Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 08

seppe guardar quelle province con la spada, nè farvi osservare la pace,
nella condizione precaria con che le tenea.
A trattare i popoli col bastone vuolsi avere in pugno un baston sodo e
dare ad occhi aperti; ma l'impero, con sue triste soldatesche ed
amministrazione scomposta, troppo si affrettava a spossessare ad un
tempo i principi longobardi, estirpare la nobiltà feudale, assoggettare
i comuni, e spolpare e calpestare il popolo. Dopo aver dunque
racquistato, verso la fine del nono secolo, le Calabrie e gran tratto
della Puglia,[348] i Bizantini presero e riperdettero entro quattr'anni
(891-895) lo stato di Benevento; si provarono indarno contro Capua e
Salerno; furon costretti a collegarsi coi principati longobardi
(908-916) contro i Musulmani del Garigliano;[349] non seppero nè
prevenire nè reprimere la ribellione di tante città di Puglia e di
Calabria che si davano (921) a Benevento; nè l'impero le riebbe
altrimenti che per pratiche col principe Landolfo.[350] In questo mentre
non si pagò il tributo ai Musulmani di Sicilia.
E per dieci anni i miseri popoli dell'Italia meridionale vider venire di
Sicilia, sotto le insegne fatemite, nuove facce di predoni stranieri: in
cambio d'Arabi, di Berberi, di Negri, più fiera genía settentrionale.
Perchè il Mehdi par non si fidasse di rendere le armi all'universale de'
Musulmani in Sicilia, non degli Arabi in Affrica; i Kotamii suoi gli
servivano a spegnere gli incendii in casa ed a tentare il conquisto
d'Egitto, massima ambizione di sua dinastia. Adocchiò allora i
giannizzeri prediletti d'Ibrahim-ibn-Ahmed: gli Slavi, derrata di prima
qualità nel commercio di schiavi che conduceasi nel Mediterraneo dal
settimo al decimo secolo, talchè par abbian dato il nome alla cosa.[351]
Gente sobria del resto; prode nelle armi, amante di libertà più che niun
altro popolo di que' tempi, nelle province europee dov'era costituita a
governo suo proprio; gente anco umana verso gli schiavi che riteneva in
casa:[352] ma non le parea male di vendere gli uomini del suo stesso
sangue e del germanico, presi nelle guerre e nei ladronecci di
confini.[353] Allora, sì com'oggi, il grosso della schiatta slava
occupava l'Europa orientale; s'addentellava coi popoli finnici, con
l'impero germanico, coi Magiari, con l'impero bizantino: Schiavoni,
Croati, Serbi ed altri rami slavi ingombravano le regioni a levante
dell'Adriatico; mettean tralci infino al Peloponneso; frammezzati ad
avanzi più o meno frequenti delle antiche popolazioni; fatti cristiani
di fresco; e dove vicini temuti, dove tributarii, dove sudditi di
Costantinopoli.[354] Lo sbocco principale di loro schiavi era
l'Adriatico; gli emporii eran tenuti da essi e dalle città latine e
greche della costiera orientale; i navigatori della costiera italiana
aiutavano al trasporto; i Musulmani del Mediterraneo, dalla Spagna alla
Siria, più che altri popoli, consumavan cotesta merce, in soldati, paggi
ed eunuchi. E il Mehdi ne congegnò una macchina produttrice di novelle
derrate: il bottino, dico, e i prigioni che gli Slavi gli andassero a
buscare in terraferma d'Italia.[355]
La prima frotta, passata d'Affrica in Sicilia su barcacce, piombava di
notte a Reggio, nella state del novecentodiciotto; prendea la città
senza contrasto.[356] Sopravvenne, del novecento ventiquattro, lo
schiavo liberto slavo Mes'ud,[357] con venti galee; il quale occupò la
rôcca di Sant'Agata, quella, credo io, presso Reggio,[358] e tornossene
a Mehdia coi prigioni.[359] Assaporato il qual guadagno, il principe
apprestò maggiore espedizione, affidata all'_hâgib_, o vogliam dir primo
ministro, Abu-Ahmed-Gia'far-ibn-Obeid; il quale veniva il medesimo anno
con armata poderosa a svernare in Sicilia.[360] Alla primavera del
novecentoventicinque passò in Calabria; s'insignorì di Bruzzano[361] e
di molti altri luoghi; alfine andò ad osteggiare Oria, in Terra
d'Otranto. Fazione importantissima, sanguinosa, notata nelle cronache
cristiane con l'epigrafe: quest'anno, del mese di luglio, Oria fu
presa;[362] se non che oggi l'attestato d'uno scrittore ebreo che vi fu
fatto prigione dà precisamente il primo luglio;[363] ed un brano
d'annali musulmani ci fa argomentare che si fossero ridotte in Oria le
forze bizantine della Calabria, riparate le popolazioni d'un gran tratto
di paese, sostenuto un assedio o almen mostrata la faccia a' nemici
nell'assalto. Tanto significa il fatto che Gia'far v'uccise seimila
combattenti, tra la battaglia e dopo, s'intende; che trassene diecimila
prigioni e presevi un patrizio, il quale riscattava sè stesso e la città
per cinquemila mithkâl d'oro,[364] o vogliam dir settantaduemila lire
italiane.[365] Il capitan musulmano stipulò anco la tregua per tutta la
Calabria, datigli statichi a sicurtà del tributo, lo stratego della
provincia e un Leone vescovo di Sicilia;[366] coi quali ripartì per
l'isola a' diciannove di luglio.[367] Par si fosse fermato il trattato a
Taranto; poichè l'autore che testè citai, nato probabilmente in
Calabria, il dotto medico Sciabtai Donolo, narra che preso ad Oria con
molti altri Giudei, fu condotto a Taranto e quivi riscattato.[368]
Giunto in Sicilia Gia'far significò immantinenti la vittoria al principe
fatemita; indi gli recò egli stesso il bottino a Mehdia: fece
ammonticchiare in una sala della reggia drappi di seta a disegni e
colori,[369] gioielli, moneta e ogni roba di pregio. Il Mehdi se li
godea con gli occhi, quando un cortigiano che gli era allato “Oh
padrone,” sclamò, “non vidi mai sì gran tesoro!” e il Mehdi a lui: “È il
bottino d'Oria.” Onde l'adulatore per bruciare incenso al primo
ministro, “Puoi chiamare uom fidato,” ripigliò, “chi ti riporta a casa
tutto questo.” Ma il principe avaro gli troncò la parola: “Perdio, s'è
mangiato il camélo e me ne reca gli orecchi!”[370] I prigioni furono
venduti in Affrica.[371]
Intanto si fermava tra le corti di Mehdia e di Costantinopoli un
trattato che ratificò, a quanto parmi, i patti di Calabria e que'
d'Ibn-Korhob. Narra il Cedreno, com'apprestandosi Simeone re dei Bulgari
a nuovo assalto sopra la capitale dell'impero, mandava a propor lega al
principe d'Affrica ch'aiutasse dalla parte sua col navilio; e
l'Affricano assentiva e rinviava gli ambasciatori bulgari insieme coi
propri per ultimar la cosa, quando gli uni e gli altri caddero in man
de' Greci in Calabria e furon addotti a Costantinopoli. Romano Lecapeno,
per sturbare la lega, ritenne i prigioni bulgari; rese gli affricani al
signor loro, con doni e profferta di soddisfare il tributo della
Calabria; e sì bene condusse la pratica, che il Fatemita fermava la pace
con esso lui e gli rimettea metà della somma promessa dalla imperatrice
Zoe; onde il tributo scemò a undicimila bizantini all'anno. E così
rimase in dritto fino alla esaltazione di Niceforo Foca (963); ma in
fatto, gli strateghi di Calabria onesti il pagavano, e i ladri si
metteano il danaro in tasca.[372] Tanto il Cedreno, senza data precisa e
sbagliando il nome del Mehdi;[373] il che non porta punto a mettere in
dubbio la cosa.
Cotesta pace e le vicende che le tenner dietro, dettero argomento a
supporre altra maggiore vergogna dell'impero bizantino, che si è
ripetuta infino ad oggi e sembra esagerata, anzi trasnaturata.
Liutprando, trent'anni appresso il trattato,[374] scrivea avere inteso a
dire che Romano Lecapeno, quando gli si ribellaron le Calabrie e la
Puglia, non trovando modo a ripigliarle, chiese aiuto ai Musulmani
d'Affrica; ch'essi vennero in Italia con esercito innumerevole; che,
soggiogate le province, reserle ai Greci; e fornita lor cortesia,
“giraron verso Roma e s'andarono a porre al Garigliano:” il quale
anacronismo di mezzo secolo,[375] per certo non aggiugne fede al
racconto. Nelle altre croniche cristiane, negli annali musulmani, non
troviamo vestigia di cotesta avventura;[376] a meno che il trattato
riferito del Cedreno non si voglia supporre anteriore alla fazione
d'Oria, e questa combattuta non contro le armi bizantine ma contro i
ribelli: che sarebbe far troppo lavoro di fantasia. Pertanto io tengo
falsa la tradizione; la quale nacque dal trattato di pace e dall'odio
immenso e giusto che portavano tutti gli Italiani ai Greci. Liutprando
l'accettò lietamente, non solo per quel suo mortalissim'odio, e
disprezzo e dispetto contro la corte di Costantinopoli, ma anche per
l'analogia dei fatti che seguivano al suo tempo, quando gli strateghi
bizantini di Calabria sfacciatamente traccheggiavano con gli emiri di
Sicilia. Il sol patto tacito o espresso da sospettarsi tra il
novecentoventicinque e 'l novecentotrenta, è che i Bizantini
escludessero dalla tregua e designassero ai Fatemiti le città di
Calabria e Puglia che lor non obbedivano e però non pagavan la quota del
tributo musulmano. A ciò dunque si ristringa il biasimo dei Bizantini; e
si cancelli dalla storia quella impossibilità dell'Italia meridionale
racquistata da loro con eserciti musulmani.[377]
Tra gli stati independenti dall'impero greco, le città che gli si
ribellavano, e gli strateghi che differivano a pagare il tributo, non
mancò occasione di preda alle soldatesche slave. Di luglio novecento
ventisei preser Siponto, capitanati, al dir d'una cronica, da Michele re
loro,[378] forse _zupano_, come si chiamava il primo magistrato delle
repubbliche slave della Dalmazia, e però venuto a dirittura e dassè, non
d'Affrica da servidore del Mehdi. Ma il costui paggio slavo Sâin, l'anno
appresso, che cadde nel trecentoquindici della egira, passava d'Affrica
in Sicilia con quarantaquattro navi la più parte da guerra: accozzate le
sue con le genti dello emir di Sicilia, facea vela per Taranto;
assediava la città, difesa virilmente dagli abitatori; entrava
d'assalto; menava strage degli uomini da portar arme, e mandava il
rimanente della popolazione a vendere in Affrica.[379] Del
novecentoventotto, par che l'esercito di Sicilia e gli Slavi si fossero
divisi per portar la guerra in due province diverse. Il primo, andato a
campo ad Otranto, espugnavala il diciassette agosto; distruggea le case
e s'apprestava a correre altri paesi, quando una moría lo costrinse a
tornarsi in Palermo.[380] Sâin co' suoi Slavi assaliva i principati
longobardi dalla parte del Tirreno; prendeavi parecchie fortezze, tra le
quali le memorie musulmane notano una _Ghirân_ ossian “Le Grotte,” ed
una _Kalat-el-Khesceb_, ch'è a dir “La Rocca del Legno:” nomi da non si
riconoscere agevolmente nella nostra topografia del medio evo, poi ch'è
evidente che i vincitori li posero a capriccio o li tradussero in lor
linguaggio. Fatto fardello quanto potè, Sâin si appresentava a Salerno;
i cui cittadini comperaron la pace a prezzo di danaro e drappi di seta
_dibâg_.[381] Donde passato a Napoli, la sforzava a simil patto; se non
che prese danaro e vesti, dice la cronica:[382] senza dubbio per
significar le pezze di tela di quel lavorío che non avea pari al mondo e
facea la ricchezza della città, com'afferma il mercatante arabo
Ibn-Haukal, trovatosi a Napoli una quarantina d'anni appresso.[383] Sâin
riscosse anco il tributo della Calabria e fece ritorno in Palermo col
bottino e numero grandissimo di prigioni.[384]
Ma l'anno seguente, com'e' par che gli strateghi di Calabria andasser
sempre a rilento nel pagare, Sâin si mostrò nell'Adriatico, con quattro
navi grosse. Imbattutosi nello stratego che n'avea ben sette, lo slavo
non se la stette a pensare che l'assalì e il vinse. Sbarcato poi,
prendea Termoli nel mese di settembre o d'ottobre; e si riducea alfine a
Mehdia con dodici migliaia di prigioni.[385] Fu ultima di sue scorrerie
questa del novecentoventinove. E credo che in tal tempo l'armata e le
genti slave fossero venute a svernare ogni anno in Palermo, e che parte
ve ne rimanesse a mercatare dopo la partenza di Sâin; poichè il rione
più grosso della città, contiguo al porto, si addimandò il Quartiere
degli Slavi.[386]
Lunga pezza poi respirò l'Italia meridionale sendo stato soddisfatto il
tributo dai Bizantini fino alla morte del Mehdi;[387] racceso poscia il
fuoco della guerra civile in Sicilia; e nel frattempo rivolte le forze
navali dei Fatemiti contro Genova. In que' primordii della repubblica,
sembra già cresciuto il commercio, poichè attirò gli avvoltoi, fatemiti.
Abu-l-Kasem-Mohammed, figliuolo del Mehdi, salito al trono il
novecentotrentaquattro, allestiva immantinenti un'armata di trenta legni
da guerra;[388] con la quale Ja'kûb-ibn-Ishak corse la riviera ligure,
sbarcò nei contorni di Genova, fecevi bottino e prigioni.[389] Donde
Abu-l-Kasem, ragunato novello esercito il novecentotrentacinque,
rimandavalo in quelle parti. I Musulmani allor posero l'assedio alla
città; apriron la breccia;[390] entrati con la spada alla mano fecero
carnificina degli uomini, preser le donne e i fanciulli, saccheggiaron
le case e i tesori delle chiese[391] e rimontarono su lor legni. Di
passaggio approdano in Sardegna; opprimon col numero que' fieri isolani;
lor ardono molte navi; fan lo stesso gioco in Corsica;[392] e impuni se
ne tornano a Mehdia, recando in cattività un migliaio di donne
italiane.[393] Così leggiamo ne' ricordi loro il lagrimevol caso di
Genova,[394] accennato appena dai nostri scrittori del tempo, con giunta
dell'avviso che n'avesse dato il Cielo, tingendo di sangue una polla
d'acqua.[395] Alla fine del decimoterzo secolo, non bastando tal
prodigio alla repubblica potente e vittoriosa, si finse una terribile
vendetta: come la gioventù genovese fosse ita fuori con l'armata; come
al ritorno, vedendo la città vota, d'un subito rivolte le prore in
caccia de' Saraceni, colseli che si godean l'acquisto in un isolotto
disabitato presso la Sardegna, ne fece un monte di cadaveri, e riportò a
casa le mogli, le sorelle, i figliuoli. Favoletta sì semplice che par
trovata pei bambini; e sta bene in bocca di chi la compose o la ripetè:
Iacopo da Varaggio, arcivescovo di Genova, compilator della Leggenda
Dorata.[396]


CAPITOLO IX.

Non fia lungo a narrare le vicende interiori della Sicilia da una
rivoluzione ad un'altra. Ressela per venti anni, con titolo di emir,
quel Sâlem-ibn-Rescid, lasciatovi alla partenza d'Abu-Sa'îd.[397] Ma
l'autorità era mutilata. Le fazioni in Terraferma, com'abbiam visto, si
condussero per capitani mandati apposta d'Affrica; nelle quali, se
talvolta andò Sâlem, fu da ausiliare.[398] Il navilio siciliano, che diè
tanta briga al Mehdi al tempo d'Ibn-Korhob, combatteva ora gli ortodossi
sudditi degli Abbassidi in Egitto; i quali ben sapeano che i Siciliani
ci andassero contro voglia. E però dopo la giornata navale che
guadagnarono gli Abbassidi fuori Rosetta (919), menati a terra i
prigioni, il popolo di Misr nè scevrò i Kotamii per ammazzarli; perdonò
la vita ai Siciliani, Tripolitani e abitatori dell'Africa propria.[399]
Del novecentoventisette; venne d'Affrica a por taglie[400] su la
Sicilia, il figliuolo dell'emiro Sâlem, con due sceikhi[401] detti il
Belezmi e il Kalesciani[402]; e tornovvi del trentadue, con preposti
nuovi: Ibn-Selma e Ibn-Dâia; i quali aggravaron la mano sul popolo, ma
rappresentatisi a corte l'anno appresso, caddero in disgrazia del
padrone;[403] parendogli forse, che del camelo, com'ei solea dire,
gliene avessero recato gli orecchi.[404] Veggiamo infine che Sâlem
accordava la tregua a Taormina e altre castella dei Cristiani dì Sicilia
nella state del novecentodiciannove.[405] Da tutto ciò è manifesto che
il Mehdi adoperasse in Sicilia l'espediente tollerato dai pubblicisti
musulmani del tempo: scindere l'emirato in due oficii, l'un di guerra e
polizia, l'altro di azienda e giurisdizione;[406] e che non contento a
ciò, togliesse l'occasione e le forze da far la guerra. Un capitan
generale della sbirraglia con l'antico titolo d'emir; un presidio di
Kotamii o fanti poliziotti, com'or diremmo; pace coi Cristiani
dell'isola, per lasciarvi disarmati i coloni; gli affari d'azienda e di
guerra accentrati in Affrica: con questi ordini il Mehdi tenne la
Sicilia. Usò modi somiglianti con le popolazioni arabiche d'Affrica. In
generale serbò la pace con l'impero bizantino, e con le popolazioni
berbere independenti. Meglio che la spada, amò la penna, i raggiri
fiscali, gli artifizii da gran maestro, ai quali era stato educato.
Condusse per man del figliuolo la guerra d'Egitto, saviamente
ostinandosi a quel conquisto; ma non gli riuscì.
La morte del Mehdi, seguita il tre marzo novecentrentaquattro, si
riseppe in Sicilia il venticinque agosto; poichè il figliuolo che gli
succedette, Abu-l-Kasem-Mohammed, soprannominato El-Kâim-biamr-illah, la
occultò quanto ei potè,[407] temendo gli umori ostili degli Arabi
d'Affrica, le sètte karegite dei Berberi e lo scompiglio che dovea
recare nella setta ismaeliana la disparizione del semideo. A' dieci
marzo del medesimo anno, fu morto dinanzi il palagio di Sâlem in
Palermo, un Rendasc, governatore di Taormina:[408] questo sol ne
sappiamo; ma il nome greco ci porta a supporlo capitan del municipio
cristiano che avesse infranto la tregua, e caduto in mano di Sâlem fosse
mandato al supplizio. Il diciannove poi d'ottobre, ingrossati per piogge
i torrenti delle montagne che circondano Palermo, calamità troppo
frequente, si rovesciarono su la città, portaron via molte case fuori e
dentro le mura, e v'annegò della gente.[409] Corso poco più d'un anno,
l'undici luglio del trentasei, soffiò sopra l'isola uno scirocco sì
infocato, ch'arse le frutta in sugli alberi; nè quella stagione si potè
far vendemmia.[410]
Ridestossi nel trentasette la rivoluzione a Girgenti; la quale città par
che il governo fatemita non avesse disarmato nè imbrigliato al par di
Palermo, in grazia, sia del sangue berbero, sia della pinta data a
Ibn-Korhob. Ciò non togliea nè l'avarizia del fisco, nè i soprusi degli
oficiali di Sâlem; sul quale piombò l'odio dei Girgentini, come d'ogni
altro musulmano di Sicilia. Levatosi dunque il popolo, a' diciassette
aprile, contro Ibn-'Amrân ch'era _'âmil_, o, diremmo noi, delegato di
Sâlem in Girgenti, lo andarono ad assalire in Caltabellotta, forte rôcca
a trentadue miglia, ov'ei si tenea sicuro con suoi gendarmi;[411] e,
fatto impeto nella fortezza, il capo fuggì; gli sgherri furono
svaligiati. Al quale annunzio Sâlem mandava Abu-Dekâk, Kotamio, con le
genti di sua tribù, le milizie siciliane, e i fanti di Meimûn-ibn-Musa,
che sembran altra caterva di gendarmi: e Abu-Dekâk s'era messo a
stringere 'Asra, terra d'incerto sito,[412] tra Palermo e Girgenti e
rivoltata anch'essa, quando lo sopraggiunsero i Girgentini. Appiccata la
zuffa il ventiquattro giugno, par che i soli a combattere tra i regii
fossero stati que' di Kotama; poichè di lor soli si narra la sconfitta e
la strage, nella quale cadde anco il capitano, e la prigionia dei
rimagnenti. I vincitori marciarono sopra Palermo. Dove, o che il popolo
non si fidasse per anco di levar la testa, o che il movesse l'antica
nimistà coi Girgentini, si lasciò condurre da Sâlem e da Meimûn-ibn-Musa
a combattere per gli oppressori. Scontrati i Girgentini, il due luglio,
a Mesîd-Bâlîs,[413] i Palermitani li ruppero dopo fiero combattimento, e
li inseguiron fino a' mulini di Marineo.[414] Se fosse lecito di
ristorar a conghietture le memorie de' tempi, diremmo risolutamente che
la nobiltà palermitana non proseguì volentieri la guerra contro i
ribelli; che cercò di patteggiare col governo e resistergli, avendo di
nuovo le armi alla mano. Certo, che la rivoluzione non fu repressa a
Girgenti, e che a capo di due mesi divampò in Palermo.
Dove la domenica diciassette settembre sorgea contro Sâlem il popolo
condotto da un Ibn-Sebâia e un Abu-Târ;[415] ai quali l'emiro fe' testa,
notandosi che gli fu ucciso nella zuffa un Abu-Nottâr, detto il Negro:
qualche gran colonna della polizia al suo tempo. Nondimeno rimase
l'avvantaggio a Sâlem, poichè ei faceva impalare parecchi ribelli il dì
venti nell'arsenale. Più poderosi stuoli corsero alle armi, il sette
ottobre; ritentarono la prova; e furono sconfitti di nuovo da Sâlem ed
assediati nella città vecchia, ov'e' si ritrassero.[416] Pure finì senza
molto sangue. Avea Sâlem fin dai primi movimenti scritto al principe:
tutta la Sicilia essere rivoltata; se non la volea perdere, mandasse
rinforzi; e i notabili dell'isola, titubanti nella ribellione, aveano
spacciato altre lettere nelle quali diceano voler obbedire al califfo,
ma che non poteano sopportare quel tiranno di Sâlem. Donde Kâim, lor ne
mandò un altro di tempra più fina; con possente esercito, nel quale
contavansi parecchi condottieri,[417] forse di soldatesche mercenarie.
Il capitan supremo ebbe nome Abu-Abbâs-Khalîl-ibn-Ishâk-ibn-Werd. Nato
in Tripoli di nobile famiglia arabica, s'era dato in gioventù agli
studii, alla devozione, alle ascetiche fantasie dei sufì; poi s'era
venduto ai Fatemiti, fattosi ministro d'espilazioni e di supplizi contro
i proprii concittadini; rimeritato con oficii d'azienda, con governi di
città; e n'abusò, sapendosi che pericolò la vita sotto l'avaro Mehdi, e
che campò per intercessione di Kâim; il quale, salito al trono, lo fe'
capitano della cavalleria d'Affrica, con giurisdizione sul _giund_ e sul
navilio.[418] Questo suo fidatissimo deputò all'impresa di Sicilia.
Sembra, che parte dell'armata fosse allestita in fretta a Susa. Poichè
torna a tal tempo la leggenda affricana che, avendo i calafati svelto i
cippi del cimitero di Susa per far puntello alle navi che si
racconciavano per la spedizione di Sicilia, niuno osò toccare la pietra
sepolcrale del devoto Iehia-ibn-Omar-ibn-Iusûf, dalla quale si vedea
raggiare una portentosa luce.[419]
Khalîl, arrivato in Palermo a' ventitrè ottobre,[420] fe' buon viso ai
cittadini, che gli si appresentarono protestando lealtà al califo; ed
ascoltò lor querele contro Sâlem; le quali furono ripetute con molte
lagrime e strida dalle donne, uscite anch'esse dalla città, menando seco
i fanciulli: doloroso spettacolo che commosse quanti il videro, scrive
Ibn-el-Athîr, e ne piansero per pietà. Ripeteano tantosto le accuse
contro Sâlem i deputati delle altre terre dell'isola, e i Girgentini
medesimi che si sottomessero. Khalîl soddisfece in apparenza ai
Siciliani con deporre d'oficio gli _'âmil_ di Sâlem: commedia ripetuta e
applaudita in tutti i tempi. Quanto a Sâlem, nè andò via da Palermo, nè
perdè il titol di emiro, nè par gli fosse tolta altra autorità, che il
comando dell'esercito.[421] Di che imbaldanziva tanto l'animo servile,
da non sapersi frenare una volta che, abboccatosi coi deputati
girgentini e punto forse da loro, rimbeccò: non ridessero poi tanto;
aspettassero, e vedrebbero se il principe non avea mandato Khalîl a
vendicare il sangue dei soldati uccisigli nella rivoluzione.[422]
Calmati che parvero i Siciliani, Khalîl diè opera al freno da por loro
in bocca. Il palagio o castello degli emiri in Palermo giacea fuor la
città vecchia, nel medesimo luogo ov'è adesso la reggia.[423] Provano
ciò le stanze dei soldati rimaste lì presso nel decimo secolo,[424] e il
portico, o, come lo chiamarono ai tempi normanni, la Via coperta, che
dalla cattedrale riusciva a quel sito e che per certo, ai tempi
musulmani, avea congiunto il palagio alla moschea _giâmi'_; sì come a
Cordova,[425] a Kairewân,[426] e ad Algeri.[427] Posto dunque ad un
miglio dal mare, e standovi di mezzo città sì forte e popol sì
contumace, il palagio non era bel soggiorno agli emiri negli spessi
tumulti palermitani. Al contrario, la penisola in sul porto dove par si
fosse accampato Abu-Sa'îd nell'assedio del novecento sedici,[428]
offeriva sito difendevole, aperto agli aiuti di fuori, ed acconcio a
vietarne ai Palermitani. Khalîl vi gettò subito le fondamenta d'una
cittadella cui diè nome _El-Khâlisa_, che suona “L'eletta;” e in vero
dovea rinserrare il fior dei leali: l'emiro, i suoi mercenarii da spada
e da penna; palagio, arsenale, oficii pubblici; prigione: tutta la
macchina governativa; come una Mehdia in piccolo, circondata di mura, e
molto bene afforzata.[429] All'uso dei tempi, Khalîl risparmiò danari,
sforzando la gente a lavorarvi;[430] oltrechè fece abbattere le mura
della città vecchia, e toglierne un'altra fiata le porte.[431] I
Palermitani fremevano, e non poteano dar crollo. Ma i Girgentini,
addandosi che Sâlem avea ragione, vollero ripigliare le armi pria che
Khalîl non architettasse qualche altra cittadella in casa loro.
Onde afforzan le mura alla meglio; fanno preparamenti di guerra: Khalîl,
dal suo canto, accozzò grosso esercito, tra i Siciliani e le forze
recate d'Affrica; coi quali movea di Palermo il nove marzo del
novecentrentotto. Usciti i Girgentini allo scontro, vinsero per
sanguinosa battaglia, nella quale cadeano due capi di gran nome tra i
regii: Ibn-abi-Khinzîr, ch'è lo stesso casato dell'emiro del
novecentoundici; ed Ali-ibn-abi-Hosein della tribù di Kelb, genero di
Sâlem e ceppo della dinastia che poi regnò in Sicilia. Pur l'esercito
regio, poderoso e condotto dalla volontà inflessibile di Khalîl, non
ostante la prima sconfitta, continuò l'assedio per otto mesi; nei quali
non passò giorno che poco o molto non si combattesse; finchè,
sovrastando la stagione piovosa, Khalîl levò il campo a' ventidue
ottobre. Svernò alla Khâlesa; fece venir d'Affrica altri Berberi, come
il provano i nomi de' capitani Wasâmâ e Ibn-Modû;[432] ed attese a levar
novelli tributi su le popolazioni siciliane che gli ubbidivano. Onde,
oppresse della gravezza, mosse dall'esempio e dalle istigazioni dei
Girgentini, si chiarirono ribelli tutte le castella e il popol di
Mazara, scrive Ibn-el-Athîr, particolareggiando molto i casi di cotesta
guerra. E le castella si deve intendere del Val di Mazara; trovandosi
tutti in quella provincia i nomi dei quali si fa ricordo; nè parendo da
altro indizio che fossero per anco sparse le colonie musulmane a levante
del Salso. “Misero in campo (continua Ibn-el-Athîr) loro gualdane; la
ribellione fece passi da gigante; scrissero all'imperatore di
Costantinopoli, chiedendo aiuti; il quale mandò navi con uomini e
frumenti.” A tal partito si scorge la disperazione; ed anco all'insolito
accordo che par sia stato tra gli Arabi e i Berberi dell'isola; ed alla
ostinatissima resistenza: e vincean la prova, se Palermo voleva o potea
tentare uno sforzo estremo; se i sollevati sapeano sottomettersi ad
unità di comando; e se la carestia non combatteva anco pei Fatemiti.
Khalîl, nella primavera del novecentrentanove, cominciò la guerra ai
passi delle Madonie: espugnò Caltavuturo, Kalat-es-sirât,[433] Sclafani;
le quali non si ritrae che fossero state soccorse dai distretti
meridionali. Assicurate così le spalle e le vittovaglie, volse a
ponente; occupò Mazara;[434] indi una penisola, ch'io credo il Capo San
Marco, dove fu preso un condottiero bizantino o di schiatta siciliana,
per nome Foca o simile, cui Khalîl fe' morire tra i tormenti:[435] indi
mosse con tutte le genti all'assedio di Caltabellotta. Ebbela a patti,
dopo sanguinosa battaglia vinta il dieci luglio; nè potè fare altra
impresa fino al settembre, quando messe il campo a Platani. La quale
giaceva a dieci miglia in circa da Caltabellotta, una ventina da
Girgenti e sei dal mare: antica fortezza d'un miglio in giro, su la cima
del monte chiamato in oggi di Platanella, che sorge stagliato e dirupato
d'ogni banda su la ripa destra del fiume di Macasoli e su la sinistra
del Lico, il quale ha mutato il nome in Platani. La trovarono i
Musulmani al conquisto; la tenner anco sotto i Normanni, formidabile e
munita d'una rôcca; vi s'afforzarono nelle guerre civili al principio
del regno di Federigo Svevo, quando par siano stati smantellati i
ripari, e il villaggio conceduto coi terreni alla Cattedrale di Palermo.
Tantochè nel decimosesto secolo ne avanzavan, dice Fazzello, mirabili
rovine, ed oggi il nome di Calata attesta su le carte geografiche il
sito della rôcca.[436]
Indarno travagliossi Khalîl contro Platani; anzi abbandonò o perdè
Caltabellotta; a ripigliar la quale avendo spiccato parte de' suoi, i
Girgentini una notte di novembre assalivano improvvisi l'uno e l'altro
campo; sforzavano quel di Caltabellotta; lo saccheggiavano, metteano in
fuga gli assedianti. Khalîl allora risolutamente lasciò anco l'assedio
di Platani, per concentrar tutte le forze contro Girgenti, nodo
principale della guerra; per chiudere quegli audaci entro lor mura, sì