Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 02
alla guerra sacra, partecipavano al bottino, e, finita la impresa, se ne
tornavano a vivere di limosine o dure fatiche. Nel _giund_ si scrissero
un tempo tutti i Musulmani; poi, a misura che l'impero si allargò, i
ruoli si ristrinsero, com'abbiamo accennato nel primo Libro. Quivi anco
abbiam divisato le norme dei divani di Omar; le quali durarono e si
modificarono al par di tante altre primitive istituzioni dell'islamismo.
Nel nono secolo, gli Arabi prendean luogo tuttavia nei ruoli sopra le
schiatte straniere; e queste tra loro secondo l'anteriorità della
conversione: suddivisi gli Arabi, al par che gli stranieri, per tribù e
parentele; le quali prendean grado secondo la consanguineità col
principe; gli individui secondo la età. Ma ormai non entrava nel _giund_
chiunque il chiedesse, solo i figliuoli di militari, quando fossero
adulti, validi, buoni alle armi e senz'altro mestiere; di che giudicava
il principe, e potea alsì ammettere uomini nuovi. Variava il soldo a
giudizio anco del principe o dell'emiro, secondo i bisogni, che è a dire
in ragion del numero dei figliuoli e degli schiavi, la quantità dei
cavalli mantenuti e i prezzi delle vittuaglie in ciascun paese; ma in
ambo i casi detti era limitato l'arbitrio dalla consuetudine universale
e dalla potenza delle famiglie componenti il grosso delle milizie.
Discendean esse in parte dall'antica nobiltà arabica; orgogliose di lor
tradizioni, clientele, pratica e prontezza al combattere.[69] Indi si
vede che il _giund_ era tuttavia, come dissi nel primo Libro, nobiltà
armata, ordine aristocratico, temperato alquanto dalla monarchia.
Agli stipendii suoi era specialmente destinato il _fei_; cioè
prestazioni permanenti degli Infedeli, fossero tributi collettivi delle
popolazioni assicurate, o tributi individuali delle popolazioni
soggette, chiamati _gezîa_, _kharâg_ o decima delle merci,
comprendendosi sotto la denominazione di _kharâg_ il ritratto dei beni
demaniali.[70] Nel primo secolo dell'egira, epoca di conquisti e
franchige, gli Arabi avean fatto sì rigorosamente osservare lo
investimento del _fei_, che il califo non ne metteva ad entrata altro
che i sopravanzi; nè era lecito agli oficiali del tesoro d'incassare
materialmente la moneta, se i notabili militari e civili che la recavano
dalle province, non giurassero essere stati pria soddisfatti coloro che
avean ragione su quelle entrate, specialmente le milizie.[71] Cresciute
poscia nel principato le forze e le brame, e abbassate le milizie per la
istituzione degli stanziali, tanto pure avanzò delle costumanze antiche
che il fondo degli stipendii non si menomò.[72] Si pagavano oramai in
molte province, se non in tutte, per delegazione sul _kharâg_ di un dato
podere o territorio, secondo la somma registrata nel catasto, che
s'agguagliasse a quella dello stipendio registrato nel ruolo militare.
La delegazione, oltre il _kharâg_, si facea sopra altre entrate di
_fei_. Chiamavasi _iktâ'_; taglio, come suona in lingua nostra.[73]
Portava al governo risparmio delle spese e fatiche della riscossione; ma
aggravava i contribuenti; corrompea le stesse milizie, mutate in torme
di gabellieri e concussionarii privilegiati; e tornava alla fin fine a
rovina dello Stato, per le infiacchite forze nazionali, le entrate
distratte, i popoli spolpati, e gli sciolti legami tra le milizie e la
pubblica autorità. Tanto più che alle milizie l'_iktâ'_ soleasi
concedere a vita, e talvolta con sostituzione dei figliuoli; quantunque
i giuristi dichiarassero nullo tal modo.[74] Sospetto che le concessioni
per ordinario fossero state collettive in favore di un _giund_:
naturalissimo e pessimo espediente. Che che ne sia, i beneficii
militari, nati nella precoce decadenza della società arabica, aiutarono,
con gli altri vizii, alla rovina di sua dominazione. La istituzione
degli emiri di provincia primeggiò, come dicemmo, tra le cause che
smembravano l'impero in reami: gli _iktâ'_ cooperarono a rinnalzare
l'abbassata aristocrazia e spingerla all'anarchia feudale; poichè le
milizie divennero come forza privata dei capi loro; onde avvenne che
alcuno occupasse il principato, o, peggio, che molti sel contendessero.
Così fu in Spagna; così in Sicilia nello undecimo secolo.
Ordinato per tal modo che la entrata principale si applicasse al
principale bisogno dello Stato, poco rimanea per le altre spese, che pur
cresceano con lo incivilimento e con gli sforzi dei principi tendenti al
potere assoluto. Più che in niun'altra parte di governo, apparisce
nell'azienda il radical difetto della teocrazia musulmana. Il Corano
avea provveduto appena al bilancio, com'oggi si dice, d'un misero
governo di tribù. Per soddisfare alle spese d'uno impero, convenne
dunque cercare entrate fuor dalla legge; come fu appunto il _kharâg_
statuito da Omar; e, quando nè anco bastò, forza fu di trapassare e
legge e consuetudine. I giuristi allora, che si arrogavano il potere
legislativo mediante le interpretazioni, si messero a tirar coi denti
qualche capitolo del Corano e della Sunna per adattarlo ai bisogni
attuali, o sostennero che non v'era modo. I principi posero balzelli a
dispetto della legge e degli interpreti; e rasparon danaro qua e là, su
la quinta del bottino, su la _zekât_, sul _fei_: su le quali entrate
eran certi i dritti dello Stato, milizie, parenti del Profeta e
indigenti, ma incerte le quote. Tolsero dal _kharâg_ gli stipendii degli
oficiali civili, oltre quei delle milizie; serbaronsi quel che lor
piacea dei beni demaniali o ne concedettero a favoriti; talvolta
consumarono il pan dei poveri, cioè la _zekât_ e la quinta, in opere di
utilità pubblica e di vanità pubblica e di vanità monarchica. Da ciò
nacquero frequenti contrasti tra i principi e i giureconsulti; contrasti
senza uscita legale, e però nocevolissimi: nè mai la finanza musulmana
fu regolata da unico e vasto pensiero, nè adattata ai tempi, nè
rassodata dal dritto.[75] In Sicilia i balzelli arbitrarii par che
cominciassero nel decimo secolo, forse un poco avanti, sotto il regno di
Ibrahim-ibn-Ahmed. Fin allora la quinta, e il _fei_, abbondanti per
cagion della guerra, e la decima, bastavano ai bisogni della colonia
militare, non obbligata a mandar danaro in Affrica.[76]
Dopo gli ordinamenti è da ricercare quali generazioni d'uomini fossero
venute a stanziare in Sicilia, sotto il nome di Musulmani. Scarseggiando
così fatte notizie appo i cronisti, sarà uopo aiutarci coi nomi
topografici relativi a schiatte o analoghi a quei d'altri paesi
musulmani. Cotesta via d'induzione non ripugna alla sana critica; poichè
i popoli musulmani, come tutti altri, usarono ripetere nelle colonie i
nomi della madre patria; e fu tanto, che appo loro si compilò un
dizionario apposta di omonimie geografiche.[77] Nondimeno la medesimità
del nome può nascere talvolta da analogia di condizioni locali,
verbigrazia _Casr-el-Hamma_, il “Castel dei Bagni,” che se ne trovava in
Sicilia, in Affrica e altrove; o può venire da epoche più remote, da
somiglianza casuale dei vocaboli, da altra origine ignota a noi: per
esempio, in Sicilia stessa Segesta e Mazara, i quali nomi rispondono al
Segestân, provincia della Persia, e a Mazar, villaggio del Loristân anco
in Persia.[78] Sendo notissime nell'antichità quelle due città
siciliane, la identità dei nomi porterebbe per avventura a confermare la
origine orientale dei Sicani, e non sarebbe cagion di errore quanto ai
tempi musulmani. Ma l'esempio ci ammonisce vieppiù a stare guardinghi, e
ricusare gli indizii di questa fatta che non trovino riscontro nelle
vicende istoriche.
La diversità di schiatte della colonia siciliana è attestata da Teodosio
monaco con parole enfatiche e pur veraci, là dov'ei sclama adunarsi in
Palermo la genía saracenica dei quattro punti cardinali del mondo:[79]
chè dovea trasecolare il prigion di Siracusa, passando dalla monotonia
d'un capoluogo di provincia bizantina, al tumulto della crescente
capitale: coloni e mercatanti viaggiatori; e, misti ai Siciliani, ai
Greci, ai Longobardi, a' Giudei, Arabi, Berberi, Persiani, Tartari,
Negri; chi avvolto in lunghe vesti e turbanti, chi in pellicce e chi
mezzo ignudo; facce ovali, squadrate, tonde, d'ogni carnagione e
profilo; barba e capelli varii di colore e di giacitura; ragunati
insieme i sembianti, le fogge, le lingue, i portamenti, i costumi di
tanti popoli abitatori dell'impero musulmano. I nomi di tribù ricordati
nel Libro precedente, mostrano tra i coloni ambo le schiatte di Kahtân e
Adnân e sopratutto la seconda.[80] Scendendo alle divisioni nate dopo
l'islamismo, si ritrae che, oltre gli Arabi d'Affrica, ve n'ebbe di
Spagna;[81] fors'anco di Siria, Egitto e Mesopotamia.[82] V'ebbe al
certo la progenie dei Khorassaniti e altri Persiani passati in Affrica
nello ottavo secolo; e non fu di poco momento, vedendosi primeggiare tra
i Musulmani di Palermo, nelle guerre d'independenza del decimo secolo,
un Rakamuwêih, nome persiano, e la potentissima famiglia dei
Beni-Taberi, oriunda del Taberistân; oltrechè nel territorio di Palermo
trovansi i nomi topografici di Ain-Scindi,[83] Balharâ,[84] e
Ságana;[85] e, un po' più discosto, quei di Menzîl-Sindi e
Gebel-Sindi,[86] i quali tutti van riferiti alle schiatte dello estremo
oriente. I nomi dei luoghi, al par che gli avvenimenti storici, mostrano
che gli Arabi, e altri popoli di Levante, tenessero le parti
settentrionali del Val di Mazara, nel quale, come il dicemmo, erano
ristrette le colonie musulmane nel nono secolo. Palermo, fatta capitale
dell'isola, era lor sede principale; e par che lungo la costiera quelle
popolazioni si estendessero, verso ponente, infino a Trapani.
La schiatta berbera, com'è noto, accompagnò gli Arabi nel conquisto di
Sicilia; sendone venute alcune tribù nell'esercito di Ased-ibn-Forât,
altre col berbero spagnuolo Asbagh-ibn-Wekil, altre senza dubbio nelle
varie espedizioni che successero, ed alla spicciolata. Fu parte non
piccola della colonia; poichè potè sostenere lunga guerra civile contro
gli Arabi. Occupò le regioni meridionali del Val di Mazara. E veramente
tra una dozzina di nomi berberi, su la origine dei quali non cade alcun
dubbio, la più parte si trova in quella regione, nel tratto che corre da
Mazara a Licata.[87] Girgenti, guerreggiante spesso contro Palermo e
sempre rivale, era senza dubbio la città più importante, e come la
capitale dei Berberi.
La moltiplicità delle schiatte invelenì al certo molte querele private;
si mescolò forse alle altre cagioni d'ira negli scambii degli emiri; ma
non potea produrre tante fazioni, quante nazioni. Inoltre la progenie di
Kahtân sembra pochissima in Sicilia innanzi i Kelbiti, che vennero nel
decimo secolo. I Persiani par che dimenticassero la rivalità loro contro
gli Arabi, già mitigata dal tempo in Affrica. Lo stesso avvenne agli
altri sminuzzoli di schiatte orientali, troppo deboli per far parte
dassè, interessati tutti a stringersi intorno gli Arabi di Adnân per
soverchiare i Berberi.
Arabi e Berberi dunque: ecco la profonda, insanabile divisione della
colonia siciliana. Tra gli uni e gli altri non era divario di condizione
legale. Mentre in Affrica molte tribù berbere pagavano tuttavia il
_kharâg_ e rimanean prive degli stipendii militari, per essere state
sottomesse con la forza, in Sicilia le due genti, venute insieme a
combatter la guerra sacra, vantavano uguale dritto ai premii della
vittoria. Se non che, in fatto, gli emiri dell'esercito siciliano
nascean di sangue arabico, al par che i principi aghlabiti; di sangue
arabico o persiano i dottori, gli ottimati, la più parte dei cavalieri
del giund; nè poteano smettere in Sicilia l'orgoglio e cupidigia da
nobili; nè dimenticare la maggioranza della schiatta loro in Affrica. I
Berberi poi non si tenean da meno di loro: conscii del proprio numero,
valore, dritti d'islamismo e dritti di natura. Un moderno e sagace
osservatore, il generale Daumas, notando il divario ch'è tra le
istituzioni sociali degli Arabi e dei Berberi, e trattando
particolarmente dei Berberi della Kabilia Grande, come chiaman la
regione tra Dellys, Aumale, Setif e Bugia, ben ha dipinto quella nazione
col motto di “Svizzera salvatica.” Cantoni e villaggi, al dir suo, fanno
unità politiche; rannodansi tra loro per leghe più o meno durevoli:
repubblichette democratiche, ove ognuno ha voce in consiglio; i
magistrati elettivi, di breve durata e poca autorità; case nobili
preposte sovente alle leghe, per ambito o riputazione, non per dritto;
e, più che ai magistrati o ai nobili, si obbedisce ai _marabuti_,
frateria che molto somiglia al monachismo del medio evo: la _gemâ'_
rende ragione in materia criminale, non secondo il Corano ma con le
antiche consuetudini del paese: l'omicida dichiarato fuor della legge;
per gli altri delitti, pene pecuniarie, e non mai staffilate come appo
gli Arabi. Pensa il lodato autore ch'abbian ordini analoghi le altre
popolazioni berbere dell'Algeria;[88] ed io aggiugnerei che, si
eccettuino le tribù nomadi e alcuni periodi in cui tribù agricole, o
leghe, si son governate a monarchia, e del resto si tengano le
consuetudini di civile uguaglianza come osservate in tutta la schiatta
berbera fin da tempi remotissimi.[89] Dopo il conquisto musulmano ne
danno indizio quella generale inclinazione dei Berberi alle sètte
kharegite; e lo spirito d'independenza della tribù di Kotâma a fronte
dei califi fatemiti;[90] e i magistrati della medesima tribù e di Zenâta
nell'undecimo secolo, analoghi a quelli di cui parla il generale Daumas
ai dì nostri:[91] che se talvolta sursero in quel popolo principi o
dittatori, si ricordi tali usurpazioni avvenir più agevolmente negli
Stati democratici che sotto l'aristocrazia. Da ciò si può conchiudere
che le popolazioni berbere passate in Sicilia, e non soggette a principi
loro, poichè ubbidivano agli aghlabiti, fossero informate dal genio
d'uguaglianza che le dovea vieppiù alienare dagli Arabi, e rendere
intolleranti dei signorili soprusi di quelli. Le inclinazioni economiche
divideano alsì l'una dall'altra gente: gli Arabi oziosi, i Berberi
industri; gli uni pastori di vassalli, poichè lor n'eran caduti in mano
in vece di cameli e pecore; gli altri sempre agricoltori. Doveano dunque
i primi bramar che si lasciassero le terre ai vinti siciliani; i secondi
che le si dividessero. E bastava sol questa, se fosse mancata ogni altra
cagione, a suscitar la guerra civile!
Dal detto fin qui si comprende la origine dei due movimenti diversi, che
cominciarono ad agitare la colonia di Sicilia, entro mezzo secolo dalla
fondazione sua. L'uno era sforzo della colonia a governarsi dassè; e
risolveasi in contrasti tra la nobiltà palermitana e i principi
aghlabiti, per la elezione dell'emiro. Appartenendo all'emiro quella
piena autorità che abbiam detto, e non potendo cadere in mente del
principe, nè dei coloni, nè dì niun Musulmano, di riformare la legge;
ciascuna delle due parti cercava a por mano alla esecuzione: fare
esercitare l'oficio di emiro da uom suo, e a comodo suo. Racchiudeasi in
cotesta contesa quella di finanza: se la colonia dovesse pagar tributo o
no; poichè il principe non avea ragione, che nei sopravanzi, e all'emiro
stava di trovarne o non trovarne. Indi il principe eleggea lo emiro, e i
coloni lo scacciavano; o costoro coglieano un pretesto di nominarlo, e
il principe lo rimovea; nè potea durar la quiete.
L'altro movimento era la lotta tra gli Arabi e i Berberi. Oltre il
partaggio delle terre al quale accennammo, oltre le vendette private che
degeneravano in vendette di tribù, nacque verso la fine del nono secolo
una causa perenne di lite. A misura che compieasi il conquisto
dell'isola, mancava il bottino e cresceva il _fei_, o vogliam dire
rendita militare. Per caso intervenne al medesimo tempo che le armi
della dinastia macedone sforzassero a uscir di Calabria i Musulmani,
Berberi in gran parte, come cel mostrano i nomi dei capi. I Berberi
dunque delle tribù più turbolente, quei che non amavano a vivere di
agricoltura, doveano procacciar lo stipendio sul _fei_. Ma questo non si
scompartiva, come il bottino, con legge immutabile e precisa, tra tutti
i combattenti; anzi stava ad arbitrio tra dell'emiro e del principe; e
gli Arabi potean pretendere che ne fossero esclusi gli stranieri,
toccando a loro il primo luogo nei ruoli. Niun cronista fa motto di tal
contesa; ma la non potea non accadere; e ce ne conferma il fatto che la
Sicilia fu insanguinata per la prima volta in guerra civile pochi mesi
dopo il ritorno delle masnade che Niceforo Foca scacciò dalle
Calabrie.[92]
Quei due movimenti si frastagliavan sovente, e il secondo cadde in
acconcio al principe aghlabita che volle davvero soggiogare la colonia.
Ricapitolando i fatti che narrammo nel Libro secondo, si scorge la lotta
d'independenza principiata proprio alla fondazione della colonia
palermitana; sopita da savii emiri di sangue aghlabita; ridesta verso
l'ottocento sessantuno, come n'è indizio il frequente scambio degli
emiri. Quel valoroso e nobilissimo Khafâgia, ucciso a tradimento da un
Berbero, sembra cadesse vittima dell'altra discordia; se pur Arabi e
Berberi non s'erano uniti per brev'ora contro le usurpazioni del poter
centrale. Così fatta resistenza durava nei principii del regno
d'Ibrahim-ibn-Ahmed, come il provano gli scambii degli emiri verso
l'ottocento settantuno. Poi entrambe le divisioni divampano al medesimo
tempo. Tra l'autunno dell'ottocento ottantasei e la primavera
dell'ottantasette, gli Arabi del giund e i Berberi vengono al sangue: la
nimistà loro, se non la aperta guerra civile, arde tuttavia per dieci
anni, sì che viene a dettare lo scandaloso patto di torsi a vicenda
dall'una e dall'altra gente gli statichi da consegnarsi ai Cristiani
(894-895). Nello stesso decennio la tenzone della colonia col principe
arriva agli estremi: ribellione armata da una parte; dall'altra,
repressione con le armi e fors'anco violazione della legge fondamentale
che affidava all'emiro il governo della colonia. Perocchè il popolo di
Palermo, mentre guerreggia la prima fiata contro i Berberi (886-887),
mette ai ferri e caccia in Affrica lo emir Sewâda e gli dà lo scambio;
tre anni appresso (890) combatton Siciliani contro Affricani, che è a
dire contro le forze mandate dal principe; a capo di due anni un emiro
rientra per forza in Palermo; e corsi pochi mesi, nel dugento ottanta
dell'egira (893-894), l'emirato di Sicilia è conferito al gran
ciambellano che stava accanto a Ibrahim, cioè la colonia è oppressa e
spogliata di sue franchige, ovvero ha scosso il giogo; e di certo par
che l'abbia scosso tra il novantacinque e il novantasei quando è fermata
pace coi Cristiani.[93] Si scorge in cotesti travagli il doppio effetto
della condizione politica dei popoli e delle passioni d'un uomo. La
condizione dei Berberi rispetto agli Arabi, e della colonia rispetto
alla madre patria, avea dato principio alle due tenzoni.
Ibrahim-ibn-Ahmed le spinse al segno a che arrivarono negli ultimi anni
del nono secolo. Per domar meglio la colonia di Palermo, aizzò i Berberi
di Girgenti. Volle domar la colonia, perchè a questo il portava sua
natura esorbitante e feroce; e per trarne danaro e adoperarlo all'altro
disegno, d'abbattere e calpestare l'aristocrazia arabica in Affrica; il
che ei fece sì bene, che distrusse la base della dinastia aghlabita,
onde questa entro pochi anni crollò.
CAPITOLO II.
Ibrahim-ibn-Ahmed non solamente avviluppò in questa guisa la condizione
politica della colonia, e poi sciolse il nodo con orribile catastrofe,
ma, non sazio di quel sangue musulmano, venne ei medesimo in Sicilia a
sterminare gli ultimi avanzi de' Cristiani; prosegui la vittoria in
Calabria; e minacciava tutta la terraferma d'Italia, quand'ei morì
com'Alarico sotto le mura di Cosenza. Pertanto debbo dir di costui più
particolarmente che non abbia fatto degli altri principi affricani. Il
voglio anche perchè l'indole d'Ibrahim, sembra fenomeno unico nella
storia morale dell'uomo, nè si può definir con parole, nè delinear con
qualche tratto. Unico fenomeno parve a quei che il videro da presso; i
quali, facendosi a spiegarlo e non trovandovi modo con la psicologia del
Corano, ebbero ricorso alle teorie dei materialisti che già penetravano
appo gli Arabi, miste alla filosofia greca; supposer quest'uomo invasato
di non so che bile negra: malinconia, come la chiama tecnicamente
Ibn-Rakîk.[94]
“Niun dee misfare fuorchè il principe. La ragione di questo è che, ove
gli ottimati e i ricchi si sentan possenti nei beni della fortuna, uom
non vivrà sicuro dalla loro insolenza e malvagità. Se il re cessi di
calcarli, ecco che si fidano; gli resistono; gli traman contro! In vero
il succo vitale del principato è la plebe.[95] Il signor che lasciassela
opprimere, perderebbe l'utile ch'ei ne ricava; ed altri sel godrebbe,
rimanendo a lui il sol danno.”[96] Così parlava Ibrahim-ibn-Ahmed,
vantandosi di abbattere la nobiltà arabica dell'Affrica: teorie e gergo
molto ovvii, che rivelan sempre il tiranno di buona scuola. Sagacissimo
fu veramente Ibrahim nelle cose di stato; uom di mente vasta e savia,
quando non l'offuscava la sete del sangue. Ebbe genio alieno dalle
scienze, dalle lettere e dalla poesia, ch'erano state in onore appo i
suoi maggiori: e qualche versaccio ch'ei fece, come nato e cresciuto in
una corte arabica, somiglia forte a quelli di Carlo d'Angiò, per la
insipidezza e l'arroganza.[97] In fatto di religione si mostrò
osservatore del culto, più che delle pratiche di devozione; si ridea
della morale quando non gli andava a' versi; ma era sopratutto
intollerantissimo verso gli altri. Visse senz'amore, nè amicizia. Seguì
voluttadi nella prima gioventù, e presto gli vennero a tedio; e allora
incrudelì nelle donne più rabidamente che negli uomini; e le abborrì di
strano e sospetto abborrimento. Violava in tutti i modi le leggi della
natura.
A venticinque anni salì al trono per uno spergiuro. Mohammed, suo
fratello, venendo a morte, lasciava il regno al proprio figliuolo
bambino; commettea la tutela a Ibrahim; faceagli far sacramento di non
attentar mai ai dritti del nipote, nè metter piè nel Castel Vecchio, ove
quegli dovea soggiornare con la corte. E Ibrahim, nella moschea
cattedrale del Kairewân, dinanzi gli adunati capi di famiglie di sangue
aghlabita e i magistrati e notabili della capitale, giurollo
solennemente; ripetè cinquanta fiate il tenor del giuramento, com'era
usanza nelle cause criminali. Sepolto il fratello (febbraio 875),
cominciò a regger lo Stato, ben diverso da lui, con somma forza e
giustizia. Indi i cittadini del Kairewân a pregarlo di prendere a
dirittura il regno: il che ricusò, pretestando suoi cinquanta
giuramenti; e di lì a poco, noi sappiam come si fa, i buoni borghesi
tornarono a supplicare più fervorosi, e Ibrahim non seppe dir no. Uscito
di Kairewân alla testa del popolo in arme, occupava il Castel Vecchio;
si facea gridar principe; e prestare omaggio di fedeltà dai notabili
d'Affrica e da non pochi di casa d'Aghlab. Con tutta la bruttura dello
spergiuro e della commedia che servì a ricoprirlo, Ibrahim non va
chiamato usurpatore. Il dritto di primogenitura non era allignato mai
appo gli Arabi; la designazione del principe antecessore, era abuso; la
investitura del califo, ormai vana cerimonia; e il popolo, che potea
deporre ed eleggere, partecipò alla tumultuaria esaltazione non
sforzato, forse mezzo raggirato e mezzo no. Gli umori delle città contro
l'aristocrazia militare, ci persuadono che la cittadinanza abbia
francamente parteggiato per Ibrahim.
Severi, ma di rigor salutare, i primordii del regno. Trattando sempre
dassè le faccende pubbliche, Ibrahim cessò i soprusi degli oficiali e
governatori di province: rendea ragione ogni lunedì e venerdì nella
moschea cattedrale del Kairewân, ascoltando con pazienza i richiami, e
provvedendo immantinenti; diè di sua persona esempii di astinenza e
pietà; ristorò la polizia ecclesiastica; sgombrò le strade dei ladroni
che le infestavano; assicurò il commercio, spense i violenti e gli
scapestrati. Si narra di lui che obbligasse la madre al pagamento di un
debito, minacciando di lasciarla tradurre dinanzi il cadi:[98] la madre,
sola creatura umana rispettata da quel mostro. Attese molto alle opere
pubbliche. A comodo dei cittadini, costruì un gran serbatoio d'acqua al
Kairewân. Per magnificenza e pietà innalzò una moschea cattedrale a
Tunis; e aggrandì quella del Kairewân; aggiuntavi inoltre una cupola che
poggiava su trentadue colonne di marmo. Circondò Susa di mura. Compiè su
la costiera del reame una linea di torri e posti di guardia, ordinata a
far segnali coi fuochi, sì che in una notte potea tramandarsi avviso da
Ceuta ad Alessandria di Egitto.[99] Cotesta pratica antichissima era
scesa con le tradizioni dell'impero infino ai Bizantini; i quali nella
prima metà del nono secolo l'adoperavano a significare i tristi casi di
lor guerre, da Tarso a Costantinopoli.[100] E v'ha ragioni da credere
ch'e' se ne fossero avvalsi anco in Sicilia, e che quivi avesserla
appreso gli Arabi d'Affrica.[101]
Innanzi ogni altra opera pubblica, Ibrahim avea costruito una
cittadella, centro di gravità della tirannide ch'ei macchinava: fortezza
ove porre sua corte e ordinar novelli pretoriani per disfarsi degli
antichi, i liberti di casa aghlabita, ridotti nel Castel Vecchio, stati
fin allora padroni del popolo e del principe. Fece por mano a' lavori il
dugento sessantatrè (23 settembre 876 a 11 settembre 877), in luogo
discosto quattro miglia dal Kairewân e chiamato Rakkâda, “Sonnolenta”
come suona appo noi.[102] Entro un anno, fornite le mura, innalzata una
torre che addimandarono di Abu-'l-Feth,[103] Ibrahim inaugurolla con
sanguinoso tradimento. Era avvenuto che i liberti del Castel Vecchio
tumultuassero contro di lui per aver fatto morire un di lor gente: e
allora, ito loro addosso per comando d'Ibrahim il popolo della capitale,
i liberti, vedendosi sopraffatti, avean domandato e ottenuto perdono. Ma
il dì che dovean toccar lo stipendio, Ibrahim li chiama alla torre di
Abu-'l-Feth; li fa entrare a uno a uno; disarmare; incatenare: e diè
mano ai supplizii; ch'altri morì sotto il bastone, altri condannato a
perpetuo carcere in Kairewân; altri bandito in Sicilia.[104] In luogo
dei liberti, comperò schiavi in grandissimo numero; prima negri, poi
anco di schiatta slava: li vestì; li esercitò nelle armi; ne fece un
grosso di stanziali, valorosi, induriti alle fatiche;[105] massa di
bruti della zona torrida e del settentrione disumanati dal servaggio e
di più dalla disciplina. Così passarono i primi sei anni del regno;
lodevoli del resto a detta di tutti i cronisti, i quali tenean forse
necessaria la carnificina di Abu-'l-Feth. Poi sfrenossi a dar di piglio
nella roba e nel sangue; peggiorando di anno in anno, come nota l'autore
del _Baiân_.[106]
Perchè, non bastando le entrate ordinarie dello stato a spesare gli
stanziali, le fabbriche e la guerra che sopravvenne (an. 880, 881)
contro un principe d'Egitto della dinastia usurpatrice dei Beni-Tolûn,
era strascinato Ibrahim ai maltolti. L'anno dugento settantacinque
(888-889) battè nuova moneta d'argento, che, rifiutata dai mercatanti
del Kairewân, diè occasione a tumultuarie rimostranze, imprigionamenti,
sollevazione: e Ibrahim, al solito, restò di sopra. Donde facea coniare
altri dirhem e dinâr decimali, com'ei li chiamò, perchè i primi
d'argento e i secondi d'oro stavano in valore come uno a dieci; e tolse
di mezzo le buone monete dell'impero abbassida.[107] Oltre questo
espediente di finanza, ponea nuove gabelle;[108] aumentava le tasse
prediali e riscuoteale in danaro, non più in derrate;[109] richiedeva i
cittadini che apprestassero a servigio dello Stato loro schiavi e
giumenti; in cento modi li espilava per accumular tesori.[110]
A misura degli aggravii prorompean pure le sollevazioni; e a misura di
quelle incrudeliva Ibrahim. Ne noterò solo i fatti rilevanti.
Ribellavansi ricusando le tasse, l'anno dugentosessantotto (881-882), le
tribù berbere di Wuezdàgia, Howâra e Lewâta: ed erano oppresse, l'una da
Mohammed-ibn-Korhob, ciambellano, le altre da Abd-Allah figliuolo
d'Ibrahim, mandatovi con gran gente di giund, liberti, leve in massa, e
ausiliarii forniti al certo da altre tribù berbere: sì fermo Ibrahim
tornavano a vivere di limosine o dure fatiche. Nel _giund_ si scrissero
un tempo tutti i Musulmani; poi, a misura che l'impero si allargò, i
ruoli si ristrinsero, com'abbiamo accennato nel primo Libro. Quivi anco
abbiam divisato le norme dei divani di Omar; le quali durarono e si
modificarono al par di tante altre primitive istituzioni dell'islamismo.
Nel nono secolo, gli Arabi prendean luogo tuttavia nei ruoli sopra le
schiatte straniere; e queste tra loro secondo l'anteriorità della
conversione: suddivisi gli Arabi, al par che gli stranieri, per tribù e
parentele; le quali prendean grado secondo la consanguineità col
principe; gli individui secondo la età. Ma ormai non entrava nel _giund_
chiunque il chiedesse, solo i figliuoli di militari, quando fossero
adulti, validi, buoni alle armi e senz'altro mestiere; di che giudicava
il principe, e potea alsì ammettere uomini nuovi. Variava il soldo a
giudizio anco del principe o dell'emiro, secondo i bisogni, che è a dire
in ragion del numero dei figliuoli e degli schiavi, la quantità dei
cavalli mantenuti e i prezzi delle vittuaglie in ciascun paese; ma in
ambo i casi detti era limitato l'arbitrio dalla consuetudine universale
e dalla potenza delle famiglie componenti il grosso delle milizie.
Discendean esse in parte dall'antica nobiltà arabica; orgogliose di lor
tradizioni, clientele, pratica e prontezza al combattere.[69] Indi si
vede che il _giund_ era tuttavia, come dissi nel primo Libro, nobiltà
armata, ordine aristocratico, temperato alquanto dalla monarchia.
Agli stipendii suoi era specialmente destinato il _fei_; cioè
prestazioni permanenti degli Infedeli, fossero tributi collettivi delle
popolazioni assicurate, o tributi individuali delle popolazioni
soggette, chiamati _gezîa_, _kharâg_ o decima delle merci,
comprendendosi sotto la denominazione di _kharâg_ il ritratto dei beni
demaniali.[70] Nel primo secolo dell'egira, epoca di conquisti e
franchige, gli Arabi avean fatto sì rigorosamente osservare lo
investimento del _fei_, che il califo non ne metteva ad entrata altro
che i sopravanzi; nè era lecito agli oficiali del tesoro d'incassare
materialmente la moneta, se i notabili militari e civili che la recavano
dalle province, non giurassero essere stati pria soddisfatti coloro che
avean ragione su quelle entrate, specialmente le milizie.[71] Cresciute
poscia nel principato le forze e le brame, e abbassate le milizie per la
istituzione degli stanziali, tanto pure avanzò delle costumanze antiche
che il fondo degli stipendii non si menomò.[72] Si pagavano oramai in
molte province, se non in tutte, per delegazione sul _kharâg_ di un dato
podere o territorio, secondo la somma registrata nel catasto, che
s'agguagliasse a quella dello stipendio registrato nel ruolo militare.
La delegazione, oltre il _kharâg_, si facea sopra altre entrate di
_fei_. Chiamavasi _iktâ'_; taglio, come suona in lingua nostra.[73]
Portava al governo risparmio delle spese e fatiche della riscossione; ma
aggravava i contribuenti; corrompea le stesse milizie, mutate in torme
di gabellieri e concussionarii privilegiati; e tornava alla fin fine a
rovina dello Stato, per le infiacchite forze nazionali, le entrate
distratte, i popoli spolpati, e gli sciolti legami tra le milizie e la
pubblica autorità. Tanto più che alle milizie l'_iktâ'_ soleasi
concedere a vita, e talvolta con sostituzione dei figliuoli; quantunque
i giuristi dichiarassero nullo tal modo.[74] Sospetto che le concessioni
per ordinario fossero state collettive in favore di un _giund_:
naturalissimo e pessimo espediente. Che che ne sia, i beneficii
militari, nati nella precoce decadenza della società arabica, aiutarono,
con gli altri vizii, alla rovina di sua dominazione. La istituzione
degli emiri di provincia primeggiò, come dicemmo, tra le cause che
smembravano l'impero in reami: gli _iktâ'_ cooperarono a rinnalzare
l'abbassata aristocrazia e spingerla all'anarchia feudale; poichè le
milizie divennero come forza privata dei capi loro; onde avvenne che
alcuno occupasse il principato, o, peggio, che molti sel contendessero.
Così fu in Spagna; così in Sicilia nello undecimo secolo.
Ordinato per tal modo che la entrata principale si applicasse al
principale bisogno dello Stato, poco rimanea per le altre spese, che pur
cresceano con lo incivilimento e con gli sforzi dei principi tendenti al
potere assoluto. Più che in niun'altra parte di governo, apparisce
nell'azienda il radical difetto della teocrazia musulmana. Il Corano
avea provveduto appena al bilancio, com'oggi si dice, d'un misero
governo di tribù. Per soddisfare alle spese d'uno impero, convenne
dunque cercare entrate fuor dalla legge; come fu appunto il _kharâg_
statuito da Omar; e, quando nè anco bastò, forza fu di trapassare e
legge e consuetudine. I giuristi allora, che si arrogavano il potere
legislativo mediante le interpretazioni, si messero a tirar coi denti
qualche capitolo del Corano e della Sunna per adattarlo ai bisogni
attuali, o sostennero che non v'era modo. I principi posero balzelli a
dispetto della legge e degli interpreti; e rasparon danaro qua e là, su
la quinta del bottino, su la _zekât_, sul _fei_: su le quali entrate
eran certi i dritti dello Stato, milizie, parenti del Profeta e
indigenti, ma incerte le quote. Tolsero dal _kharâg_ gli stipendii degli
oficiali civili, oltre quei delle milizie; serbaronsi quel che lor
piacea dei beni demaniali o ne concedettero a favoriti; talvolta
consumarono il pan dei poveri, cioè la _zekât_ e la quinta, in opere di
utilità pubblica e di vanità pubblica e di vanità monarchica. Da ciò
nacquero frequenti contrasti tra i principi e i giureconsulti; contrasti
senza uscita legale, e però nocevolissimi: nè mai la finanza musulmana
fu regolata da unico e vasto pensiero, nè adattata ai tempi, nè
rassodata dal dritto.[75] In Sicilia i balzelli arbitrarii par che
cominciassero nel decimo secolo, forse un poco avanti, sotto il regno di
Ibrahim-ibn-Ahmed. Fin allora la quinta, e il _fei_, abbondanti per
cagion della guerra, e la decima, bastavano ai bisogni della colonia
militare, non obbligata a mandar danaro in Affrica.[76]
Dopo gli ordinamenti è da ricercare quali generazioni d'uomini fossero
venute a stanziare in Sicilia, sotto il nome di Musulmani. Scarseggiando
così fatte notizie appo i cronisti, sarà uopo aiutarci coi nomi
topografici relativi a schiatte o analoghi a quei d'altri paesi
musulmani. Cotesta via d'induzione non ripugna alla sana critica; poichè
i popoli musulmani, come tutti altri, usarono ripetere nelle colonie i
nomi della madre patria; e fu tanto, che appo loro si compilò un
dizionario apposta di omonimie geografiche.[77] Nondimeno la medesimità
del nome può nascere talvolta da analogia di condizioni locali,
verbigrazia _Casr-el-Hamma_, il “Castel dei Bagni,” che se ne trovava in
Sicilia, in Affrica e altrove; o può venire da epoche più remote, da
somiglianza casuale dei vocaboli, da altra origine ignota a noi: per
esempio, in Sicilia stessa Segesta e Mazara, i quali nomi rispondono al
Segestân, provincia della Persia, e a Mazar, villaggio del Loristân anco
in Persia.[78] Sendo notissime nell'antichità quelle due città
siciliane, la identità dei nomi porterebbe per avventura a confermare la
origine orientale dei Sicani, e non sarebbe cagion di errore quanto ai
tempi musulmani. Ma l'esempio ci ammonisce vieppiù a stare guardinghi, e
ricusare gli indizii di questa fatta che non trovino riscontro nelle
vicende istoriche.
La diversità di schiatte della colonia siciliana è attestata da Teodosio
monaco con parole enfatiche e pur veraci, là dov'ei sclama adunarsi in
Palermo la genía saracenica dei quattro punti cardinali del mondo:[79]
chè dovea trasecolare il prigion di Siracusa, passando dalla monotonia
d'un capoluogo di provincia bizantina, al tumulto della crescente
capitale: coloni e mercatanti viaggiatori; e, misti ai Siciliani, ai
Greci, ai Longobardi, a' Giudei, Arabi, Berberi, Persiani, Tartari,
Negri; chi avvolto in lunghe vesti e turbanti, chi in pellicce e chi
mezzo ignudo; facce ovali, squadrate, tonde, d'ogni carnagione e
profilo; barba e capelli varii di colore e di giacitura; ragunati
insieme i sembianti, le fogge, le lingue, i portamenti, i costumi di
tanti popoli abitatori dell'impero musulmano. I nomi di tribù ricordati
nel Libro precedente, mostrano tra i coloni ambo le schiatte di Kahtân e
Adnân e sopratutto la seconda.[80] Scendendo alle divisioni nate dopo
l'islamismo, si ritrae che, oltre gli Arabi d'Affrica, ve n'ebbe di
Spagna;[81] fors'anco di Siria, Egitto e Mesopotamia.[82] V'ebbe al
certo la progenie dei Khorassaniti e altri Persiani passati in Affrica
nello ottavo secolo; e non fu di poco momento, vedendosi primeggiare tra
i Musulmani di Palermo, nelle guerre d'independenza del decimo secolo,
un Rakamuwêih, nome persiano, e la potentissima famiglia dei
Beni-Taberi, oriunda del Taberistân; oltrechè nel territorio di Palermo
trovansi i nomi topografici di Ain-Scindi,[83] Balharâ,[84] e
Ságana;[85] e, un po' più discosto, quei di Menzîl-Sindi e
Gebel-Sindi,[86] i quali tutti van riferiti alle schiatte dello estremo
oriente. I nomi dei luoghi, al par che gli avvenimenti storici, mostrano
che gli Arabi, e altri popoli di Levante, tenessero le parti
settentrionali del Val di Mazara, nel quale, come il dicemmo, erano
ristrette le colonie musulmane nel nono secolo. Palermo, fatta capitale
dell'isola, era lor sede principale; e par che lungo la costiera quelle
popolazioni si estendessero, verso ponente, infino a Trapani.
La schiatta berbera, com'è noto, accompagnò gli Arabi nel conquisto di
Sicilia; sendone venute alcune tribù nell'esercito di Ased-ibn-Forât,
altre col berbero spagnuolo Asbagh-ibn-Wekil, altre senza dubbio nelle
varie espedizioni che successero, ed alla spicciolata. Fu parte non
piccola della colonia; poichè potè sostenere lunga guerra civile contro
gli Arabi. Occupò le regioni meridionali del Val di Mazara. E veramente
tra una dozzina di nomi berberi, su la origine dei quali non cade alcun
dubbio, la più parte si trova in quella regione, nel tratto che corre da
Mazara a Licata.[87] Girgenti, guerreggiante spesso contro Palermo e
sempre rivale, era senza dubbio la città più importante, e come la
capitale dei Berberi.
La moltiplicità delle schiatte invelenì al certo molte querele private;
si mescolò forse alle altre cagioni d'ira negli scambii degli emiri; ma
non potea produrre tante fazioni, quante nazioni. Inoltre la progenie di
Kahtân sembra pochissima in Sicilia innanzi i Kelbiti, che vennero nel
decimo secolo. I Persiani par che dimenticassero la rivalità loro contro
gli Arabi, già mitigata dal tempo in Affrica. Lo stesso avvenne agli
altri sminuzzoli di schiatte orientali, troppo deboli per far parte
dassè, interessati tutti a stringersi intorno gli Arabi di Adnân per
soverchiare i Berberi.
Arabi e Berberi dunque: ecco la profonda, insanabile divisione della
colonia siciliana. Tra gli uni e gli altri non era divario di condizione
legale. Mentre in Affrica molte tribù berbere pagavano tuttavia il
_kharâg_ e rimanean prive degli stipendii militari, per essere state
sottomesse con la forza, in Sicilia le due genti, venute insieme a
combatter la guerra sacra, vantavano uguale dritto ai premii della
vittoria. Se non che, in fatto, gli emiri dell'esercito siciliano
nascean di sangue arabico, al par che i principi aghlabiti; di sangue
arabico o persiano i dottori, gli ottimati, la più parte dei cavalieri
del giund; nè poteano smettere in Sicilia l'orgoglio e cupidigia da
nobili; nè dimenticare la maggioranza della schiatta loro in Affrica. I
Berberi poi non si tenean da meno di loro: conscii del proprio numero,
valore, dritti d'islamismo e dritti di natura. Un moderno e sagace
osservatore, il generale Daumas, notando il divario ch'è tra le
istituzioni sociali degli Arabi e dei Berberi, e trattando
particolarmente dei Berberi della Kabilia Grande, come chiaman la
regione tra Dellys, Aumale, Setif e Bugia, ben ha dipinto quella nazione
col motto di “Svizzera salvatica.” Cantoni e villaggi, al dir suo, fanno
unità politiche; rannodansi tra loro per leghe più o meno durevoli:
repubblichette democratiche, ove ognuno ha voce in consiglio; i
magistrati elettivi, di breve durata e poca autorità; case nobili
preposte sovente alle leghe, per ambito o riputazione, non per dritto;
e, più che ai magistrati o ai nobili, si obbedisce ai _marabuti_,
frateria che molto somiglia al monachismo del medio evo: la _gemâ'_
rende ragione in materia criminale, non secondo il Corano ma con le
antiche consuetudini del paese: l'omicida dichiarato fuor della legge;
per gli altri delitti, pene pecuniarie, e non mai staffilate come appo
gli Arabi. Pensa il lodato autore ch'abbian ordini analoghi le altre
popolazioni berbere dell'Algeria;[88] ed io aggiugnerei che, si
eccettuino le tribù nomadi e alcuni periodi in cui tribù agricole, o
leghe, si son governate a monarchia, e del resto si tengano le
consuetudini di civile uguaglianza come osservate in tutta la schiatta
berbera fin da tempi remotissimi.[89] Dopo il conquisto musulmano ne
danno indizio quella generale inclinazione dei Berberi alle sètte
kharegite; e lo spirito d'independenza della tribù di Kotâma a fronte
dei califi fatemiti;[90] e i magistrati della medesima tribù e di Zenâta
nell'undecimo secolo, analoghi a quelli di cui parla il generale Daumas
ai dì nostri:[91] che se talvolta sursero in quel popolo principi o
dittatori, si ricordi tali usurpazioni avvenir più agevolmente negli
Stati democratici che sotto l'aristocrazia. Da ciò si può conchiudere
che le popolazioni berbere passate in Sicilia, e non soggette a principi
loro, poichè ubbidivano agli aghlabiti, fossero informate dal genio
d'uguaglianza che le dovea vieppiù alienare dagli Arabi, e rendere
intolleranti dei signorili soprusi di quelli. Le inclinazioni economiche
divideano alsì l'una dall'altra gente: gli Arabi oziosi, i Berberi
industri; gli uni pastori di vassalli, poichè lor n'eran caduti in mano
in vece di cameli e pecore; gli altri sempre agricoltori. Doveano dunque
i primi bramar che si lasciassero le terre ai vinti siciliani; i secondi
che le si dividessero. E bastava sol questa, se fosse mancata ogni altra
cagione, a suscitar la guerra civile!
Dal detto fin qui si comprende la origine dei due movimenti diversi, che
cominciarono ad agitare la colonia di Sicilia, entro mezzo secolo dalla
fondazione sua. L'uno era sforzo della colonia a governarsi dassè; e
risolveasi in contrasti tra la nobiltà palermitana e i principi
aghlabiti, per la elezione dell'emiro. Appartenendo all'emiro quella
piena autorità che abbiam detto, e non potendo cadere in mente del
principe, nè dei coloni, nè dì niun Musulmano, di riformare la legge;
ciascuna delle due parti cercava a por mano alla esecuzione: fare
esercitare l'oficio di emiro da uom suo, e a comodo suo. Racchiudeasi in
cotesta contesa quella di finanza: se la colonia dovesse pagar tributo o
no; poichè il principe non avea ragione, che nei sopravanzi, e all'emiro
stava di trovarne o non trovarne. Indi il principe eleggea lo emiro, e i
coloni lo scacciavano; o costoro coglieano un pretesto di nominarlo, e
il principe lo rimovea; nè potea durar la quiete.
L'altro movimento era la lotta tra gli Arabi e i Berberi. Oltre il
partaggio delle terre al quale accennammo, oltre le vendette private che
degeneravano in vendette di tribù, nacque verso la fine del nono secolo
una causa perenne di lite. A misura che compieasi il conquisto
dell'isola, mancava il bottino e cresceva il _fei_, o vogliam dire
rendita militare. Per caso intervenne al medesimo tempo che le armi
della dinastia macedone sforzassero a uscir di Calabria i Musulmani,
Berberi in gran parte, come cel mostrano i nomi dei capi. I Berberi
dunque delle tribù più turbolente, quei che non amavano a vivere di
agricoltura, doveano procacciar lo stipendio sul _fei_. Ma questo non si
scompartiva, come il bottino, con legge immutabile e precisa, tra tutti
i combattenti; anzi stava ad arbitrio tra dell'emiro e del principe; e
gli Arabi potean pretendere che ne fossero esclusi gli stranieri,
toccando a loro il primo luogo nei ruoli. Niun cronista fa motto di tal
contesa; ma la non potea non accadere; e ce ne conferma il fatto che la
Sicilia fu insanguinata per la prima volta in guerra civile pochi mesi
dopo il ritorno delle masnade che Niceforo Foca scacciò dalle
Calabrie.[92]
Quei due movimenti si frastagliavan sovente, e il secondo cadde in
acconcio al principe aghlabita che volle davvero soggiogare la colonia.
Ricapitolando i fatti che narrammo nel Libro secondo, si scorge la lotta
d'independenza principiata proprio alla fondazione della colonia
palermitana; sopita da savii emiri di sangue aghlabita; ridesta verso
l'ottocento sessantuno, come n'è indizio il frequente scambio degli
emiri. Quel valoroso e nobilissimo Khafâgia, ucciso a tradimento da un
Berbero, sembra cadesse vittima dell'altra discordia; se pur Arabi e
Berberi non s'erano uniti per brev'ora contro le usurpazioni del poter
centrale. Così fatta resistenza durava nei principii del regno
d'Ibrahim-ibn-Ahmed, come il provano gli scambii degli emiri verso
l'ottocento settantuno. Poi entrambe le divisioni divampano al medesimo
tempo. Tra l'autunno dell'ottocento ottantasei e la primavera
dell'ottantasette, gli Arabi del giund e i Berberi vengono al sangue: la
nimistà loro, se non la aperta guerra civile, arde tuttavia per dieci
anni, sì che viene a dettare lo scandaloso patto di torsi a vicenda
dall'una e dall'altra gente gli statichi da consegnarsi ai Cristiani
(894-895). Nello stesso decennio la tenzone della colonia col principe
arriva agli estremi: ribellione armata da una parte; dall'altra,
repressione con le armi e fors'anco violazione della legge fondamentale
che affidava all'emiro il governo della colonia. Perocchè il popolo di
Palermo, mentre guerreggia la prima fiata contro i Berberi (886-887),
mette ai ferri e caccia in Affrica lo emir Sewâda e gli dà lo scambio;
tre anni appresso (890) combatton Siciliani contro Affricani, che è a
dire contro le forze mandate dal principe; a capo di due anni un emiro
rientra per forza in Palermo; e corsi pochi mesi, nel dugento ottanta
dell'egira (893-894), l'emirato di Sicilia è conferito al gran
ciambellano che stava accanto a Ibrahim, cioè la colonia è oppressa e
spogliata di sue franchige, ovvero ha scosso il giogo; e di certo par
che l'abbia scosso tra il novantacinque e il novantasei quando è fermata
pace coi Cristiani.[93] Si scorge in cotesti travagli il doppio effetto
della condizione politica dei popoli e delle passioni d'un uomo. La
condizione dei Berberi rispetto agli Arabi, e della colonia rispetto
alla madre patria, avea dato principio alle due tenzoni.
Ibrahim-ibn-Ahmed le spinse al segno a che arrivarono negli ultimi anni
del nono secolo. Per domar meglio la colonia di Palermo, aizzò i Berberi
di Girgenti. Volle domar la colonia, perchè a questo il portava sua
natura esorbitante e feroce; e per trarne danaro e adoperarlo all'altro
disegno, d'abbattere e calpestare l'aristocrazia arabica in Affrica; il
che ei fece sì bene, che distrusse la base della dinastia aghlabita,
onde questa entro pochi anni crollò.
CAPITOLO II.
Ibrahim-ibn-Ahmed non solamente avviluppò in questa guisa la condizione
politica della colonia, e poi sciolse il nodo con orribile catastrofe,
ma, non sazio di quel sangue musulmano, venne ei medesimo in Sicilia a
sterminare gli ultimi avanzi de' Cristiani; prosegui la vittoria in
Calabria; e minacciava tutta la terraferma d'Italia, quand'ei morì
com'Alarico sotto le mura di Cosenza. Pertanto debbo dir di costui più
particolarmente che non abbia fatto degli altri principi affricani. Il
voglio anche perchè l'indole d'Ibrahim, sembra fenomeno unico nella
storia morale dell'uomo, nè si può definir con parole, nè delinear con
qualche tratto. Unico fenomeno parve a quei che il videro da presso; i
quali, facendosi a spiegarlo e non trovandovi modo con la psicologia del
Corano, ebbero ricorso alle teorie dei materialisti che già penetravano
appo gli Arabi, miste alla filosofia greca; supposer quest'uomo invasato
di non so che bile negra: malinconia, come la chiama tecnicamente
Ibn-Rakîk.[94]
“Niun dee misfare fuorchè il principe. La ragione di questo è che, ove
gli ottimati e i ricchi si sentan possenti nei beni della fortuna, uom
non vivrà sicuro dalla loro insolenza e malvagità. Se il re cessi di
calcarli, ecco che si fidano; gli resistono; gli traman contro! In vero
il succo vitale del principato è la plebe.[95] Il signor che lasciassela
opprimere, perderebbe l'utile ch'ei ne ricava; ed altri sel godrebbe,
rimanendo a lui il sol danno.”[96] Così parlava Ibrahim-ibn-Ahmed,
vantandosi di abbattere la nobiltà arabica dell'Affrica: teorie e gergo
molto ovvii, che rivelan sempre il tiranno di buona scuola. Sagacissimo
fu veramente Ibrahim nelle cose di stato; uom di mente vasta e savia,
quando non l'offuscava la sete del sangue. Ebbe genio alieno dalle
scienze, dalle lettere e dalla poesia, ch'erano state in onore appo i
suoi maggiori: e qualche versaccio ch'ei fece, come nato e cresciuto in
una corte arabica, somiglia forte a quelli di Carlo d'Angiò, per la
insipidezza e l'arroganza.[97] In fatto di religione si mostrò
osservatore del culto, più che delle pratiche di devozione; si ridea
della morale quando non gli andava a' versi; ma era sopratutto
intollerantissimo verso gli altri. Visse senz'amore, nè amicizia. Seguì
voluttadi nella prima gioventù, e presto gli vennero a tedio; e allora
incrudelì nelle donne più rabidamente che negli uomini; e le abborrì di
strano e sospetto abborrimento. Violava in tutti i modi le leggi della
natura.
A venticinque anni salì al trono per uno spergiuro. Mohammed, suo
fratello, venendo a morte, lasciava il regno al proprio figliuolo
bambino; commettea la tutela a Ibrahim; faceagli far sacramento di non
attentar mai ai dritti del nipote, nè metter piè nel Castel Vecchio, ove
quegli dovea soggiornare con la corte. E Ibrahim, nella moschea
cattedrale del Kairewân, dinanzi gli adunati capi di famiglie di sangue
aghlabita e i magistrati e notabili della capitale, giurollo
solennemente; ripetè cinquanta fiate il tenor del giuramento, com'era
usanza nelle cause criminali. Sepolto il fratello (febbraio 875),
cominciò a regger lo Stato, ben diverso da lui, con somma forza e
giustizia. Indi i cittadini del Kairewân a pregarlo di prendere a
dirittura il regno: il che ricusò, pretestando suoi cinquanta
giuramenti; e di lì a poco, noi sappiam come si fa, i buoni borghesi
tornarono a supplicare più fervorosi, e Ibrahim non seppe dir no. Uscito
di Kairewân alla testa del popolo in arme, occupava il Castel Vecchio;
si facea gridar principe; e prestare omaggio di fedeltà dai notabili
d'Affrica e da non pochi di casa d'Aghlab. Con tutta la bruttura dello
spergiuro e della commedia che servì a ricoprirlo, Ibrahim non va
chiamato usurpatore. Il dritto di primogenitura non era allignato mai
appo gli Arabi; la designazione del principe antecessore, era abuso; la
investitura del califo, ormai vana cerimonia; e il popolo, che potea
deporre ed eleggere, partecipò alla tumultuaria esaltazione non
sforzato, forse mezzo raggirato e mezzo no. Gli umori delle città contro
l'aristocrazia militare, ci persuadono che la cittadinanza abbia
francamente parteggiato per Ibrahim.
Severi, ma di rigor salutare, i primordii del regno. Trattando sempre
dassè le faccende pubbliche, Ibrahim cessò i soprusi degli oficiali e
governatori di province: rendea ragione ogni lunedì e venerdì nella
moschea cattedrale del Kairewân, ascoltando con pazienza i richiami, e
provvedendo immantinenti; diè di sua persona esempii di astinenza e
pietà; ristorò la polizia ecclesiastica; sgombrò le strade dei ladroni
che le infestavano; assicurò il commercio, spense i violenti e gli
scapestrati. Si narra di lui che obbligasse la madre al pagamento di un
debito, minacciando di lasciarla tradurre dinanzi il cadi:[98] la madre,
sola creatura umana rispettata da quel mostro. Attese molto alle opere
pubbliche. A comodo dei cittadini, costruì un gran serbatoio d'acqua al
Kairewân. Per magnificenza e pietà innalzò una moschea cattedrale a
Tunis; e aggrandì quella del Kairewân; aggiuntavi inoltre una cupola che
poggiava su trentadue colonne di marmo. Circondò Susa di mura. Compiè su
la costiera del reame una linea di torri e posti di guardia, ordinata a
far segnali coi fuochi, sì che in una notte potea tramandarsi avviso da
Ceuta ad Alessandria di Egitto.[99] Cotesta pratica antichissima era
scesa con le tradizioni dell'impero infino ai Bizantini; i quali nella
prima metà del nono secolo l'adoperavano a significare i tristi casi di
lor guerre, da Tarso a Costantinopoli.[100] E v'ha ragioni da credere
ch'e' se ne fossero avvalsi anco in Sicilia, e che quivi avesserla
appreso gli Arabi d'Affrica.[101]
Innanzi ogni altra opera pubblica, Ibrahim avea costruito una
cittadella, centro di gravità della tirannide ch'ei macchinava: fortezza
ove porre sua corte e ordinar novelli pretoriani per disfarsi degli
antichi, i liberti di casa aghlabita, ridotti nel Castel Vecchio, stati
fin allora padroni del popolo e del principe. Fece por mano a' lavori il
dugento sessantatrè (23 settembre 876 a 11 settembre 877), in luogo
discosto quattro miglia dal Kairewân e chiamato Rakkâda, “Sonnolenta”
come suona appo noi.[102] Entro un anno, fornite le mura, innalzata una
torre che addimandarono di Abu-'l-Feth,[103] Ibrahim inaugurolla con
sanguinoso tradimento. Era avvenuto che i liberti del Castel Vecchio
tumultuassero contro di lui per aver fatto morire un di lor gente: e
allora, ito loro addosso per comando d'Ibrahim il popolo della capitale,
i liberti, vedendosi sopraffatti, avean domandato e ottenuto perdono. Ma
il dì che dovean toccar lo stipendio, Ibrahim li chiama alla torre di
Abu-'l-Feth; li fa entrare a uno a uno; disarmare; incatenare: e diè
mano ai supplizii; ch'altri morì sotto il bastone, altri condannato a
perpetuo carcere in Kairewân; altri bandito in Sicilia.[104] In luogo
dei liberti, comperò schiavi in grandissimo numero; prima negri, poi
anco di schiatta slava: li vestì; li esercitò nelle armi; ne fece un
grosso di stanziali, valorosi, induriti alle fatiche;[105] massa di
bruti della zona torrida e del settentrione disumanati dal servaggio e
di più dalla disciplina. Così passarono i primi sei anni del regno;
lodevoli del resto a detta di tutti i cronisti, i quali tenean forse
necessaria la carnificina di Abu-'l-Feth. Poi sfrenossi a dar di piglio
nella roba e nel sangue; peggiorando di anno in anno, come nota l'autore
del _Baiân_.[106]
Perchè, non bastando le entrate ordinarie dello stato a spesare gli
stanziali, le fabbriche e la guerra che sopravvenne (an. 880, 881)
contro un principe d'Egitto della dinastia usurpatrice dei Beni-Tolûn,
era strascinato Ibrahim ai maltolti. L'anno dugento settantacinque
(888-889) battè nuova moneta d'argento, che, rifiutata dai mercatanti
del Kairewân, diè occasione a tumultuarie rimostranze, imprigionamenti,
sollevazione: e Ibrahim, al solito, restò di sopra. Donde facea coniare
altri dirhem e dinâr decimali, com'ei li chiamò, perchè i primi
d'argento e i secondi d'oro stavano in valore come uno a dieci; e tolse
di mezzo le buone monete dell'impero abbassida.[107] Oltre questo
espediente di finanza, ponea nuove gabelle;[108] aumentava le tasse
prediali e riscuoteale in danaro, non più in derrate;[109] richiedeva i
cittadini che apprestassero a servigio dello Stato loro schiavi e
giumenti; in cento modi li espilava per accumular tesori.[110]
A misura degli aggravii prorompean pure le sollevazioni; e a misura di
quelle incrudeliva Ibrahim. Ne noterò solo i fatti rilevanti.
Ribellavansi ricusando le tasse, l'anno dugentosessantotto (881-882), le
tribù berbere di Wuezdàgia, Howâra e Lewâta: ed erano oppresse, l'una da
Mohammed-ibn-Korhob, ciambellano, le altre da Abd-Allah figliuolo
d'Ibrahim, mandatovi con gran gente di giund, liberti, leve in massa, e
ausiliarii forniti al certo da altre tribù berbere: sì fermo Ibrahim
- Parts
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 01
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 02
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 03
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 04
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 05
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 06
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 07
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 08
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 09
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 10
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 11
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 12
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 13
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 14
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 15
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 16
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 17
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 18
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 19
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 20
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 21
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 22
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 23
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 24
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 25
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 26
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 27
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 28
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 29
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 30
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 31
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 32
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 33
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 34
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 35
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 36
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 37
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 38
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 39
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 40
- Storia dei musulmani di Sicilia, vol. II - 41