Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 05

secolo; i quali, con loro preoccupazioni politiche e religiose, o non si
sono accorti di quegli errori o non si sono affrettati a chiarirli. Indi
si è esagerata la parte ch'ebbe la filosofia greca nelle sètte più
odiose. Indi si è supposta tra varie sètte quell'analogìa di modi è
d'intenti che di certo non ebbero.[204] E però è mestieri ch'io tratti
questa materia più minutamente che non si addica a quadro generale; ma
tra due scogli mi par meno male la digressione che l'errore.
Gran tratto innanzi i dissentimenti speculativi, s erano mostrate
nell'islamismo le sètte miste d'eresia e di fazione; i due ceppi delle
quali, suddivisi in rami secondo le opinioni accessorie, si chiamarono
Khâregi e Sciiti. Il nome dei primi s'intese quando il califo Othmân
cominciò a falsare la democrazia musulmana. Difenditori della
democrazia, i Khâregi eran uomini di schiatte arabiche, e non pochi tra
loro rinomati per virtù, sapere e pietà.[205] Collegaronsi con gli
ottimati religiosi[206] e coi partigiani di Ali; e tutti insieme
spensero Othmân: se non che l'accordo di tre fazioni, sì diverse negli
intendimenti loro, si ruppe alla esaltazione di Ali, prima che fosse
abbattuto il terribile nemico comune, ch'era l'antica nobiltà,
capitanata da Mo'awia-ibn-abi-Sofiàn. La parte più turbolenta degli
ottimati religiosi levossi contro Ali; fu sconfitta nella giornata che
chiamarono del Camelo; e i Khâregi tuttavia seguirono il vincitore su i
campi di Seffein, ov'ei si scontrò con Mo'awia. Ma posate le armi per lo
noto compromesso, i Khâregi spiccavansi da Ali, vedendolo sospinto da'
suoi partigiani alla monarchia assoluta di dritto divino. A rintuzzare
sì pericolosi principii d'usurpazione, i Khâregi immantinente bandiscono
non necessario nella repubblica musulmana il califo; se talvolta il
popolo creda espediente di nominarne, possa sceglierlo di qualunque
schiatta e condizione, coreiscita o no, libero o schiavo; sia tenuto il
califo a governare secondo certi patti fondamentali; declinando lui
dalle vie della giustizia, il popolo possa deporlo, combatterlo,
metterlo a morte. Quanto ad Ali, per rispondere all'apoteosi che ne
faceano i suoi, i Khâregi a dirittura lo incolparono di peccato per
l'accettato compromesso; e poco stante, per cagion di questo o d'altri
atti di governo, lo chiarirono infedele in religione; alfine
pubblicamente lo maledissero, per avere, combattendo contro di loro,
messo a morte gli uomini da portar arme, fatto bottino dei beni e menato
in cattività le donne e i fanciulli: crudel rigore di guerra, lecito
solo contro Infedeli e non usato da Ali verso gli altri nemici
musulmani. Quest'ultimo fatto prova che Ali tenne i Khâregi non solo
ribelli, ma sì eretici. E veramente quei loro assiomi sì precisi di
sovranità del popolo, tornavano a scisma secondo le idee musulmane; e a
scisma tornava, secondo le idee di tutti i popoli, il dichiarar
peccatore e infedele un pontefice, e affermare che le peccata gravi
portassero a infedeltà.[207] Del resto ognun vede quanto semplice, e,
direi quasi, pratica sia stata cotesta eresia, nata dalla schiatta
arabica, al paragon delle sottilità straniere. Sursero poi novelle sètte
kharegite più feroci in lor teorie rivoluzionarie e più speculative e
audaci in punto di eresia; come portava da una mano la rabbia della
persecuzione e la coscienza della propria debolezza, dall'altra il
miscuglio coi forastieri. Ognun sa che Ali cadea sotto il pugnale dei
Khâregi e che due altri despoti in erba ne campavano a mala pena. Il
ramo kharegita detto dagli Azrâkiti, che poi levò tanto romore in
Oriente, disse infedele chi dissimulava in parole o in opere trovandosi
in pericolo, e chi non correva alla guerra sacra, quella cioè di lor
setta contro ogni altra; e fe' lecito di uccidere fin le donne e bambini
dei dissidenti; ma altri rami non arrivarono a tali estremi. Quanto alle
leggi estranee alla contesa politica, gli Azrâkiti abolirono la pena di
morte per stupro; altri permessero il matrimonio con la figliuola della
propria figlia e con la figlia di fratello o sorella, e alsì il
matrimonio di Musulmana con uomo infedele; nei quali punti di scisma
traspariscon le dottrine persiane. Altre sentenze teologiche e
casuistiche tolsero or dai Motazeliti or da altri eterodossi.[208]
Segnalaronsi le sètte kharegite per indomito ardire contro la tirannide,
sì nel campo e sì in faccia al supplizio. Per due secoli accesero
atrocissime guerre nelle province orientali e in Affrica; e molte dure
scosse dettero allo Impero; ma alla fine gli eserciti dei califi
trionfaron di loro. Tanto ardua impresa ella era di ristorare la
democrazia di Abu-Bekr e di Omar tra masse di popolo eterogenee,
ignoranti, superstiziose; e tanto nocquero all'intento quei mezzi
rabbiosi ed efferati, che al certo discreditarono e assottigliarono i
Khâregi più che non li rinforzassero col terrore.
A un tempo con quei campioni della libertà erano comparsi i settatori
più frenetici che abbian mai sostenuto l'autorità, gli Sciiti o Scî'i,
come si dovrebbe scrivere, e significa Partigiani. L'erano di Ali.
Teneano: il pontificato non procedere dalla comunità musulmana, nè
potersi conferire da uomini; essere fondato su dritto divino, che il
Profeta stesso non ebbe autorità di cancellare nè modificare;
tramandarsi il pontificato per successione di sangue e designazione del
predecessore; appartenere evidentemente ad Ali e sua schiatta. In ciò si
accordavamo a un di presso tutti i rami di setta sciita. Dissentivano su
l'ordine della successione d'Ali. Inoltre i Kaisaniti, ramo sciita,
compendiavano stranamente la religione nella assoluta obbedienza al
pontefice.[209] I Gholâ, altro ramo,[210] scoprirono nei pontefici alìdi
non so che ipostasi divina, non so che spirito trasmigrante da persona a
persona, e vi fu chi sostenne, dopo la morte di Ali, ch'ei fosse salito
in cielo per tornare al mondo quando che fosse a ristorar la giustizia,
e che aspettasse passeggiando su i nugoli; e sentian la sua voce nel
tuono; e vedean guizzare nelle folgori la frusta dell'immortal
cavaliero. Principii filosofici, miti, pensieri, imagini, estranei tutti
alla schiatta arabica; nei quali non è chi non raffiguri il sogno
indiano delle incarnazioni, la superstizione tibetana del pontefice
Iddio, e la trasmigrazion delle anime, e l'aspettativa del Messia, e un
mito eroico di vero conio indo-europeo. Coteste merci straniere
entrarono nell'impero musulmano coi liberti che avean prima professato
magismo, sabeismo, giudaismo, cristianesimo, o alcuna setta di esse
religioni; e veramente un liberto di Ali per nome Kaisân diè origine e
nome al ramo sciita ricordato di sopra; un Giudeo rinnegato, per nome
Abd-Allah-ibn-Saba, fu il primo dei Gholâ; e, vivendo Ali, aveva osato
dirgli “Tu sei tu” che volea significar “sei Dio.”[211] I barattieri che
cercavano un capo di parte e gli sciocchi sì correvoli ad ogni
maraviglia, avean trovato bello e pronto il soggetto del mito: Ali,
cugino, fratello elettivo, genero, compagno dall'infanzia, e impavido
difensore di Maometto; il guerriero dalla spada a due tagli, il quale
mai non combattè uomo che nol vincesse; il novello Sansone che
all'assalto di Khaibar avea schiantato la porta dai cardini e fattosene
scudo; Ali nobilissimo, caritatevole, liberale, e con ciò ambizioso e
leggiero. Indi l'apotéosi presto fu compiuta. Ali, che in su le prime
avea lasciato fare, s'accorse della empietà alla quale il tiravano, e
sbandì il giudeo Ibn-Saba;[212] poi, incalzandolo altri adoratori;
inorridito, accese il fuoco e chiamò Kanbâr, come dicea poetando egli
stesso, per significar che gli avesse fatto uccidere e ardere i cadaveri
da quel suo liberto.[213] Ma la superstizione non si dileguò a tal
esempio; non alla morte del semideo. La stirpe di Ali, atrocemente
proscritta, forniva alla leggenda altre pagine spiranti tragica pietà:
Hasan, avvelenato dagli Omeîadi per man della propria moglie, le perdona
dal letto di morte; Hosein con un pugno di uomini fa testa a un esercito
e cade, ultimo dei combattenti, tra i cadaveri dei congiunti, con un
fanciullo figliuol suo trafittogli nelle braccia; i discendenti si
segnalano, quali per dottrina o valore, quali per pietà e rassegnazione,
e per lo più son vittima anch'essi dei sospetti di Stato; il glorioso
nome di Ali per sessant'anni è maledetto nella pubblica preghiera
dell'impero. Pertanto la compassione dei popoli accresceva e infocava i
partigiani della sacra schiatta, i quali le attribuivano novelli
miracoli, e correano al martirio per ristorarla in sul trono; ma
prevalendo sempre sopra di loro le armi dei califi, si ordinarono alfine
in società segreta. Fuori da quella congrega, continuò il fanatismo
delle moltitudini ad esaltare gli eroi di casa alida; sfogossi in
sedizioni contro i Sunniti; e fino a questi dì nostri ardentissimo si
manifesta in Persia e nelle popolazioni musulmane dell'India.
La società segreta che raccolse le forze popolari e le adoprò ad
esaltare in Affrica i veri o supposti discendenti di Ali, ebbe origine
da sodalizii più antichi. Esaminando i due elementi dei quali
necessariamente si componea, cioè le dottrine e gli ordini, si trovano
entrambi nella schiatta persiana. Le dottrine nacquero, o a dir meglio,
presero forma propria e novella, nei principii dell'era volgare e in
Persia; ove il magismo avea già cominciato ad ascoltare le teorie
buddiste dell'Asia centrale, le avea trasmesso insieme con le proprie
nell'Asia anteriore, e questa gli avea rimandato le une e le altre
modificate dal cristianesimo. In fatti il gran riformatore della setta
sciita, quegli che la ordinò in società segreta, seguiva tuttavia la
scuola d'un eresiarca del secondo secolo, rimaso incerto tra il magismo
e il cristianesimo, Ibn-Daisân, o Bardesane, come chiamasi con forma
siriaca: dottore ascetico e dualista, il quale immaginò l'uomo mediatore
tra la Luce e le Tenebre.[214] Ma i Daisaniti sono stati confusi spesso
coi Manichei, setta analoga che levò assai maggior grido. Mani, come
ognun sa, non contento di recar da mero profeta un libro dettato dal
Cielo, osò affermare con idea buddista e linguaggio cristiano ch'ei
chiudesse in petto lo spirito paracleto o divin consolatore del vangelo;
predicò in Persia, Tartaria e India una novella religione accozzata di
varie altre, soprattutto di magismo e cristianesimo; dove, tra molte
assurdità teologiche e molti ottimi principii di morale, insegnò aver
tutti gli uomini uguale diritto al godimento dei beni e piaceri del
mondo.[215] Spento Mani dai monarchi sassanidi (272), e costretti i
discepoli a rifuggirsi nella Transoxiana, ricomparvero dopo il conquisto
musulmano in Khorassân e altre province dell'impero, e fino a Bagdad;
ove se ne contava trecento nella seconda metà del decimo secolo. Or
ignorati or perseguitati, e una volta (908-932) tollerati per
intervenzione dei principi dell'Asia centrale,[216] i Manichei
dell'impero musulmano ordinarono una gerarchia occulta, la cui sede era
per Io più in Babilonia e nei tempi difficili la trasportavano ove
poteano.[217]
Surse anche sotto i Sassanidi Mazdak,[218] sacerdote e teologo di scuola
manichea; il quale, speculando novità su la teoria socialista del
maestro, talmente la allargò, che ne venne a bandire il comunismo dei
beni e delle donne e la licenza di soddisfare a ogni desiderio che non
nuocesse alla persona altrui: esortando, del resto, i proseliti alla
beneficenza, all'ospitalità, ad astenersi dall'uccisione e afflizione
corporale degli uomini e fin degli animali. Per trent'anni (498-531 )
Mazdak sconvolgea l'ordine costituito in Persia: e. arrivò a
impadronirsi della autorità pubblica e mettere in pratica alcuna di sue
dottrine; finchè il principato e la nobiltà, uniti insieme, lo spensero
con uno spaventevole eccidio de' seguaci.[219] Le teorie, che
sopravvissero, divamparon di nuovo, due secoli appresso, in quelle
medesime regioni signoreggiate ormai dai Musulmani.
Perchè le sètte dell'antica religione dei Persiani, incoraggiate
dall'antagonismo nazionale contro i vincitori, tentarono una serie di
movimenti religiosi a insieme politici e sociali; nei quali apparisce
sovente il lavoro di società segrete, e sempre vi primeggia la
superstizione indiana dell'ipostasi. Volle dapprima un Khawâf, verso la
metà dell'ottavo secolo, innestare il manicheismo sull'islam; e,
denunziato, com'e' pare, da una setta rivale, fu messo a morte dal
governatore musulmano a Nisapûr: se non che i suoi proseliti lo vider
salire in cielo sopra un bel cavallo baio dorato, e lungamente poi
aspettarono che tornasse giù a far vendetta.[220] Nel medesimo anno o
poco innanzi, Abu-Moslim,[221] anch'egli del Khorassân, metteva in trono
gli Abbassidi con una cospirazione, tramata sotto forme di società
segreta: il quale ucciso poi a tradimento dagli Abbassidi (754),
moltissimi uomini del Khorâssan lo tennero non morto nè mortale; e
formarono un novello ramo di setta Mazdakiana, che fa detto degli
Abumuslimiti.[222] Un altro ramo si chiamò dei Rawendi; i quali
pensarono adorar come iddio il califo abbassida Mansûr (758), ed egli
molti ne imprigionò; gli altri apertamente sollevaronsi contro il nuovo
lor nume.[223] Non andò guari che Mokanna, come l'appellarono gli Arabi
dall'uso di andar coperto d'una maschera di metallo, spacciava in
Khorassân che lo spirito di Dio, trasmigrando di profeta in profeta, e,
poc'anzi, in persona d'Abu-Moslim, fosse venuto per ultimo ad albergare
in lui; e raggirava i proseliti con tiri da saltimbanco; accendeali di
fanatismo; resisteva alle armi del califo; ridotto allo stremo in una
fortezza (776), dava la morte a sè e ai compagni.[224] Le quali
repressioni non interruppero la propaganda occulta di tutte queste sètte
del magismo, dei Zindîk, come furono detti, con voce generica che
credesi derivata dal noto nome di Zend. Mehdi, di casa abbassida,
fieramente li perseguitava (784-785); istituiva contro di essi un
magistrato speciale detto il Preposto degli Zindîk,[225] e, nell'atto di
mandarne alcuno al supplizio, esortava il figliuolo Hadi a continuare la
proscrizione, succedendogli nel califato, per essere i Zindîk, com'ei
diceva, Manichei, scellerati che vietavano di mangiar carne, viveano in
ippocrita astinenza, credeano a due principii Luce e Tenebre,
praticavano schife abluzioni, permetteano il matrimonio con le figliuole
e sorelle, e andavano rubando i bambini altrui per educarli al culto
della Luce.[226] Il poeta Besciâr-ibn-Bord, cieco e vecchio di
novant'anni, era stato messo a morte da Mehdi (782) nella medesima
persecuzione, la crudeltà della quale par consigliata da sospetto di
Stato, più che da fanatismo religioso.[227] Poi un Giân _dewân_[228]
aspirò agli onori divini; tenne la fortezza di Bedsds[229]
nell'Aderbaigiân; ebbevi adoratori e soldati; e spianò la via a Babek
oriundo di Medâin, assai più terribile impostore. Perchè alla morte di
Giân _dewâ_n, la moglie attestava ai partigiani aver visto raccogliere
dal giovane Babek il soffio divino reso dal moribondo; ed essi, avendo
mestieri d'un capo, credean queste e tante altre favole. Babek seguì
necessariamente i dommi della trasmigrazion delle anime e della divinità
dei ciurmadori antecedenti; seguì le dottrine comuniste di Mazdak,
trascorrendo sino all'incesto; ma a quel vergognoso epicureismo aggiunse
i furori dei Khâregi, il dovere di far guerra, la licenza di commettere
guasti, rapine, omicidii sopra i seguaci d'altre credenze. La loro fu
chiamata dagli Arabi la religione del libertinaggio, e ai settatori
dieron anco il nome di Khorramii, o diremmo noi gli Sfrenati. Traendo
alle bandiere di Bâbek uomini rotti ad ogni scelleratezza, costui per
venti anni (816-836) affrontò e sovente sconfisse gli eserciti abbassidi
nelle regioni settentrionali della Persia, ove si dice abbia fatto
incredibili carnificine. In ultimo, presagli la cittadella di Bedsds,
inseguito, raggiunto in Armenia, condotto a Bagdad, messo ad orribili
supplizii, li durò fino alla morte con fortezza da eroe.[230]
Non guari dopo cotesti estremi sforzi della schiatta persiana, veggiamo
cominciare il movimento con altre forme nella schiatta arabica. Ne fu
autore un Abd-Allah-ibn-Meimûn, detto il _Kaddâh_ ossia l'Oculista,
della gente di Kuzeh[231] presso Ahwâz nel Kuzistân, uom di setta
deisanita al par che il padre, come sopra accennammo.[232] Meimûn avea
promosso un novello ramo che prese nome da lui. Il figlio salì in
maggior fama, per arte d'indovino e prestigii di fisica e destrezza di
mano;[233] imbeccando alla gente che gli bastava l'animo di passare in
un baleno da un capo all'altro del mondo; e s'indettò con astrologi e
intriganti e con qualche tardo discepolo di Babek e altri rottami delle
sètte dei magi:[234] che par leggere le memorie di Cagliostro a quel
congegno di scienze naturali, imposture d'ogni maniera e cospirazioni; a
quel sì lontano scopo politico, pazientemente apparecchiato ai figli dei
figli. Lo scopo di Abd-Allah sembra di far ubbidire, se non a sè
medesimo almeno a sua gente e a sue dottrine, la schiatta vincitrice,
invano combattuta con le armi persiane da Mokanna e da Babek. Perciò
volle impadronirsi della fazione sciita, sì grossa e zelante e fin
allora disordinata; volle innestar su quel robusto ceppo gli ordinamenti
misteriosi dei Persiani; onde i capi della setta lo sarebbero stati
anche di una gran parte della società arabica, e avrebbero rivoltato lo
impero e mutato la dinastia. Tra gli Sciiti, come accennammo, si
notavano varii rami, ciascun dei quali tenea legittima una diversa linea
di imâm, o vogliam dire califi, del sangue di Ali; chi i successori di
Mohammed figliuolo di Ali e di Hanefia; chi quelli di Hasan e chi di
Hosein figli di Ali e di Fatima; e nella discendenza di Hosein si correa
d'accordo infino a Gia'far, detto il Verace (a. 765), ma poscia altri
riconoscea Musa, quarto figliuolo lui, altri i figli d'Ismaele,
secondogenito premorto a Gia'far: onde i partigiani di cotesta linea
furon chiamati Ismaeliani.[235] Costoro par non avessero in pronto chi
mettere in trono, poichè o spacciavan vivente tuttavia Mohammed figlio
d'Ismaele, o favoleggiavano in sua stirpe una serie di _imâm mestûr_, o,
diremmo noi, pontefici nascosi, che il volgo non dovea saperne nè anco i
nomi. Per la comodità di tal mistero o per altra cagione che fosse, lo
straniero Ibn-Kaddâh elesse a suoi disegni questo ramo della fazione
sciita.
Dalla Persia meridionale venuto a Bassora, Ibn-Kaddâh comínciavi sue
mene; scoperto indi e costretto a fuggire, tramutasi in Selamîa presso
Emesa; vi compera poderi, e, infingendosi d'attendere all'agricoltura,
va spacciando qua e là _dâ'î_, o vogliam dire missionarii, un dei quali,
nel distretto di Cufa, indettava Hamdan-ibn-Asci'ath, soprannominato il
Kirmit, uom di schiatta arabica, che parve ottimo strumento ad
Abd-Allah. Ma l'Arabo, rubatagli l'arte, si fe' capo d'una setta novella
che da lui si addimandò dei Karmati, o meglio direbbesi Kirmiti.[236]
Dopo venti anni (899) levaron la testa in Bahrein, provincia d'Arabia,
ove la setta s'era agevolmente propagata tra fiera e libera gente, che
poco temeva il califato lontano. Negli ordini loro si scerne il
miscuglio delle superstizioni e dottrine persiane col genio independente
della schiatta arabica: da una mano la ipostasi dello imâm, e novelle
pratiche religiose, manichee anzi che musulmane; dall'altra qualche
eccesso di comunismo mazdakiano e tutte le virtù e i vizii della
democrazia kharegita. Sembrami error manifesto degli eruditi di noverare
i Karmati tra gli Ismaeliani, coi quali non ebbero altra comunanza che
le pratiche condotte e poi spezzate tra il Kirmit e Ibn-Kaddâh; nè altra
somiglianza che di qualche forma e qualche mistero. Del rimanente
correano per due vie opposte e come a due poli del mondo. Gli
Ismaeliani, ritennero gli ordini di associazione segreta quando non
n'era mestieri, dopo la esaltazione cioè della dinastia fatemita (910),
e dopo la ribellione di Hasan-ibn-Sabbah ad Alamût (1090); nè disdissero
mai il nome maomettano; e s'abbian promosso il dispotismo e la
superstizione lo mostrano i lor discepoli Drusi e Assassini. I Karmati
al contrario, non contenti di calpestare l'islamismo, si risero d'ogni
domma e rito, e si tediarono di star nelle tenebre dell'associazione
occulta: costituirono uno Stato libero e forse licenzioso; ebbero non
principe semideo, ma capo politico, non altrimenti chiamato che _Kabîr_,
ossia superiore; e talvolta, in luogo d'uno, ubbidirono a sei magistrati
con titolo di _sâid_ che suona signori, come que' della Mecca avanti
Maometto e delle nostre repubbliche del medio evo.[237] Ognun sa che i
Karmati, per tutto il decimo secolo, fieramente combatterono dall'Arabia
fino all'Egitto il califato abbassida e poi anco il fatemita; che
sparsero fiumi di sangue; che presero la Mecca, e portaron via la sacra
pietra nera della Caaba, per rivenderla a carissimo prezzo ai devoti
Musulmani; e che da lor venne, in parte, la rovina dello impero
musulmano.
La società segreta degli Ismaeliani per una trentina d'anni
lenta camminò, sotto parecchi gran maestri della schiatta di
Abd-Allah-ibn-Kaddâh, succeduti l'uno all'altro fino a Sa'îd-ibn-Hosein
(874-883) il quale incalzò la propaganda in Persia, Arabia, Siria,[238]
e par abbia compiuto l'ordinamento. Era stretta gerarchia: un _dâ'î_
supremo, o gran maestro che noi diremmo; sotto di lui altri _dâ'î_ di
provincia e altri di distretti, città, villaggi, che ciascuno eleggeva
il subordinato e non conosceva altri che costui e l'immediato superiore.
I _dâ'î_ affiliavano. Una contribuzione forniva il danaro ai bisogni
della associazione de' capi; e quando gittavan la maschera, teneano
apparecchiata una fortezza, “Casa del Rifugio” la chiamavano in lor
gergo; e quando regnarono, apriron adunanze pubbliche in una “Casa della
Sapienza” ove il _dâ'î_ leggea sermoni su i misteri e la morale. Tanto
si ritrae con certezza storica. Sembra che abbiano avuto varii gradi
d'iniziazione; dicono nove, dal primo vestibolo ai penetrali di un
ultimo mistero, o piuttosto fin di mistero; cioè svelar che imami e
religione e morale, tutto fosse una burla. Il _dâ'î_ cominciava a
tentare il neofito con dubbii sopra alcuni punti dell'islamismo; si
facea giurar segreto e ubbidienza; lo conducea successivamente fino al
grado di che gli parea capace: passando dalla confermazione dei dommi e
precetti dell'islamismo, alla eredità dello imamato negli Alidi e nella
linea d'Ismaele; alla dottrina dell'imam nascoso, noto al _dâ'î_
supremo; alla spiegazione allegorica del Corano: e le allegorie si
assottigliavano a mano a mano, e in ultimo si dileguavano nella
incredulità. Ma quest'ultimo stadio parmi quello del Gran Maestro, il
quale spacciando di tenere in serbo un Messia non potea veramente
credere all'islamismo nè a religione che fosse al mondo. Gli altri gradi
d'iniziazione delineano esattamente la piramide che si volea fabbricare:
tutti i Musulmani alla base; sovrappostivi gli Sciiti; a questi i
partigiani d'Ismaele; ad essi i dottori in miti manichei; e sul vertice
la famiglia persiana d'Ibn-Kaddah.[239]
Sa'îd-ibn-Hosein, di questa gente, tenea la fila della gran trama in
Selamîa, quando Ibn-Hausceb, dâ'î del Iemen, pensò mandar nell'Affrica
Settentrionale chi dissodasse il terreno, come diceasi nel gergo
della setta. Lavoraronvi prima un Ibn-Sofiân, indi un Holwâni;
alla morte del quale, Ibn-Hausceb gli surrogò uomo di maggior
polso, che per antonomasia fu detto lo Sciita. Ebbe nome
Abu-Abd-Allah-Hosein-ibn-Ahmed, da Sana'a nel Iemen; ardente partigiano
degli Alidi; stato una volta Mohtesib, ossia magistrato di polizia,
degli Abbassidi presso Bagdad; audace, dotto e pratichissimo d'ogni via
coperta ed obbliqua. Con danari della setta, costui si reca (893) dal
Iemen alla Mecca, a far proseliti tra gli Affricani che vi attirava il
pellegrinaggio; e adòcchiavi, uno sceikh della gente di Kotâma e
l'onorevole brigata che lo seguiva. Facendo le viste d'imbattersi per
caso tra costoro, Abu-Abd-Allah si insinua, li tenta e comincia a fare e
ricever visite; e conosciutili Ibaditi, setta kharegita, come dicemmo, a
poco a poco si scopre anch'egli nemico dei califi: aver lasciato il
servigio loro perchè nulla v'era di bene; voler vivere ormai spiegando
il Corano ai giovanetti; amerebbe a farlo in Occidente, ove non gli
parean disperate le sorti del popolo musulmano. Tra lusinghe e dotto
parlare e apparenza di pietà, austerità e liberi sentimenti, si cattivò
gli animi di quegli stranieri, sì bene che il pregavano di accompagnarli
in Affrica ed aprirvi scuola; ma non rispose nè sì nè no, lasciandosi
trarre, quasi contro voglia, alle capitali dello Egitto e dell'Affrica;
ove indagò profondamente le condizioni delle tribù berbere; e Kotâma gli
parve proprio il caso. Allor, come vinto da' preghi dei Kotamii, accetta
la ospitalità e gli oficii di imâm d'una loro moschea e di pubblico
professore; ma ricusa lo stipendio; fa vedere ai più intrinsechi un
gruppo di cinquemila dinâr; accenna alla sorgente misteriosa e
inesauribile di quell'oro; alla sacra schiatta d'Ali; alle migliaia di
migliaia che cospiravano per essa in tutta musulmanità; ai premii
maravigliosi che dovea aspettarsi in questa vita e nell'altra chiunque
aiutasse alla esaltazione del pontefice nascoso. Le quali pratiche non
piacquero a tutti tra quella gente ibadita e però nimica all'autocrazia
di Ali; ma il maggior numero odiava mille volte più Ibrahim-ibn-Ahmed
vivo, che Ali sepolto da secoli; più la dominazione straniera, che il
dispotismo; e il giogo stesso del dispotismo tanto lor parea duro a
portarlo sul collo, quanto comodo e piacevole a metterlo addosso altrui.
Ebbe dunque gran séguito Abu-Abd-Allah; gli proffersero avere e sangue;
i misteri quanto più assurdi, tanto più furibondo accendeano lo zelo; un
capo uccise di propria mano il fratello che andava gridando impostore
Abu-Abd-Allah. A capo di sette anni, correndo il novecento dell'era
volgare, costui cominciava a scoprirsi[240] presso Setif, nei monti
detti di Ikgiân, sede d'una tribù della gente di Kotâma.[241]
La gente di Kotâma tenea la più parte della odierna provincia di
Costantina: un quadrilatero da Bugia e Bona su la costiera, a Belezma e
Baghaia nella catena degli Aurès: territorio montuoso, dove coltivato
dalle tribù stanziali, dove abbandonato a pascolo e corso dalle tribù
nomadi della medesima gente. Si distinguea questa dagli altri Berberi
per non so che divario di tradizioni, usanze, dialetto; tanto che gli
eruditi vi trovarono appicco a consanguineità con la schiatta arabica.
Che che ne fosse, i Kotamii non si affratellarono punto coi vincitori,
nè lor ubbidiron altrimenti che di nome, nè si piegarono a tributo, non
che smettere lor costumi aborigeni. Com'ogni altra nazione berbera, i
Kotamii par sian vissuti in rozza confederazione, vincolo di schiatta
più che di legge; il quale se non bastava a campar le tribù loro dalla
guerra civile nè dalla dominazione straniera, potea stringerle insieme
ad un tratto in brevi ma gagliardi sforzi. Allo entrar del decimo
secolo, fortissima era la nazione kotamia per numero totale degli uomini
o relativo degli armati; poichè la tradizione esagerando portò che ne
andassero trecentomila ad assalire Kairewân; e da più certi ricordi
sappiamo quanti eserciti kotamii corsero in quel secolo fino
all'Atlantico e oltre il Nilo sotto le bandiere dei Fatemiti: nelle
quali imprese la nazione kotamia si dissanguò; si trovò menomata a
quattromila uomini verso la metà del duodecimo secolo; nel decimoquarto,
qualche tribù che ne rimanea soffriva il giogo di Tunis, e in oggi se
n'è dileguato il nome.[242] Non primeggiava per vero nella
confederazione la tribù stanziata a Ikgiân. Ma la mente di
Abu-Abd-Allah, l'accentramento e ardore della setta ismaeliana le
dettero tal vigore, da soggiogare qualche tribù rivale, tirarsi dietro
le altre, e unire la nazion kotamia, anzi una gran parte della schiatta
berbera, contro i vincitori Arabi. Ibrahim-ibn-Ahmed dal suo canto aveva
arato quel terreno più che i mistici agricoltori ismaeliani; fin avea
liberato la nazione kotamia del disagio che le davano i bellicosi Arabi
di Belezma.
Ed egli stesso gittò la prima scintilla. Risaputo dal governator di Mila
come l'oscuro professore d'Ikgiân osasse accusare d'eresia Abu-Bekr e