Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 16

molte città i Berberi, in alcune anche gli Afarika, avanzi de' Cristiani
del paese, soggiornavano con gli Arabi,[884] e già parea che le varie
genti e la novella dinastia si acconciassero a far una nazione. Già gli
Zîriti, abbandonata l'antica lor sede di Ascîr nelle montagne di Titeri,
s'eran posti a Mansuria a mezzo miglio del Kairewân, o piuttosto dentro
la stessa capitale arabica, la quale fu poi congiunta da fortificazioni
a Mansuria.[885] Fiorirono in questo tempo le manifatture e i commerci,
condotti da una mano nel Mediterraneo con Sicilia, Spagna e altri paesi
marittimi;[886] dall'altra mano con le regioni interne del continente
affricano. La quale prosperità industriale si potrebbe d'altronde
argomentar dallo smodato lusso della corte zîrita in feste pubbliche,
sposalizii, funerali, doni ai califi d'Egitto; ed anche dallo sminuito
valore, o vogliasi dire cresciuta copia, dei preziosi metalli.[887]
Attestano i commerci con l'Affrica centrale i presenti mandati a Mansûr
dai principi del Sudân (992) e la barbarica pompa degli Zîriti che in
lor solenni cavalcate usciano con elefanti, e giraffe, oltre le belve
indigene dell'Atlante.[888]
Nè la potenza sembrava minore del fasto nel regno di Moezz-ibn-Badîs,
temuto da tutti per mezzo secolo, com'uomo intraprendente e savio nei
consigli e gagliardo nelle armi. Infino agli ultimi anni, quando subita
rovina lo ridusse quasi al nulla (1053), ei fu per vero il più possente
principe musulmano delle regioni bagnate dal Mediterraneo.[889]
Comprendendo la comodità che gli dava il mare ad allargar suo dominio,
egli il primo di sua schiatta, provvide a ristorare il navilio
affricano, del quale non si fa motto da che il califo fatimita Moezz
mutò la sede e portò via quanto potè in Egitto. Del mille ventitrè,
Moezz-ibn-Bâdîs facea racconciare gli arsenali di Mehdia, fabbricare
attrezzi navali in copia non più vista, costruir legni da guerra e
bandire l'arruolamento dei marinari:[890] ed a capo di pochi anni,
l'armata affricana, collegata con la siciliana, combattea contro i
Bizantini nell'Arcipelago; e il principe zîrita facea prova a
insignorirsi della Sicilia. Sventura dei Musulmani dell'isola ch'egli
ebbe tanto rigoglio quando cominciaron tra loro le guerre civili, e si
trovò povero e disarmato quando si fece in pezzi lo stato kelbita.


CAPITOLO IX.

Akhal cominciò con lieti auspicii. Ridotto all'obbedienza qualche
castello che se ne fosse spiccato agli avvisi della rivoluzione;[891]
avuto da Hâkem il titolo di _Teaîd-ed-dawla_ (Sostegno dell'impero),
attese alle faccende pubbliche; ristorò la tranquillità e contentezza in
casa e la guerra fuori.[892] Nè sol mandava le gualdane in Terraferma,
chè sovente capitanò egli stesso gli eserciti, favoreggiando, com'abbiam
detto, i ribelli di Puglia.[893]
Donde Basilio imperatore, uom d'armi, ch'avea testè rintuzzati in
Oriente e Musulmani e Russi e Bulgari, pensò, con tutti i suoi
sessantott'anni, di recar la guerra egli stesso in Sicilia. Mandò
innanzi l'eunuco Oreste, fidatissimo ciambellano ed aiutante di campo,
con grosse schiere di sudditi ed ausiliari: Macedoni, Vallachi, Bulgari,
Russi, che solean militare sotto le insegne bizantine;[894] i quali
cacciarono i Siciliani d'ogni luogo che occupavano in Calabria. Reggio
allora fu ristorata per le cure del catapano Boioanni, che servisse di
stanze d'inverno all'oste, la quale per passar lo Stretto aspettava
altre forze con l'imperatore[895] e il navilio con un suo parente.[896]
Si differì poi l'impresa per l'infermità di Basilio, che di corto ne
morì in dicembre del milleventicinque.[897]
Divulgatosi il pericolo della Sicilia, Moezz-ibn-Bâdis profferse, ed
Akhal accettò aiuti; poichè bandìssi in Affrica la guerra sacra; alla
quale l'ambizioso signore agevolmente spingea quelle turbe sì infocate
contro gli eretici. Tanto che li stivò in quattrocento barcacce: di
gennaio del milleventisei li avviò alla volta di Sicilia, fidandosi in
Dio e nella bonaccia. Presso Pantellaria si leva un turbine di vento, ed
ecco a un tratto capovolti e affondati i legni; campando pochi uomini
dal naufragio.[898] Più efficaci ausiliari furono ad Akhal la
balordaggine di Costantino ottavo rimaso solo sul trono a
Costantinopoli, una dissenteria che s'apprese in Calabria all'esercito e
la niuna esperienza d'Oreste nel governare la guerra. I Siciliani,
assalitolo improvvisamente, gli diedero una sanguinosa rotta; per
vendicar la quale, Romano Argirio ch'era succeduto a Costantino
(novembre 1028) racimolò nell'Ellade e Macedonia que' che gli pareano i
migliori soldati e sì mandolli in Italia. Ma nulla fecero,[899] o
fuggirono dinanzi i Musulmani nelle due ricordate battaglie del mille
trentuno.[900]
S'arrischiaron poi gli Affricani e i Siciliani a lontane scorrerie
navali contro l'Impero. Un'armatetta musulmana, di qual nazione non si
sa, dato il guasto alle costiere d'Illiria, corseggiava infino a Corfù:
contro la quale uscito il navilio di Ragusa e il patrizio Niceforo
governatore di Nauplia, la vinsero; presero la più parte dei legni, e
quei che scamparono fecero naufragio ne' mari di Sicilia, del
milletrentuno in sul fin della state.[901] Del trentadue, gli Affricani
con grande sforzo infestavano le costiere ed isole di Grecia; e il
patrizio Niceforo, superatili anco in battaglia, lor fe' cinquecento
prigioni.[902] Affricani e Siciliani di maggio milletrentacinque si
spinsero depredando tra le Cicladi fino alla costiera di Tracia; della
quale temerità bastarono a punirli i governatori di provincia che
mandatine altri cinquecento prigioni a Costantinopoli, impalarono i
rimanenti lungo la marina d'Asia, da Adramito a Strobilo. Nè l'esempio
atterrì tanto i corsari d'Affrica e di Sicilia che nella state un'altra
armatetta loro non tentasse la Licia e isole vicine: i quali parimenti
sconfitti dal navilio provinciale e presi, furono mazzerati, fuorchè una
terza frotta di cinquecento che portò testimonianza di vittoria alla
capitale. In questo mezzo la corte bizantina avea mandato all'emir di
Sicilia un Giorgio Probato, a trattar la pace,[903] o piuttosto a
gittargli un laccio al collo. Altro oratore greco andava appo
Moezz-ibn-Bâdis con ricchi presenti di sete, arnesi e rarità.[904]
Akhal s'era messo per un mal terreno, ch'anelando d'uscirne prese la
scorciatoia al precipizio. Narrano gli annali com'egli stando in su le
armi in terra di nimici, sovente lasciasse il reggimento dell'isola al
figliuolo per nome Gia'far, ch'era l'opposto di lui: nè giusto nè umano
coi sudditi. E senza appicco, voltando pagina, leggiamo che Akhal,
assembrati i Siciliani, dice volerli sgravare degli Affricani
partecipanti di lor paesi e poderi;[905] esser disposto a cacciar quegli
intrusi. A che i Siciliani rispondeano non potersi, quando gli Affricani
s'erano imparentati con esso loro e commiste le due genti e divenute
tutt'una. L'emiro li accomiatò. Chiamati a sè gli Affricani, proponea lo
stesso partito contro i Siciliani: ed assentirono. Indi Akhal a favorire
gli Affricani: se li messe attorno; francò lor poderi e levò il _Kharâg_
da que' soli dei Siciliani.[906] Tra cotesti cenni vaghi, disparati ed a
prima vista contraddittorii, dobbiamo discernere il fatto che scompigliò
e capovolse la Sicilia musulmana.
Ne' ricordi dei due primi secoli dell'egira i _giund_ prendono nome
ordinariamente dal paese ove soggiornano: i Sirii, gli Egiziani, i
Khorassaniti che passano di tratto in tratto in Affrica e Spagna, son le
milizie arabiche di Siria, Egitto e Khorassan, mescolati coi proprii
liberti delle schiatte vinte. Si poteano chiamar dunque Siciliani, verso
il mille, i discendenti dai primi conquistatori arabi del paese; ed
Affricani i figliuoli dei sopravvenuti quando cadde la dinastia
aghlabita (910), quando s'innalzò la kelbita (948) infino a quei che
testè avea cacciato d'Affrica (1004-1019) la fame e la persecuzione
religiosa. Ma cimentando tal supposto con le condizioni che dà la
cronica, in parte vi si adatterebbero e in parte no. Starebbe bene a
dire gli Affricani partecipanti del paese, cioè degli oficii pubblici e
stipendii militari; si potrebbe ammettere, in significato più largo, la
partecipazione loro nella proprietà territoriale;[907] ma sarebbe duro a
credere che poche famiglie di rifuggiti e di avventurieri fossero
cresciute a tal numero che Akhal vi potesse far assegnamento contro
l'antica nobiltà e il popolo musulmano dell'isola. Inverosimile parmi
che un principe arabo di nobil sangue abbassasse alla condizione di
_ra'ia_, o plebe, il fior della nobiltà, cancellandoli dal _giund_: chè
a questo torna la voce “cacciare” adoperata nel testo, non a cacciar dal
paese. Inverosimile ch'ei levasse il _kharâg_ su i poderi dell'antica
nobiltà e condonasselo alla nuova: ingiustizia da non venire in mente a
tiranno musulmano. Ma intendendo, all'uso nostrale, Siciliani la
progenie degli antichi abitatori educata nell'islamismo, ed Affricani la
progenie del _giund_ d'Affrica trapiantato nell'isola in varii tempi, i
nomi convengono alle origini e si decifera bene il testo. Akhal volendo
stigare i Siciliani, ricorda loro che gli intrusi godonsi in parte il
retaggio degli avi; e quand'ei passa dalle arti oratorie ai fatti,
distingue le proprietà[908] degli uni e degli altri: lascia o rende
immuni quelle dei vincitori, aggrava quella dei vinti, con una
rivendicazione di dritti fiscali, alla quale non avevan che rispondere i
giuristi della scuola di Mâlek.[909] Si ritrova in Sicilia così la
generazione d'uomini che non potea mancarvi; quella che in Spagna si
chiamò dei _Mowalled_ ed aiutò alla dissoluzione del califato;[910]
quella che a capo di dieci anni da questa novazione d'Akhal occupò lo
stato nella Sicilia centrale; gli “uomini ignobili” come li chiaman
allora le croniche.[911] Veramente la divisione di Affricani e
Siciliani, torna a vincitori e vinti, a nobili e popolo: come in ogni
paese conquistato, mescolandosi la schiatta, ne avanza la distinzione di
classi: in Italia, gli Italiani fatti popolo e i Longobardi nobiltà; in
Francia, i Galli e i Franchi; in Inghilterra, i Sassoni e i Normanni.
Non ho parlato del supposto che Siciliani fossero gli Arabi, ed
Affricani i Berberi, perchè sarebbe molto alieno dall'uso del linguaggio
e dai fatti della storia, i quali ci mostrano ridotta al nulla la
schiatta berbera in Sicilia[912].
La nobiltà era scemata e fiaccata, come in ogni altro stato musulmano,
per la lotta contro il principato. Dopo gli Aghlabiti e i primi
Fatemiti, le diè duro crollo (948) Hasan-ibn-Ali, il Kelbita; il
figliuolo Ahmed ne accarezzò ed imbrigliò li avanzi (966); e l'altro
figliuolo Abu-l-Kâsim li trasse seco al martirio sul campo di Stilo
(982). Talchè i nobili per loro virtù nelle guerre d'independenza e di
religione, per loro vizii nei tumulti dell'oligarchia, avean perduto il
sangue vitale, mal supplendolo le famiglie che veniano d'Affrica:
menomati di numero e facoltà, cominciarono fors'anco a tediarsi della
guerra quando i Kelbiti promossero le lettere, le cortesie e il viver
lieto.
Intanto, corsi due secoli dal conquisto, era venuto su il popolo, o
cittadinanza che dir si voglia. Da una mano i Musulmani mercatanti e
artigiani che passavano d'Affrica in Sicilia e raggranellavano danari
con la industria; dall'altra mano, assai maggior numero, i Cristiani del
paese, proprietarii ed affittaiuoli delle terre che si voltavano
all'islamismo; i liberti di case nobili, che convertiti s'avviavano agli
oficii pubblici ed alla milizia; i figliuoli degli uni e degli altri,
spesati negli studii legali e fatti notabili per sacro dritto della
scienza, componeano tal classe che per numero vincea di gran lunga la
nobiltà, nè avea da invidiarle gli avvantaggi della ricchezza nè
dell'intelletto; le si accomunava negli oficii dello stato e la superava
nei consigli municipali. La cittadinanza di Palermo comparisce adulta
fin dalla metà del decimo secolo, quando favorì Hasan contro i nobili; e
la plebe, come avvien sempre, abbandonò i nobili e seguì i popolani
grassi. Nelle città minori doveano intervenire i medesimi effetti, col
divario che portava il minor numero dei popolani oriundi d'Affrica. I
villaggi, sede della popolazione rurale, eran tenuti dai proprietarii
minori d'origine siciliana, con poca o niuna mescolanza di nobili. La
nobiltà prevalea solo nella costiera orientale, occupata di recente, la
quale essendo abitata tuttavia da Cristiani,[913] le classi inferiori
non entravano nella repubblica musulmana. Nel rimanente dell'isola la
cittadinanza, favorita fin qui dai principi kelbiti, si sentia più forte
de' nobili. Pur l'invidia non avea partorito per anco guerra civile.
S'era dimenticato l'infausto vocabolo dopo spenti i Berberi: quando si
pigliavano le armi in piazza l'era per cavar la bizzarria ad un ministro
o un emiro.
Ma il principato, per necessità o cupidigia, accese la discordia. Le
milizie siciliane erano scemate con la nobiltà; cacciati i mercenarii
(1015) non rimanea niuno a difendere la reggia (1019), e pochi a
difender lo stato. Akhal vi pose mente, riscosso dal pericolo degli
assalti bizantini e degli aiuti di Moezz (1025); fors'anco gli piacea,
com'uomo di guerra ch'ei si mostrò in Calabria, di tirarsi dietro più
grosso esercito e imitare la virtù dei primi Kelbiti. Ma nelle presenti
condizioni, l'esercito non si potea rifornire che di mercenarii; le
entrate dei poderi demaniali non bastavano alla spesa, o egli le volea
serbare alla corte; e aggravare il _kharâg_ non osava, dopo l'esempio
del fratello. Altro modo non avea dunque che dividere i sudditi, i quali
uniti avean cacciato Gia'far; trarre a sè una parte, e con lo aiuto di
quella strappar il danaro dalla borsa dell'altra. Le parti eran fatte;
la scelta non dubbia tra nobili e popolani: gli uni sdegnosi della gente
nuova, correvoli ai sorrisi di corte, ordinati ed usi a milizia; gli
altri intesi a loro industrie, senza storia nè legame di casati; e, come
più erano, più potean pagare. Akhal parlò all'orecchio agli uni ed agli
altri per tastarli e aizzarli, prima di venirne alla commedia delle
adunanze. Fermato bene l'intento, colta l'occasione della guerra in
Calabria o di qualche lagnanza contro il proprio figliuolo, convocò i
notabili siciliani; espose il bisogno dello stato; lor diè l'eletta tra
un partito impossibile e uno spiacevole: fornir essi la gente
all'esercito o la moneta. Quando ricusarono l'uno e l'altro, ei compì il
disegno, assentito già certamente dai nobili. Bandisce che i Siciliani
abbiano a pagare il _kharâg_ ossia, com'ei pare, la doppia decima invece
del dazio fisso: leva il danaro col braccio forte dei nobili e dei
mercenarii che allora accozzò, chiamati in Palermo, stanziati nella
Khalesa ed altri luoghi opportuni. Così mi par da delineare il colpo di
stato di Akhal, che va messo tra il mille trentuno e il mille
trentacinque; perchè innanzi il trentuno si combattea tuttavia in
Calabria, e gli scrittori bizantini[914] accennano in su lo scorcio del
sei mille cinquecenquarantatrè (1 settembre 1034 a 31 agosto 1035) il
principio della guerra civile in Sicilia; gli scrittori arabici pongono
nel quattrocento venzette (4 novembre 1035 a 23 ottobre 1036) la
reazione degli oppressi.[915]
Il biasimo ricadrebbe sopra Akhal, se i demanii bastavano alla
ristorazione dell'esercito; e, se no, andrebbe diviso tra i Siciliani,
che ricusavano il bisognevole, e l'emiro che sel prendea con astuzia e
violenza, non iscusate dallo scopo. Ma in questa, come in cento altre
vicende di maggior momento e più note e più vicine, la storia non arriva
a cogliere in flagrante il primo colpevole. Primi a prendere le armi
furono i Siciliani; dei quali par siasi fatto capo un Abu-Hafs,[916]
fratello d'Akhal, impaziente di torgli il regno, sì come l'avea tentato
l'altro fratello Ali, contro Gia'far e lo stesso Akhal, fattolo
volontariamente o no: chè i figli del buon Iûsuf rassomiglian forte agli
Atridi. Primo a chiedere aiuti stranieri sembra sia stato l'emiro; appo
il quale venuto a trattar la pace, dopo il maggio milletrentacinque,
Giorgio Probata, “sì destramente condusse il negozio,” scrivono i
Bizantini, ch'ei tornò a Costantinopoli col figliuol dell'emiro: ed
avanti la fine d'agosto la pace era fermata; Akhal avea accettato
dall'impero il titol di _Maestro_; e, sendo combattuto e incalzato da
Abu-Hafs, avea chiesto aiuti al novello padrone, il quale s'apprestava a
mandargli Maniace con un esercito.[917] Maestro era dignità di corte
maggiore del Patrizio ed anco grado militare, come diremmo noi
Maresciallo:[918] onde veggiamo intitolarsi Maestri dei militi i duchi
di Napoli e alcun doge di Venezia,[919] capi di stati che dipendean di
nome dalla corte bizantina; e veggiam dato da quella onor di patrizio or
a dogi amici or a principi longobardi che si piegavano a lei.[920] Però
il titolo di Akhal non era vana parola. Marchio di vassallaggio;
vergogna a Kelbita ed a Musulmano; ottimo pretesto ai sudditi
disaffetti, ad un fratello ambizioso e ad un potente vicino.
Le quali pratiche di Akhal e qualche successo della guerra civile
sospinsero i ribelli ad imitarlo. Dopo il quattro novembre
milletrentacinque, andavano a Moezz-ibn-Bâdîs messaggi dei Siciliani a
profferirgli l'isola, s'ei liberassela dagli insopportabili soprusi
d'Akhal; e se no, minacciavano di darsi, come uomini disperati,
all'impero bizantino. E Moezz mandò loro il figliuolo Abd-Allah, con
tremila cavalli e tremila fanti. Il quale in lunga guerra più volte si
scontrò con l'emiro, ed aveane l'avvantaggio[921] con l'aiuto della
parte siciliana e di Abu-Hafs, quando Leone Opo mandato (1034) a
capitanare l'esercito d'Italia in luogo d'Oreste, passò il Faro, l'anno
milletrentasette, sollecitato da Akhal, che avea l'acqua alla gola.
Leone gli fe' largo; ruppe le genti di Moezz: poi temette, o il disse,
che i perfidi Musulmani si rappattumassero tra loro per tagliare a pezzi
l'esercito battezzato; e tornossene in Calabria, senz'altro frutto che
di liberare quindicimila Cristiani prigioni, o piuttosto abitatori di
Sicilia cacciati dalla paura di quell'atroce guerra civile.[922] Allora
prevalsero le armi di Moezz e de' partigiani.[923] Akhal non ebbe altro
rifugio che le mura della Khâlesa, dove fu assediato e alfine ucciso.
Perchè, fatta sperienza per due anni del rimedio attossicato che sono in
guerra civile cotesti aiuti stranieri, l'universale dei Musulmani di
Sicilia già se ne tediava, già accennava di voler liberare Akhal: quando
i principali della rivoluzione li prevennero; fecero assassinare l'emiro
nella sua propria fortezza, e presentaron la testa ad Abd-Allah
figliuolo di Moezz.[924] Abd-Allah era rimaso come padrone della
capitale e di tutta isola, quando gli piombò addosso Maniace[925].


CAPITOLO X.

L'ultimo e men tristo sforzo dell'impero greco sopra la Sicilia, fu
ordinato da un frate eunuco, per nome Giovanni, il quale pervenuto era
al comando per magagna senza esempio: messo innanzi un garzonaccio
fratel suo, che se ne invaghisse Zoe, vicina ai cinquant'anni; fattole
avvelenare Romano Argirio, e, mentre spirava, gridar imperatore il
drudo, sposarlo la dimane dinanzi il patriarca di Costantinopoli che
benedisse le nozze. Michele Paflagone, salito al trono per tal via,
mezzo scimunito e mezzo pentito, dava il nome; Zoe stava come prigione,
e Giovanni reggea lo stato con fortezza, diligenza ed astuzia. Ritratto
lo scompiglio ch'era in Sicilia, il monaco ministro adescò Akhal;
deliberò l'impresa; ne fe' capitano Giorgio Maniace, il quale nelle
guerre di Siria avea dato prove (1030, 1034) di grandissimo valore e
pronto consiglio. Ma Giovanni, tra nipotismo e diffidenza, prepose al
navilio uno Stefano, marito della sorella, nè uom di mare, nè di guerra,
nè di alcuna virtù. Chiamato Maniace dai confini dell'Armenia,[926]
passaron due anni tra andirivieni e preparamenti e ridurre a disciplina,
quanto si potesse, il nuovo esercito. Il quale ridondò al solito di
stranieri: Russi,[927] Scandinavi,[928] Italiani di Puglia e Calabria e
con essi una compagnia di ventura, di qualche cinquecento cavalli,
mescolati Italiani e Normanni, la quale s'era condotta ai soldi del
principe di Salerno e recavagli or comodo ed or molestia, sì ch'ei
volentieri la diè in prestito a Maniace.[929]
Le geste dei guerrieri scandinavi del Baltico e di lor colonia di
Normandia, ci sono pervenute per due maniere di tradizione molto
diverse. Gli Scaldi di Norvegia e d'Islanda, in lor _saghe_ non
raccomandate alla scrittura innanzi il duodecimo secolo, raccontavano le
vicende di casa loro in guisa da raffigurarsi la cronica in mezzo al
rustico fogliame rettorico; ma, quanto ai fasti di lor gente in paesi
lontani, ne prendeano il tema e lo foggiavano in romanzo poco o punto
storico. Sbrigliavansi tanto più nell'immaginare, quanto le saghe,
dettate nel proprio idioma, si recitavano per diletto delle brigate e vi
s'incastravan qua e là frammenti ritmici. I cronisti normanni,
all'incontro, cresciuti in Francia sotto il giogo della letteratura
latina, favoleggiavano con minore licenza entro que' che parean limiti
conceduti dalla storia classica; se non che il romanzo francese di
cavalleria, testè venuto in voga, li allettava ad aggiugnere qualche bel
colpo di lancia. Tennero lo stesso metro i monaci italiani che vissero
sotto i principi normanni; sì per mal vezzo e adulazione, e sì per non
avere il più delle volte altri testimonii che quei principi e que'
guerrieri: massimamente nelle prime imprese di ventura in Italia,
scritte settanta o novanta anni dopo, su ricordi orali passati per due
generazioni. Però è da far tara diversa alle tradizioni scandinave, ed
alle normanne. Ed a ciò avremo riguardo or che ci occorrono per la prima
volta le autorità settentrionali; studiandoci a cavarne il vero e
addentellarlo nei ricordi greci e latini.
Giorgio Maniace e il patrizio Michele Doceano soprannominato “il
Fusaiolo,”[930] ch'avea dato lo scambio a Leone Opo, ragunate le genti a
Reggio, passavano il Faro l'anno milletrentotto.[931] Narrano gli
scrittori di parte normanna come l'esercito posto a terra non lungi da
Messina, lentamente marciò in ordinanza vêr la città; donde impetuosi
uscirono i Musulmani, nulla curando il numero dei nemici. Allo scontro
balenavano i Greci, quando Guglielmo di Hauteville soprannominato
Braccio di ferro, condottiero d'uno squadrone normanno, confortati i
suoi con maschie parole, fece sonar la carica: e spronano stretti a
schiera, spezzano i nemici, li volgono in fuga, li inseguono fino ai
ripari; altri aggiugne che occupassero una porta. La città tantosto
s'arrese a Maniace.[932] Ma questa fazione, nella quale non abbiam
cagione di ricusare la virtù normanna, sembra mero combattimento di
vanguardia. I Musulmani in lor guerre di Sicilia non fecero mai
assegnamento sopra Messina, città cristiana; nè mai l'afforzarono; nè
tennervi presidio di momento.
Il nodo della guerra era a Rametta, dove sopraccorso, com'e' pare, il
grosso dell'esercito affricano, stava in sul collo a Maniace da
vietargli di dare un passo nell'isola. Ond'egli andatili a trovare tra
lor gole e precipizii, lor mostrò sè non essere Manuele Foca, nè alcun
sito potersi dir forte senza la virtù degli uomini. Ruppeli con tanta
strage che gli annalisti v'appiccicano l'antica metafora del campo
dilagato dai rivi del sangue.[933] Pur la vittoria poco approdò,
difendendosi ostinatamente gli Arabi Siciliani in lor cittadi e
castella; sì che Maniace non ne occupò più di tredici in due anni.[934]
Della qual guerra spicciolata, non ci avanzano ricordi storici; ma dette
argomento lì su le rive del Baltico a millanterie di veterani,
invenzioni di scaldi e aggiunte di chi venne dopo. Dico dell'Eneide a
lor modo che intesson le saghe con le imprese giovanili di Aroldo il
Severo che poi fu re di Norvegia. Rimondata delle favole, la tradizione
torna a questo: che Aroldo capitanò la squadra dei Varangi nell'esercito
di Maniace; che a lungo combattè in Sicilia contro Arabi del paese e
Berberi; che andò in nave a qualche fazione su la costiera, che prese
qualche terra per impeto d'armi e stratagemmi; e sopratutto che fece
fardello di ricco bottino, mandollo a serbare a corte di Russia e di lì
portosselo a casa. E forse ne rimane qualche briciolo ne' musei di
Copenhagen, Cristiania e Pietroburgo, tra le monete musulmane d'oro
trovate intorno il Baltico, avanzo dei peculii che raccoglieano quegli
svizzeri dell'impero bizantino.[935]
A lungo si travagliò l'assedio di Siracusa, del quale ci si narra il
solo episodio che un condottiero ferocissimo uscito della città quando
appresentossi l'oste di Maniace, fea strazio dei Greci e dei Longobardi,
sì come il lupo suol delle pecore. Mosso a pietà dei fratelli cristiani,
Guglielmo Braccio di ferro cerca nella mischia l'Ettore musulmano;
prende del campo e lo passa fuor fuora con la lancia; al qual colpo
allibbiti que' del presidio, si rifuggono entro le mura, amando meglio a
scagliar sassi e frecce dall'alto, che venire alle strette coi guerrieri
del Nord.[936] Che che ne sia della prova del Braccio di ferro, Siracusa
resistè tanto che i Musulmani rifecero l'esercito e minacciarono gli
assedianti.
Con rinforzi d'Affrica Abd-Allah mise insieme parecchie migliaia, dicon
sessanta, di soldati, bene o male armati;[937] coi quali si accampò
nelle pianure di Traina a settentrione dell'Etna; donde potea correre
per la valle dell'Alcantara a Taormina o per quella del Simeto a Catania
e Siracusa. Fanti la più parte; poichè, venendo a giornata, Abd-Allah
s'affidava nei triboli di ferro seminati a man piene in fronte
dell'ordinanza, non sapendo che i cavalli nemici, ferrati a larghe
piastre, poco o nulla ne sarebbero offesi.[938] Maniace ch'avea dinanzi
la forte e munita Siracusa, nè signoreggiava dell'isola se non che la
costiera orientale,[939] fu costretto tornare addietro per levarsi dalle
spalle il nemico. Pose il campo ad una quindicina di miglia a levante di
Traina, là dove furono nel duodecimo secolo una terra e un'abbadia
addimandate da lui, e il nome vi dura finoggi.[940] Spartito l'esercito
in tre schiere, gagliardamente ferì, aiutato da un vento che dava nel
volto ai nemici, o secondo altri dall'impeto della compagnia normanna,
talchè al primo scontro le turbe dei Musulmani sbaragliaronsi; furono
orribilmente mietute dai vincitori. Abd-Allah campava a mala pena con
pochi seguaci. Seguì questa battaglia nella primavera o nella state del
millequaranta.[941]
Poi s'intese nel campo un bisbiglio che mosse forse a riso i soldati. La
compagnia normanna ubbidiva ad Ardoino lombardo, valvassoro
dell'arcivescovo di Milano, nobil uomo,[942] grande d'intelletto e di
cuore; il quale soggiornando poc'anzi in Puglia, vedendo la gente che
parlava il suo medesimo linguaggio calpestata e mal soffrente il giogo e
trovandosi allato milizia sì valorosa, tra carità ed ambizione, andava
meditando novità contro i Bizantini aborriti e spregiati.[943] Al par di
lui amava i Bizantini la compagnia, la quale in questa guerra era stata
lodata sempre in parole da Maniace e messa innanzi nei pericoli, ma
lasciata addietro nei guiderdoni. Fattole torto nello spartir la preda
dopo la battaglia di Traina, Ardoino andò a querelarsene appo il
capitano, con aspre parole; e quegli che nulla soffriva nè temeva al
mondo, risposegli con brutali fatti: comandò di spogliarlo ignudo e
frustarlo per gli alloggiamenti con corregge di cuoio. Patì l'ignominia
Ardoino; tornossene alle stanze della compagnia; e rattenne chi volea
sciupar la vendetta pigliando l'arme immantinenti contro tutta l'oste
greca. Al contrario, s'infinge rassegnato, ma ch'ei non può rimanere
nello esercito dopo tal onta; e così impetra da un segretario di Maniace
la licenza di tornarsi, egli solo in Terraferma. Avuto in mano lo
scritto, cavalca con tutta la gente; fa diligenza nel cammino; arriva a
Messina; passa lo Stretto, mostrando l'ordine di Maniace;, va a trovare
gli altri condottieri normanni ch'erano rimasi in Terraferma; grida
libertà ai popoli; e attacca il fuoco ch'arse come stoppie la
dominazione bizantina in Italia.[944]
Intanto era surta un'altra discordia. Per mala guardia del navilio
bizantino, Abd-Allah imbarcatosi a Caronia o Cefalù avea riparato in