Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 11
E però era già surto un principato di Sicilia: senza decreto nè
plebiscito che potesse registrarsi dai cronisti, ognuno ormai sel
vedeva. Ibn-Haukal, venuto in Palermo del trecentosessantadue (972-3),
parla del palagio ove albergava il Sultano; la qual voce è usata già
dagli scrittori del decimo secolo per designare principi di fatto,
riconosciuti o no dal califo: e veramente ella ha valore radicale di
violenza; e quando il tempo onestò la cosa e il nome e mutò questo in
titolo pubblico, significò impero privo della sacra potestà dei
califi.[529] Sia che Ibn-Haukal abbia ripetuto la voce Sultano perchè la
sentiva in Palermo, o che l'abbia detto dassè per definire l'ordine di
cose che toccava con mano, l'attestato è di gran momento collimando con
lo scopo della rivoluzione divampata in Sicilia tre anni prima, e col
ritratto delle vicende che seguirono fino alla metà dell'undecimo
secolo. Dal novecensettanta in poi non muovon d'Affrica nè d'Egitto
eserciti che combattano in terraferma d'Italia, non che in Sicilia,
insieme coi Musulmani dell'isola. I Siciliani, quando lor pare,
depongono un emir kelbita e ne scelgono un altro nella famiglia. Che se
il califo manda tuttavia al designato dall'emir predecessore, o dal
popolo, un diploma, con le insegne dell'oficio e col titol sonante di
Corona dell'Impero, Spada della Fede e simili, ciò significa soltanto
che la Sicilia riconoscea pontefici i fatemiti. Nè monta il nome loro
stampato nelle monete siciliane fino alla metà dello undecimo secolo.
Abbiamo notato più volte che nel medio evo i Musulmani tenesser poco
conto di tal regalia, sì gelosamente custodita dai principi cristiani.
Inoltre il nome dei Fatemiti dava corso più largo al conio siciliano nei
frequenti commerci con l'Affrica e l'Egitto, per la qual ragione non
ebbero scrupolo a contraffarlo o imitarlo i principi longobardi di
Salerno.[530] Ma niuno sosterrà che l'isola obbediva al califo fatemita
Daher o Zâhir (1021-1036) perchè v'abbian di lui e del successore tante
monete battute in Palermo,[531] quando i lor nomi non si ricordano punto
nè poco nella sollevazione contro i Kelbiti; nè que' califi se ne
dierono briga; nè pensò a loro la casa kelbita, nè alcuna delle fazioni
che agognavano al potere dello Stato: anzi una parte che cercò aiuti di
fuori, si volse agli emiri zîriti d'Affrica, minacciando, s'e'
ricusavano, di chiamare a dirittura i Bizantini.
Aiutaron cotesta emancipazione della Sicilia, la potenza dei Kelbiti a
corte, com'abbiam detto; il tramutamento della sede fatemita, da Mehdia
al Cairo; le guerre orientali dei primi califi d'Egitto; la pazzia e
debolezza degli altri; la emancipazione contemporanea dell'Affrica. Pur
la cagione principale fu che i Siciliani voleano. Raro avvien che
rimangano frustrati i popoli quando fermamente si propongano e
tenacemente procaccino di scuotere il giogo: che se una generazione
fallisca, per colpa propria o fortezza del nemico, un'altra coglierà il
nemico sprovveduto e avvolto in alcuna delle brighe che non mancano mai
agli oppressori; e vincerà, forse senza combattere. Il sangue sparso per
sessant'anni, fruttò alla Sicilia che nel novecenquarantotto, col romor
d'un tumulto, riebbe l'emir generale; e nel novecensettanta, con breve
guerra, si sciolse dall'arbitrio del califo nelle elezioni: che è a dire
salì al sommo grado di libertà d'un popolo musulmano. E prima vi sarebbe
giunta la colonia, se non fosse stato per le divisioni etniche,
municipali e sociali, che sempre la dilaniarono.
CAPITOLO II.
Fin dalla morte del Mehdi, o vogliam dire dalla rivolta di Girgenti,
l'impero bizantino non soddisfaceva il tributo di Calabria;[532] le
città assicurate di Sicilia lo avean anco smesso negli ultimi tempi. Ma,
risaputo come Hasan dava sesto alla cosa pubblica, venne tosto in
Palermo un frate a recare i decorsi di tre anni da parte di qualche
città.[533] Altre di Sicilia o di Calabria che nol fecero, furon punite
dal novello emiro con aspre correrie; onde chiesero aiuti a
Costantinopoli.[534] Dove rimase inaspettatamente padrone il
Porfirogenito, gli parve indegno della maestà imperiale pagar quel
tributo ai Barbari. Sforzandosi, quanto il poteva un picciolo ingegno ed
una natura inerte, a ristorare gli ordini della civiltà romana ch'egli
avea studiato su i libri ed affastellato in sue compilazioni, Costantino
Porfirogenito non lasciò da canto l'amministrazione militare, nè la
disciplina; di che tornò qualche frutto all'impero, ed egli molto più se
ne prometteva. E però mandava in Italia, in vece d'oratori col tributo,
que' che gli parean capitani e soldati. I quali alla prima si diedero a
maltrattare e taglieggiare i sudditi, peggio che non avrebbe fatto il
nemico.[535]
Hasan, dal suo canto, com'ei seppe sbarcati i Bizantini ad Otranto,
chiese rinforzi. Mandatigli da Mansûr settemila cavalli e tremila
cinquecento uomini da piè, oltre i soldati d'armata e le navi da guerra
e da carico, giugneano in Palermo, il due luglio novecencinquanta,
condotti dal liberto schiavone Farag-Mohadded. L'esercito siciliano era
in punto; sì che a' dodici luglio poderoso sforzo mosse per mare e per
terra alla volta di Messina, sotto il comando di Hasan. Immantinenti,
valicato lo stretto, assalirono Reggio, cui trovaron vota di abitatori.
Hasan spargeva i cavalli a far preda intorno; andava egli col grosso
delle genti all'assedio di Gerace; davale indarno aspri assalti; e già
la riducea, tagliatole l'acqua da bere, quando ebbe nuove dell'esercito
bizantino che venisse a trovarlo. Perlochè, composto coi Geracini e
presone danari e statichi, raccolti i suoi, mosse contro i Greci; i
quali precipitosamente si rifuggirono ad Otranto e Bari. Hasan,
inseguendoli, poneva il campo sotto Cassano; infestava i dintorni.
Combattuta per un mese la città senza frutto, e sopravvenuto l'inverno,
fe' l'accordo come a Gerace; ripassò il Faro; lasciò l'armata a svernare
nel porto di Messina; ed ei tornò alle stanze in Palermo.[536] I patti
di Gerace e Cassano sembrano tregua per un anno, comperata con una
taglia che si pagava parte in contanti, e si davano gli statichi in
sicurtà del resto.[537]
S'adunavano intanto in Calabria le armi bizantine, che l'anno innanzi o
non eran tutte passate in Italia, ovvero avean osteggiato i dominii
beneventani in Puglia, ove occuparon Ascoli.[538] L'armata obbediva ad
un Macrojoanni, o diremmo noi Giovanni il Lungo; l'esercito, che fu
grosso se non valido, al patrizio Malaceno, col quale si accozzarono le
genti di Pasquale stratego di Calabria[539] Hasan, per comando del
califo, riassaltava la terraferma in primavera del novecencinquantadue.
L'otto maggio, che fu quell'anno tra i dì festivi alla Mecca,
scontravansi i due eserciti sotto Gerace: della quale battaglia gli
annali arabici dicono non essersi unque vista più aspra e fiera; gli
annali greci attestano averne il nemico riportata nobilissima vittoria;
e par torni a questo, che i Cristiani avean l'avvantaggio del numero, i
Musulmani degli ordini e della fiducia nel capitano,[540] il valore si
pareggiava. Li sbaragliati poi, sfrenatamente fuggirono; inseguendoli i
Musulmani infino a notte, con grande strage, cattura d'uomini, preda
d'armi, cavalli, bagaglie: e a mala pena camparono il patrizio e lo
stratego.[541] Le teste degli uccisi mandate a trionfo nelle varie città
di Sicilia e d'Affrica, come tuttavia porta il brutto costume degli
Arabi. Hasan strinse d'assedio Gerace, che di nuovo fe' bella difesa,
non ostante la mancata speranza d'aiuti. Pur Costantino mandava il
segretario Giovanni Pilato all'emir di Sicilia; il quale, notano i
Bizantini, non s'inebbriando nelle vittorie, assentì la tregua.[542]
Fermossi nella state del cinquantadue; e sembra limitata dapprima a
Gerace, poi resa comune a tutti i luoghi di Calabria che obbedivano
all'imperatore, e stipulatovi il solito patto del tributo e di più la
tolleranza del culto musulmano. Uno stuolo mandato da Hasan saccheggiava
intanto Petracucca, come par si chiamasse a quel tempo una grossa terra
tra i capi di Spartivento e di Bruzzano.[543] Altri assalivano un'altra
terra, non sapremmo dir se Roseto su i confini della Calabria con la
Basilicata, ovvero le isole di Tremiti, presso il Gargano:[544] e si
nota in questo medesimo anno saccheggiato il santuario del Gargano e
infestati parecchi luoghi dello Stato di Benevento.[545] I prigioni di
Petracucca e di Roseto, o Tremiti, che furon molti; andavano di Sicilia
in Affrica; e con essi, incatenato il capitano, del navilio musulmano,
per nome Abu-Mehell; il quale, giunto a Mehdia, era punito con l'estremo
supplizio. S'ignora il delitto: se infrazion della tregua, se peculato
sul bottino; che è più verosimile.[546]
Mentre i suoi infestavano le costiere dell'Adriatico, Hasan,
ritrattossi da Gerace a Reggio, apriva[547] nel bel mezzo della
città una moschea; cospicua al minaretto spiccantesi in alto da un
angolo, perchè tutti il vedessero e ne sentissero la cantilena del
muezzin. Stipulò in fatti libero ai Musulmani l'appello alla preghiera e
ogni altro rito pubblico; che cristiano non mettesse mai piè nella
moschea; che la desse legittimo asilo ad ogni musulmano, anche prigione
di guerra ed anche fatto cristiano, al quale paresse di rifuggirvisi. E
minacciò che, sapendo tolta, non che altro, una pietra della moschea di
Reggio, farebbe diroccar le chiese cristiane per ogni luogo di Sicilia e
d'Affrica. I quali patti, i Cristiani umilmente osservarono, scrive
tutto lieto Ibn-el-Athîr; ignorando che la moschea di Reggio non durò
oltre quattro anni.[548] E preoccupato del gran dispetto degli Infedeli,
passò sotto silenzio la vera importanza del fatto: il civil pensamento
di Hasan ad usar la vittoria in favore del commercio, ch'era operoso al
certo tra la Sicilia e la Calabria e molto più potea progredire con la
tolleranza dell'islamismo a Reggio. Non guari dopo l'impresa di
Calabria, venuto a morte Mansûr (marzo 953), e rifatto califo il
figliuolo Abu-Tamîn-Ma'àd, che fu soprannominato Moezz-li-dîn-illah,
l'emiro Hasan andava a corte a Mehdia; lasciato al governo della Sicilia
il proprio figlio Abu-Hasan-Ahmed. E Moezz ratificava: il quale atto
riferiscono i cronisti con parole diverse; ma la somma è che il califo
lasciò l'emirato ad Hasan con sostituzione d'Ahmed in caso d'assenza e
di morte.[549] Segnalatissimo favore, da potersi comprendere col bisogno
che avea Moezz del vincitor di Gerace per l'impresa d'Egitto, la quale
poi si differì. Dovea forse combattervi l'esercito affricano, tornato di
Calabria in Sicilia, il quale ripassò in Affrica poco dopo il viaggio di
Hasan.[550]
Mentre si pensava a tal conquisto, l'emiro andò ad audace fazione in
Spagna. Era occorso che spacciato un corriere di Sicilia in Affrica con
lettere per Moezz, s'imbattè in una nave di mole non più vista in que'
tempi, fatta costruire da Abd-er-Rahman califo omeiade di Spagna e
mandata a mercatare in Egitto; le genti della quale detter di piglio
piratescamente al legnetto siciliano, nè rispettarono gli spacci. Il che
risaputo da Moezz, commetteva ad Hasan di far la vendetta con l'armata
di Sicilia. Entrato nel porto d'Almeria, l'emir bruciò quanti legni
v'erano; prese il naviglio che avea fatto l'insulto, tornato già
d'Alessandria con ricche merci e giovani cantatrici per Abd-er-Rahman;
poi sbarcò, messe Almeria a sangue ed a ruba; e salvo si ridusse a
Mebdia. Due correrie delli Spagnuoli su le costiere d'Affrica mal
rendeano la pariglia; essendosi combattuto con varia fortuna. Seguì
l'assalto d'Almeria l'anno trecenquarantaquattro (26 aprile 955 a 13
apr. 956).[551]
Maggior guerra richiamò Hasan in Sicilia. La tregua coi Bizantini, era
stata rinnovata il cinquantaquattro forse per altri due anni, venuto a
ciò in Palermo un frate Assiropulo.[552] Ma Costantino, mal soffrendo
sempre il tributo, e rinfrancato dal valore che cominciavano a mostrare
i suoi contro i Musulmani dell'Asia Minore, volle ritentar la fortuna in
Italia. Mandovvi le soldatesche di Tracia e Macedonia col patrizio
Mariano Argirio, e l'armata che ubbidiva a due capitani minori, Crambéa
e Moroleone, il novecencinquantasei,[553] quando spirava la tregua.
L'Argirio cominciò da Napoli, notata allora a corte come ribelle e amica
de' Musulmani per antichi e forse anco recenti patti: la strinse per
mare e per terra; bruciò il contado; ridusse i cittadini a riconoscere
la signoria bizantina finchè avessero il coltello alla gola. Varii
luoghi dei principati longobardi e di Calabria, più o meno
disubbidienti, si sottomessero del pari;[554] e chi sa se coi voti,
fors'anco con pratiche, non chiamavano i Musulmani? I quali non
tardarono. 'Ammâr, fratello di Hasan, giunto d'Affrica con l'armata il
nove agosto del cinquantasei, svernò in Palermo ed a primavera assaltò
la Calabria.[555] Non che correre il paese, par abbia dovuto afforzarsi
'Ammâr in qualche luogo; e chiamare in soccorso il fratello; vedendosi
chiuso a settentrione dal grosso delle forze bizantine, mentre al suo
fianco o alle spalle tentava audacissima fazione Basilio, protocarebo, o
direm noi capitan di vascello, con un'armatetta. Sbarcato a Reggio
costui distruggeva la moschea; poi risolutamente drizzava le prore al
bel mezzo della colonia musulmana di Sicilia; prendea Termini a
ventiquattro miglia di Palermo; assaliva indi la città di Mazara. Dove
sopraccorso Hasan, l'emiro ebbe la peggio, e perdè molti de' suoi:[556]
pur Basilio se ne andò senza infestar l'isola altrimenti. L'anno
appresso (958), Hasan con l'armata siciliana toccava le costiere di
Calabria; congiungea le forze con 'Ammâr; e insieme andavano ad
affrontare ad Otranto l'armata bizantina, capitanata da Mariano Argirio
in persona. Dalle tre narrazioni, diverse e mutile, che abbiam di questa
fazione, si ritrae come un gagliardo vento levatosi contro l'armata di
Sicilia quando si veniva alle mani, desse agio al patrizio d'uscir di
briga senza battaglia, e di prendere una nave musulmana imbattutasi tra
le sue. Le altre, ricacciate dalla medesima tempesta vêr la Sicilia, la
più parte fecero naufragio. I Siciliani poi si vantarono della fuga
dell'Argirio; questi impiastrò a Costantinopoli che, aiutandolo il
vento, avea distrutto e affondato tutte lor navi; un cronista bizantino,
di cui s'ignora la età, scrisse che i Musulmani accampati a Reggio,
mentre l'armata bizantina stava per passare d'Otranto in Sicilia, presi
di timor panico, se ne tornarono a furia ed annegarono nei mari di
Palermo. E in vero, se 'Ammâr avea le stanze presso Reggio, i cittadini
dovean credere precipitosa fuga quel montar delle sue genti su le navi
d'Hasan, delle quali poi si riseppe, non l'andata ad Otranto, ma il
naufragio presso la Sicilia.[557]
In ogni modo, il patrizio nè assali L'isola, ne tentò altra impresa di
che si faccia memoria. Hasan in men d'un anno rifece l'armata
siciliana.[558] Non è inverosimile, ma nè anco provato, che in questo
tempo un'armatetta musulmana abbia osteggiato Napoli per parecchi dì,
fatto prigioni, perduto la maggior nave in un assalto, e in fine
assentito a lasciar tranquilla la città, prendendone taglia in moneta e
vasellame d'oro e d'argento: e può credersi anco ch'alcun dei prigioni
avesse visto in sogno San Gennaro e Sant'Agrippino, i quali gli
promettessero il riscatto che poi seguì.[559] Da miglior fonte sappiamo
che seguirono avvisaglie: il novecensessanta preso dai Musulmani un
Afrina o come che si chiamasse, capitan greco al certo, e dai Bizantini
un Ibn-Baslûs e menato a Costantinopoli; il novecensessantuno venuto in
Sicilia un legato bizantino che portava il gran nome di Socrate, il
quale riscattò con danaro Afrina e gli altri prigioni di sua gente.[560]
La debole guerra finì con una tregua, fermata, com'ei pare, il medesimo
anno, e durata infino all'esaltazione di Niceforo Foca.[561]
CAPITOLO III.
Posate le armi, Hasan suggellò con due gravi fatti la novella amistà tra
la dinastia fatemita e la colonia siciliana; obbedientissima ormai di
contumacissima che sempre era stata. S'affrettò a comparire a corte di
Mehdia col figliuolo Ahmed e con trenta de' primarii nobili musulmani
dell'isola; i quali, al dir d'un compilatore, prestarono giuramento a
Moezz;[562] al dir della cronica contemporanea, Hasan li fece entrar
nella setta del Principe dei Credenti:[563] ond'e' mi par manifesto che
s'affiliassero alla società ismaeliana.[564] Non era avvenuto mai a'
Fatemiti d'accalappiare a un tratto tanti e sì illustri proseliti. Moezz
non rifiniva dunque d'onorarli; presentavali di _Khil'a_, o vogliam dire
sontuose sopravvesti degli opificii regii, e, con liberalità più
sustanziale, accrebbe loro gli stipendii militari[565] e fors'anco
promise più larghe concessioni.
Perocchè leggiamo nella cronica che quegli ottimati sollecitavano il
califo a un'impresa sopra Taormina.[566] Il qual cenno e gli effetti
seguíti l'anno appresso, mostrano che si trattò di allargare le colonie
musulmane nel Val Demone e Val di Noto, sottoporre al _kharâg_, e,
secondo i casi, confiscare o dividere le terre delle due province;
mutarvi la condizione dei Cristiani, da cittadini di municipii
tributarii a meri _dsimmi_ o schiavi. Questo sembra il vero scopo del
viaggio in Affrica, e dell'affiliazione alla setta. Moezz, guardando
sempre all'Oriente e agli Abbassidi, nemici comuni suoi e dell'impero
bizantino, avea forse ricusato al solo Hasan, assentì forse a malincuore
a tutta la nobiltà siciliana quell'impresa che metteva in pericolo la
pace con Costantinopoli. Ma non potea dir no senza ridestare i tumulti
in Sicilia. Sendo temporanea per natura la sicurtà accordata ai
municipii tributarii, non mancava ai coloni il dritto d'occupar quelli
con la forza. Non mancava loro la brama, o forse il bisogno, sendo la
somma del tributo a gran pezza minore della _gezîa_ e del _kharâg_, non
che del fruttato diretto delle terre. Fu di certo Hasan l'autore e
promotore del consiglio, premendogli più che a niun altro di metter mano
sulla Sicilia orientale, per accrescere il _giund_, empierlo d'uomini
suoi, raddoppiare le entrate e le forze dello Stato; ad onor della
corona fatemita e profitto immediato di sè medesimo e dei figliuoli.
Tornati in Sicilia Ahmed e i nobili[567] che di gioia non capivano nella
pelle, si aprì la primavera del novecensessantadue con tripudio
universale dei Musulmani, dal palagio degli emiri all'infimo tugurio.
Avea bandito Moezz per tutto l'impero che il dì della circoncisione del
proprio figliuolo, sarebbero anco circoncisi i fanciulli maturi a ciò di
ciascuna famiglia, spesando lui le feste, che soglion farsi in tal
solenne passaggio dell'uomo dal grembo della madre al consorzio della
città:[568] chè tai larghezze usano tuttavia i facoltosi musulmani verso
lor clienti, e i poveri del paese partecipano dei banchetti
imbanditi.[569] Alla nuova luna dunque di rebi' primo del
trecencinquantuno (8 aprile 962), scritti innanzi tratto i fanciulli, si
compiè il rito, cominciando dal figliuolo e dai fratelli dell'emiro
Ahmed, e via scendendo ai nobili ed alla gente minuta, che in Sicilia
sommarono a quindicimila giovanetti; e da parte del califo lor furono
dispensati centomila dirhem e cinquanta some di vestimenta e piccioli
regali.[570] La circoncisione, ch'è uso antichissimo degli Arabi, non
precetto del Corano, non ha tempo determinato; si fa per ordinario a
sette anni, la differisce qualche famiglia più o meno infino a' sedici.
Però il numero che notammo non ne darà con certezza quello degli
abitatori musulmani di tutta l'isola; pure servirà a ragionarlo a un di
presso.[571]
Senza dimora, Ahmed mandava ad effetto il disegno. Mosse del mese di
maggio, con esercito di Siciliani e Affricani, sopra Taormina; i cui
cittadini, com'era manifesta la causa dell'assalto, s'erano
apparecchiati a difendere fino agli estremi la roba e libertà. E
valorosamente il fecero; nè li sgomentaron le nuove soldatesche di
Hasan-ibn-'Ammâr, cugino d'Ahmed, venuto d'Affrica in Palermo il primo
agosto e sopraccorso al campo. Ma quando i Musulmani tagliarono l'acqua
che dava da bere alla città, fu forza calarsi all'accordo. Ricusato ogni
onesto patto da Ahmed, che sapea quel ch'ei volea, la tortura della sete
sforzò i Taorminesi a risegnare tutto ciò che possedeano e darsi
schiavi, salva la vita sola: e così uscirono dalla rôcca il ventiquattro
dicembre, dopo sette mesi e mezzo d'assedio. Le facoltà dei vinti,
scrive Ibn-el-Athîr, divennero _fei_; ch'è a dire i terreni caddero nel
fisco, per investirsi in stipendii militari. L'emiro mandava a Moezz
mille settecento settanta dei prigioni.[572] E mettea presidio di
qualche centinaio di Musulmani nella città, mutando il nome, a onor del
califo, da Taormina in Moezzia.[573]
Il che dà a vedere un primo principio di colonia e fa supporre
l'ordinamento che si tentasse in tutta la regione orientale. Perchè
Moezzia non fosse una bicocca, si lasciò al certo la popolazione
agricola nel contado, e la gente minuta, mercatanti o artefici, nella
città, da schiavi o da liberti. Le terre indifese o scarse di abitatori
chiedeano al certo e otteneano l'_amân_, prima o dopo Taormina;
scendendo i cittadini a condizione di _dsimmi_ e scansando la schiavitù,
fors'anco lo spogliamento dei beni privati; e cominciò a stanziare alcun
picciolo stuolo del _giund_ nei luoghi più importanti. In particolare
nol sappiam che di Siracusa, dove comparisce due anni appresso debole
colonia che non bastava a difendersi da qualche galea bizantina, ma a
capo d'altri cinque anni la si scorge adulta, da farsi sentir nella
guerra civile.[574] Probabil è dunque che abbian messo piè nelle ruine
d'Acradina e d'Ortigia verso il novecentosessantadue; trovandovi già
raggranellato un po' di popolazione cristiana. In ogni modo, dopo la
occupazione di Taormina, tutta la Sicilia obbediva ai Musulmani, fuorchè
Rametta, solo avanzo de' municipii greci e romani di Sicilia; antico
asilo, com'io penso, dei più valorosi cittadini di Messina,[575] ed or
di quanti altri cristiani della provincia amassero meglio guardar la
morte in faccia che soffrire l'ignominia del vassallaggio.
Nè veggo nelle istorie qual popol abbia mai sortito fine più magnanima:
tanta fu la saviezza dei preparamenti, la costanza della volontà, il
valor nel combattere, e con sì poca speranza d'aiuto gettarono il guanto
ai vincitori. Chè morto Romano secondo imperatore (15 marzo 963) e
succedutigli due bambini, si disputava il comando tra la rea lor madre e
un eunuco; nè potea sapersi in Sicilia l'esito della rivoluzione
militare ch'esaltò Niceforo Foca (16 agosto 963), quando
Hasan-ibn-'Ammâr poneva il campo a Rametta l'ultimo di regeb
trecentocinquantadue (23 agosto 963); venendo a punir la ribellione,
come al solito si chiamò. Si dubitava tanto poco dell'esito, che l'emiro
Ahmed partì al tempo stesso per l'Affrica[576] a compier, com'ei sembra,
l'ordinamento amministrativo dell'isola con Moezz; il quale comandò che
Ibn-'Ammâr riducesse intanto Rametta. E quegli piantò suoi mangani e
_'arrâde_,[577] a batter le mura; si provò ad affaticare i cittadini
ogni dì con assalti; e nulla approdava. Tanto che, pensando ridurli per
fame, passò tra que' monti l'inverno e la primavera e la state appresso,
trinceato bene il campo, e costruitovi un castello per sè e casipole ai
soldati.[578]
Que' di Rametta intanto chiesero aiuti a Niceforo Foca, il Domestico,
come il chiamano sempre gli Arabi, dall'alto oficio che tenne pria
dell'impero e che illustrò, a danno loro, col conquisto di Creta (maggio
961) e altre belle vittorie.[579] Salito al trono, volle levare
all'Impero la vergogna del tributo che si pagava ai Musulmani; e sperò
che bastassero gli auspicii suoi e le medesime armi a ripigliar la
Sicilia col favor della popolazione cristiana. Onde adunò poderoso
esercito, dicesi più di quarantamila uomini,[580] di varie nazioni:
Armeni, antichissimi difenditori dell'impero; mercenarii russi,[581]
battezzati di fresco; e gli eretici Pauliciani[582] che, trasportati in
Tracia, militavano sotto le insegne dei loro persecutori con riputazione
di ferocissimi soldati: dei quali i Russi e i Pauliciani avean testè
fatto buona prova a Creta.[583] Si apprestarono legni di non più vista
grandezza per traghettare le genti; le navi da battaglia robuste e
munite di fuochi;[584] il terrore dell'oste accresciuto da grande
salmeria di macchine da gitto;[585] deputato a pregare il cielo in buona
forma e vigilare sì sospetta accozzaglia di costumi, lingue, e coscienze
straniere, con oficio di cappellano maggiore, come noi diremmo, un
Niceforo, uom di molta pietà e molto senno, prete di corte, poscia
vescovo di Mileto e in ultimo santo canonizzato.[586] Fin qui
l'imperatore provvide da vecchio soldato. Se non che elesse i
condottieri per favore e corta scaltrezza di palagio. Non uno ma due
condottieri, patrizii entrambi; dei quali il primo fratello del
protovestiario, o maggiordomo che noi diremmo, ebbe nome Niceta; eunuco
pien di religione, erudito negli scritti dei Santi Padri, ma, sbagliata
la via, si trovava in quella stagione protospatario, che suona aiutante
di campo dell'imperatore. Ebbe costui il grado di drungario, o
vice-ammiraglio, il comando particolare del navilio[587] e supremo
dell'impresa.[588] L'altro, Manuele figliuol naturale di Leone Foca,
nipote però di Niceforo, fatto generale della cavalleria: giovane
d'animo bollente, testa dura e cieco valore.[589] De' due messi insieme,
pensò Niceforo comporre un ottimo capitano, senza avere ricorso ad alcun
di que' suoi sperimentati commilitoni dell'Asia Minore, il quale andasse
in Sicilia a guadagnare nuova riputazione e poi mettersi, com'egli
stesso avea fatto, su la via del trono: e questo non gli fece veder
l'errore di porre un forzuto e fiero principe del sangue mezzo a
ragguaglio e mezzo sotto d'un soldato da tavolino. Pur a Costantinopoli
non era chi dubitasse della vittoria. Oltre la potenza di tanto sforzo,
n'erano pegno lor nuovi libri sibillini detti le Visioni di Daniele, ed
i vaticinii d'Ippolito vescovo di Sicilia dei quali nessuno s'era visto
fallire; e vi si leggea come il lione e il lioncello dovessero un giorno
divorare l'onagro. Parea chiaro ai Greci che le due belve con le zanne
simboleggiassero i due imperatori di Cristianità, Niceforo e Otone, e
l'altra belva del deserto Moezz; se non che, quattr'anni dopo la
sconfitta, il nostro Liutprando si beffò di loro che non avessero
capito. Otone e il figliuolo, ei rimbeccò, veraci leoni, doveano
manicarsi Niceforo, asino selvatico vano ed incestuoso, che avea sposata
la comare. E il mordace vescovo di Cremona parlava tanto da senno, che
appose la vittoria dei Musulmani alla fidanza che n'avessero presa,
interpretando appunto come lui la profezia d'Ippolito.[590]
Risaputi i preparamenti del nemico, Ahmed racconciò e armò in fretta il
navilio siciliano; scrisse marinari e soldati, e chiese immediati
rinforzi a Moezz. Il quale, non perdonando a spesa, mandava il navilio
d'Affrica con molte schiere di Berberi,[591] capitanate da Hasan, padre
d'Ahmed. Giunti del mese di ramadhan (11 settembre a 10 ottobre 964),
Hasan avviava uno stuolo al campo di Rametta, rimaneva egli col grosso
delle genti in Palermo, sovvenendogli dello sbarco di Basilio nella
Sicilia occidentale (957). Già l'oste bizantina, traghettato
l'Adriatico, s'era raccolta in su la punta di Calabria. Principiò il tre
scewâl (12 ottobre), fornì in nove giorni il passaggio dello stretto;
occupò a prima giunta Messina; afforzolla con fossati, e risarcì le
mura.[592] Intanto altri stuoli, recati al certo dall'armata, si
mostravano per le costiere di settentrione e di levante; prendeano
nell'una Termini d'assalto, ed era bene per tagliare gli aiuti di Hasan;
nell'altra vanamente sparpagliavansi tra Taormina, Lentini e Siracusa,
delle quali ebber le prime due di queto, la terza per battaglia.[593]
Cotest'errore di allontanar troppa gente da Messina, pianta della
guerra, e la mala disciplina de' soldati, non isfuggirono agli ansiosi
cristiani di Sicilia. Ci si narra che Prassinachio, uom di specchiate
virtù, che s'era posto in un romitaggio in su lo Stretto ed era tenuto
lucidissimo tra i “veggenti in Dio”[594] del paese, avesse presagito la
sconfitta al cappellano maggiore bizantino; il quale non s'aspettava
plebiscito che potesse registrarsi dai cronisti, ognuno ormai sel
vedeva. Ibn-Haukal, venuto in Palermo del trecentosessantadue (972-3),
parla del palagio ove albergava il Sultano; la qual voce è usata già
dagli scrittori del decimo secolo per designare principi di fatto,
riconosciuti o no dal califo: e veramente ella ha valore radicale di
violenza; e quando il tempo onestò la cosa e il nome e mutò questo in
titolo pubblico, significò impero privo della sacra potestà dei
califi.[529] Sia che Ibn-Haukal abbia ripetuto la voce Sultano perchè la
sentiva in Palermo, o che l'abbia detto dassè per definire l'ordine di
cose che toccava con mano, l'attestato è di gran momento collimando con
lo scopo della rivoluzione divampata in Sicilia tre anni prima, e col
ritratto delle vicende che seguirono fino alla metà dell'undecimo
secolo. Dal novecensettanta in poi non muovon d'Affrica nè d'Egitto
eserciti che combattano in terraferma d'Italia, non che in Sicilia,
insieme coi Musulmani dell'isola. I Siciliani, quando lor pare,
depongono un emir kelbita e ne scelgono un altro nella famiglia. Che se
il califo manda tuttavia al designato dall'emir predecessore, o dal
popolo, un diploma, con le insegne dell'oficio e col titol sonante di
Corona dell'Impero, Spada della Fede e simili, ciò significa soltanto
che la Sicilia riconoscea pontefici i fatemiti. Nè monta il nome loro
stampato nelle monete siciliane fino alla metà dello undecimo secolo.
Abbiamo notato più volte che nel medio evo i Musulmani tenesser poco
conto di tal regalia, sì gelosamente custodita dai principi cristiani.
Inoltre il nome dei Fatemiti dava corso più largo al conio siciliano nei
frequenti commerci con l'Affrica e l'Egitto, per la qual ragione non
ebbero scrupolo a contraffarlo o imitarlo i principi longobardi di
Salerno.[530] Ma niuno sosterrà che l'isola obbediva al califo fatemita
Daher o Zâhir (1021-1036) perchè v'abbian di lui e del successore tante
monete battute in Palermo,[531] quando i lor nomi non si ricordano punto
nè poco nella sollevazione contro i Kelbiti; nè que' califi se ne
dierono briga; nè pensò a loro la casa kelbita, nè alcuna delle fazioni
che agognavano al potere dello Stato: anzi una parte che cercò aiuti di
fuori, si volse agli emiri zîriti d'Affrica, minacciando, s'e'
ricusavano, di chiamare a dirittura i Bizantini.
Aiutaron cotesta emancipazione della Sicilia, la potenza dei Kelbiti a
corte, com'abbiam detto; il tramutamento della sede fatemita, da Mehdia
al Cairo; le guerre orientali dei primi califi d'Egitto; la pazzia e
debolezza degli altri; la emancipazione contemporanea dell'Affrica. Pur
la cagione principale fu che i Siciliani voleano. Raro avvien che
rimangano frustrati i popoli quando fermamente si propongano e
tenacemente procaccino di scuotere il giogo: che se una generazione
fallisca, per colpa propria o fortezza del nemico, un'altra coglierà il
nemico sprovveduto e avvolto in alcuna delle brighe che non mancano mai
agli oppressori; e vincerà, forse senza combattere. Il sangue sparso per
sessant'anni, fruttò alla Sicilia che nel novecenquarantotto, col romor
d'un tumulto, riebbe l'emir generale; e nel novecensettanta, con breve
guerra, si sciolse dall'arbitrio del califo nelle elezioni: che è a dire
salì al sommo grado di libertà d'un popolo musulmano. E prima vi sarebbe
giunta la colonia, se non fosse stato per le divisioni etniche,
municipali e sociali, che sempre la dilaniarono.
CAPITOLO II.
Fin dalla morte del Mehdi, o vogliam dire dalla rivolta di Girgenti,
l'impero bizantino non soddisfaceva il tributo di Calabria;[532] le
città assicurate di Sicilia lo avean anco smesso negli ultimi tempi. Ma,
risaputo come Hasan dava sesto alla cosa pubblica, venne tosto in
Palermo un frate a recare i decorsi di tre anni da parte di qualche
città.[533] Altre di Sicilia o di Calabria che nol fecero, furon punite
dal novello emiro con aspre correrie; onde chiesero aiuti a
Costantinopoli.[534] Dove rimase inaspettatamente padrone il
Porfirogenito, gli parve indegno della maestà imperiale pagar quel
tributo ai Barbari. Sforzandosi, quanto il poteva un picciolo ingegno ed
una natura inerte, a ristorare gli ordini della civiltà romana ch'egli
avea studiato su i libri ed affastellato in sue compilazioni, Costantino
Porfirogenito non lasciò da canto l'amministrazione militare, nè la
disciplina; di che tornò qualche frutto all'impero, ed egli molto più se
ne prometteva. E però mandava in Italia, in vece d'oratori col tributo,
que' che gli parean capitani e soldati. I quali alla prima si diedero a
maltrattare e taglieggiare i sudditi, peggio che non avrebbe fatto il
nemico.[535]
Hasan, dal suo canto, com'ei seppe sbarcati i Bizantini ad Otranto,
chiese rinforzi. Mandatigli da Mansûr settemila cavalli e tremila
cinquecento uomini da piè, oltre i soldati d'armata e le navi da guerra
e da carico, giugneano in Palermo, il due luglio novecencinquanta,
condotti dal liberto schiavone Farag-Mohadded. L'esercito siciliano era
in punto; sì che a' dodici luglio poderoso sforzo mosse per mare e per
terra alla volta di Messina, sotto il comando di Hasan. Immantinenti,
valicato lo stretto, assalirono Reggio, cui trovaron vota di abitatori.
Hasan spargeva i cavalli a far preda intorno; andava egli col grosso
delle genti all'assedio di Gerace; davale indarno aspri assalti; e già
la riducea, tagliatole l'acqua da bere, quando ebbe nuove dell'esercito
bizantino che venisse a trovarlo. Perlochè, composto coi Geracini e
presone danari e statichi, raccolti i suoi, mosse contro i Greci; i
quali precipitosamente si rifuggirono ad Otranto e Bari. Hasan,
inseguendoli, poneva il campo sotto Cassano; infestava i dintorni.
Combattuta per un mese la città senza frutto, e sopravvenuto l'inverno,
fe' l'accordo come a Gerace; ripassò il Faro; lasciò l'armata a svernare
nel porto di Messina; ed ei tornò alle stanze in Palermo.[536] I patti
di Gerace e Cassano sembrano tregua per un anno, comperata con una
taglia che si pagava parte in contanti, e si davano gli statichi in
sicurtà del resto.[537]
S'adunavano intanto in Calabria le armi bizantine, che l'anno innanzi o
non eran tutte passate in Italia, ovvero avean osteggiato i dominii
beneventani in Puglia, ove occuparon Ascoli.[538] L'armata obbediva ad
un Macrojoanni, o diremmo noi Giovanni il Lungo; l'esercito, che fu
grosso se non valido, al patrizio Malaceno, col quale si accozzarono le
genti di Pasquale stratego di Calabria[539] Hasan, per comando del
califo, riassaltava la terraferma in primavera del novecencinquantadue.
L'otto maggio, che fu quell'anno tra i dì festivi alla Mecca,
scontravansi i due eserciti sotto Gerace: della quale battaglia gli
annali arabici dicono non essersi unque vista più aspra e fiera; gli
annali greci attestano averne il nemico riportata nobilissima vittoria;
e par torni a questo, che i Cristiani avean l'avvantaggio del numero, i
Musulmani degli ordini e della fiducia nel capitano,[540] il valore si
pareggiava. Li sbaragliati poi, sfrenatamente fuggirono; inseguendoli i
Musulmani infino a notte, con grande strage, cattura d'uomini, preda
d'armi, cavalli, bagaglie: e a mala pena camparono il patrizio e lo
stratego.[541] Le teste degli uccisi mandate a trionfo nelle varie città
di Sicilia e d'Affrica, come tuttavia porta il brutto costume degli
Arabi. Hasan strinse d'assedio Gerace, che di nuovo fe' bella difesa,
non ostante la mancata speranza d'aiuti. Pur Costantino mandava il
segretario Giovanni Pilato all'emir di Sicilia; il quale, notano i
Bizantini, non s'inebbriando nelle vittorie, assentì la tregua.[542]
Fermossi nella state del cinquantadue; e sembra limitata dapprima a
Gerace, poi resa comune a tutti i luoghi di Calabria che obbedivano
all'imperatore, e stipulatovi il solito patto del tributo e di più la
tolleranza del culto musulmano. Uno stuolo mandato da Hasan saccheggiava
intanto Petracucca, come par si chiamasse a quel tempo una grossa terra
tra i capi di Spartivento e di Bruzzano.[543] Altri assalivano un'altra
terra, non sapremmo dir se Roseto su i confini della Calabria con la
Basilicata, ovvero le isole di Tremiti, presso il Gargano:[544] e si
nota in questo medesimo anno saccheggiato il santuario del Gargano e
infestati parecchi luoghi dello Stato di Benevento.[545] I prigioni di
Petracucca e di Roseto, o Tremiti, che furon molti; andavano di Sicilia
in Affrica; e con essi, incatenato il capitano, del navilio musulmano,
per nome Abu-Mehell; il quale, giunto a Mehdia, era punito con l'estremo
supplizio. S'ignora il delitto: se infrazion della tregua, se peculato
sul bottino; che è più verosimile.[546]
Mentre i suoi infestavano le costiere dell'Adriatico, Hasan,
ritrattossi da Gerace a Reggio, apriva[547] nel bel mezzo della
città una moschea; cospicua al minaretto spiccantesi in alto da un
angolo, perchè tutti il vedessero e ne sentissero la cantilena del
muezzin. Stipulò in fatti libero ai Musulmani l'appello alla preghiera e
ogni altro rito pubblico; che cristiano non mettesse mai piè nella
moschea; che la desse legittimo asilo ad ogni musulmano, anche prigione
di guerra ed anche fatto cristiano, al quale paresse di rifuggirvisi. E
minacciò che, sapendo tolta, non che altro, una pietra della moschea di
Reggio, farebbe diroccar le chiese cristiane per ogni luogo di Sicilia e
d'Affrica. I quali patti, i Cristiani umilmente osservarono, scrive
tutto lieto Ibn-el-Athîr; ignorando che la moschea di Reggio non durò
oltre quattro anni.[548] E preoccupato del gran dispetto degli Infedeli,
passò sotto silenzio la vera importanza del fatto: il civil pensamento
di Hasan ad usar la vittoria in favore del commercio, ch'era operoso al
certo tra la Sicilia e la Calabria e molto più potea progredire con la
tolleranza dell'islamismo a Reggio. Non guari dopo l'impresa di
Calabria, venuto a morte Mansûr (marzo 953), e rifatto califo il
figliuolo Abu-Tamîn-Ma'àd, che fu soprannominato Moezz-li-dîn-illah,
l'emiro Hasan andava a corte a Mehdia; lasciato al governo della Sicilia
il proprio figlio Abu-Hasan-Ahmed. E Moezz ratificava: il quale atto
riferiscono i cronisti con parole diverse; ma la somma è che il califo
lasciò l'emirato ad Hasan con sostituzione d'Ahmed in caso d'assenza e
di morte.[549] Segnalatissimo favore, da potersi comprendere col bisogno
che avea Moezz del vincitor di Gerace per l'impresa d'Egitto, la quale
poi si differì. Dovea forse combattervi l'esercito affricano, tornato di
Calabria in Sicilia, il quale ripassò in Affrica poco dopo il viaggio di
Hasan.[550]
Mentre si pensava a tal conquisto, l'emiro andò ad audace fazione in
Spagna. Era occorso che spacciato un corriere di Sicilia in Affrica con
lettere per Moezz, s'imbattè in una nave di mole non più vista in que'
tempi, fatta costruire da Abd-er-Rahman califo omeiade di Spagna e
mandata a mercatare in Egitto; le genti della quale detter di piglio
piratescamente al legnetto siciliano, nè rispettarono gli spacci. Il che
risaputo da Moezz, commetteva ad Hasan di far la vendetta con l'armata
di Sicilia. Entrato nel porto d'Almeria, l'emir bruciò quanti legni
v'erano; prese il naviglio che avea fatto l'insulto, tornato già
d'Alessandria con ricche merci e giovani cantatrici per Abd-er-Rahman;
poi sbarcò, messe Almeria a sangue ed a ruba; e salvo si ridusse a
Mebdia. Due correrie delli Spagnuoli su le costiere d'Affrica mal
rendeano la pariglia; essendosi combattuto con varia fortuna. Seguì
l'assalto d'Almeria l'anno trecenquarantaquattro (26 aprile 955 a 13
apr. 956).[551]
Maggior guerra richiamò Hasan in Sicilia. La tregua coi Bizantini, era
stata rinnovata il cinquantaquattro forse per altri due anni, venuto a
ciò in Palermo un frate Assiropulo.[552] Ma Costantino, mal soffrendo
sempre il tributo, e rinfrancato dal valore che cominciavano a mostrare
i suoi contro i Musulmani dell'Asia Minore, volle ritentar la fortuna in
Italia. Mandovvi le soldatesche di Tracia e Macedonia col patrizio
Mariano Argirio, e l'armata che ubbidiva a due capitani minori, Crambéa
e Moroleone, il novecencinquantasei,[553] quando spirava la tregua.
L'Argirio cominciò da Napoli, notata allora a corte come ribelle e amica
de' Musulmani per antichi e forse anco recenti patti: la strinse per
mare e per terra; bruciò il contado; ridusse i cittadini a riconoscere
la signoria bizantina finchè avessero il coltello alla gola. Varii
luoghi dei principati longobardi e di Calabria, più o meno
disubbidienti, si sottomessero del pari;[554] e chi sa se coi voti,
fors'anco con pratiche, non chiamavano i Musulmani? I quali non
tardarono. 'Ammâr, fratello di Hasan, giunto d'Affrica con l'armata il
nove agosto del cinquantasei, svernò in Palermo ed a primavera assaltò
la Calabria.[555] Non che correre il paese, par abbia dovuto afforzarsi
'Ammâr in qualche luogo; e chiamare in soccorso il fratello; vedendosi
chiuso a settentrione dal grosso delle forze bizantine, mentre al suo
fianco o alle spalle tentava audacissima fazione Basilio, protocarebo, o
direm noi capitan di vascello, con un'armatetta. Sbarcato a Reggio
costui distruggeva la moschea; poi risolutamente drizzava le prore al
bel mezzo della colonia musulmana di Sicilia; prendea Termini a
ventiquattro miglia di Palermo; assaliva indi la città di Mazara. Dove
sopraccorso Hasan, l'emiro ebbe la peggio, e perdè molti de' suoi:[556]
pur Basilio se ne andò senza infestar l'isola altrimenti. L'anno
appresso (958), Hasan con l'armata siciliana toccava le costiere di
Calabria; congiungea le forze con 'Ammâr; e insieme andavano ad
affrontare ad Otranto l'armata bizantina, capitanata da Mariano Argirio
in persona. Dalle tre narrazioni, diverse e mutile, che abbiam di questa
fazione, si ritrae come un gagliardo vento levatosi contro l'armata di
Sicilia quando si veniva alle mani, desse agio al patrizio d'uscir di
briga senza battaglia, e di prendere una nave musulmana imbattutasi tra
le sue. Le altre, ricacciate dalla medesima tempesta vêr la Sicilia, la
più parte fecero naufragio. I Siciliani poi si vantarono della fuga
dell'Argirio; questi impiastrò a Costantinopoli che, aiutandolo il
vento, avea distrutto e affondato tutte lor navi; un cronista bizantino,
di cui s'ignora la età, scrisse che i Musulmani accampati a Reggio,
mentre l'armata bizantina stava per passare d'Otranto in Sicilia, presi
di timor panico, se ne tornarono a furia ed annegarono nei mari di
Palermo. E in vero, se 'Ammâr avea le stanze presso Reggio, i cittadini
dovean credere precipitosa fuga quel montar delle sue genti su le navi
d'Hasan, delle quali poi si riseppe, non l'andata ad Otranto, ma il
naufragio presso la Sicilia.[557]
In ogni modo, il patrizio nè assali L'isola, ne tentò altra impresa di
che si faccia memoria. Hasan in men d'un anno rifece l'armata
siciliana.[558] Non è inverosimile, ma nè anco provato, che in questo
tempo un'armatetta musulmana abbia osteggiato Napoli per parecchi dì,
fatto prigioni, perduto la maggior nave in un assalto, e in fine
assentito a lasciar tranquilla la città, prendendone taglia in moneta e
vasellame d'oro e d'argento: e può credersi anco ch'alcun dei prigioni
avesse visto in sogno San Gennaro e Sant'Agrippino, i quali gli
promettessero il riscatto che poi seguì.[559] Da miglior fonte sappiamo
che seguirono avvisaglie: il novecensessanta preso dai Musulmani un
Afrina o come che si chiamasse, capitan greco al certo, e dai Bizantini
un Ibn-Baslûs e menato a Costantinopoli; il novecensessantuno venuto in
Sicilia un legato bizantino che portava il gran nome di Socrate, il
quale riscattò con danaro Afrina e gli altri prigioni di sua gente.[560]
La debole guerra finì con una tregua, fermata, com'ei pare, il medesimo
anno, e durata infino all'esaltazione di Niceforo Foca.[561]
CAPITOLO III.
Posate le armi, Hasan suggellò con due gravi fatti la novella amistà tra
la dinastia fatemita e la colonia siciliana; obbedientissima ormai di
contumacissima che sempre era stata. S'affrettò a comparire a corte di
Mehdia col figliuolo Ahmed e con trenta de' primarii nobili musulmani
dell'isola; i quali, al dir d'un compilatore, prestarono giuramento a
Moezz;[562] al dir della cronica contemporanea, Hasan li fece entrar
nella setta del Principe dei Credenti:[563] ond'e' mi par manifesto che
s'affiliassero alla società ismaeliana.[564] Non era avvenuto mai a'
Fatemiti d'accalappiare a un tratto tanti e sì illustri proseliti. Moezz
non rifiniva dunque d'onorarli; presentavali di _Khil'a_, o vogliam dire
sontuose sopravvesti degli opificii regii, e, con liberalità più
sustanziale, accrebbe loro gli stipendii militari[565] e fors'anco
promise più larghe concessioni.
Perocchè leggiamo nella cronica che quegli ottimati sollecitavano il
califo a un'impresa sopra Taormina.[566] Il qual cenno e gli effetti
seguíti l'anno appresso, mostrano che si trattò di allargare le colonie
musulmane nel Val Demone e Val di Noto, sottoporre al _kharâg_, e,
secondo i casi, confiscare o dividere le terre delle due province;
mutarvi la condizione dei Cristiani, da cittadini di municipii
tributarii a meri _dsimmi_ o schiavi. Questo sembra il vero scopo del
viaggio in Affrica, e dell'affiliazione alla setta. Moezz, guardando
sempre all'Oriente e agli Abbassidi, nemici comuni suoi e dell'impero
bizantino, avea forse ricusato al solo Hasan, assentì forse a malincuore
a tutta la nobiltà siciliana quell'impresa che metteva in pericolo la
pace con Costantinopoli. Ma non potea dir no senza ridestare i tumulti
in Sicilia. Sendo temporanea per natura la sicurtà accordata ai
municipii tributarii, non mancava ai coloni il dritto d'occupar quelli
con la forza. Non mancava loro la brama, o forse il bisogno, sendo la
somma del tributo a gran pezza minore della _gezîa_ e del _kharâg_, non
che del fruttato diretto delle terre. Fu di certo Hasan l'autore e
promotore del consiglio, premendogli più che a niun altro di metter mano
sulla Sicilia orientale, per accrescere il _giund_, empierlo d'uomini
suoi, raddoppiare le entrate e le forze dello Stato; ad onor della
corona fatemita e profitto immediato di sè medesimo e dei figliuoli.
Tornati in Sicilia Ahmed e i nobili[567] che di gioia non capivano nella
pelle, si aprì la primavera del novecensessantadue con tripudio
universale dei Musulmani, dal palagio degli emiri all'infimo tugurio.
Avea bandito Moezz per tutto l'impero che il dì della circoncisione del
proprio figliuolo, sarebbero anco circoncisi i fanciulli maturi a ciò di
ciascuna famiglia, spesando lui le feste, che soglion farsi in tal
solenne passaggio dell'uomo dal grembo della madre al consorzio della
città:[568] chè tai larghezze usano tuttavia i facoltosi musulmani verso
lor clienti, e i poveri del paese partecipano dei banchetti
imbanditi.[569] Alla nuova luna dunque di rebi' primo del
trecencinquantuno (8 aprile 962), scritti innanzi tratto i fanciulli, si
compiè il rito, cominciando dal figliuolo e dai fratelli dell'emiro
Ahmed, e via scendendo ai nobili ed alla gente minuta, che in Sicilia
sommarono a quindicimila giovanetti; e da parte del califo lor furono
dispensati centomila dirhem e cinquanta some di vestimenta e piccioli
regali.[570] La circoncisione, ch'è uso antichissimo degli Arabi, non
precetto del Corano, non ha tempo determinato; si fa per ordinario a
sette anni, la differisce qualche famiglia più o meno infino a' sedici.
Però il numero che notammo non ne darà con certezza quello degli
abitatori musulmani di tutta l'isola; pure servirà a ragionarlo a un di
presso.[571]
Senza dimora, Ahmed mandava ad effetto il disegno. Mosse del mese di
maggio, con esercito di Siciliani e Affricani, sopra Taormina; i cui
cittadini, com'era manifesta la causa dell'assalto, s'erano
apparecchiati a difendere fino agli estremi la roba e libertà. E
valorosamente il fecero; nè li sgomentaron le nuove soldatesche di
Hasan-ibn-'Ammâr, cugino d'Ahmed, venuto d'Affrica in Palermo il primo
agosto e sopraccorso al campo. Ma quando i Musulmani tagliarono l'acqua
che dava da bere alla città, fu forza calarsi all'accordo. Ricusato ogni
onesto patto da Ahmed, che sapea quel ch'ei volea, la tortura della sete
sforzò i Taorminesi a risegnare tutto ciò che possedeano e darsi
schiavi, salva la vita sola: e così uscirono dalla rôcca il ventiquattro
dicembre, dopo sette mesi e mezzo d'assedio. Le facoltà dei vinti,
scrive Ibn-el-Athîr, divennero _fei_; ch'è a dire i terreni caddero nel
fisco, per investirsi in stipendii militari. L'emiro mandava a Moezz
mille settecento settanta dei prigioni.[572] E mettea presidio di
qualche centinaio di Musulmani nella città, mutando il nome, a onor del
califo, da Taormina in Moezzia.[573]
Il che dà a vedere un primo principio di colonia e fa supporre
l'ordinamento che si tentasse in tutta la regione orientale. Perchè
Moezzia non fosse una bicocca, si lasciò al certo la popolazione
agricola nel contado, e la gente minuta, mercatanti o artefici, nella
città, da schiavi o da liberti. Le terre indifese o scarse di abitatori
chiedeano al certo e otteneano l'_amân_, prima o dopo Taormina;
scendendo i cittadini a condizione di _dsimmi_ e scansando la schiavitù,
fors'anco lo spogliamento dei beni privati; e cominciò a stanziare alcun
picciolo stuolo del _giund_ nei luoghi più importanti. In particolare
nol sappiam che di Siracusa, dove comparisce due anni appresso debole
colonia che non bastava a difendersi da qualche galea bizantina, ma a
capo d'altri cinque anni la si scorge adulta, da farsi sentir nella
guerra civile.[574] Probabil è dunque che abbian messo piè nelle ruine
d'Acradina e d'Ortigia verso il novecentosessantadue; trovandovi già
raggranellato un po' di popolazione cristiana. In ogni modo, dopo la
occupazione di Taormina, tutta la Sicilia obbediva ai Musulmani, fuorchè
Rametta, solo avanzo de' municipii greci e romani di Sicilia; antico
asilo, com'io penso, dei più valorosi cittadini di Messina,[575] ed or
di quanti altri cristiani della provincia amassero meglio guardar la
morte in faccia che soffrire l'ignominia del vassallaggio.
Nè veggo nelle istorie qual popol abbia mai sortito fine più magnanima:
tanta fu la saviezza dei preparamenti, la costanza della volontà, il
valor nel combattere, e con sì poca speranza d'aiuto gettarono il guanto
ai vincitori. Chè morto Romano secondo imperatore (15 marzo 963) e
succedutigli due bambini, si disputava il comando tra la rea lor madre e
un eunuco; nè potea sapersi in Sicilia l'esito della rivoluzione
militare ch'esaltò Niceforo Foca (16 agosto 963), quando
Hasan-ibn-'Ammâr poneva il campo a Rametta l'ultimo di regeb
trecentocinquantadue (23 agosto 963); venendo a punir la ribellione,
come al solito si chiamò. Si dubitava tanto poco dell'esito, che l'emiro
Ahmed partì al tempo stesso per l'Affrica[576] a compier, com'ei sembra,
l'ordinamento amministrativo dell'isola con Moezz; il quale comandò che
Ibn-'Ammâr riducesse intanto Rametta. E quegli piantò suoi mangani e
_'arrâde_,[577] a batter le mura; si provò ad affaticare i cittadini
ogni dì con assalti; e nulla approdava. Tanto che, pensando ridurli per
fame, passò tra que' monti l'inverno e la primavera e la state appresso,
trinceato bene il campo, e costruitovi un castello per sè e casipole ai
soldati.[578]
Que' di Rametta intanto chiesero aiuti a Niceforo Foca, il Domestico,
come il chiamano sempre gli Arabi, dall'alto oficio che tenne pria
dell'impero e che illustrò, a danno loro, col conquisto di Creta (maggio
961) e altre belle vittorie.[579] Salito al trono, volle levare
all'Impero la vergogna del tributo che si pagava ai Musulmani; e sperò
che bastassero gli auspicii suoi e le medesime armi a ripigliar la
Sicilia col favor della popolazione cristiana. Onde adunò poderoso
esercito, dicesi più di quarantamila uomini,[580] di varie nazioni:
Armeni, antichissimi difenditori dell'impero; mercenarii russi,[581]
battezzati di fresco; e gli eretici Pauliciani[582] che, trasportati in
Tracia, militavano sotto le insegne dei loro persecutori con riputazione
di ferocissimi soldati: dei quali i Russi e i Pauliciani avean testè
fatto buona prova a Creta.[583] Si apprestarono legni di non più vista
grandezza per traghettare le genti; le navi da battaglia robuste e
munite di fuochi;[584] il terrore dell'oste accresciuto da grande
salmeria di macchine da gitto;[585] deputato a pregare il cielo in buona
forma e vigilare sì sospetta accozzaglia di costumi, lingue, e coscienze
straniere, con oficio di cappellano maggiore, come noi diremmo, un
Niceforo, uom di molta pietà e molto senno, prete di corte, poscia
vescovo di Mileto e in ultimo santo canonizzato.[586] Fin qui
l'imperatore provvide da vecchio soldato. Se non che elesse i
condottieri per favore e corta scaltrezza di palagio. Non uno ma due
condottieri, patrizii entrambi; dei quali il primo fratello del
protovestiario, o maggiordomo che noi diremmo, ebbe nome Niceta; eunuco
pien di religione, erudito negli scritti dei Santi Padri, ma, sbagliata
la via, si trovava in quella stagione protospatario, che suona aiutante
di campo dell'imperatore. Ebbe costui il grado di drungario, o
vice-ammiraglio, il comando particolare del navilio[587] e supremo
dell'impresa.[588] L'altro, Manuele figliuol naturale di Leone Foca,
nipote però di Niceforo, fatto generale della cavalleria: giovane
d'animo bollente, testa dura e cieco valore.[589] De' due messi insieme,
pensò Niceforo comporre un ottimo capitano, senza avere ricorso ad alcun
di que' suoi sperimentati commilitoni dell'Asia Minore, il quale andasse
in Sicilia a guadagnare nuova riputazione e poi mettersi, com'egli
stesso avea fatto, su la via del trono: e questo non gli fece veder
l'errore di porre un forzuto e fiero principe del sangue mezzo a
ragguaglio e mezzo sotto d'un soldato da tavolino. Pur a Costantinopoli
non era chi dubitasse della vittoria. Oltre la potenza di tanto sforzo,
n'erano pegno lor nuovi libri sibillini detti le Visioni di Daniele, ed
i vaticinii d'Ippolito vescovo di Sicilia dei quali nessuno s'era visto
fallire; e vi si leggea come il lione e il lioncello dovessero un giorno
divorare l'onagro. Parea chiaro ai Greci che le due belve con le zanne
simboleggiassero i due imperatori di Cristianità, Niceforo e Otone, e
l'altra belva del deserto Moezz; se non che, quattr'anni dopo la
sconfitta, il nostro Liutprando si beffò di loro che non avessero
capito. Otone e il figliuolo, ei rimbeccò, veraci leoni, doveano
manicarsi Niceforo, asino selvatico vano ed incestuoso, che avea sposata
la comare. E il mordace vescovo di Cremona parlava tanto da senno, che
appose la vittoria dei Musulmani alla fidanza che n'avessero presa,
interpretando appunto come lui la profezia d'Ippolito.[590]
Risaputi i preparamenti del nemico, Ahmed racconciò e armò in fretta il
navilio siciliano; scrisse marinari e soldati, e chiese immediati
rinforzi a Moezz. Il quale, non perdonando a spesa, mandava il navilio
d'Affrica con molte schiere di Berberi,[591] capitanate da Hasan, padre
d'Ahmed. Giunti del mese di ramadhan (11 settembre a 10 ottobre 964),
Hasan avviava uno stuolo al campo di Rametta, rimaneva egli col grosso
delle genti in Palermo, sovvenendogli dello sbarco di Basilio nella
Sicilia occidentale (957). Già l'oste bizantina, traghettato
l'Adriatico, s'era raccolta in su la punta di Calabria. Principiò il tre
scewâl (12 ottobre), fornì in nove giorni il passaggio dello stretto;
occupò a prima giunta Messina; afforzolla con fossati, e risarcì le
mura.[592] Intanto altri stuoli, recati al certo dall'armata, si
mostravano per le costiere di settentrione e di levante; prendeano
nell'una Termini d'assalto, ed era bene per tagliare gli aiuti di Hasan;
nell'altra vanamente sparpagliavansi tra Taormina, Lentini e Siracusa,
delle quali ebber le prime due di queto, la terza per battaglia.[593]
Cotest'errore di allontanar troppa gente da Messina, pianta della
guerra, e la mala disciplina de' soldati, non isfuggirono agli ansiosi
cristiani di Sicilia. Ci si narra che Prassinachio, uom di specchiate
virtù, che s'era posto in un romitaggio in su lo Stretto ed era tenuto
lucidissimo tra i “veggenti in Dio”[594] del paese, avesse presagito la
sconfitta al cappellano maggiore bizantino; il quale non s'aspettava
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