico o buddista, che vegetasse ab antico in Persia, s'innestò con
l'ascetismo dei compagni di Maometto, e ne spuntò questo frutto. Il nome
deriva da _Sûf_ “lana,” perchè gli adetti ne vestivano secondo l'uso dei
primi Musulmani; e quando la setta divenne quasi ordine religioso, il
superiore iniziava il neofito con porgli sulle spalle la _Khirka_,
mantello o straccio di lana. Durano fin oggi i Sufiti insieme con gli
ordini plebei, dervis e simili che copiarono le sembianze più goffe
della setta. In origine fu onesto ritrovo d'animi nauseati di quello
scompiglio politico del califato; teste inquiete, fors'anco intelletti
sani, non soddisfatti dall'islamismo, se non che lor parea peggio mutar
di religione o starne senza; e panteisti o scettici, si gittarono
sovente in quelle ombre mistiche per dare un ganghero ai devoti. Infatti
gli ortodossi formalisti li chiamavan empii tutti in un fascio. Gâzeli,
il terribile teologo, sentenziò atto più meritorio l'accoppare un sufita
che campar dieci uomini dalla morte.[1283]
Se si risguardi all'età del sufita Abu-Bekr-Mohammed,[1284] al quale
tennero dietro Ali-ibn-Hamza e Sementari,[1285] si vedrà che l'ascetismo
primitivo dei Musulmani durato in Sicilia sino alla metà del decimo
secolo,[1286] non tardava guari a prender la novella foggia mistica. Dai
dotti scendea già nel volgo, e la devota commedia era in voga nella
prima metà del l'undecimo secolo, poichè Ibn-Tazi la riprende con questi
versi:
“Non istà il sufismo, no, a vestir lane che rattoppi tu stesso; non ad
intenerire gli sciocchi;
Nè a stridere, saltare, scontorcerti, cadere in deliquio, come se tu
fossi impazzato.
Sta il sufismo nell'animo schietto, immacolato; nel seguir là verità, il
Corano, la fede;
Nel mostrare che temi Iddio, che ti penti di tue colpe, che ne sei
trafitto di rammarico eterno.[1287]”
Tra gli asceti che non trascorressero a così fatte allucinazioni,
si ricorda un Abu-l-Kâsim-ibn-Hâkim, dottissimo, come dicono,
il quale nella prima metà del duodecimo secolo vivea a Bagdad in
casa, non più corte, del califo.[1288] Mohammed-ibn-Sâbik ed
Abd-er-Rahman-ibn-Abd-el-Ghani, nominati di sopra, furono l'un teologo,
l'altro moralista.[1289] Musa-ibn-Abd-Allah da Cufa, della schiatta
d'Ali, teologo, poeta ed erudito, verso la metà dell'undecimo secolo
elesse a dimora la Sicilia; donde poi passò a combattere i Cristiani in
Spagna; ed alfine fu ucciso in
.{495} Affrica (1094).[1290] Lasciò un trattato di teologia
Abu-Mohammed-Abd-er-Rahman-ibn-Mohammed il Siciliano, del quale
ignoriamo l'età, se non che il manoscritto unico in Europa è copiato in
Antiochia il seicentoquarantanove dell'egira (1251). Compilazione
scolastica ed ortodossa, partita in quattro capitoli: teologia naturale,
teologia musulmana, natura e potenza del demonio, condizioni e doveri
degli uomini in società.[1291] Mi sembra nitida ed ordinata; logica,
quel poco che si poteva. Il capitolo sul Tentatore, assai più
particolareggiato che non soglia incontrarsi negli scolastici musulmani,
par si rannodi a quella fissazione dei devoti siciliani ed affricani
sulla fine del nono o principio del decimo secolo.[1292]
Ad un tempo, col progresso dalla cieca divozione al misticismo, si notò
in Sicilia, sì come in ogni altra provincia musulmana, novello fervore
per le lettere, soprattutto gli studii filologici, come s'intendeano da
ciascuno fino al decimottavo secolo; i quali non fecero rinascere in
Oriente quegli antichi poeti arabi nè quel vivo e conciso parlare dei
compagni di Maometto; nè altro produssero che una mediocrità più
generale, uno stile luccicante, ondulante e ridondante; quel che ammiran
da otto secoli in Hariri, e che da nove o dieci secoli avviluppa presso
que' popoli il pensiero e sovente ne tien luogo. Ma tant'è, che il lungo
secento degli Arabi non mancò di pregi, come nè anco il secento europeo
del decimosettimo secolo o del decimonono. Al par che gli Spagnuoli,
Affricani, Egiziani e Sirii, i Musulmani di Sicilia non poteano giugnere
a segno più alto; ma ben toccaron quello nell'undecimo secolo, nè furon
da meno degli Spagnuoli; superarono forse le altre province dette, nelle
quali la natura non sorrideva sì dolcemente, e le schiatte antiche,
Semiti, Copti, Berberi, non eran metallo suscettivo di tempra sì fina.
Dopo Ibn-Khorasân, grammatico siciliano della prima metà del decimo
secolo,[1293] ne comparisce un altro per nome Hasan-ibn-Ali, il quale,
andato, in pellegrinaggio, morì alla Mecca, allo scorcio del
trecentonovantuno (novembre 1001) lasciando onorata memoria di sè nelle
scuole d'Oriente.[1294] Qualche mezzo secolo innanzi, era venuto a stare
in Sicilia Musa-ibn-Asbagh-Morâdi, da Cordova, al ritorno d'un viaggio
in Oriente: linguista, grammatico e, dicono, elegante poeta; ma fece in
ottomila versi una parafrasi del _Mobtedâ_,[1295] ossia “Primordii;”
forse i Primordii del mondo e racconti dei Profeti d'Abu-Hodseifa il
Coreiscita.[1296] All'entrar dello undecimo secolo, visse in Sicilia il
rifuggito spagnuolo Sa'id-ibn-Fethûn che ricordammo di sopra: il quale
fu insieme linguista e compose un trattato di versificazione.[1297]
Le guerre civili della Spagna balestrarono anco in Sicilia
Abu-l-'Ala-Sâ'id da Mosûl, esercitatosi con lode negli studii di
filologia ed erudizione a Bagdad, buon poeta, argutissimo e pronto di
motti, piacevole al conversare, ma cortigiano, menzognero, scroccone,
scialacquatore, beone; il quale, andato a cercare ventura in Ispagna, si
rimpannucciò appo Almansor (990), e lui mancato, venne a provare se i
Kelbiti di Sicilia fossero que' mecenati che portava la fama, e morì il
quattrocento diciassette (1026) o quattrocento diciannove.[1298] Torna
alla stessa età il Siciliano Abu-Iakûb-Iûsuf-ibn-Ahmed-ibn-Debbâgh, buon
poeta, autor di versi didascalici sulla grammatica, il quale, a giudizio
d'Ibn-Kattâ', avanzò ogni contemporaneo in quel che noi diremmo studio
di storia letteraria.[1299] Tornano alla metà dell'undecimo secolo,
Kolûf-ibn-Abd-Allah da Barca, domiciliato in Sicilia, lettor del Corano,
dotto nei due rami della grammatica,[1300] ornato di varia erudizione e
poeta;[1301] Abu-Hasan-Ali-ibn-Abd-er-Rahman il Siciliano, che
diè studio di grammatica, come sembra, a Susa;[1302] ed
Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan, grammatico di conto, linguista e poeta.[1303]
trascurata in Sicilia.
Scarsi al paro i ricordi di cui seguì la filosofia antica, che gli Arabi
chiamarono col proprio nome greco: e diceano _Kelâm_ ossia
“ragionamento,” la metafisica e logica religiosa acconciate a lor modo.
I filosofi, spesso perseguitati in vita e dimenticati dopo morte, non
tornan a galla nella storia letteraria degli Arabi, se non li spinge
su qualche vestimento più leggiero: poesia o filologia. Così ci
vien trovato nelle biografie dei linguisti di Soiuti, un
Sa'îd-ibn-Fethûn-ibn-Mokram da Cordova, della illustre gente dei
Togibiti, grammatico, filologo e scrittor di due trattati di
versificazione; dato anche, dice Soiuti, alla filosofia. Fu costui
contemporaneo del terribil ministro Ibn-Abi-'Amir, detto Almanzor,
protettore delle lettere, persecutore delle scienze antiche; quel che
bruciò i libri di filosofia ed astronomia della biblioteca di Cordova.
Sa'îd, accusato non sappiamo se di scetticismo o ribellione, forse
senz'altra colpa che il nascer di schiatta possente e temuta, fu
chiamato da Almanzor, interrogato severamente e messo in prigione. Poi
lasciaronlo andare in esilio; ed elesse la Sicilia, dove passò il resto
de' suoi giorni, alla fine del decimo o principio dell'undecimo
secolo.[1212]
Primaria scienza sacra appo loro la lettura del Corano, la quale
portando seco interpretazione, riesce a gravi conseguenze legali,
dommatiche e morali. Fu dettato il Corano quando tra gli Arabi contavasi
a dito chi sapesse scrivere; nè a grammatica si pensava pur anco nè ad
ortografia. Poscia Othmân nell'edizione canonica eliminò i luoghi
apocrifi, le frasi estranee al dialetto coreiscita, ma non potè mettere
in carta la sacra parola con segni più perfetti che gli Arabi non ne
possedessero. Cioè che notavano precise tanto o quanto le
consonanti,[1213] e delle vocali sol quelle rinforzate da accento, e non
pur tutte: donde l'ambiguità di tanti vocaboli che non sono distinti se
non dalle vocali, di tanti periodi varii di significato secondo i modi
grammaticali che si accennassero leggendo.[1214] Il testo dunque sendo
scritto, come oggi diremmo, in cifera di stenografia, nè bastando averlo
sotto gli occhi per saperne appunto il tenore, era forza supplirvi con
la tradizione orale e con le regole della grammatica. Indi i Lettori, i
maestri di Lettura, i trattati e anche poemi didascalici, le sette
scuole principali di lettura e non so quante secondarie, gli arabici
assottigliamenti in cotesta novella scienza; e s'arrivò a notare il
Corano con segni più presto musicali che ortografici: lettere, punti,
lineette, sigle che si dipingeano a varii colori intorno gli arcaici
caratteri negri del testo d'Othmân, e prescrivean le pause, le
modulazioni e oficio dell'_a_, le articolazioni da elidere o permutare e
simili.
Fu dei più rinomati Lettori del Corano al suo tempo Abd-er-Rahmân-ibn-
Abi-Bekr-ibn-'Atîk-ibn-Khelef da Siracusa, detto Ibn-Fehhâm
(Il figlio del Carbonaro), nato il quattrocencinquantaquattro
(1062), uscito, com'è probabile, alla presa di Siracusa, l'ottantotto
(1095), e morto il cinquecento sedici (1122-3). Andò cercando in Oriente
i dottori principi della Lettura; praticò con parecchi d'Egitto; e
soggiornò, forse diè studio, in Alessandria, essendo stato chiamato lo
Sceikh Alessandrino. Compose il _Soddisfacimento a chi brami saper bene
le Sette Lezioni_, e _La Gemma Solitaria d'Ibn-Fehhâm su la Lettura_:
com'è vezzo degli scrittori arabi di porre titoli millantatori e
avviluppati, purchè sembrino bizzarri. Si ricorda inoltre un suo
Commentario su i _Prolegomeni Grammaticali d'Ibn-Babesciâds_: che
grammatico ei fu anco e giurista, e poeta. Abbiamo, solo avanzo de' suoi
scritti, qualche verso, elegante di lingua e stile, studiato di
immagini, se il raccoglitore non trascelse appunto gli squarci ampollosi
per dare un bel saggio.[1215] Nella poesia erotica d'Ibn-Fehhâm è
tenerezza e delicatezza d'affetto non comune.[1216] Il disinganno d'uom
battuto dalla fortuna gli dettò un epigramma, contro il suo secolo, ma
la saetta arriva fin qui.[1217]
Segnalossi nella medesima scienza Abu-Tâher-Ismail-ibn-Kelef-ibn-
Sa'îd-ibn-'Amrân, autore d'un trattato in nove volumi su le forme
grammaticali[1218] del Corano, e d'un sommario intitolato _Cenno
su la Lettura_: dov'ei messe a riscontro le _Sette Lezioni_,
con dettato conciso da potersi tenere a mente, facile agli
scolari, bastante anco ai dotti. Libro rinomato ai tempi d'Ibn-Kallikân,
comentato poscia da molti e rimaso in onore fino al decimosettimo
secolo, quando ne fe lode Hagi-Khalfa. Compendiò inoltre questo Ismail
un'opera, credo teologica, intitolata _L'Argomento_, di Faresi. Fu
noverato tra i primi letterati dell'età sua. Ibn-Khallikân, su la fede
dello spagnuola Ibn-Baskowâl, gli dà per patria Saragozza; Soiuti lo
ricorda coi due nomi di Siciliano e Spagnuolo; ed Hagi-Khalfa alterna
l'uno e l'altro. Secondo tutti, fu _Ansâri_, cioè oriundo di Medina, e
morì il quattrocentocinquantacinque (1063), in Spagna, credo io,
dov'egli si fosse rifuggito, lasciando la Sicilia quando caddero i
Kelbiti, o in quel torno.[1219]
Visse nella generazione seguente, e forse uscì di Sicilia al conquisto,
Abu-Amr-Othmân-ibn-Ali-ibn-Omar da Siracusa, discepolo d'Ibn-Fehhâm in
lettura e d'altri rinomati professori in tradizione, uomo di molta
dottrina a giudizio del dotto Silefi che usò con lui; autor di varie
opere di lettura, grammatica e versificazione, linguista inoltre e
poeta, il quale tenea scuola di lettura del Corano nella moschea
d'Amru[1220] al Cairo vecchio, verso la metà del duodecimo secolo.[1221]
L'età non sappiamo di Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Haiun, siciliano, che
scrisse al dir di Casiri un'appendice alla Parafrasi poetica del Corano,
di cui v'ha un codice all'Escuriale.[1222] Vengon poscia i Lettori che
non lasciaron opere, tra i quali si ricorda Kholûf-ibn-Abd-Allah
da Barca, dimorante in Sicilia alla metà del quinto secolo
dell'egira, dotto nelle due parti della grammatica cioè forma
e sintassi, non digiuno delle scienze filosofiche e morali, e
buon poeta al dir di Dsehebi.[1223] Lettore e moralista
Abu-l-Kâsim-Abd-er-Rahman-ibn-Abdel-Ghanî; lettori anco
Abu-Bekr-'Atîk-ibn-Abd-Allah-ibn-Rahmûn della tribù di Khaulân,
passata in Siria e Spagna nei primi conquisti degli Arabi, ed
Abu-Hasan-Ali-ibn-Abd-el-Gebbâr-ibn-Waddâni, il qual nome lo mostra
oriundo d'Affrica. Tutti e tre poeti e vissuti nel decimo o undecimo
secolo; i pochi versi dei quali, che trascrive Imâd-ed-dîn, mi sembran
di pulite forme, e battono su la instabilità delle cose umane e
consolazione delle sventure, tema grato ai Musulmani.[1224] Nella prima
metà dell'undecimo secolo, levò grido il Lettore siciliano
Abu-Bekr-ibn-Nebt-el-'Orûk, sì che un valente giovane spagnuolo, che poi
meritò importanti ofici in patria, tornando dalla Mecca e dall'Egitto
dove avea compiuto gli studii, fermossi in Sicilia a ripigliare
quei di lettura coranica con questo Abu-Bekr, e del dritto con
Abd-el-Hakk-ibn-Harûn.[1225] Si ricorda infine tra i Lettori il
grammatico, linguista e poeta Abn-Bekr-Mohammed-ibn-Abd-Allah che
volentieri direi venuto d'Affrica in Sicilia,[1226] finito pazzo, se ben
m'appongo a quel che ci narran di lui. In sua vita d'austera morale e
uggiosa pietà, gli venne visto un giovanetto figlio d'alcun capitano o
regolo dell'isola; e non osando svelare il brutto pensiero che gli
nacque, trafitto di dolore, si fece pelle ed ossa; il sangue, dirompendo
dal fegato, che gli Arabi tengon sede delle passioni, gli offese il
petto, lo portò via, scrive Dsehebi, da questo all'altro mondo, innanzi
tempo. Con altro giudizio che quel degli Arabi, si direbbe che la
consunzione gli turbò il cervello, il che pur suole avvenire, e com'uomo
nudrito negli scrupoli immaginò tal peccato ch'ei non avea. Nè vale la
sua propria confessione in eleganti versi, degni di men tristo
argomento, i quali incominciano col dubbio ch'ei fosse fuor di sè, e si
chiudono con affrettare la morte.[1227]
I detti e pratiche di Maometto, raccontati con sommo zelo dai
contemporanei, messi in carta da quei che vennero appresso, sono, come
ognun sa, la seconda sorgente della dottrina musulmana nelle scuole
ortodosse; se non che l'ampia raccolta non fu mai compilata in forma
autentica, non porta a quel che i Musulmani chiaman precetto divino, e i
dottori, secondo lor giudizio, ne accettano e ricusano, esercitando la
critica non meno su l'autenticità, che su la interpretazione dei
vocaboli antiquati e frasi oscure. Studio vasto che diè origine a scuole
mal note l'una all'altra, e condusse i tradizionisti a lunghe
peregrinazioni qua e là, dove fosse alcun rinomato dottore o chi aveva
appreso da lui. Fanno le tradizioni importantissimo corpo di dritto
pubblico, civile e penale, e disciplina religiosa; avvegna che
proveggano alla spicciolata a tanti casi non contemplati dal Corano:
onde la tradizione è preparamento necessario, anzi parte integrale della
giurisprudenza.[1228] S'ei fosse da stare ad una conghiettura
dell'erudito Iakût, avrebbe preso soprannome dalla Calabria un
Abu-Abbas, dei più antichi critici delle tradizioni: discepolo
d'Abu-Ishak-Hadhrami, e maestro di Abu-Dâwûd-Soleiman, che dettò il
_Sinan_, autorevole compendio. Ma Abu-Dâwûd morì l'ottocentottantotto di
nostr'èra; onde si dovrebbe supporre che Abu-Abbâs-Kalawri avesse
militato nelle prime squadre musulmane, che d'Affrica, Sicilia o Creta
assaltarono la terraferma d'Italia (842). E non reggendo il supposto di
Iakût altrimenti che su l'analogia del nome etnico, nè accompagnandolo
alcun ragguaglio di biografia, ne rimarremo a questo cenno.[1229]
Oltre i giuristi che preliminarmente apparavano la Tradizione e l'arte
critica di quella, parecchi dotti dell'isola vi attesero
particolarmente. Fin dai primi anni del decimo secolo o poco innanzi, il
siciliano Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Ibrahim-ibn-Musa, della tribù di Temîm,
passò in Irâk per approfondire cotesto studio che fioriva tuttavia nella
capitale abbassida e nelle importanti città vicine. Scrisse molte opere
delle quali non sappiamo i titoli, e diè lezioni a Waset; noverandosi
tra i suoi discepoli alcun tradizionista di nome. Côlto insieme con
l'erudizione il mal vezzo del misticismo che spuntava allora tra i dotti
musulmani, frequentò le accademie di Gioneid e Nûri, barbassori sufiti;
entrò nella setta[1230] e lasciovvi nome onorato.[1231] Dopo l'Irâk par
abbia fatto soggiorno in Egitto, anzichè tornare in Sicilia.[1232]
Ignorasi l'età del cadi Abu-Hasan-Ali-ibn-Moferreg, autor di un'opera
intitolata _Annotazioni del Siciliano su la Tradizione_, citato da
Beka'i, nel decimoquinto secolo, tra i testi ch'egli soleva
adoperare.[1233] Due liberti siciliani, al certo degli schiavi cristiani
venduti in altri paesi, ebbero nome di tradizionisti a Cordova, nella
seconda metà del decimo secolo: dei quali, Derrâg, uom di molta pietà e
dottrina, fu bandito per sospetti politici e morì in Oriente, dopo fatto
il pellegrinaggio;[1234] e l'altro per nome Râik, studiò tradizioni in
Oriente e professolle poscia in Spagna.[1235] S'applicò alla legge ed
alla tradizione, tenuto uom dottissimo al principio dell'undecimo
secolo, l'emir Abu-Mohammed-'Ammâr-ibn-Mansûr dei Kelbiti di Sicilia, di
ramo collaterale ai due che regnarono. I frammenti poetici del quale
spiran l'orgoglio guerriero della nobiltà non mansuefatto dalle
elucubrazioni legali, e ci svelano che l'autore navigasse a golfo
lanciato tra i tumulti e le trame che s'alternavano in Palermo.[1236]
Verso il milletrenta, si trovò in Spagna Abu-Fadhi-Abbâs-ibn-Amr,
siciliano, il quale apprese da Kâsem-ibn-Thâbit di Saragozza la
spiegazione dei vocaboli e modi disusati delle tradizioni ed insegnolla
ad altri Spagnuoli; onde sembra stanziato nel paese.[1237]
Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Sâbik, nella generazione seguente, uscito forse in
pellegrinaggio, apparò tradizione alla Mecca da parecchi dottori, tra i
quali primeggia Karîma figliuola di Ahmed-Marwazi; e in luogo di tornare
in Sicilia ove non era oramai che guerre e stragi, aprì scuola in
Granata; ma sentendovi anco mal fermo il suolo, passò in Egitto; e quivi
morì di gennaio del mille e cento. Lasciò in Granata desiderio di sè, e
fama di gran teologo.[1238] Son anco ricordati com'ottimi tradizionisti
il Sementari, Ibn-Mekki, Ibn-Abd-el-Berr ed Ibn-Kattâ; del primo dei
quali diremo tra i mistici, e degli altri tra i filologi. Sopra tutti
s'innalzò il Mazari.
Così chiamato dalla città nativa e Temîmi dalla tribù, per nome
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Ali-ibn-Omar-ibn-Mohammed,[1239] giurista
malekita, uom sommo, scrive Ibn-Khallikân, nella dottrina testuale e
critica delle tradizioni.[1240] Celeberrimo nelle scuole musulmane il
suo comentario di tradizione intitolato _Il maestro delle dottrine
(contenute) nel libro di Moslim_.[1241] Scrisse anco la _Spiegazione dei
(principii) che occorrono nello “Argomento dei dommi,”_[1242] ed un
commentario sul libro intitolato _Il buon indirizzo_, opere entrambe di
teologia scolastica;[1243] un commentario sul Manuale di Mâlek che si
chiama il _Mowattâ_;[1244] quattro volumi su l'insegnamento del cadi
Abd-el-Wehhâb;[1245] ed altre di erudizione e belle lettere:[1246] ma fu
dotto in varii rami di scienze pratiche o speculative,[1247] fin anco in
medicina. Leggiamo in un comentario malekita come la gente accorresse a
consultar il Mazari da medico al par che giurista, dal tempo ch'ei si
diè con ardore a quello studio, punto da un medico israelita, il quale,
curandolo in grave infermità, gli rinfacciava: “ecco il gran dottore
dell'islamismo in balía d'un povero giudeo, che se il lasciasse morire
farebbe opera meritoria in sua religione e grave danno ai
Musulmani.[1248]” E veramente per tutta l'Affrica Settentrionale i
contemporanei il tennero a luminare di giurisprudenza; si raccontò che
il Profeta gli fosse comparso in sogno, confortandolo a scrivere, i
posteri lo dissero ultimo legista inventore; e Khalîl-ibn-Ishak,
compilator dell'oscuro codice che or si osserva in Affrica, pose il
Mazari e il siciliano Ibn-Iûnis tra le quattro autorità cardinali,
citate dopo la _Modawwana_,[1249] Il Mazari seguì in teologia la
dottrina asci'arita[1250] o vogliamo dire scolastica, la quale soleva
adoprare la filosofia e le interpretazioni per difendere il domma
ortodosso dai duri colpi che gli traeano scismatici e razionalisti con
le medesime armi. Uscito di Sicilia, com'ei pare, al conquisto normanno,
soggiornò al Cairo vecchio, ad Alessandria; a Mehdia; quindi ad
Alessandria di nuovo, dove insegnò tradizioni.[1251] Si narra che a
Mehdia abbia dato, poco appresso il mille, i primi rudimenti della
scienza, a Mohammed-ibn-Tûmert, detto poi il Mehdi: un mezzo Savonarola
berbero, che fondò l'impero almohade:[1252] tra il qual legame col
profeta avventurato, e la dottrina propria e l'acume dell'ingegno e la
serena virtù dell'animo, il Mazari passò tra i beati dell'islamismo.
Morto in Mehdia d'ottantatrè anni lunari, chi dice il quattro e chi il
venti ottobre, del millecentoquarantuno,[1253] fu sepolto sia a Mernâk
presso Tunis,[1254] sia a Monastir;[1255] il qual disparere su le
minuzie biografiche, mostra la grande rinomanza dell'uomo, al par delle
lodi che ne fanno tutti gli scrittori.[1256] Dalla riputazione di
santità nacque una favola, ripetuta in Affrica nel decimoquinto secolo,
la quale dava al Mazari trecento tredici anni di vita.[1257]
Per l'intima connessione che hanno le tradizioni con la giurisprudenza,
si comprende come questa, ben avviata già in Sicilia nella prima metà
del decimo secolo,[1258] sia progredita nel corso dell'undecimo.
Nel confine di que' due, chè l'anno appunto non si sa, nacque, com'e'
pare, in Palermo, Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Abd-Allah-ibn-Iûnis, dottore
principe di scuola malekita, onorato quasi a ragguaglio col Mazari,
citato insieme con lui, come dicemmo, da Khalîl, detto per antonomasia
il Siciliano e famoso altresì per le prodezze fatte di sua persona nella
guerra sacra, quella verosimilmente di Maniace. Trapassò Ibn-Iûnis
il venti rebi' primo del quattrocencinquantuno (5 maggio
1059).[1259] Suo discepolo il giurista malekita siciliano
Abu-Mohammed-Abd-el-Hakk-ibn-Harûn, famoso per le opere e per gli
illustri discepoli spagnuoli, Khelef-ibn-Ibrahim, detto Ibn-Hassâr, e
Soleiman-ibn-Iehia-ibn-Othmân-ibn-Abi-Dunia da Cordova; dei quali il
primo, come s'è detto, lo ritrovò in Sicilia[1260] e l'altro alla Mecca,
in pellegrinaggio, e seguillo in Egitto, studiando sempre con
essolui.[1261] Scrisse Abd-el-Hakk la _Correzione dei Quesiti_, trattato
di casi legali;[1262] e i _Detti arguti_, opera filologica o di
erudizione, rimasa in voga fino al decimoquarto secolo.[1263] Da lui
anco avea appreso il dritto in patria, Thâbit il Siciliano; il quale,
rifuggito poscia in Ispagna, ne diè quivi lezioni nella seconda metà del
secolo.[1264]
Oltre i giureconsulti Ibn-Fehhâm, ed 'Ammar-ibn-Mansur, e
Mazari, ed Ibn-Mekki ricordati di sopra; Abu-Bekr-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-
Ali-Rebe'i, da Girgenti, onorato molto per sapere e virtù, professava
giurisprudenza malekita in Sicilia, indi in Affrica ed Alessandria;
e morì l'anno cinquecentotrentasette (1142-3).[1265] Forse della stessa
famiglia un Ali-ibn-Othmân-ibn-Hosein-Rebe'i, Sikilli, il quale,
mercatando a Cordova, recovvi il libro d'Ibn-Hâtim-Adsrei, intitolato
_Splendori sul fondamento del dritto_; e da lui l'apprese il giurista
spagnuolo Abu-Ali, Ghassâni.[1266] Il dottore siciliano
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Abd-Allah, recatosi dopo il conquisto
normanno in Granata, dievvi lezioni sul _Lume di giurisprudenza_
d'Abu-Hasan-Lakhmi, e quivi morì il cinquecento diciotto (1124).[1267]
Un Mozaffer, siciliano o schiavone, chè spesso si scambiano nella
scrittura arabica, fu deputato nel quattrocentoquattro (1013-14) a
prefetto di Misr e del Cairo e _mohtesib_, l'ultimo dei quali officii
richiedea scienza. legale.[1268] Tenne in Egitto il sommo magistrato di
_cadi dei cadi_, un Ahmed-ibn-Kâsim siciliano, che Imâd-ed-dîn ricorda
col nome di Giusto, trascrivendo i versi ch'ei compose per Afdhal
(1093-1121). La lindura dei quali non iscuserebbe certi modi
d'adulazione, se non fossero all'usanza orientale e forse dettati da
stretta amistà.[1269] D'età incerta Abu-Mohammed-Hasan-ibn-Ali-ibn-Ge'd,
dottore principe al suo tempo, e diè il proprio nome alle _Porzioni
Ge'dite secondo la scuola di Malek_;[1270] porzioni s'intenda nel
partaggio delle eredità, ch'è ramo importante del dritto musulmano. Ai
giureconsulti son da aggiugnere Kattâni, “il Sottil Grammatico,” del
quale diremo tra i filologi; ed Abu-Omar-Othmân-ibn-Heggiâg da Sciacca
in Sicilia, dimorante in Alessandria, morto il cinquecento
quarantaquattro (1149); il quale era stato dei maestri del rinomato
tradizionista Silefi d'Ispahan, e lasciò parecchi libri malekiti.[1271]
Dettò un comentario sul _Mowattâ_ di Malek il letterato affricano
Ibn-Rescîk, emigrato in Sicilia alla metà dell'undecimo secolo.[1272]
Nel medesimo tempo dava fuori opere di dritto il Sementari, col quale
passiamo a discorrere la nuova edizione di devoti che pullulava
nell'islamismo.
Abu-Bekr-Atîk-ibn-Ali-ibn-Dâwûd del villaggio di Sementara in
Sicilia,[1273] discendente, chi sa? dei coloni che possedeavi un tempo
San Gregorio, fu uomo infaticabile di corpo e d'intelletto. Di quei
devoti Siciliani, scrive Ibn-Kattâ', che faceano autorità in
giurisprudenza;[1274] degli asceti dell'isola, chiarissimi per sapere:
ed usò degnamente la vita di quaggiù, sciolto dalle cure mondane, tutto
intento e fitto nell'altra vita. Partì per l'Hegiâz, compiè il
pellegrinaggio; percorse poi tante regioni, Iemen, Siria, Persia,
Khorasân; praticò quivi coi servi di Dio, tradizionisti ed asceti;
raccolse lor detti e notizie e con eleganza le dettò. Scrisse a mo' di
dizionario suoi viaggi e il frutto del conversare con que' dotti
stranieri; e sul dritto e la tradizione varie opere pregiate per ordine
e lucidità; ed un gran trattato, che niuno agguagliò mai in bellezza di
stile, su la perfezione spirituale[1275] e su gli esempii degli uomini
virtuosi. Così lo giudicava Ibn-Kattâ.[1276] L'ultima delle opere
ricordate s'intitolava: _Guida dei Cercatori_ (_della perfezione
spirituale_), e prendea dieci volumi.[1277] Un componimento di Sementari
su l'ascestismo musulmano, dai pochi versi che ne abbiamo, sembra
anch'oggi nobile sfogo d'intelletto sdegnoso della viltà e tristizia del
secolo, invaghito d'una immagine del giusto e del sublime, ch'uom
abbozzi nella propria coscienza e la dipinga su l'oscura tela
dell'infinito.[1278] Morì costui il ventuno di rebi' secondo del
quattrocento sessantaquattro (15 gennaio 1072).[1279] Contemporaneo di
Sementari, e sembrano usciti entrambi al crollo della dinastia kelbita,
Abu-Hasan Ali-ibn-Hamza, andato in Spagna innanzi il quattrocento
quaranta (1048), al dir d'Homaidi che il conobbe e ascoltò;
sufita, scolastico,[1280] dotto in ogni ramo di teologia e
d'altre scienze;[1281] discepolo del moralista sciafeita
Abu-Tâher-Mohammed-ibn-Ali da Bagdad.[1282]
I Sufiti, non contenti all'abnegazione delle cose mondane, si provarono
a distruggere ogni idea di realità, spegnere il senso, concentrare
l'uomo nella coscienza dell'essere, e farlovi con ostinata volontà
sprofondare a grado, a grado, tanto che gli paresse toccar nel nocciolo
dell'animo la Divinità, immedesimarsi con quella, togliersi dagli occhi
i veli che occultano la scienza e l'avvenire. La qual monomania
artifiziale appresterebbe bell'argomento di studio psicologico e
patologico se si giugnesse a scernere l'allucinazione dalle ciurmerie e
linguaggio allegorico con che si è mescolata in ogni età e paese. La
setta par abbia preso nome e, forme verso la metà del nono secolo,
quando ne pullularono tante nell'islamismo; quando i devoti, incalzati
dalla filosofia greca che li sforzava a ragionar sulla missione di
Maometto, si rifuggirono nel misticismo indiano. Qualche rampollo
brahmanico o buddista, che vegetasse ab antico in Persia, s'innestò con
l'ascetismo dei compagni di Maometto, e ne spuntò questo frutto. Il nome
deriva da _Sûf_ “lana,” perchè gli adetti ne vestivano secondo l'uso dei
primi Musulmani; e quando la setta divenne quasi ordine religioso, il
superiore iniziava il neofito con porgli sulle spalle la _Khirka_,
mantello o straccio di lana. Durano fin oggi i Sufiti insieme con gli
ordini plebei, dervis e simili che copiarono le sembianze più goffe
della setta. In origine fu onesto ritrovo d'animi nauseati di quello
scompiglio politico del califato; teste inquiete, fors'anco intelletti
sani, non soddisfatti dall'islamismo, se non che lor parea peggio mutar
di religione o starne senza; e panteisti o scettici, si gittarono
sovente in quelle ombre mistiche per dare un ganghero ai devoti. Infatti
gli ortodossi formalisti li chiamavan empii tutti in un fascio. Gâzeli,
il terribile teologo, sentenziò atto più meritorio l'accoppare un sufita
che campar dieci uomini dalla morte.[1283]
Se si risguardi all'età del sufita Abu-Bekr-Mohammed,[1284] al quale
tennero dietro Ali-ibn-Hamza e Sementari,[1285] si vedrà che l'ascetismo
primitivo dei Musulmani durato in Sicilia sino alla metà del decimo
secolo,[1286] non tardava guari a prender la novella foggia mistica. Dai
dotti scendea già nel volgo, e la devota commedia era in voga nella
prima metà del l'undecimo secolo, poichè Ibn-Tazi la riprende con questi
versi:
“Non istà il sufismo, no, a vestir lane che rattoppi tu stesso; non ad
intenerire gli sciocchi;
Nè a stridere, saltare, scontorcerti, cadere in deliquio, come se tu
fossi impazzato.
Sta il sufismo nell'animo schietto, immacolato; nel seguir là verità, il
Corano, la fede;
Nel mostrare che temi Iddio, che ti penti di tue colpe, che ne sei
trafitto di rammarico eterno.[1287]”
Tra gli asceti che non trascorressero a così fatte allucinazioni,
si ricorda un Abu-l-Kâsim-ibn-Hâkim, dottissimo, come dicono,
il quale nella prima metà del duodecimo secolo vivea a Bagdad in
casa, non più corte, del califo.[1288] Mohammed-ibn-Sâbik ed
Abd-er-Rahman-ibn-Abd-el-Ghani, nominati di sopra, furono l'un teologo,
l'altro moralista.[1289] Musa-ibn-Abd-Allah da Cufa, della schiatta
d'Ali, teologo, poeta ed erudito, verso la metà dell'undecimo secolo
elesse a dimora la Sicilia; donde poi passò a combattere i Cristiani in
Spagna; ed alfine fu ucciso in
.{495} Affrica (1094).[1290] Lasciò un trattato di teologia
Abu-Mohammed-Abd-er-Rahman-ibn-Mohammed il Siciliano, del quale
ignoriamo l'età, se non che il manoscritto unico in Europa è copiato in
Antiochia il seicentoquarantanove dell'egira (1251). Compilazione
scolastica ed ortodossa, partita in quattro capitoli: teologia naturale,
teologia musulmana, natura e potenza del demonio, condizioni e doveri
degli uomini in società.[1291] Mi sembra nitida ed ordinata; logica,
quel poco che si poteva. Il capitolo sul Tentatore, assai più
particolareggiato che non soglia incontrarsi negli scolastici musulmani,
par si rannodi a quella fissazione dei devoti siciliani ed affricani
sulla fine del nono o principio del decimo secolo.[1292]
Ad un tempo, col progresso dalla cieca divozione al misticismo, si notò
in Sicilia, sì come in ogni altra provincia musulmana, novello fervore
per le lettere, soprattutto gli studii filologici, come s'intendeano da
ciascuno fino al decimottavo secolo; i quali non fecero rinascere in
Oriente quegli antichi poeti arabi nè quel vivo e conciso parlare dei
compagni di Maometto; nè altro produssero che una mediocrità più
generale, uno stile luccicante, ondulante e ridondante; quel che ammiran
da otto secoli in Hariri, e che da nove o dieci secoli avviluppa presso
que' popoli il pensiero e sovente ne tien luogo. Ma tant'è, che il lungo
secento degli Arabi non mancò di pregi, come nè anco il secento europeo
del decimosettimo secolo o del decimonono. Al par che gli Spagnuoli,
Affricani, Egiziani e Sirii, i Musulmani di Sicilia non poteano giugnere
a segno più alto; ma ben toccaron quello nell'undecimo secolo, nè furon
da meno degli Spagnuoli; superarono forse le altre province dette, nelle
quali la natura non sorrideva sì dolcemente, e le schiatte antiche,
Semiti, Copti, Berberi, non eran metallo suscettivo di tempra sì fina.
Dopo Ibn-Khorasân, grammatico siciliano della prima metà del decimo
secolo,[1293] ne comparisce un altro per nome Hasan-ibn-Ali, il quale,
andato, in pellegrinaggio, morì alla Mecca, allo scorcio del
trecentonovantuno (novembre 1001) lasciando onorata memoria di sè nelle
scuole d'Oriente.[1294] Qualche mezzo secolo innanzi, era venuto a stare
in Sicilia Musa-ibn-Asbagh-Morâdi, da Cordova, al ritorno d'un viaggio
in Oriente: linguista, grammatico e, dicono, elegante poeta; ma fece in
ottomila versi una parafrasi del _Mobtedâ_,[1295] ossia “Primordii;”
forse i Primordii del mondo e racconti dei Profeti d'Abu-Hodseifa il
Coreiscita.[1296] All'entrar dello undecimo secolo, visse in Sicilia il
rifuggito spagnuolo Sa'id-ibn-Fethûn che ricordammo di sopra: il quale
fu insieme linguista e compose un trattato di versificazione.[1297]
Le guerre civili della Spagna balestrarono anco in Sicilia
Abu-l-'Ala-Sâ'id da Mosûl, esercitatosi con lode negli studii di
filologia ed erudizione a Bagdad, buon poeta, argutissimo e pronto di
motti, piacevole al conversare, ma cortigiano, menzognero, scroccone,
scialacquatore, beone; il quale, andato a cercare ventura in Ispagna, si
rimpannucciò appo Almansor (990), e lui mancato, venne a provare se i
Kelbiti di Sicilia fossero que' mecenati che portava la fama, e morì il
quattrocento diciassette (1026) o quattrocento diciannove.[1298] Torna
alla stessa età il Siciliano Abu-Iakûb-Iûsuf-ibn-Ahmed-ibn-Debbâgh, buon
poeta, autor di versi didascalici sulla grammatica, il quale, a giudizio
d'Ibn-Kattâ', avanzò ogni contemporaneo in quel che noi diremmo studio
di storia letteraria.[1299] Tornano alla metà dell'undecimo secolo,
Kolûf-ibn-Abd-Allah da Barca, domiciliato in Sicilia, lettor del Corano,
dotto nei due rami della grammatica,[1300] ornato di varia erudizione e
poeta;[1301] Abu-Hasan-Ali-ibn-Abd-er-Rahman il Siciliano, che
diè studio di grammatica, come sembra, a Susa;[1302] ed
Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan, grammatico di conto, linguista e poeta.[1303]
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