Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 19
alla descrizione particolareggiata che faceane Edrisi il
millecencinquantaquattro ed ai fiumi ch'ei dice navigabili a barcacce di
trasporto ed or più nol sono.[1107] E così dovea intervenire per la
distruzione dei boschi che s'è fatta dal duodecimo secolo in qua;[1108]
la quale non credo incominciata per man degli Arabi, poichè il sapiente
agricoltore rispetta i boschi, e lo sciocco e affamato li taglia. Di
notizie precise, Abu-Ali ne fornisce su le due regioni boschive che per
natura sono le principali dell'isola: l'Etna e la catena d'Apennino.
Della prima delle quali abbiam fatto parola. Dell'altra Abu-Ali afferma,
le eccelse montagne e spaziose valli sopra Cefalù abbondar d'ogni
maniera di legname atto a costruzioni navali.[1109] Il monaco Nilo loda
i cedri di Sicilia, i cipressi e i pini dritti e maestosi, i cui rami
servivan di fiaccole.[1110]
Vengon poscia le ubertose produzioni dei giardini, dei campi e della
pastorizia lodate da Bekri;[1111] le frutta d'ogni colore e sapore che
non mancavano state nè verno, scrive Iakût, forse da Abu-Ali;[1112] le
mèssi che coprivano la più parte dell'isola secondo Ibn-Haukal;[1113] lo
zafferano che vi germogliava spontaneo;[1114] il cotone e il canape
coltivati a Giattini[1115] e altrove; il primo dei quali sembra venuto
dell'Affrica;[1116] gli ortaggi che parean troppi ad Ibn-Haukal.[1117]
Nessuno scrittore arabo fa menzione degli ulivi, che in Sicilia
comunemente si credono accresciuti in quella età, perchè i contadini
soglion chiamar saracinesco qual veggano più possente di ceppo, e
pittoresco di tronco e rami. Nel che i contadini s'accostano forse al
vero, e gli altri no. La coltura dell'ulivo in Sicilia risalisce al
quinto secolo innanzi l'era volgare, nè mai si abbandonò, ma decadde al
par che tante altre sotto i Romani, nè rifiorì sotto gli Arabi; poichè
sappiamo dell'olio che l'Affrica vendeva alla Sicilia nel nono, undecimo
e duodecimo secolo.[1118] Parmi piuttosto che l'isola debba ai Musulmani
le melarance e altri agrumi ch'or son capo sì ricco di commercio;[1119]
ed anco la canna da zucchero,[1120] i datteri[1121] e i gelsi, o almeno
la seta.[1122] Al contrario se la vite non si sbarbicò per ogni luogo,
se i poeti arabi di Sicilia lodarono il vin del paese con tal fervore
anacreontico, i vigneti scemarono contuttociò sotto la dominazione
musulmana; e sì lentamente si rifornirono in due secoli, che la Sicilia
facea venir vini da Napoli verso la fine del decimoterzo.[1123]
Le razze equine di Sicilia, ricordate dagli Arabi nell'undicesimo
secolo,[1124] fornivano, al dir d'un autore cristiano, animosi
destrieri, d'egregie forme e vario pelo;[1125] abbondavano i muli[1126]
dalla zampa sicura nelle montagne, adoprati alla soma ed al tiro;[1127]
e con quelli, asini,[1128] buoi, vaste greggi di pecore;[1129] nè era
smessa l'antica educazione delle api. Copiosa la pesca, e nei porti,
scrive il monaco Nilo, le ostriche, e le conchiglie che danno la
porpora.[1130] Le foreste e montagne ripiene di cacciagione.[1131] Nè vi
mancan le belve, che giovano a spirare il timor di Dio negli animi
semplici, riflette il frate,[1132] volendo significare al certo i lupi.
Gli Arabi, avvezzi ad altro che spauracchi da bambini, noveravano tra i
pregi della Sicilia non esservi lioni, leopardi, iene, nè grossi
serpenti, e gratuitamente aggiugneano nè vipere, nè scorpioni.[1133]
L'ubertà del paese non si riconoscea dalla sola matura, come direi forse
trattando d'altri tempi; chè possentemente l'aiutava la industria degli
abitatori, sulla quale dà un po' di lume il “Libro dell'agricoltura”
d'Ibn-Awwâm, spagnuolo della metà dell'undecimo secolo, sagace
compilatore degli insegnamenti d'opere più antiche forse fin dal tempo
de' Nabatei, alle quali aggiunse le proprie osservazioni su le pratiche
agrarie della Spagna. Da lui sappiamo che il modo più acconcio di
piantare gli ortaggi, sopratutto le cipolle e i poponi, era detto alla
Siciliana; e la minuta descrizione ch'ei ne fa, risponde appunto a quel
congegno di schiene e rigagnoli che si pratica tuttavia in
Sicilia.[1134] Le voci arabiche d'orticultura che rimangono nel dialetto
siciliano, non lascian dubbio sul tempo in cui ebbero origine queste e
simili pratiche.[1135] Un fiore ch'è forse la malvetta rosata,[1136] si
chiamava in Spagna al tempo d'Ibn-'Awwâm Malva siciliana, onde sembra
venuto di Sicilia.[1137] Quinci passò in Spagna una composizione di
mostarda con miele e senape, descritta per filo e per segno in un luogo
d'Ibn-Besâl.[1138] Ma importantissima sopra ogni altra la pratica di
porre il cotone in terreni ingrati che Ibn-Fassâl citato da Ibn-'Awwâm
riferisce ai Siciliani, e la dice imitata con profitto nelle costiere di
Spagna.[1139] Un altro trattato arabico d'agricoltura ricorda che i
Siciliani sarchiassero fino a dieci volte il terreno da seminare a
cotone.[1140] Rimase in Sicilia l'utile pianta nel duodecimo
secolo;[1141] e infino alla metà del decimoterzo;[1142] ma allo scorcio
del decimoquarto se n'era ita, seguendo quasi la schiatta arabica, in
Malta, Stromboli e Pantellaria:[1143] ed appena par che cominci a
tornare adesso nelle spiagge di Pachino e su le sponde del Simeto.
In fatto d'opificii abbiam ricordo del prezioso drappo, al certo di
seta, detto di Sicilia, del quale si trovò una catasta tra i tesori
d'Abda, figliuola del califo fatemita Moezz, morta in Egitto in su la
fine del decimo o principio dell'undecimo secolo.[1144] Che innanzi
quell'età si lavorasse la seta in Sicilia lo prova d'altronde la
biografia del pio Abu-Hasaa-Hariri,[1145] e v'accenna il nome di
_Kalat-et-Tirazi_, castello in oggi abbandonato presso Corleone,[1146]
non che il regio _Tirâz_ di Palermo, avanzo dell'industria arabica nel
duodecimo secolo, di che sarà detto a suo luogo. Similmente abbiam pochi
cenni del commercio, per non curanza degli scrittori o dispersione degli
scritti. Oltre la esportazione del sale ammoniaco testè ricordata,[1147]
sappiamo la importazione dell'olio da Sfax,[1148] e la frequente
navigazione dalla Sicilia a Mehdia e Susa.[1149] I patti di
Hasan-ibn-Ali del novecencinquantadue[1150] ci attestano l'importanza
del traffico tra l'isola e Reggio; nè picciola parte dovea tornare alla
Sicilia dalle relazioni commerciali ch'ebbe coi Musulmani la costiera di
Terraferma bagnata dal Tirreno. Lasciando le regioni dal Tevere in su,
lo conferma Ibn-Haukal per Napoli, Salerno, Amalfi;[1151] lo conferma il
doppio nome di _Keitona-el-Arab_ che ritenne il Promontorio Circeo fino
al tempo di Edrisi; nome analogo a quel che davano ad una città nelle
parti meridionali della Sardegna,[1152] ed a quel c'ha tuttavia la
Catona in faccia a Messina.[1153] Maggiore d'ogni altra prova è che a
Salerno, fors'anco a Napoli e Amalfi, si contraffacea, non per frode ma
per bisogno del commercio, la moneta d'oro di Sicilia,[1154] come infino
ne' tempi nostri v'ebbero belli e buoni colonnati di Spagna battuti in
altri paesi.
Ove ponghiamo mente al genio randagio degli Arabi, alla comunanza di
leggi, usi, costumi e in gran parte anco di schiatta, dei Musulmani che
teneano il bacino occidentale del Mediterraneo, non staremo in forse che
la Sicilia partecipò delle arti e lusso della Spagna e costiera
d'Affrica, sì come è provato che ebbe analoghe vicende politiche e
cultura di lettere. Così anco dei monumenti. Perirono nella guerra
normanna quasi tutti que' dei Musulmani; e pur non vi ha menomo dubbio
del loro splendore, quando l'autor della vita di San Filareto lodava i
tempii ed altri sontuosi edifizii delle città maggiori della
Sicilia;[1155] e il conte Ruggiero, dopo averci lavorato per trent'anni
con ferro e fuoco, scrivea patetico in un diploma del millenovanta,
delle vaste e frequenti rovine delle città e castella saracene; de'
vestigii di lor palazzi, fabbricati con mirabile artifizio, adatti, non
che ai comodi, ad ogni lusso e delizia della vita.[1156] Nel sesto libro
toccheremo l'architettura arabica sotto i Normanni, alla quale dobbiam
tutti i monumenti che avanzano in Sicilia del medio evo, da pochissimi
in fuori. Dico due o tre, da che la iscrizione neskhi intagliata a mo'
di fregio nelle mura del palagio della Cuba, porta il nome di re
Guglielmo secondo e la data del millecentottanta.[1157] Bagni di Cefalà
e il palagio della Zisa sembrano più antichi, alla gravità della
scrittura cufica che altra volta li coronò;[1158] e il palagio e bagno
di Maredolce, ancorchè non vi si trovino iscrizioni, parrebbe
contemporaneo; ma rimanendo sempre incerta l'epoca, e sendo state
racconce le fabbriche di poi, e la Zisa anche abbellita dai Normanni,
non vi si può fondare giudizio su l'arte arabica di Sicilia
nell'undecimo secolo. Questo sol noterò, che le linee di prospetto del
cubo allungato e dell'arco aguzzo dei tempi normanni si trovano nelle
cornici delle iscrizioni arabiche di Sicilia dell'epoca musulmana. Qui
un rettangolo sormontato da una punta in forma di mitra vescovile;[1159]
lì inscritto dentro il rettangolo un arco spezzato in tre lobi alla
foggia che s'è chiamata moresca.[1160]
Avvien sempre che sfugga alla più cruda rabbia di guerre o persecuzioni
qualche monumento di minor mole, per trascuranza o stanchezza delle mani
vandaliche, per capriccio o gusto d'alcun uomo: e così parecchie
iscrizioni arabiche della dominazione musulmana rimasero in Sicilia,
senza contar quelle de' tempi normanni delle quali si dirà a suo luogo.
Quantunque i rami pubblicati dal Di Gregorio sian delineati così così, e
io non abbia avuto sotto gli occhi migliori disegni delle iscrizioni
inedite, potrò pur toccare la calligrafia lapidaria, la quale col
disegno architettonico e coi rabeschi tenea luogo di tutt'arte grafica
appo i Musulmani.[1161] Ci occorse già far parola delle iscrizioni della
torre di Baich in Palermo,[1162] e del castello di Termini;[1163] l'una
perduta, se non che abbozzossi il disegno d'alcun brano; e l'altra
pessimamente delineata, e temo adesso ita a male: entrambe del decimo
secolo. Alla medesima età mi par da riferire la leggenda intagliata nel
vecchio edifizio dei bagni di Cefalà, logora da lungo tempo, e in oggi,
mi si dice, dileguata del tutto.[1164] Le iscrizioni conservate sono
sentenze coraniche scolpite in colonette di marmo che si tolsero dalle
moschee e si murarono nelle chiese, ovvero epitaffii svelti dalle tombe,
collocati in musei o case private. La scrittura cufica, semplice,
robusta, con poche fioriture, e nessun ghiribizzo qual si notava nella
torre di Baich,[1165] appar anco nei due cippi sepolcrali del Museo di
Verona,[1166] in altri due di casa Calzola a Pozzuoli,[1167] nei tre di
Marsala, Siracusa e Messina, che non hanno data;[1168] in quello del
Museo Daniele a Caserta,[1169] e in un picciol marmo di casa Emmanuele a
Trapani,[1170] e un altro del Museo di Messina:[1171] le quali forme di
caratteri, molto svariate e pur tutte appartenenti alla classe che ho
posta, non differiscono dallo stile dei monumenti analoghi sparsi da
Cordova infino a Bagdad. Frammisto a quello si vede nella stessa epoca
in Sicilia, sì come in ogni altro paese musulmano, con linee più
tortuose e bizzarre, il cufico ornato e talvolta intralciato di
rabeschi, che si è chiamato impropriamente scrittura carmatica.
Bellissima in questo stile, nè sopraccarica di capricci è la lapide
sepolcrale di Oma-er-Rahman che si trovò pochi anni addietro in Palermo,
dove manca la data, ma sembra alla vista del decimo o undecimo
secolo.[1172] Similmente dell'epoca musulmana le iscrizioni coraniche
delle Chiese delle Vergini e San Francesco d'Assisi in Palermo,[1173]
del convento dei Francescani in Trapani,[1174] che son più o meno
ornate, ma di bella struttura di caratteri; e l'altra assai logora e
ignuda, nè di forme eleganti, di una colonna nel portico meridionale
della cattedrale di Palermo.[1175] Un bel neskhi, o corsivo, modificato
a forme monumentali, spoglio di ornamenti e notato di punti diacritici,
si scorge in una pietra sepolcrale di Mazara, in parte logora, se il
vizio non è nella stampa ch'io n'ho alle mani.[1176] È scritto in neskhi
grossolano, con qualche punto diacritico e qualche errore di grammatica,
l'epitaffio mutilo che si serba nella Biblioteca comunale di Palermo: e
stava su la tomba d'un Abu-Hasan-Ali, morto il trecencinquantanove
dell'egira.[1177]
Farò cenno in ultimo delle monete dei Musulmani di Sicilia, su le quali
manca un lavoro compiuto, nè io potrei provarmici, nè sarebbe da
stenderlo qui.[1178] Mi ristringo pertanto ai risultamenti, ritraendoli
dall'accurato catalogo del Mortillaro, aggiugnendo qualche altra notizia
che s'è pubblicata appresso e le monete inedite del Museo parigino.
Degli Aghlabiti, dei quali è si povera la numismatica, rimangono poche
monete siciliane.[1179] Per lo contrario abbondano le fatemite; sì che
ve n'ha di tutti i califi che regnarono di fatto o di nome
in Sicilia, da Obeid-allah fondatore della dinastia fino ad
Abu-Tamim-Mostanser-Billah, o meglio al quattrocentoquarantacinque
dell'egira dopo caduta la dominazione kelbita:[1180] un centinaio di
monete, la più parte d'oro, due sole d'argento e non poche di vetro di
varii colori, che sembran usate in luogo dei quattrini di rame.[1181]
Hanno leggende cufiche; formole fatemite, molte con data e col nome
della Sicilia. Quelle d'oro, quando se n'è fatto saggio, si son trovate
di buona lega. Son tutte del peso d'un grammo più o meno, che torna alla
quarta parte del dinâr omeiade, abbassida e fatemita: di certo il
_robâ'i_, ossia quartiglio, del quale si legge nei ricordi arabici della
Sicilia nel decimo e duodecimo secolo.[1182] Picciola e comoda moneta
come gli odierni cinque franchi d'oro, coniata tuttavia sotto i Normanni
con leggende arabiche, e chiamata _tari_ in un diploma greco, e _tareni_
nelle croniche e carte latine di quel tempo.[1183]
Il commercio musulmano di Sicilia, non che mantener suoi _robâ'i_
nell'isola sotto la dominazione normanna, avea costretto ad usarli, fin
dai principii del decimo secolo, Napoli, Salerno, Amalfi; ed a batterne
in casa propria, ed anteporli a tutt'altro conio. I diplomi latini di
Napoli di quel secolo portan le vendite in solidi bizantini e più spesso
in _tari_,[1184] dei quali quattro faceano un solido bizantino, ch'era
lo stesso del dinâr arabo. Dai medesimi atti si rileva che i solidi
scarseggiavano o mancavan del tutto alla metà del secolo, ancorchè
sempre si notassero come moneta legale; e che rimanea quasi solo conio
corrente d'oro il _tari_.[1185] Da un'altra mano i musei del regno di
Napoli ci mostrano quartigli d'oro della stessa forma e peso di que' di
Sicilia, col nome del califo fatemita Moezz (953-975); se non che
comparisce la mano straniera, al cufico men franco, e la lega men buona,
e si mostra talvolta alla scoperta, aggiugnendo in mezzo dell'impronta
arabica “Salerno” e altre lettere latine: e perfino stampò la croce tra
le sentenze unitarie dei Fatemiti, o scrisse sul dritto il nome di
Gisulfo principe di Salerno (1052-1076) e sul rovescio quel di Moezz
morto un secolo innanzi.[1186] Parmi non cada in dubbio che i tari dei
diplomi napoletani fossero appunto i _robâ'i_ di Sicilia, e le copie più
o men fedeli che se ne faceano nell'Italia meridionale. La voce tari,
ignota di là del Garigliano, ignota nelle altre province bizantine, si
accosta per articolazioni ed accento a _dirhem_ o _dirhim_ pronunziata
velocemente dagli Arabi _trihm_,[1187] ed al plurale _terâhîm_ o
_trâhîm_ e _trâhî_, mangiandosi l'ultima consonante e battendo l'accento
sull'_ì_. Le bocche italiane ne fecero _tari_. Nè questa è conghiettura,
ove si ricordi il _tari_ denominazione di peso, che risponde senza
dubbio al _dirhem_, il quale gli eruditi di Sicilia scrissero
_tari-peso_, ma il popolo credo l'abbia detto sempre _trappeso_,
rendendo nella prima sillaba la volgare pronunzia arabica.[1188] Così i
Napoletani e i Siciliani del medio evo ripigliavano dagli Arabi il
vocabolo _drachma_, che quelli aveano tolto dai Bizantini e mutato in
_dirhem_.
CAPITOLO XIV.
Arrivati a scoprire per quante vie s'era messo lo spirito umano al tempo
dell'antica civiltà, i popoli musulmani le tentaron qua e là con ardore
giovanile; in molte si lasciarono addietro i Cristiani contemporanei;
sovente aggiunsero lor trovati al patrimonio degli antichi; il che non
avveniva allora in Cristianità. Sopra ogni altro lussureggiarono in due
esercizii connaturali a loro società. L'arte della parola in rima e in
prosa, antico vanto degli Arabi, mutando corso nell'islamismo e
allontanandosi dalle forme del bello, si allargò in ogni più sottile
investigazione di grammatica, lessicografia, versificazione, delle quali
parteciparono i popoli conquistati: talchè per tutta Musulmanità fu
studiata la filologia minore quanto nol fecero mai i Greci nè i Latini;
e se le Muse dessero la corona a chi più s'affatica, gli Arabi se
l'avrebbero senza contrasto. Surse dal Corano quella scienza mescolata
di teologia e dritto, la quale, sendo come il pan quotidiano dei
Musulmani, non è maraviglia che attirasse tutti gli ingegni disposti a
così fatte contemplazioni e bramosi di onori e stato. La filologia e le
scienze coraniche, per aver sì profonde radici l'una nella schiatta
arabica, le altre nella società musulmana, occuparono quasi tutto il
campo, rinvigorite dalla metafisica e dialettica dell'Occidente;
rimasero sole dopo la decadenza politica e sociale dagli Arabi; e si
possono dir vegete fino ai dì nostri dovunque regga la legge di
Maometto, dal Gange allo stretto di Gibilterra. Ma le scienze antiche,
come le chiamarono gli Arabi per averle tolte in presto dai Greci,
trovarono ostacolo nella tenacità semitica del popolo dominatore, il
quale se n'era invaghito per ebbrezza di nuovo acquisto, e d'un subito
s'arretrò, spaventato, dal cammin che credea lo menasse all'inferno. Poi
prevalendo genti più grossiere, in Levante i Turchi, in Occidente i
Berberi; irrompendo Cristiani d'ogni banda nell'impero musulmano,
esacerbaronsi le passioni religiose, rinnegòssi il secolo di Harûn
Rascîd, e quelle sospette scienze sparvero ad una ad una tra le tenebre
ricadenti sul mondo musulmano.
Le ristorate dottrine dunque d'Aristotele, d'Euclide, d'Ippocrate, non
solo ebbero minor tratta di seguaci al tempo della civiltà arabica, ma
sendo ite in bando dalla terra d'islam, dileguavasi dal decimoquarto
secolo in poi la memoria di cui le coltivò. I biografi tuttavia
s'affaticarono a rintracciare nomi e aneddoti di grammatici, retori,
lessicografi, interpreti del Corano, tradizionisti, giureconsulti,
teologi e mistici d'ogni maniera, e vennero a capo di trovarne molti
sfuggiti alle ricerche dei predecessori; ma fecero guarda e passa nelle
altre scienze. Similmente si smettea di copiarne i libri. Ho voluto
notare cotesta disuguaglianza nelle proporzioni della storia letteraria
e le due cause da che venne, perchè la non sembri difetto peculiare
degli Arabi Siciliani. Un pugno d'uomini, del resto, datisi alla cultura
intellettuale per qualche secolo e mezzo, soggiogati quando coglieano il
frutto, perseguitati e dispersi entro un altro secolo: meraviglia è che
ce ne rimanga qualche brano di memorie letterarie per carità di cui
accolse in casa gli esuli sconsolati. Nei paesi rimasti musulmani,
l'amor di patria o la vanagloria municipale dei tempi di decadenza,
religiosamente ragunò ogni ricordo dei cittadini più o meno illustri. E
i coloni di Spagna, più numerosi assai dei Siciliani, pervenuti
all'incivilimento dopo tre secoli, n'ebber agio altri quattro a compiere
il pio oficio pria che sgombrassero d'Europa.
Il solo autore arabo che appositamente abbia scritto la storia dei
filosofi, matematici e medici, non ricorda altri Siciliani che un del
duodecimo, secolo e tre dell'antichità, Archimede, Empedocle,
Corace;[1189] su i quali dà ragguagli meno scontraffatti che non si
potrebbero aspettare così di rimbalzo; ma non appartengono al nostro
argomento. Del resto, se l'abbiano ignorato Zuzeni al tempo di Federigo
secondo ed Ibn-Khallikân nella generazione seguente, si coltivaron pure
le sciente matematiche in Sicilia sotto la dominazione arabica. Ne fan
fede le memorie dei tempi normanni, delle quali diremo a suo luogo; ed
anco alcun cenno immediato dell'undecimo secolo. Makrizi nella
Topografia dell'Egitto, venendo a parlare dell'osservatorio che fondò al
Cairo il mecenate Afdhal l'anno cinquecento tredici (1119-20),
e il califo Amer spiantò a capo di sei anni, novera tra gli
astronomi che v'erano condotti a stipendio, il geometra siciliano
Abu-Mohammed-Abd-el-Kerîm,[1190] esule ch'ei sembra dopo il conquisto
normanno. Ibn-Kattâ', nell'Antologia dei poeti siciliani, trascrivendo
alcuni versi di Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan-ibn-Kûni con due righi di cenno
biografico, gli diè lode anco di geometra ed astronomo. Il titol che
aggiugne di Kâtib, ossia segretario; mostra che quest'Omar il fu in
alcun oficio pubblico, forse nella segreteria di Stato. Del quale se i
versi d'amore son troppo geometrici, v'ha uno squarcio d'elegia che
direbbesi scritto da stoico romano anzi che da credente arabo: sì
sdegnoso il pensiero, alto senza puntello di religione; ed anco semplice
e grave nella forma; se non forse per due bisticci che il poeta incastrò
nell'ultimo verso.[1191] Ibn-Kattâ' similmente fa ricordo del Segretario
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-Kereni,[1192] astronomo, aritmetico
e poeta.[1193]
Che la matematica e l'astronomia si fossero applicate in Sicilia a
studii topografici, non si può negar nè affermare. In vero scorgiamo una
bella. correzione della postura dell'isola rispetto all'Affrica.
Ibn-Haukal Bel decimo secolo supponea la Sicilia guardare dritto Bugia,
Tabarca e Marsa Kharez (La Calle); cioè la spingea due gradi più a
ponente.[1194] Ibn-Iûnis, il celebre astronomo del Cairo, alla fine del
decimo secolo, con errore contrario la tirava dieci gradi a levante di
Tunis.[1195] Ma una notizia anonima che leggiamo in Iakût e par si debba
riferire a sorgenti siciliane dell'undecimo secolo, pone vicinissima
alla Sicilia tra le terre d'Affrica l'antica Clipea presso il Capo Bon,
aggiugnendo correr tra quella e l'isola cenquaranta miglia, ossia due
giornate di navigazione con buon vento, e, da un altro lato, lo Stretto
del Faro misurarsi due miglia, là dove l'isola più s'accosta alla
terraferma.[1196] Donde parmi che la correzione sopraddetta si debba
riferire ai navigatori siciliani ed affricani, non agli astronomi; tanto
più che lo sbaglio delle longitudini non si potea riconoscere da privati
senza un osservatorio fornito di quegli smisurati stromenti che gli
Arabi furon primi a costruire. Ignoriamo in qual tempo visse chi
immaginò l'isola triangolo equilatero, misurandovi sette giornate di
cammino da un vertice all'altro.[1197] Ibn-Haukal s'avvalse forse delle
nozioni che correano nel paese e avvicinossi al vero quando assomigliò
la Sicilia a triangolo isoscele con la punta rivolta a ponente,[1198] la
base di quattro giornate, e ciascun lato di sette.[1199] Bekri ne fe'
triangolo scaleno, troppo largo alla base, di cencinquantasette miglia,
con censettantasette di lato maggiore e cinquecento di perimetro.[1200]
Altri diè il giro di quindici giornate.[1201] Infine una misura che
sembra oficiale e dell'undecimo secolo, portava undici _merhele_ o
diremmo stazioni di posta, da Trapani a Messina, e tre giornate di
larghezza;[1202] onde s'argomenta che mancassero i rilievi di posta
nella riviera orientale, e le distanze perciò si ritraessero il manco
male che si potea dai viandanti. La somma è che i dotti siciliani
studiarono piuttosto la geografia descrittiva che la geografia
matematica del suolo ov'erano nati.
Lo Sceikh Abu-Sa'îd-ibn-Ibrahim, detto il Maghrebino e il Siciliano,
compilò un libro di terapeutica, del quale v'hanno due codici, ad Oxford
e Parigi. S'intitola il primo _Ausiliare alla guarigione d'ogni sorta di
morbi ed acciacchi_;[1203] e il secondo _Taccuino[1204] dei medicamenti
semplici_: unica opera, della quale il manoscritto bodleiano parmi il
primo dettato, e il parigino la seconda edizione, corretta e
semplificata. Considerato, che vogliansi adattare i medicamenti alle
particolarità degli individui e dei mali; e che fin qui le opere di
materia medica siano state compilate secondo i nomi dei semplici o delle
malattie, l'autore si propone di presentar l'uno e l'altro ordine uniti
insieme a colpo d'occhio per sussidio di memoria al medico. Fa dunque un
volume di tavole sinottiche, notando nelle linee orizzontali ciascun
semplice con sue qualità ed usi, secondo le divisioni che fanno le linee
verticali o vogliam dire colonne. Pon quattro classi di malattie; del
capo, degli organi respiratorii, degli organi digestivi e del corpo
tutto; e poi nota nella linea orizzontale la denominazione tecnica della
infermità. Tratta soltanto dei medicamenti semplici i quali son messi
nell'ordine dell'antico alfabeto detto _Abuged_,[1205] seguíto sempre
dai medici e matematici arabi. Nella introduzione si discorrono con
dotta brevità i principii generali della materia medica.[1206]
Spedito ed utile manuale, il cui linguaggio tecnico, le divisioni, le
teorie e qualche tradizione greca che s'accenna nella introduzione,
rispondono al corpo di dottrine mediche che possedeano gli Arabi
nell'undecimo secolo, qual si vede nella famosa compilazione d'Avicenna.
Il riscontro col Canone ci conduce inoltre a supporre contemporaneo o
anteriore ad Avicenna (980-1037) il Siciliano Abu-Sa'îd, il quale
afferma niuno avere steso prima di lui tavole comparate di rimedii e
malattie; e noi le troviamo appunto nel secondo libro del Canone.[1207]
D'Abu-Sa'îd non avanza alcun cenno biografico. Tuttavia nè menzogna nè
plagio non son da sospettare, quand'ei fa categorie patologiche diverse
da quelle d'Avicenna; e dà un catalogo di semplici molto minore, dove
pur se ne trova di tali che mancano nel Canone, ed è diversa la
disposizione dei nomi identici. Se imitazione v'ebbe, par dunque l'abbia
fatta Avicenna da Abu-Sa'îd, o ch'entrambi abbiano attinto alle medesime
sorgenti, e recato nelle esposizione della materia medica quel genio
simmetrico degli Arabi, senza conoscere i lavori l'uno dell'altro in
regioni si lontane. Se non che il manuale apposito del Siciliano fu
ecclissato dal trattato generale del Persiano, al quale poi si è
attribuito, come a Tolomeo, Averroès ed altri compilatori antichi e
moderni, tutto l'onor delle dottrine ch'egli coordinò ed espose.
Più che Abu-Sa'îd meritò della scienza il Siciliano Ahmed-ibn-Abd-
es-Selâm, sceriffo, ch'è a dir della stirpe d'Ali, autore
d'un trattato di medicina che serbasi a Leyde ed era intitolato: _Il
libro dei medici su tutte le malattie dal capo alle piante_.[1208]
Limitandosi ai medicamenti semplici, chè i composti, dice egli,
difficilmente riescono nè mai n'è certo lo sperimento, Ahmed breve
accenna i rimedii indicati secondo le diagnosi; non tacendo le credenze
volgari e contrapponendovi i dettami dei maestri greci ed arabi e
sovente la propria esperienza. Divide l'opera in venti capitoli; da
alcuno dei quali che ho percorso, specialmente il paragrafo su
l'idrofobia, il Libro dei medici mi sembra ricco di osservazioni,
dettato con quella saviezza sperimentale che si fa scorta delle teorie e
ch'è sola via dritta in quest'arte. Ma pieno giudizio non se ne potrà
dare, se la storia della medicina appo gli Arabi non sia meglio studiata
che al presente, e se eruditi medici non approfondiscano quest'opera, la
quale a prima vista sembra di gran momento. Ahmed ne compose un'altra,
forse d'igiene, intitolata: _Conservazione della salute_; divisa in
ottanta capitoli e dedicata ad un Abu-Fâres-Abd-el-Azîz-ibn-Ahmed; della
quale tanto sol sappiamo da Hagi-Khalfa, e che l'autore si appellava
Siciliano e Tunisino.[1209] Di lui non troviamo cenno nelle biografie
dei medici arabi; talchè dobbiam lasciarlo tra quei d'età incerta, non
potendo affidarci ad un barlume che ci condurrebbe all'ultima
emigrazione dei Musulmani di Sicilia, sotto Federigo secondo
imperatore.[1210] Visse di certo nella dominazione musulmana
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-Tazi, poeta e letterato di gran
fama in Sicilia, al quale Ibn-Kattâ' dà appellazione di medico, senza
dirne altro;[1211] e noi ne riparleremo tra i poeti con l'onore e il
biasimo ch'ei meritò. Del rimanente questo picciol numero di medici, le
millecencinquantaquattro ed ai fiumi ch'ei dice navigabili a barcacce di
trasporto ed or più nol sono.[1107] E così dovea intervenire per la
distruzione dei boschi che s'è fatta dal duodecimo secolo in qua;[1108]
la quale non credo incominciata per man degli Arabi, poichè il sapiente
agricoltore rispetta i boschi, e lo sciocco e affamato li taglia. Di
notizie precise, Abu-Ali ne fornisce su le due regioni boschive che per
natura sono le principali dell'isola: l'Etna e la catena d'Apennino.
Della prima delle quali abbiam fatto parola. Dell'altra Abu-Ali afferma,
le eccelse montagne e spaziose valli sopra Cefalù abbondar d'ogni
maniera di legname atto a costruzioni navali.[1109] Il monaco Nilo loda
i cedri di Sicilia, i cipressi e i pini dritti e maestosi, i cui rami
servivan di fiaccole.[1110]
Vengon poscia le ubertose produzioni dei giardini, dei campi e della
pastorizia lodate da Bekri;[1111] le frutta d'ogni colore e sapore che
non mancavano state nè verno, scrive Iakût, forse da Abu-Ali;[1112] le
mèssi che coprivano la più parte dell'isola secondo Ibn-Haukal;[1113] lo
zafferano che vi germogliava spontaneo;[1114] il cotone e il canape
coltivati a Giattini[1115] e altrove; il primo dei quali sembra venuto
dell'Affrica;[1116] gli ortaggi che parean troppi ad Ibn-Haukal.[1117]
Nessuno scrittore arabo fa menzione degli ulivi, che in Sicilia
comunemente si credono accresciuti in quella età, perchè i contadini
soglion chiamar saracinesco qual veggano più possente di ceppo, e
pittoresco di tronco e rami. Nel che i contadini s'accostano forse al
vero, e gli altri no. La coltura dell'ulivo in Sicilia risalisce al
quinto secolo innanzi l'era volgare, nè mai si abbandonò, ma decadde al
par che tante altre sotto i Romani, nè rifiorì sotto gli Arabi; poichè
sappiamo dell'olio che l'Affrica vendeva alla Sicilia nel nono, undecimo
e duodecimo secolo.[1118] Parmi piuttosto che l'isola debba ai Musulmani
le melarance e altri agrumi ch'or son capo sì ricco di commercio;[1119]
ed anco la canna da zucchero,[1120] i datteri[1121] e i gelsi, o almeno
la seta.[1122] Al contrario se la vite non si sbarbicò per ogni luogo,
se i poeti arabi di Sicilia lodarono il vin del paese con tal fervore
anacreontico, i vigneti scemarono contuttociò sotto la dominazione
musulmana; e sì lentamente si rifornirono in due secoli, che la Sicilia
facea venir vini da Napoli verso la fine del decimoterzo.[1123]
Le razze equine di Sicilia, ricordate dagli Arabi nell'undicesimo
secolo,[1124] fornivano, al dir d'un autore cristiano, animosi
destrieri, d'egregie forme e vario pelo;[1125] abbondavano i muli[1126]
dalla zampa sicura nelle montagne, adoprati alla soma ed al tiro;[1127]
e con quelli, asini,[1128] buoi, vaste greggi di pecore;[1129] nè era
smessa l'antica educazione delle api. Copiosa la pesca, e nei porti,
scrive il monaco Nilo, le ostriche, e le conchiglie che danno la
porpora.[1130] Le foreste e montagne ripiene di cacciagione.[1131] Nè vi
mancan le belve, che giovano a spirare il timor di Dio negli animi
semplici, riflette il frate,[1132] volendo significare al certo i lupi.
Gli Arabi, avvezzi ad altro che spauracchi da bambini, noveravano tra i
pregi della Sicilia non esservi lioni, leopardi, iene, nè grossi
serpenti, e gratuitamente aggiugneano nè vipere, nè scorpioni.[1133]
L'ubertà del paese non si riconoscea dalla sola matura, come direi forse
trattando d'altri tempi; chè possentemente l'aiutava la industria degli
abitatori, sulla quale dà un po' di lume il “Libro dell'agricoltura”
d'Ibn-Awwâm, spagnuolo della metà dell'undecimo secolo, sagace
compilatore degli insegnamenti d'opere più antiche forse fin dal tempo
de' Nabatei, alle quali aggiunse le proprie osservazioni su le pratiche
agrarie della Spagna. Da lui sappiamo che il modo più acconcio di
piantare gli ortaggi, sopratutto le cipolle e i poponi, era detto alla
Siciliana; e la minuta descrizione ch'ei ne fa, risponde appunto a quel
congegno di schiene e rigagnoli che si pratica tuttavia in
Sicilia.[1134] Le voci arabiche d'orticultura che rimangono nel dialetto
siciliano, non lascian dubbio sul tempo in cui ebbero origine queste e
simili pratiche.[1135] Un fiore ch'è forse la malvetta rosata,[1136] si
chiamava in Spagna al tempo d'Ibn-'Awwâm Malva siciliana, onde sembra
venuto di Sicilia.[1137] Quinci passò in Spagna una composizione di
mostarda con miele e senape, descritta per filo e per segno in un luogo
d'Ibn-Besâl.[1138] Ma importantissima sopra ogni altra la pratica di
porre il cotone in terreni ingrati che Ibn-Fassâl citato da Ibn-'Awwâm
riferisce ai Siciliani, e la dice imitata con profitto nelle costiere di
Spagna.[1139] Un altro trattato arabico d'agricoltura ricorda che i
Siciliani sarchiassero fino a dieci volte il terreno da seminare a
cotone.[1140] Rimase in Sicilia l'utile pianta nel duodecimo
secolo;[1141] e infino alla metà del decimoterzo;[1142] ma allo scorcio
del decimoquarto se n'era ita, seguendo quasi la schiatta arabica, in
Malta, Stromboli e Pantellaria:[1143] ed appena par che cominci a
tornare adesso nelle spiagge di Pachino e su le sponde del Simeto.
In fatto d'opificii abbiam ricordo del prezioso drappo, al certo di
seta, detto di Sicilia, del quale si trovò una catasta tra i tesori
d'Abda, figliuola del califo fatemita Moezz, morta in Egitto in su la
fine del decimo o principio dell'undecimo secolo.[1144] Che innanzi
quell'età si lavorasse la seta in Sicilia lo prova d'altronde la
biografia del pio Abu-Hasaa-Hariri,[1145] e v'accenna il nome di
_Kalat-et-Tirazi_, castello in oggi abbandonato presso Corleone,[1146]
non che il regio _Tirâz_ di Palermo, avanzo dell'industria arabica nel
duodecimo secolo, di che sarà detto a suo luogo. Similmente abbiam pochi
cenni del commercio, per non curanza degli scrittori o dispersione degli
scritti. Oltre la esportazione del sale ammoniaco testè ricordata,[1147]
sappiamo la importazione dell'olio da Sfax,[1148] e la frequente
navigazione dalla Sicilia a Mehdia e Susa.[1149] I patti di
Hasan-ibn-Ali del novecencinquantadue[1150] ci attestano l'importanza
del traffico tra l'isola e Reggio; nè picciola parte dovea tornare alla
Sicilia dalle relazioni commerciali ch'ebbe coi Musulmani la costiera di
Terraferma bagnata dal Tirreno. Lasciando le regioni dal Tevere in su,
lo conferma Ibn-Haukal per Napoli, Salerno, Amalfi;[1151] lo conferma il
doppio nome di _Keitona-el-Arab_ che ritenne il Promontorio Circeo fino
al tempo di Edrisi; nome analogo a quel che davano ad una città nelle
parti meridionali della Sardegna,[1152] ed a quel c'ha tuttavia la
Catona in faccia a Messina.[1153] Maggiore d'ogni altra prova è che a
Salerno, fors'anco a Napoli e Amalfi, si contraffacea, non per frode ma
per bisogno del commercio, la moneta d'oro di Sicilia,[1154] come infino
ne' tempi nostri v'ebbero belli e buoni colonnati di Spagna battuti in
altri paesi.
Ove ponghiamo mente al genio randagio degli Arabi, alla comunanza di
leggi, usi, costumi e in gran parte anco di schiatta, dei Musulmani che
teneano il bacino occidentale del Mediterraneo, non staremo in forse che
la Sicilia partecipò delle arti e lusso della Spagna e costiera
d'Affrica, sì come è provato che ebbe analoghe vicende politiche e
cultura di lettere. Così anco dei monumenti. Perirono nella guerra
normanna quasi tutti que' dei Musulmani; e pur non vi ha menomo dubbio
del loro splendore, quando l'autor della vita di San Filareto lodava i
tempii ed altri sontuosi edifizii delle città maggiori della
Sicilia;[1155] e il conte Ruggiero, dopo averci lavorato per trent'anni
con ferro e fuoco, scrivea patetico in un diploma del millenovanta,
delle vaste e frequenti rovine delle città e castella saracene; de'
vestigii di lor palazzi, fabbricati con mirabile artifizio, adatti, non
che ai comodi, ad ogni lusso e delizia della vita.[1156] Nel sesto libro
toccheremo l'architettura arabica sotto i Normanni, alla quale dobbiam
tutti i monumenti che avanzano in Sicilia del medio evo, da pochissimi
in fuori. Dico due o tre, da che la iscrizione neskhi intagliata a mo'
di fregio nelle mura del palagio della Cuba, porta il nome di re
Guglielmo secondo e la data del millecentottanta.[1157] Bagni di Cefalà
e il palagio della Zisa sembrano più antichi, alla gravità della
scrittura cufica che altra volta li coronò;[1158] e il palagio e bagno
di Maredolce, ancorchè non vi si trovino iscrizioni, parrebbe
contemporaneo; ma rimanendo sempre incerta l'epoca, e sendo state
racconce le fabbriche di poi, e la Zisa anche abbellita dai Normanni,
non vi si può fondare giudizio su l'arte arabica di Sicilia
nell'undecimo secolo. Questo sol noterò, che le linee di prospetto del
cubo allungato e dell'arco aguzzo dei tempi normanni si trovano nelle
cornici delle iscrizioni arabiche di Sicilia dell'epoca musulmana. Qui
un rettangolo sormontato da una punta in forma di mitra vescovile;[1159]
lì inscritto dentro il rettangolo un arco spezzato in tre lobi alla
foggia che s'è chiamata moresca.[1160]
Avvien sempre che sfugga alla più cruda rabbia di guerre o persecuzioni
qualche monumento di minor mole, per trascuranza o stanchezza delle mani
vandaliche, per capriccio o gusto d'alcun uomo: e così parecchie
iscrizioni arabiche della dominazione musulmana rimasero in Sicilia,
senza contar quelle de' tempi normanni delle quali si dirà a suo luogo.
Quantunque i rami pubblicati dal Di Gregorio sian delineati così così, e
io non abbia avuto sotto gli occhi migliori disegni delle iscrizioni
inedite, potrò pur toccare la calligrafia lapidaria, la quale col
disegno architettonico e coi rabeschi tenea luogo di tutt'arte grafica
appo i Musulmani.[1161] Ci occorse già far parola delle iscrizioni della
torre di Baich in Palermo,[1162] e del castello di Termini;[1163] l'una
perduta, se non che abbozzossi il disegno d'alcun brano; e l'altra
pessimamente delineata, e temo adesso ita a male: entrambe del decimo
secolo. Alla medesima età mi par da riferire la leggenda intagliata nel
vecchio edifizio dei bagni di Cefalà, logora da lungo tempo, e in oggi,
mi si dice, dileguata del tutto.[1164] Le iscrizioni conservate sono
sentenze coraniche scolpite in colonette di marmo che si tolsero dalle
moschee e si murarono nelle chiese, ovvero epitaffii svelti dalle tombe,
collocati in musei o case private. La scrittura cufica, semplice,
robusta, con poche fioriture, e nessun ghiribizzo qual si notava nella
torre di Baich,[1165] appar anco nei due cippi sepolcrali del Museo di
Verona,[1166] in altri due di casa Calzola a Pozzuoli,[1167] nei tre di
Marsala, Siracusa e Messina, che non hanno data;[1168] in quello del
Museo Daniele a Caserta,[1169] e in un picciol marmo di casa Emmanuele a
Trapani,[1170] e un altro del Museo di Messina:[1171] le quali forme di
caratteri, molto svariate e pur tutte appartenenti alla classe che ho
posta, non differiscono dallo stile dei monumenti analoghi sparsi da
Cordova infino a Bagdad. Frammisto a quello si vede nella stessa epoca
in Sicilia, sì come in ogni altro paese musulmano, con linee più
tortuose e bizzarre, il cufico ornato e talvolta intralciato di
rabeschi, che si è chiamato impropriamente scrittura carmatica.
Bellissima in questo stile, nè sopraccarica di capricci è la lapide
sepolcrale di Oma-er-Rahman che si trovò pochi anni addietro in Palermo,
dove manca la data, ma sembra alla vista del decimo o undecimo
secolo.[1172] Similmente dell'epoca musulmana le iscrizioni coraniche
delle Chiese delle Vergini e San Francesco d'Assisi in Palermo,[1173]
del convento dei Francescani in Trapani,[1174] che son più o meno
ornate, ma di bella struttura di caratteri; e l'altra assai logora e
ignuda, nè di forme eleganti, di una colonna nel portico meridionale
della cattedrale di Palermo.[1175] Un bel neskhi, o corsivo, modificato
a forme monumentali, spoglio di ornamenti e notato di punti diacritici,
si scorge in una pietra sepolcrale di Mazara, in parte logora, se il
vizio non è nella stampa ch'io n'ho alle mani.[1176] È scritto in neskhi
grossolano, con qualche punto diacritico e qualche errore di grammatica,
l'epitaffio mutilo che si serba nella Biblioteca comunale di Palermo: e
stava su la tomba d'un Abu-Hasan-Ali, morto il trecencinquantanove
dell'egira.[1177]
Farò cenno in ultimo delle monete dei Musulmani di Sicilia, su le quali
manca un lavoro compiuto, nè io potrei provarmici, nè sarebbe da
stenderlo qui.[1178] Mi ristringo pertanto ai risultamenti, ritraendoli
dall'accurato catalogo del Mortillaro, aggiugnendo qualche altra notizia
che s'è pubblicata appresso e le monete inedite del Museo parigino.
Degli Aghlabiti, dei quali è si povera la numismatica, rimangono poche
monete siciliane.[1179] Per lo contrario abbondano le fatemite; sì che
ve n'ha di tutti i califi che regnarono di fatto o di nome
in Sicilia, da Obeid-allah fondatore della dinastia fino ad
Abu-Tamim-Mostanser-Billah, o meglio al quattrocentoquarantacinque
dell'egira dopo caduta la dominazione kelbita:[1180] un centinaio di
monete, la più parte d'oro, due sole d'argento e non poche di vetro di
varii colori, che sembran usate in luogo dei quattrini di rame.[1181]
Hanno leggende cufiche; formole fatemite, molte con data e col nome
della Sicilia. Quelle d'oro, quando se n'è fatto saggio, si son trovate
di buona lega. Son tutte del peso d'un grammo più o meno, che torna alla
quarta parte del dinâr omeiade, abbassida e fatemita: di certo il
_robâ'i_, ossia quartiglio, del quale si legge nei ricordi arabici della
Sicilia nel decimo e duodecimo secolo.[1182] Picciola e comoda moneta
come gli odierni cinque franchi d'oro, coniata tuttavia sotto i Normanni
con leggende arabiche, e chiamata _tari_ in un diploma greco, e _tareni_
nelle croniche e carte latine di quel tempo.[1183]
Il commercio musulmano di Sicilia, non che mantener suoi _robâ'i_
nell'isola sotto la dominazione normanna, avea costretto ad usarli, fin
dai principii del decimo secolo, Napoli, Salerno, Amalfi; ed a batterne
in casa propria, ed anteporli a tutt'altro conio. I diplomi latini di
Napoli di quel secolo portan le vendite in solidi bizantini e più spesso
in _tari_,[1184] dei quali quattro faceano un solido bizantino, ch'era
lo stesso del dinâr arabo. Dai medesimi atti si rileva che i solidi
scarseggiavano o mancavan del tutto alla metà del secolo, ancorchè
sempre si notassero come moneta legale; e che rimanea quasi solo conio
corrente d'oro il _tari_.[1185] Da un'altra mano i musei del regno di
Napoli ci mostrano quartigli d'oro della stessa forma e peso di que' di
Sicilia, col nome del califo fatemita Moezz (953-975); se non che
comparisce la mano straniera, al cufico men franco, e la lega men buona,
e si mostra talvolta alla scoperta, aggiugnendo in mezzo dell'impronta
arabica “Salerno” e altre lettere latine: e perfino stampò la croce tra
le sentenze unitarie dei Fatemiti, o scrisse sul dritto il nome di
Gisulfo principe di Salerno (1052-1076) e sul rovescio quel di Moezz
morto un secolo innanzi.[1186] Parmi non cada in dubbio che i tari dei
diplomi napoletani fossero appunto i _robâ'i_ di Sicilia, e le copie più
o men fedeli che se ne faceano nell'Italia meridionale. La voce tari,
ignota di là del Garigliano, ignota nelle altre province bizantine, si
accosta per articolazioni ed accento a _dirhem_ o _dirhim_ pronunziata
velocemente dagli Arabi _trihm_,[1187] ed al plurale _terâhîm_ o
_trâhîm_ e _trâhî_, mangiandosi l'ultima consonante e battendo l'accento
sull'_ì_. Le bocche italiane ne fecero _tari_. Nè questa è conghiettura,
ove si ricordi il _tari_ denominazione di peso, che risponde senza
dubbio al _dirhem_, il quale gli eruditi di Sicilia scrissero
_tari-peso_, ma il popolo credo l'abbia detto sempre _trappeso_,
rendendo nella prima sillaba la volgare pronunzia arabica.[1188] Così i
Napoletani e i Siciliani del medio evo ripigliavano dagli Arabi il
vocabolo _drachma_, che quelli aveano tolto dai Bizantini e mutato in
_dirhem_.
CAPITOLO XIV.
Arrivati a scoprire per quante vie s'era messo lo spirito umano al tempo
dell'antica civiltà, i popoli musulmani le tentaron qua e là con ardore
giovanile; in molte si lasciarono addietro i Cristiani contemporanei;
sovente aggiunsero lor trovati al patrimonio degli antichi; il che non
avveniva allora in Cristianità. Sopra ogni altro lussureggiarono in due
esercizii connaturali a loro società. L'arte della parola in rima e in
prosa, antico vanto degli Arabi, mutando corso nell'islamismo e
allontanandosi dalle forme del bello, si allargò in ogni più sottile
investigazione di grammatica, lessicografia, versificazione, delle quali
parteciparono i popoli conquistati: talchè per tutta Musulmanità fu
studiata la filologia minore quanto nol fecero mai i Greci nè i Latini;
e se le Muse dessero la corona a chi più s'affatica, gli Arabi se
l'avrebbero senza contrasto. Surse dal Corano quella scienza mescolata
di teologia e dritto, la quale, sendo come il pan quotidiano dei
Musulmani, non è maraviglia che attirasse tutti gli ingegni disposti a
così fatte contemplazioni e bramosi di onori e stato. La filologia e le
scienze coraniche, per aver sì profonde radici l'una nella schiatta
arabica, le altre nella società musulmana, occuparono quasi tutto il
campo, rinvigorite dalla metafisica e dialettica dell'Occidente;
rimasero sole dopo la decadenza politica e sociale dagli Arabi; e si
possono dir vegete fino ai dì nostri dovunque regga la legge di
Maometto, dal Gange allo stretto di Gibilterra. Ma le scienze antiche,
come le chiamarono gli Arabi per averle tolte in presto dai Greci,
trovarono ostacolo nella tenacità semitica del popolo dominatore, il
quale se n'era invaghito per ebbrezza di nuovo acquisto, e d'un subito
s'arretrò, spaventato, dal cammin che credea lo menasse all'inferno. Poi
prevalendo genti più grossiere, in Levante i Turchi, in Occidente i
Berberi; irrompendo Cristiani d'ogni banda nell'impero musulmano,
esacerbaronsi le passioni religiose, rinnegòssi il secolo di Harûn
Rascîd, e quelle sospette scienze sparvero ad una ad una tra le tenebre
ricadenti sul mondo musulmano.
Le ristorate dottrine dunque d'Aristotele, d'Euclide, d'Ippocrate, non
solo ebbero minor tratta di seguaci al tempo della civiltà arabica, ma
sendo ite in bando dalla terra d'islam, dileguavasi dal decimoquarto
secolo in poi la memoria di cui le coltivò. I biografi tuttavia
s'affaticarono a rintracciare nomi e aneddoti di grammatici, retori,
lessicografi, interpreti del Corano, tradizionisti, giureconsulti,
teologi e mistici d'ogni maniera, e vennero a capo di trovarne molti
sfuggiti alle ricerche dei predecessori; ma fecero guarda e passa nelle
altre scienze. Similmente si smettea di copiarne i libri. Ho voluto
notare cotesta disuguaglianza nelle proporzioni della storia letteraria
e le due cause da che venne, perchè la non sembri difetto peculiare
degli Arabi Siciliani. Un pugno d'uomini, del resto, datisi alla cultura
intellettuale per qualche secolo e mezzo, soggiogati quando coglieano il
frutto, perseguitati e dispersi entro un altro secolo: meraviglia è che
ce ne rimanga qualche brano di memorie letterarie per carità di cui
accolse in casa gli esuli sconsolati. Nei paesi rimasti musulmani,
l'amor di patria o la vanagloria municipale dei tempi di decadenza,
religiosamente ragunò ogni ricordo dei cittadini più o meno illustri. E
i coloni di Spagna, più numerosi assai dei Siciliani, pervenuti
all'incivilimento dopo tre secoli, n'ebber agio altri quattro a compiere
il pio oficio pria che sgombrassero d'Europa.
Il solo autore arabo che appositamente abbia scritto la storia dei
filosofi, matematici e medici, non ricorda altri Siciliani che un del
duodecimo, secolo e tre dell'antichità, Archimede, Empedocle,
Corace;[1189] su i quali dà ragguagli meno scontraffatti che non si
potrebbero aspettare così di rimbalzo; ma non appartengono al nostro
argomento. Del resto, se l'abbiano ignorato Zuzeni al tempo di Federigo
secondo ed Ibn-Khallikân nella generazione seguente, si coltivaron pure
le sciente matematiche in Sicilia sotto la dominazione arabica. Ne fan
fede le memorie dei tempi normanni, delle quali diremo a suo luogo; ed
anco alcun cenno immediato dell'undecimo secolo. Makrizi nella
Topografia dell'Egitto, venendo a parlare dell'osservatorio che fondò al
Cairo il mecenate Afdhal l'anno cinquecento tredici (1119-20),
e il califo Amer spiantò a capo di sei anni, novera tra gli
astronomi che v'erano condotti a stipendio, il geometra siciliano
Abu-Mohammed-Abd-el-Kerîm,[1190] esule ch'ei sembra dopo il conquisto
normanno. Ibn-Kattâ', nell'Antologia dei poeti siciliani, trascrivendo
alcuni versi di Abu-Hafs-Omar-ibn-Hasan-ibn-Kûni con due righi di cenno
biografico, gli diè lode anco di geometra ed astronomo. Il titol che
aggiugne di Kâtib, ossia segretario; mostra che quest'Omar il fu in
alcun oficio pubblico, forse nella segreteria di Stato. Del quale se i
versi d'amore son troppo geometrici, v'ha uno squarcio d'elegia che
direbbesi scritto da stoico romano anzi che da credente arabo: sì
sdegnoso il pensiero, alto senza puntello di religione; ed anco semplice
e grave nella forma; se non forse per due bisticci che il poeta incastrò
nell'ultimo verso.[1191] Ibn-Kattâ' similmente fa ricordo del Segretario
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-Kereni,[1192] astronomo, aritmetico
e poeta.[1193]
Che la matematica e l'astronomia si fossero applicate in Sicilia a
studii topografici, non si può negar nè affermare. In vero scorgiamo una
bella. correzione della postura dell'isola rispetto all'Affrica.
Ibn-Haukal Bel decimo secolo supponea la Sicilia guardare dritto Bugia,
Tabarca e Marsa Kharez (La Calle); cioè la spingea due gradi più a
ponente.[1194] Ibn-Iûnis, il celebre astronomo del Cairo, alla fine del
decimo secolo, con errore contrario la tirava dieci gradi a levante di
Tunis.[1195] Ma una notizia anonima che leggiamo in Iakût e par si debba
riferire a sorgenti siciliane dell'undecimo secolo, pone vicinissima
alla Sicilia tra le terre d'Affrica l'antica Clipea presso il Capo Bon,
aggiugnendo correr tra quella e l'isola cenquaranta miglia, ossia due
giornate di navigazione con buon vento, e, da un altro lato, lo Stretto
del Faro misurarsi due miglia, là dove l'isola più s'accosta alla
terraferma.[1196] Donde parmi che la correzione sopraddetta si debba
riferire ai navigatori siciliani ed affricani, non agli astronomi; tanto
più che lo sbaglio delle longitudini non si potea riconoscere da privati
senza un osservatorio fornito di quegli smisurati stromenti che gli
Arabi furon primi a costruire. Ignoriamo in qual tempo visse chi
immaginò l'isola triangolo equilatero, misurandovi sette giornate di
cammino da un vertice all'altro.[1197] Ibn-Haukal s'avvalse forse delle
nozioni che correano nel paese e avvicinossi al vero quando assomigliò
la Sicilia a triangolo isoscele con la punta rivolta a ponente,[1198] la
base di quattro giornate, e ciascun lato di sette.[1199] Bekri ne fe'
triangolo scaleno, troppo largo alla base, di cencinquantasette miglia,
con censettantasette di lato maggiore e cinquecento di perimetro.[1200]
Altri diè il giro di quindici giornate.[1201] Infine una misura che
sembra oficiale e dell'undecimo secolo, portava undici _merhele_ o
diremmo stazioni di posta, da Trapani a Messina, e tre giornate di
larghezza;[1202] onde s'argomenta che mancassero i rilievi di posta
nella riviera orientale, e le distanze perciò si ritraessero il manco
male che si potea dai viandanti. La somma è che i dotti siciliani
studiarono piuttosto la geografia descrittiva che la geografia
matematica del suolo ov'erano nati.
Lo Sceikh Abu-Sa'îd-ibn-Ibrahim, detto il Maghrebino e il Siciliano,
compilò un libro di terapeutica, del quale v'hanno due codici, ad Oxford
e Parigi. S'intitola il primo _Ausiliare alla guarigione d'ogni sorta di
morbi ed acciacchi_;[1203] e il secondo _Taccuino[1204] dei medicamenti
semplici_: unica opera, della quale il manoscritto bodleiano parmi il
primo dettato, e il parigino la seconda edizione, corretta e
semplificata. Considerato, che vogliansi adattare i medicamenti alle
particolarità degli individui e dei mali; e che fin qui le opere di
materia medica siano state compilate secondo i nomi dei semplici o delle
malattie, l'autore si propone di presentar l'uno e l'altro ordine uniti
insieme a colpo d'occhio per sussidio di memoria al medico. Fa dunque un
volume di tavole sinottiche, notando nelle linee orizzontali ciascun
semplice con sue qualità ed usi, secondo le divisioni che fanno le linee
verticali o vogliam dire colonne. Pon quattro classi di malattie; del
capo, degli organi respiratorii, degli organi digestivi e del corpo
tutto; e poi nota nella linea orizzontale la denominazione tecnica della
infermità. Tratta soltanto dei medicamenti semplici i quali son messi
nell'ordine dell'antico alfabeto detto _Abuged_,[1205] seguíto sempre
dai medici e matematici arabi. Nella introduzione si discorrono con
dotta brevità i principii generali della materia medica.[1206]
Spedito ed utile manuale, il cui linguaggio tecnico, le divisioni, le
teorie e qualche tradizione greca che s'accenna nella introduzione,
rispondono al corpo di dottrine mediche che possedeano gli Arabi
nell'undecimo secolo, qual si vede nella famosa compilazione d'Avicenna.
Il riscontro col Canone ci conduce inoltre a supporre contemporaneo o
anteriore ad Avicenna (980-1037) il Siciliano Abu-Sa'îd, il quale
afferma niuno avere steso prima di lui tavole comparate di rimedii e
malattie; e noi le troviamo appunto nel secondo libro del Canone.[1207]
D'Abu-Sa'îd non avanza alcun cenno biografico. Tuttavia nè menzogna nè
plagio non son da sospettare, quand'ei fa categorie patologiche diverse
da quelle d'Avicenna; e dà un catalogo di semplici molto minore, dove
pur se ne trova di tali che mancano nel Canone, ed è diversa la
disposizione dei nomi identici. Se imitazione v'ebbe, par dunque l'abbia
fatta Avicenna da Abu-Sa'îd, o ch'entrambi abbiano attinto alle medesime
sorgenti, e recato nelle esposizione della materia medica quel genio
simmetrico degli Arabi, senza conoscere i lavori l'uno dell'altro in
regioni si lontane. Se non che il manuale apposito del Siciliano fu
ecclissato dal trattato generale del Persiano, al quale poi si è
attribuito, come a Tolomeo, Averroès ed altri compilatori antichi e
moderni, tutto l'onor delle dottrine ch'egli coordinò ed espose.
Più che Abu-Sa'îd meritò della scienza il Siciliano Ahmed-ibn-Abd-
es-Selâm, sceriffo, ch'è a dir della stirpe d'Ali, autore
d'un trattato di medicina che serbasi a Leyde ed era intitolato: _Il
libro dei medici su tutte le malattie dal capo alle piante_.[1208]
Limitandosi ai medicamenti semplici, chè i composti, dice egli,
difficilmente riescono nè mai n'è certo lo sperimento, Ahmed breve
accenna i rimedii indicati secondo le diagnosi; non tacendo le credenze
volgari e contrapponendovi i dettami dei maestri greci ed arabi e
sovente la propria esperienza. Divide l'opera in venti capitoli; da
alcuno dei quali che ho percorso, specialmente il paragrafo su
l'idrofobia, il Libro dei medici mi sembra ricco di osservazioni,
dettato con quella saviezza sperimentale che si fa scorta delle teorie e
ch'è sola via dritta in quest'arte. Ma pieno giudizio non se ne potrà
dare, se la storia della medicina appo gli Arabi non sia meglio studiata
che al presente, e se eruditi medici non approfondiscano quest'opera, la
quale a prima vista sembra di gran momento. Ahmed ne compose un'altra,
forse d'igiene, intitolata: _Conservazione della salute_; divisa in
ottanta capitoli e dedicata ad un Abu-Fâres-Abd-el-Azîz-ibn-Ahmed; della
quale tanto sol sappiamo da Hagi-Khalfa, e che l'autore si appellava
Siciliano e Tunisino.[1209] Di lui non troviamo cenno nelle biografie
dei medici arabi; talchè dobbiam lasciarlo tra quei d'età incerta, non
potendo affidarci ad un barlume che ci condurrebbe all'ultima
emigrazione dei Musulmani di Sicilia, sotto Federigo secondo
imperatore.[1210] Visse di certo nella dominazione musulmana
Abu-Abd-Allah-Mohammed-ibn-Hasan-ibn-Tazi, poeta e letterato di gran
fama in Sicilia, al quale Ibn-Kattâ' dà appellazione di medico, senza
dirne altro;[1211] e noi ne riparleremo tra i poeti con l'onore e il
biasimo ch'ei meritò. Del rimanente questo picciol numero di medici, le
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