Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 13

gli diè nome di Iûsuf-abu-l-Fotûh e titolo di _Seif-ed-dawla_, ossia
Spada dell'impero. Il quale gli avea prestato mano forte contro i
ribelli, come il padre al padre di lui; e sapea bene Moezz, che, non
lasciandolo governatore, quei si potea far principe.[659] Bolukkîn, che
il sapeva anco, non si dolse che gli scemassero l'impaccio del governo
civile: che Moezz eleggesse i cadi, e qualche capo di milizia;[660] che
un consiglio degli oficiali pubblici trattasse la somma degli affari ed
egli facesse eseguire le deliberazioni.[661] Assentì anco a più duro
taglio: che fosse posto da Moezz un direttore sul _kharâg_, ed un su le
tasse diverse, entrambi mezzo independenti dal governo d'Affrica;[662] i
quali lungo tempo mandarono moneta in Egitto.[663] Ond'era proprio quel
governo bipartito che la dinastia volle porre in Sicilia e non le venne
fatto. Nè Moezz si promettea di perpetua obbedienza da Bolukkîn;[664]
ma, come fan sovente gli uomini di stato, fruiva del comodo oggi e
rimetteva al domani le cure del pericolo che non si potea cansare.
Assestata così l'Affrica fatemita con un vicerè che comandasse dalle
rive occidentali del golfo di Cabès fin dove potesse verso l'Atlantico,
il cauto Moezz eccettuò Tripoli, Adgâbîa e Sort a mezzogiorno del golfo;
commettendole ad altre mani, per aver libero il passaggio dall'Egitto,
se mai venisse in capo a Bolukkîn di tentar novità. Eccettuò anche la
Sicilia, data da tanti anni e testè confermata ai Beni-abi-Hosein di
Kelb.[665]


CAPITOLO V.

Moezz volle anco far prova a raccogliersi in mano il fren della Sicilia.
Del trecencinquantotto (24 nov. 968, 12 nov. 969), mentre Giawher era in
su le mosse per l'Egitto, si notò che, giunto in Mehdia un oratore
bizantino con ricchi presenti, il califo comandava di smantellare
Taormina e Rametta, ristorate poc'anzi. Il che fu sì grave ai Musulmani
dell'isola[666] che l'appiccarono a consiglio degli Infedeli: come
l'odio pubblico lascia sovente le giuste accuse, e va a trovare le più
assurde. L'emiro Ahmed, temendo peggio che parole, mandovvi con genti il
fratello Abu-l-Kasem e lo zio Gia'far; i quali, accampatisi tra le due
città, le fecero diroccare ed ardere.[667] Era il preludio d'un colpo di
stato; perchè Moezz lo stesso anno richiamò in Affrica Ahmed con tutti i
suoi,[668] il quale volentieri ubbidì. Ei fu preposto al navilio,[669]
ed il cugino Ibn-'Ammâr ad una schiera che si dovea mandare di rinforzo
a Giawher;[670] Mohammed, fratello d'Ahmed, rimase a corte finch'ei
visse, fidato e caro a Moezz sopra ogni altro amico.[671] Manifesto egli
è dunque che ai Beni-abi-Hosein fu promesso alto stato appo il califo in
Affrica o in Egitto; e che Taormina e Rametta furono spiantate perchè le
tenean gli Arabi Siciliani, i quali era mestieri disarmare pria di
offenderli. Ahmed se ne andava dopo sedici anni e nove mesi di governo,
in su la fine del trecencinquattotto (ottobre o nov. 969). Fece uno
sgombero di casa: figliuoli, fratelli, congiunti, famigliari, clientela,
ricchezze, arredi, quanto si potea portar via; caricatone trenta navi
salpò l'emiro per Mehdia. Lasciò un solo liberto del padre, per nome
Ia'isc; al quale Moezz commise il reggimento della Sicilia.[672]
Ma le tribù, leggiamo, assembrate nell'arsenale vennero a contesa coi
liberti di Kotama, li combatterono e ne fecero strage.[673] Le tribù di
certo significano i corpi del giund d'arabi siciliani, ordinati secondo
loro schiatte. Liberti di Kotama, di certo gli stranieri Negri, Slavi,
Berberi e d'altre tribù, e fors'anco rinnegati cristiani di Sicilia o di
Terraferma, che i capi di Kotama aveano manomessi ed armati per
rinforzar loro squadre, troppo poche ormai ai bisogni della dinastia. Nè
parmi abusare il dritto d'interpretazione se aggiungo che il giund
siciliano sì fieramente nimicasse i liberti di Kotama per cagione del
_fei_, creduto suo proprio retaggio, del quale vedea partecipare quegli
usciti di schiavitù; e forse lor erano stati concessi gli stipendii
ricaduti per la partenza dei Kelbiti. Il tumulto par che fosse seguíto
allo scorcio del novecensessantanove.[674] L'arsenal di Palermo sendo
posto nella Khalesa,[675] e' si vede che Ia'isc, perduti i suoi sgherri
entro la stessa cittadella, non ebbe difesa contro i sollevati.
Com'avvenne sempre in Sicilia, il fuoco di Palermo si appigliò subito
alle altre città: ammazzati nelle parti[676] di Siracusa i liberti
kotamii; subbugli e zuffe per tutta l'isola; rotto il freno alle
nimistà: indarno Ia'isc cercò di racchetare gli animi, sospetto com'egli
era, senz'armi nè séguito, onde niuno lo ascoltò. Le milizie trascorsero
a rapine e violenze sopra i terrazzani;[677] dettero addosso alle città
cristiane assicurate:[678] difendendo lor proprii dritti, non ebbero
rispetto agli altrui. La forza fatta ai Cristiani mostra che in fondo si
dolessero della distribuzione del _fei_, e che pretendessero riparare
l'ingiustizia prendendoselo dassè. Moezz, risaputo cotesto scompiglio
quando forse non era spenta la ribellione della tribù di Zenata in
Affrica,[679] ed i Karmati gli minacciavano il recente conquisto
d'Egitto, non si ostinò contro i Siciliani. Deposto Ia'isc, mandò
nell'isola Abu-l-Kasem-Ali-ibn-Hasan, con grado di vicario del fratello
Ahmed; per dar a vedere che non avesse mai pensato a mutare nè gli
ordini nè gli uomini. Al cui arrivo, che seguì il quindici scia'bân del
cinquantanove (22 giugno 970), posarono i tumulti; la colonia lietissima
l'accolse e docile gli ubbidì.[680]
Entro pochi mesi Ahmed, veleggiando con l'armata affricana alla volta
d'Egitto, s'infermava a Tripoli, dove di corto morì. E in novembre del
novecensettanta Moezz scriveva insieme ad Abu-l-Kasem lettere di
condoglianza per la morte del fratello e il diploma d'investitura ad
emir di Sicilia.[681] Lo stato si rassodò nelle mani di quel giusto e
generoso.[682]
Capitò in questo tempo (972-73) in Palermo Abu-l-Kasem-Mohammed-ibn-
Haukal che ci ha lasciato una descrizione della città.[683]
Ibn-Haukal nato a Bagdad in mezzo all'anarchia pontificale,
viaggiò trent'anni (943-76) per genio di studiare i paesi e gli uomini,
e bisogno di mercatare; percorse la più parte degli stati musulmani,
dall'Indo alle spiagge settentrionali d'Affrica;[684] e s'ei non passò
in Spagna, toccò pure la terraferma italiana a Napoli, dove traean per
loro traffichi i Musulmani d'ogni parte del Mediterraneo.[685] La
geografia d'Ibn-Haukal, compilata in parte su gli altrui scritti ed in
parte sul taccuino di viaggio, pecca al solito di preoccupazioni,
giudizii precipitosi, fatti facilmente creduti all'altrui ignoranza o
passione: opera d'ingegno non esercitato in scienze nè lettere; pur v'ha
un tal senno mercantile che dà nel segno discorrendo le cose pubbliche;
e se ne cavano genuini ragguagli su gli itinerarii, le usanze, le
derrate, le entrate pubbliche e gli ordini amministrativi. Della Sicilia
Ibn-Haukal altro non dice, se non essere lunga sette giornate di cammino
e larga quattro, tutta abitata e coltivata, montuosa, coperta di rôcche
e di fortezze, ed esserne Palermo metropoli e sola città importante per
numero di abitatori e fama nel mondo. E di Palermo discorre più e meno
del bisogno; tacendo i fatti economici che suol andar notando per paesi
anco minori e che son forse perduti con un opuscolo ch'egli intitolò: “I
Pregi dei Siciliani,” ovvero con un altro libercolo o capitolo della
Geografia, del quale ci è sol rimaso qualche frammento.[686]
La pianta di Palermo, ch'agevolmente si può delineare con questa scorta
e coi ricordi archeologici, ritrae le vicende essenziali della Sicilia
fin dal conquisto musulmano e la sorte della colonia che si bilanciava
tra una virtù e un vizio. Virtù di accentramento e civiltà; vizio di
divisione: le schiatte, le classi, le religioni, per mutuo sospetto
separate d'animi e di soggiorno; onde ne crescea tanto più la ruggine
tra loro. Che se furon tali tutte le metropoli del medio evo, Palermo nè
anco serrava i cittadini in un muro e una fossa. Spartivasi, dice
Ibn-Haukal, in cinque regioni (_hârât_); ma poi chiama cittadi[687] due
di quelle, come bastionate e vallate ciascuna dassè. L'una, detta
Cassaro (_Kasr_); la vera, ei nota, ed antica Palermo, afforzata d'alte
e robuste muraglie di pietra, fiancheggiata di torri, abitata dai
mercatanti e dalla nobiltà municipale.[688] L'altra, la Khâlesa, cinta
di minor muro, soggiorno del sultano e suoi seguaci, non avea mercati nè
fondachi, ma bagni, oficii pubblici, l'arsenale, la prigione. Più
popolosa e grossa che le due solenni città del municipio e del governo,
la regione non murata detta delli Schiavoni, dava stanza alla marineria
ed ai mercatanti stranieri che traeano in Palermo.[689] Eran altresì
aperte, e non dissimili l'una dall'altra, le Regioni Nuova e della
Moschea, le quali racchiudeano i mercati e le arti: cambiatori,
oliandoli, venditori di frumento, droghieri, sarti, armaiuoli, calderai,
e via dicendo ciascun mestiere dassè, diviso dal rimanente; se non che i
macellai teneano oltre cencinquanta botteghe in città[690] e molte più
fuori. Due contrade, ch'Ibn-Haukal intitola regioni senza porle nel
novero delle cinque, si addimandavano dei Giudei e di Abu-Himâz.
Similmente il _Me'sker_, che suona Stanza di soldati, par fosse ricinto
a parte.[691] I sobborghi che serbavan vestigia dei guasti durati nelle
guerre dell'independenza, correano a scirocco frammezzo ai giardini fino
all'Oreto, ove si sparpagliavano su la sponda; ed a libeccio salivano
dal _Me'sker_ in fila continua fino al villaggio di Baida.[692] La
postura delle regioni si ravvisa di leggieri. Il Cassaro in mezzo, in
forma di nave che volgesse la prora a tramontana. Come ancorata per
traverso, a greco, la Khâlesa; da levante a libeccio la Regione della
Moschea, la Regione nuova e il _Me'sker_: gli Schiavoni, in linea
paralella al Cassaro, dal lato di ponente.
Il mare, sì come è manifesto, entrando per una stretta foce che non è
punto mutata, disgiungea la Khâlesa dalla estremità settentrionale delli
Schiavoni; e imbattendosi nella punta del Cassaro, si fendeva in due
bacini o lagune; dei quali su l'occidentale era costruito nelli
Schiavoni il porto di commercio; su quel di levante nella Khâlesa,
l'arsenale. Se mai nell'antichità le lagune bagnarono tutti i fianchi
della città, erano rattratte nel decimo secolo al tronco e ai due
bacini; di che resta, dopo novecent'anni, il sol tronco detto la
Cala.[693] Perchè scrive Ibn-Haukal che parecchi grossi rivi, ciascuno
da far girare due macine, frastagliavano tutto il terreno tra il Cassaro
e li Schiavoni; e dove offrian comodo ai mulini, dove si spandeano in
laghetti, dove facean paduli che vi crescea la canna persiana o vi si
coltivavan piante d'ortaggio.[694] “Tra così fatti luoghi, ei dice, è
una fondura coperta del papiro da scrivere, ch'io pensai non venisse
altrove che in Egitto, ma qui ne fabbricano cordame per le navi e quel
po' di fogli che occorrono al sultano.” E però non sembra inverosimile
che sia di Sicilia, anzi che d'Egitto, il gran papiro con lettere
arabiche a mo' di marchio di manifattura, sul quale è scritta una bolla
di Giovanni ottavo a pro dell'abbadia di Tournus in Francia, data il
primo anno di Carlo il Calvo imperatore (875) e serbata nella Biblioteca
di Parigi.[695] La pianta egiziana ministra dell'antico sapere, recata
forse dai Greci a Siracusa e dagli Arabi in Palermo, crebbevi oziosa
fino al secol decimo sesto, quando, prosciugato lo stagno, gli rimase il
nome e si chiama anch'oggi il Papireto.
Invece di paduli ed umili culture, la campagna di levante lussureggiava
d'orti e giardini da diletto su le sponde dell'Oreto, che s'addimandava
Wed-Abbâs, e così infino ai tempi normanni e svevi;[696] ma oggi ha
ripigliato il nome classico. Salivano i giardini e si mesceano ai
vigneti presso il villaggio di Balharâ,[697] voce indiana,[698] vinta
adesso dalla latina appellazione di Monreale, presso il quale giaceva
una miniera di ferro, posseduta prima da un di casa d'Aghlab ed or dal
sultano che adoperava il metallo alle costruzioni navali. Il fiume
volgea gli altri mulini abbisognevoli a sì gran popolo. E scende
Ibn-Haukal a rassegnare le scaturigini d'acqua della città e dei
dintorni, delle quali alcuna serba il nome;[699] ma egli ne tace due di
nome arabico, onde sembrano scoperte nell'undecimo secolo.[700] Contro
l'opinion comune, e' si vede che i Musulmani di Palermo sciupavan tanto
tesoro di acque. Ibn-Haukal, nato in sul Tigri, chiama pure il Wed-Abbâs
gran riviera, onde fa supporre che lo ingrossassero tante polle oggi
condotte ad uso della città.[701] Nè dimentica che del territorio parte
fosse adacquata con canali, parte delle sole piogge si come in Siria.
Fecegli maggiore meraviglia che li abitatori della parte orientale del
Cassare, della Khâlesa e dei quartieri di quella banda, bevessero la
greve acqua di lor pozzi. Donde è manifesto che non si debba riferire
alla dominazione musulmana quella egregia economia idraulica che in oggi
dà acque correnti in tutte le parti della città, fino ai piani più alti
delle case. Risguardando alle voci tecniche dei fontanieri di Palermo
che son mescolate greche, latine ed arabiche, si scopre l'opera comune
delle tre schiatte unite sotto i Normanni: e però differiamo a trattarne
nell'ultimo libro.
Venendo ai monumenti, Ibn-Haukal notava la Moschea _giâmi'_ del Cassaro,
una volta tempio cristiano; nella quale serbavansi, al dire dei logici
della città, le ossa d'Aristotile; ma ei non si fa mallevadore che
d'aver visto il feretro, appeso in alto, e udita la tradizione che gli
antichi Greci solessero impetrare miracoli dalle ceneri del filosofo in
tempi di siccità, pestilenze o guerra civile. Donde è libero il campo a
porre il mito e il monumento innanzi o dopo l'èra cristiana;
richiamandoci il nome all'antichità, forse al culto d'Empedocle, ma la
qualità ed uso del santuario s'adattan meglio alla pietà cristiana; e la
medesima tradizione riferita da Bekri dà, invece d'Aristotile, il nome
di Galeno, che da Roma andasse a trovare i Cristiani in Siria, e fosse
morto, in viaggio, in Sicilia[702]. Nè sembra strano che alla dedizione
di Palermo si fosse pattuito di lasciare in piè tutta o parte la chiesa;
e che quando la fu mutata affatto in moschea, i nuovi padroni, tra
credere e non credere, avesser lasciato sì comodo palladio in qualche
cantuccio fuor l'edifizio; che esempii v'ha di chiese bipartite tra le
due religioni nei primi conquisti; e non meno di superstizioni
reciprocamente tolte in prestito non che tollerate, quando si rattiepidì
lo zelo[703]. Il Cassaro, ovale, era tagliato nell'asse maggiore dalla
strada dritta ch'oggi ne ritiene il nome, la quale s'appellava _Simât_
diremmo la “Fila:” chè tal era, di fondachi e botteghe, e, raro pregio
nel medio evo, tutta selciata. Avea la città vecchia nove porte, delle
quali si riconosce il sito;[704] ed una era quella che, in grazia
d'esotiche lettere intagliate su l'arco e in un minaretto vicino, fu
creduta infino al secol passato opera dei fondatori ebrei o caldei di
Palermo. Demolita la porta e il minaretto da un vicerè spagnuolo;
serbati da dotti del paese i disegni dei caratteri che inghirlandavano
il minaretto, ancorchè trasposti e mutili, come s'erano mescolate e
perdute in parte le pietre, ognun vi scorge una bella e severa scrittura
cufica, e se ne può accozzare la data del quarto secolo dell'egira e tre
versetti del Corano, di quei soliti a porre nelle moschee.[705] La
Khâlisa avea mura senza altre porte che quattro dal lato di terra, a
mezzogiorno. Sorgeano fuor le mura, credo del Cassaro, in sul bacino di
levante i _ribât_, come chiamavansi nelle città di confine le stanze dei
volontarii spesati su le limosine legali o su lasciti pii, per uscire in
guerra contro gli Infedeli; la quale genía, come si allargò e corruppe
l'islamismo, somigliava ormai per la disciplina ai ribaldi negli
eserciti feudali, e per l'ozio ai frati mendicanti nei paesi che n'han
troppi. Molti _ribât_, dice Ibn-Haukal, sono in Palermo in riva al mare,
pieni zeppi di sgherri, scostumati, gente di mal affare: vecchi e
giovani, perversi e infingardi, mascherati di devozione per carpir la
moneta e intanto svergognar le donne oneste, fare i mezzani e peggior
brutture; riparati colà per non aver condizione nè pan nè tetto.
A computare il numero degli abitatori, Ibn-Haukal ci dà questo bandolo:
che la moschea de' beccai, un dì che v'erano ragunati tutti con lor
famiglie e attenenti, racchiudea da settemila persone. La quale arte
stando negli odierni censimenti della città a tutta la popolazione come
uno a cento, il numero tornerebbe nel decimo secolo a settecentomila; e,
fattavi pur grossa tara per le mutate condizioni, non si può ragionar
meno di trecento o trecencinquanta mila anime.[706] A ciò ben s'adatta
l'altro dato delle cinquecento moschee ch'erano in Palermo, delle quali
tre quinti nella città vecchia e grosse regioni e due quinti nei
sobborghi: moschee tutte acconce e frequentate, tra pubbliche, di
corporazioni e di privati. Nè Ibn-Haukal tante ne avea viste mai in
cittadi uguali e maggiori; nè sapea trovarne riscontro se non a Cordova,
il numero delle cui moschee gli era stato raccontato, ma in Palermo
l'avea ritratto con gli occhi suoi proprii e tutti i cittadini gliel
confermavano. Cordova in vero, decaduta nel decimoquarto secolo, ebbe da
settecento moschee[707] e poco meno Costantinopoli fino al decimosettimo
secolo.[708]
Dalla quale sovrabbondanza Ibn-Haukal cava argomento di riprendere i
Palermitani che ciascuna famiglia per superbia e vanità volesse la sua
cappella particolare, fin due fratelli che abitavan muro a muro. E narra
che un Abu-Mohammed oriundo di Cafsa, giurista in materia di
contratti,[709] arrivò a fabbricare vicino a venti passi alla propria
una moschea pel figliuolo, affinchè vi desse lezioni di dritto. Notato
poi che più di trecento pedagoghi insegnavan lettere ai giovanetti,
v'appicca la chiosa che eleggean tal mestiere per iscusarsi dalla guerra
sacra, anche in caso d'irruzione del nemico; ch'e' si vantavano di
probità e di religione e facean da testimonii nei giudizii e nei
contratti; ma in fondo nulla era in essi di bello nè di buono. Nè era in
alcun altro. In fatti, il cadi Othman-ibn-Harrâr, uom timorato di Dio,
conosciuti alla prova chi fossero i suoi concittadini, avea ricusato lor
testimonianze, grave o leggiero che fosse il caso; onde s'era messo a
terminar tutte le liti con accordi; e infermatosi gravemente ammonì chi
dovea prendere il magistrato non si fidasse d'anima vivente. Al quale
succedette, continua Ibn-Haukal, un Abu-Ibrahim-Ishak-ibn-Mâhili, che
fece ridir di sè molte scempiaggini.[710] Che più, se non usano la
circoncisione, nè osservano le preghiere, nè pagan la limosina legale,
nè vanno in pellegrinaggio; e appena avvien che digiunino il ramadhan e
che facciano il lavacro in un sol caso! E scaglia la sentenza: non
essere in Palermo begli ingegni, nè uomini dotti, nè sagaci, nè
religiosi; non vedersi al mondo gente meno svegliata, nè più
stravagante; men vaga di lodevoli azioni, nè più bramosa d'apprendere
vizii.
Ma si tradisce col filosofare: che la radice di tanto male è il gran
mangiar che fanno di cipolle crude, mattina e sera, poveri e ricchi;
ond'han guasto il cervello e ammorzato il senso.[711] In prova, ecco,
bevon dei pozzi anzichè cercar le dolci acque correnti; al ragionar con
essi t'accorgi c'han le traveggole; nel guardarli vedi alla cera la
complessione intristita. Ghiottoni, che non si sgomentano a puzzo di
cibi. Sudici di loro persone, da far parer mondi i Giudei. Allato al
negrume di lor case diresti bigio un focolare. Nelle più splendide, vedi
correre i polli e sconciare la stanza e fino i guanciali del padrone.
Arroge che in Sicilia il frumento non si serba da un anno all'altro; e
sovente, sì malvagio è l'aere, inverminisce su l'aia.
Il tempo è passato che scrivendo la storia si prendea battaglia per
simili argomenti, e che la carità patria, bamboleggiando, avvampava sol
nelle inezie. Pur non debbo ricusare ai miei concittadini musulmani di
nove secoli addietro il giusto giudicio, secondo parer mio, come farei
pei Medi o i Cinesi. Dico dunque che la storia letteraria della Sicilia
dalla metà del decimo alla metà del duodecimo secolo non mostra nè
ingegni grossi nè studii negletti; e Ibn-Haukal medesimo cel dà a vedere
quando ricorda i logici che favellavano d'Aristotile, i trecento maestri
di scuola e le tante moschee, parte delle quali serviva, come ognun sa,
agli studii ch'or diciamo universitarii. Certamente, nel secolo che
corse da Ibn-Haukal alla guerra normanna la cultura progredì sotto i
Kelbiti; ma non poteva giacer sì bassa al suo tempo. Lo stesso penso
dell'incivilimento esteriore, che pur era sì notevole nella detta guerra
e dopo, come l'attesta qualche poesia d'Ibn-Hamdîs, al par che una
geografia anonima,[712] e Ibn-Giobair e Ugone Falcando e con essi tutta
la storia della dominazione normanna. Quanto alle virtù religiose
secondo lor setta, le meno importanti si son viste nelle biografie dei
devoti: la primaria, ch'era il genio guerriero, splendè in due
nobilissime vittorie riportate, l'una pochi anni innanzi a Rametta sopra
l'impero bizantino, l'altra pochi anni appresso in Calabria sopra Otone
secondo. Però l'aspra censura è accozzata, come per lo più avviene,
d'errori e di verità. Errore fu d'Ibn-Haukal, che, praticando coi
mercatanti del paese, ritrasse la nobiltà, i dottori e la plebe con
tutte le sembianze che quei lor davano per invidia di classe. Errore,
ch'ei condannò come vizii fisici e morali tutte le qualità insolite
ch'ei notava in quei Musulmani misti di sangue greco e latino; mezzo
stranieri ai lineamenti del volto, alla carnagione, alla pronunzia, agli
usi, nè ben domati a tutte pratiche dell'islamismo. Verità era il
fermentar dei molti elementi eterogenei di che si componea la
popolazione della Sicilia e sopratutto di Palermo: tante schiatte;
islamismo e avanzi palesi o latenti di cristianesimo; diritti civili
disuguali, ricchezza e miseria, violenza guerriera e industria; torre di
Babele, in cui doveano pullulare superbia, rancori, abiezione e infinite
piaghe sociali. Se molte n'esagerava nella sua mente il buon mercatante
di Bagdad, molte pur ne toccava con mano.
E in Sicilia non solo, ma in Spagna, ma in tutti gli stati musulmani del
Mediterraneo. A leggere i suoi scritti lo si direbbe disingannato e
dispettoso del non aver trovato in Ponente la virtù civile che mancava a
Bagdad; come i mali proprii s'appongon sempre al destino, e gli altrui a
chi li patisce. Similmente avviene che giudicando gli stranieri si vegga
in molte cose la superficie, si sconoscano le virtù, ma s'imbercin
diritto i vizii fondamentali; il che mi par abbia fatto Ibn-Haukal nella
descrizione generale del Mediterraneo. Toccando quivi di Cipro e Creta:
“Le tennero” ei dice “i Musulmani, i figliuoli dei combattenti della
guerra sacra; ma l'invidia e la crudeltà invasaron cotesti popoli, al
par che que' dei Confini dell'impero, della Mesopotamia e della Siria;
proruppe tra loro il mal costume, la iniquità, l'ingordigia, la
discordia, la perfidia, l'odio scambievole; sì che costoro apriron la
strada ai nemici e serviranno d'ammonimento a chi ben consideri gli
eventi.”[713] E pria di terminare il capitolo: “In oggi,” ripiglia, “i
Rûm offendono i Musulmani con ogni maniera di scorrerie su le costiere
di questo mare, e fan preda di nostre navi d'ogni banda; nè abbiam chi
ci aiuti nè ci difenda. Abietti si calano i nostri principi, pieni
d'avarizia e di superbia in casa; i dotti non curano nè intendono, ti
danno responsi comentando come a lor piace, nè pensano a Dio nè alla
vita futura; pessimi i mercatanti, non rifuggon da cosa illecita nè reo
guadagno; i devoti balordi, pronti a voltar casacca, fanno cammino in
ogni calamità e spiegan la vela ad ogni vento: e però i confini e le
isole rimangono in balía dei nemici, e la terra si lagna con Dio della
iniquità di cui la tiene.”[714]


CAPITOLO VI.

In questo tempo l'amistà di Moezz con Niceforo par abbia preso quella
sembianza di lega che i cronisti occidentali rinfacciano all'impero
bizantino. Già da parecchi anni Otone primo, cominciava a colorire i
disegni sopra l'Italia meridionale, come accennammo; profferiva da
sovrano feudale aiuti a Pandolfo Capo di ferro principe di Capua e
Benevento contro Niceforo rivolto al racquisto della Puglia; tentava
senza frutto di tirare a sè il principe di Salerno; d'ottobre del
sessantotto correa con incendii e rapine i confini di Calabria e dello
stato salernitano; accattava forze navali dai Pisani che poco appresso
si veggono combattere in Calabria;[715] di marzo del sessantanove
incalzava l'assedio di Bari tenuta dai Bizantini; e in quel torno
inviava aiuti a Pandolfo, che fu vincitore e poi vinto a Bovino.[716] La
pratica del matrimonio del figliuolo con la principessa greca Teofano,
anzichè comporre, rinvelenì gli animi (giugno ad ottobre 968) per la
perfidia che v'odorò la corte bizantina, la ingiuria che incontrò a
Costantinopoli l'ambasciatore Liutprando, e il vero o supposto
tradimento dei Bizantini che dettero addosso in Calabria alle genti di
Otone quando liete veniano a ricever la sposa (969). Seguirono dunque in
Puglia tra le armi de' due imperi parecchi scontri che non occorre
divisar qui.[717] Nell'un dei quali forse il novecensessantotto due
Landolfi, fratello e figliuolo di Pandolfo Capo di ferro, combatteano in
Ordona contro i Greci e i Musulmani uniti insieme e metteanli in fuga;
ma il giovane Landolfo vi toccò una ferita.[718] Atto figliuol del
marchese Trasimondo di Spoleto, del novecensettantadue, ruppe un capitan
musulmano Bucoboli, e inseguillo infino a Taranto:[719] forse ausiliare
mandato da Moezz pria della morte di Niceforo Foca; forse capitan di
ventura ai soldi del principe di Salerno, o della repubblica di Napoli,
la quale era stata poc'anzi (970) assalita da Otone.
Ma Zimisce, ucciso Niceforo (11 dicembre 969) e salito sul trono, fermò
la pace con Otone e le nozze di Teofano col figliuolo;[720] talchè
mancava una ragione dell'accordo tra Costantinopoli e i Fatemiti. Svanì
l'altra ragione per le vittorie di Zimisce in Siria e di Moezz sopra i
Karmati; donde tolti via i nimici comuni, cominciarono l'un contro
l'altro a digrignare.[721] Morirono poi entrambi entro due settimane (24
dicembre 975, 7 gennaio 976); e ricaduto l'impero bizantino in gare di
corte e guerre civili, non seguirono altri effetti contro i Fatemiti, ma
non si rappiccò nè anco la pace. In Puglia intanto eran già venuti alle
armi. Del novecensettantacinque uno Zaccaria, che par greco al nome,
avea preso Bitonto, ucciso prima Ismaele, musulmano al nome, condottier
ausiliare o di ventura.[722]
L'ardimento di sbarcar non guari dopo a Messina, mostra che i Bizantini
andassero co' nuovi contro i vecchi amici. Tornano a questo tempo i
preparamenti navali di Niceforo, _maestro_, come s'intitolò, di
Calabria, il quale, secondo legge bizantina, fece armare salandre a
spese delle città per difender le costiere e assaltare la Sicilia; e
tanto aggravò quei di Rossano, ch'arser le navi e ammazzarono i
protocarebi; e il governatore, dopo molte minacce, perdonò loro a
intercessione di San Nilo il giovane, o perchè non era agevol cosa a
punire.[723] Sembra che coi Bizantini si siano accozzati i Pisani, testè
venuti in Calabria ai servigi dell'Impero, e che abbian fatto l'impresa
con forze navali soltanto. Occupavan Messina alla prima. Sopracorreavi
Abu-l-Kâsem con l'esercito siciliano e gran compagnia di dotti e
virtuosi cittadini, scrive Ibn-el-Athîr, quasi a smentire Ibn-Haukal.
Del mese di ramadhan del trecensessantacinque (mag. 976) entrava nella
città, dove i nemici non l'aspettarono. Inseguendoli pertanto di là
dallo stretto, risalì con le genti fino a Cosenza; la quale assediò
parecchi giorni; e chiestogli l'accordo per danaro, assentì; e andò a
porre la taglia nella stessa guisa alla rôcca di Cellara, indi ad altre
terre. Mandava intanto il fratello Kâsem con l'armata su le costiere di
Puglia,[724] commettendogli di spingere le gualdane giù per la Calabria
ov'ei guerreggiava col grosso delle genti.[725] I Musulmani assaliron
Gravina in Puglia, che fu indarno, al dir d'una cronica latina; al dir